La discesa agli inferi del piacere (2° parte)

di
genere
dominazione

Il giorno dopo mi presentai da lei alle 6 del pomeriggio.
Sapevo che sarebbe tornata dall’università per quell’ora e volevo godermela fino a sera.
Quando mi vide sulla porta che chiacchieravo amabilmente con sua madre rimase un po’ in imbarazzo, come se pensasse che le avrei raccontato quanto vacca fosse sua figlia.
Comunque, adopo qualche convenevole ci rintanammo in camera sua in attesa della cena.
Eravamo sul letto e la sfioravo con la mano sul collo, sulle cosce, sotto la maglietta... insomma la stavo eccitando. Ad un certo punto mi ficcò tutta la sua lingua in bocca, la sua mano cercò il rigonfiamento dei miei pantaloni ed io capii che eravamo cotti a puntino.
Ancora baciandomi, mi aprì la patta, entrò con la mano e si fermò stupita. Io le sussurrai “non porto gli slip quando sono con te, così il mio uccello è già pronto!”. La mano rimase a giocherellare con il mio cazzone e intanto baciandomi il petto aveva cominciato a scendere con le labbra.
Arrivata all’altezza dei pantaloni, me lo tirò fuori e iniziò a leccarlo e mordicchiarlo come fosse un lecca lecca.
Mi godevo quel servizietto e intanto già pregustavo cosa avrei fatto dopo: aveva cominciato a ciucciarlo come se volesse risucchiarmi le palle ed io avevo cominciato con la mano a cercare prima il suo culetto e poi quella fighetta che mi piace tanto.
Più lei succhiava e più io sgrillettavo, tanto che avevo la mano praticamente fradicia e il mio uccello era madido della sua saliva.
Con un gesto repentino, tolsi la mano dalla sua figa, la tirai per i capelli e le dissi “basta per il momento, troia. Tra poco te lo ridò così puoi giocarci ancora ma adesso alzati”.
Lei, ancora confusa, si tirò su dal letto e mi guardò. “Spogliati davanti a me e non farmelo ammosciare o sarà peggio per te”.
Iniziò togliendosi la maglietta, poi il reggiseno. Io mi alzai di scatto, presi il reggiseno e glielo strappai dalle mani. “Da oggi questo non lo usi più sia quando ci vediamo che quando sarai con altri”. “Se scopro che non mi hai ubbidito, prima di scopo a sangue e poi te ne suono talmente tante su quel tuo culone che non riuscirai a sederti per una settimana”.
Misi il reggiseno in tasca e le feci cenno di continuare. Fu la volta della gonna. “Girati mentre la togli, così inizio a pregustare il piacere di quando ti sfonderò il buchetto”, le dissi mentre accarezzavo e palpavo quelle belle chiappe.
Lei girò la testa di scatto, impaurita. “Ti prego, no. Non l’ho mai preso lì. Mi farai male”. “Tu non ti preoccupare. Sono io che decido. E ho deciso che voglio il tuo culo!”.
Dopo la gonna, toccò ovviamente agli slip: sottili, a vita bassa, bianchi a righette blu. Quasi da scolaretta, se non invogliassero a mangiarseli.
Mentre se li toglieva, mi alzai di nuovo di scatto, li afferrai e “Anche questi, basta! Non li porterai più. Voglio potermi godere la tua fighetta come e quanto voglio senza la rottura delle mutande”. “Se scopro che li hai indossati, come per il reggiseno, prima ti monto e poi te le suono”. “E guarda che farò in modo di controllarti anche quando non saremo insieme”.
Ora era completamente nuda davanti a me. Mi abbassai i pantaloni e lei capì subito: si inginocchiò guardandomi negli occhi e ricominciò a ciucciare come se fosse una lattante.
La mia mano si posò dietro la testa, tra i capelli e la indirizzava su e giù fino alla fine dell’asta. Mmmmm quanto mi piaceva. Avrei voluto sborrarle in gola in quel momento ma avevo altri piani.
Mentre era affondata sul mio uccello, sua madre dalla cucina disse “Ehi voi due, tra poco si mangia. Luca, resti a cena da noi?”.
Prendendola con entrambe le mani, iniziai a scoparle la bocca dicendo “Molto volentieri, signora. Ho una fame! Finiamo un esercizio per domani e siamo da lei. Vero Giulia?”. La strappai dal mio uccello per i capelli , un filo di saliva si era formato tra la mia cappella e le sue labbra. Lei disse, ancora ansimante per il golino che mi stava facendo, “Si mamma. Finisco un lavoretto e arriviamo”.
Appena finito di parlare, la ripresi per la testa e continuai a scoparmela con gran foga: volevo che mangiasse con il sapore della mia sborra in bocca.
Avanti e indietro così per 5 minuti buoni e alla fine: aaaaahhhhhhhh! Adoro sborrare in gola alle donne. Mentre le venivo dentro, le dissi “Voglio che non ne esca neanche una goccia. Devi tenerla in bocca fino a quando te lo dico io”.
Finito il servizietto, glielo tolsi dalla bocca, mi ripulii prima sulla sua guancia, poi sui capelli e mi rimisi l’uccello ancora mezzo duro dentro i pantaloni, in modo tale che si vedesse bene il rigonfiamento.
Lei si rialzò, mi guardò e iniziò senza fiatare a rivestirsi. Cercò di ripulirsi almeno la guancia con il retro della mano ma senza molto successo.
Mentre si rimetteva gli slip, le presi un capezzolo e lo strizzai forte. “Non hai proprio capito niente, allora! Voglio figa e culo pronti per me come e quando voglio. Niente mutandine. E ora finisci di rivestirti altrimenti tua madre si insospettisce”.
Lei finì di vestirsi con ancora la bocca piena. Mentre si metteva la maglietta, una goccia di sborra le uscì dall’angolo della bocca e lei, capendo, mi guardò spaventata.
Io le presi un dito, le ripulii la bocca e glielo feci succhiare. “Brava, tesoro! Sei proprio golosa, eh!”.
Uscimmo dalla stanza e ci avviammo verso la cucina, dove sua madre e suo padre ci stavano già aspettando seduti. Ci sedemmo uno accanto all’altra e suo padre le chiese “Allora, com’è andata oggi in università?”. Un brivido la prese, si girò. “Dai, Giulia, rispondi a tuo padre”. Mi guardò con fare implorante; con un brevissimo cenno le feci capire che poteva finalmente deglutire e così rispose.
Non so quanto sua madre avesse capito ma ci guardava con fare interrogativo mentre Giulia parlava del più e del meno delle lezioni e dei compagni di università.
Iniziammo a mangiare. La mia mano si posava in continuazione sulla coscia di Giulia che, poco alla volta, aprì le gambe e tirò su la gonna per lasciarmi campo libero sulla sua fighetta. “Troppi peli”, pensai, “deve rasarla per bene”.
La cena continuava e io continuavo con il mio ditalino intermittente. Giulia era tutta rossa e faceva fatica a rispondere ai genitori.
Ogni tanto il ginocchio di sua madre si strusciava sul mio ma non ebbi modo di capire se intenzionalmente o per caso.
Finimmo di mangiare in fretta e lei si rialzò subito mentre io chiacchieravo con sua madre della mia azienda, delle nuove tecnologie e del fatto di quanto lei fosse imbranata con il computer, internet e lo smartphone.
Giulia era già in camera ed io aiutavo sua madre ad impostare la mail sul telefono, avendo così accesso ai suoi dati e alle sue password. Lei rideva come un’oca giuliva. “Cazzo” pensai “è proprio vero che tale madre, tale figlia”. Ma questo ve lo racconterò un’altra volta.
Mi alzai, sentendo il profumo inebriante della signora, e mi diressi in camera pronto per un altro round.
scritto il
2019-08-06
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