Quella volta al Paradise Now
di
Actraiser
genere
etero
Alla fine cedetti. Era da tempo che il mio fidanzato insisteva per andarci, e così, perplessa ma in fondo anche curiosa, decidemmo di andare a questo club per soli adulti.
Si chiamava Paradise Now, un promettente invito alla soddisfazione di ogni lussuria, nascosto in un vicolo lungo la strada principale. Una volta fatte le tessere ed entrati, scendemmo una lunga scalinata, dove una luce rosea sembrava attenderci in fondo al tunnel: la stanza principale sembrava il solito strip club, il bancone del bar, le ragazze che facevano la lap dance, insomma la solita roba. I camerieri servivano nudi, ed era un gran bel vedere sia per i clienti maschi che per le donne.
Cominciammo a guardarci intorno, il locale era davvero enorme, c’erano un mucchio di stanze, il peep show, un altro in cui gli uomini infilavano il membro in un buco – più tardi mi riferirono il perché - e poi vari privée, quello fetish per gli amanti del sadomaso, una piccola sala cinema a luci rosse, e così via.
“Ho una sorpresa per te”, mi sussurrò all’orecchio.
Mi fece bendare gli occhi, il mio cuore palpitava sempre più forte, non sapevo cosa mi attendeva, ero intimorita, ma tra le mie gambe cominciava a scorrere una segreta eccitazione.
“Indovina quale sono”, mi disse staccando la sua mano dalla mia.
Rimasi al buio, avanzavo a tentoni, e intanto nella mia testa comiciavo a capire cosa mi attendeva: nelle mie narici si infiltrò quell’inconfondibile odore di maschio, quel misto di cazzo e dopobarba che ormai, era il caso di dire, riconoscevo a naso. Mi inginocchiai, e urtai contro una gamba: la mia mano risalì fino ad una verga, ma era troppo lunga e sottile per essere quella del mio fidanzato; il secondo puzzava di urina, lo schifoso non si era lavato evidentemente, lo scansai senza pensarci su due volte. Il terzo membro era enorme, più grosso di quello del mio fidanzato, al tatto mi sembrò quello di un nero, perché scappellandolo ebbi come la percezione che la parte che uscisse fuori fosse bella grande: per sicurezza gli diedi una leccatina, dopo sentenziai sicura che non era lui.
Alla fine lo riconobbi subito: lo avevo toccato, baciato, accarezzato, annusato tante di quelle volte che era come se fosse diventato parte del mio corpo, sapevo distinguerne proporzioni e consistenza in un lampo, riconobbi anche quella sottile cicatrice sul testicolo sinistro frutto di un vecchio incidente da bambino.
“Eccoti qua pisellino mio” dissi ridendo.
“Ora ti aspetta il premio tesoro”.
Mi tolse la benda mi prese in braccio e mi adagiò su un divanetto: era tutto nudo, proprio come gli altri, che intanto continuavano a masturbarsi imperterriti. E si, uno era proprio nero. Mi alzò la gonna, mi scostò delicatamente le mutandine, si inumidiì le dita per ripassarmele nella fica, ma non c’è n’era bisogno, ero già una fontana. Con il suo bel cazzone tutto in tiro mi prese con vigore, allargandomi bene le cosce.
Cominciò a spingere, sussurrandomi all’orecchio che era sicuro che l’avrei riconosciuto, e che in ogni caso non avrebbe mai permesso a nessun altro di scoparmi. Mi tirai un po’ fuori le tette per fargliele succhiare, ero completamente rannicchiata sul divano e lui sopra di me, tutti i muscoli in tiro, le sue braccia vigorose che mi tenevano, il suo respiro affannato contro il mio, il suo cazzo maestoso, imponente, che mi fotteva come solo lui sapeva fare. Aprii per un attimo gli occhi e vidi la stanza riempirsi di gente, era tutto un carnaio, l’aria odorava di sesso ovunque: c’era una grassona a gambe larghe che si faceva fottere a turno da vari uomini che aspettavano in fila, un trio gay con uno che lo prendeva in culo mentre sbocchinava un altro, orge varie con mani che si infilavano ovunque in corpi ammassati, ibridi informi con una moltitudine di cazzi eretti e di passere bagnate.
Richiusi gli occhi, mi strinsi ancora di più su di lui, e venni alla grande, giusto un attimo prima che anche lui si svuotasse. Restammo ancora un po’ lì, sul divano ad amoreggiare, ogni tanto veniva qualcun altro a fare due chiacchiere, prima di ributtarsi nel mucchio con foga dionisiaca. Finimmo la serata al bar, a bere qualche drink e a scherzare con i camerieri, che si facevano tranquillamente toccare. Uno ce l’aveva proprio enorme, non resistetti alla tentazione di smanettarlo un pochettino, fingendomi ritrosa per non crucciare il mio fidanzato, caso mai si fosse fatto venire qualche inutile complesso di inferiorità. D’altro canto anche lui palpeggiò una stangona bionda senza farselo ripetere due volte.
Ce ne andammo verso le quattro, mezzi ubriachi, e contenti del simpatico diversivo: fu un bel modo di festeggiare il nostro terzo anniversario.
Si chiamava Paradise Now, un promettente invito alla soddisfazione di ogni lussuria, nascosto in un vicolo lungo la strada principale. Una volta fatte le tessere ed entrati, scendemmo una lunga scalinata, dove una luce rosea sembrava attenderci in fondo al tunnel: la stanza principale sembrava il solito strip club, il bancone del bar, le ragazze che facevano la lap dance, insomma la solita roba. I camerieri servivano nudi, ed era un gran bel vedere sia per i clienti maschi che per le donne.
Cominciammo a guardarci intorno, il locale era davvero enorme, c’erano un mucchio di stanze, il peep show, un altro in cui gli uomini infilavano il membro in un buco – più tardi mi riferirono il perché - e poi vari privée, quello fetish per gli amanti del sadomaso, una piccola sala cinema a luci rosse, e così via.
“Ho una sorpresa per te”, mi sussurrò all’orecchio.
Mi fece bendare gli occhi, il mio cuore palpitava sempre più forte, non sapevo cosa mi attendeva, ero intimorita, ma tra le mie gambe cominciava a scorrere una segreta eccitazione.
“Indovina quale sono”, mi disse staccando la sua mano dalla mia.
Rimasi al buio, avanzavo a tentoni, e intanto nella mia testa comiciavo a capire cosa mi attendeva: nelle mie narici si infiltrò quell’inconfondibile odore di maschio, quel misto di cazzo e dopobarba che ormai, era il caso di dire, riconoscevo a naso. Mi inginocchiai, e urtai contro una gamba: la mia mano risalì fino ad una verga, ma era troppo lunga e sottile per essere quella del mio fidanzato; il secondo puzzava di urina, lo schifoso non si era lavato evidentemente, lo scansai senza pensarci su due volte. Il terzo membro era enorme, più grosso di quello del mio fidanzato, al tatto mi sembrò quello di un nero, perché scappellandolo ebbi come la percezione che la parte che uscisse fuori fosse bella grande: per sicurezza gli diedi una leccatina, dopo sentenziai sicura che non era lui.
Alla fine lo riconobbi subito: lo avevo toccato, baciato, accarezzato, annusato tante di quelle volte che era come se fosse diventato parte del mio corpo, sapevo distinguerne proporzioni e consistenza in un lampo, riconobbi anche quella sottile cicatrice sul testicolo sinistro frutto di un vecchio incidente da bambino.
“Eccoti qua pisellino mio” dissi ridendo.
“Ora ti aspetta il premio tesoro”.
Mi tolse la benda mi prese in braccio e mi adagiò su un divanetto: era tutto nudo, proprio come gli altri, che intanto continuavano a masturbarsi imperterriti. E si, uno era proprio nero. Mi alzò la gonna, mi scostò delicatamente le mutandine, si inumidiì le dita per ripassarmele nella fica, ma non c’è n’era bisogno, ero già una fontana. Con il suo bel cazzone tutto in tiro mi prese con vigore, allargandomi bene le cosce.
Cominciò a spingere, sussurrandomi all’orecchio che era sicuro che l’avrei riconosciuto, e che in ogni caso non avrebbe mai permesso a nessun altro di scoparmi. Mi tirai un po’ fuori le tette per fargliele succhiare, ero completamente rannicchiata sul divano e lui sopra di me, tutti i muscoli in tiro, le sue braccia vigorose che mi tenevano, il suo respiro affannato contro il mio, il suo cazzo maestoso, imponente, che mi fotteva come solo lui sapeva fare. Aprii per un attimo gli occhi e vidi la stanza riempirsi di gente, era tutto un carnaio, l’aria odorava di sesso ovunque: c’era una grassona a gambe larghe che si faceva fottere a turno da vari uomini che aspettavano in fila, un trio gay con uno che lo prendeva in culo mentre sbocchinava un altro, orge varie con mani che si infilavano ovunque in corpi ammassati, ibridi informi con una moltitudine di cazzi eretti e di passere bagnate.
Richiusi gli occhi, mi strinsi ancora di più su di lui, e venni alla grande, giusto un attimo prima che anche lui si svuotasse. Restammo ancora un po’ lì, sul divano ad amoreggiare, ogni tanto veniva qualcun altro a fare due chiacchiere, prima di ributtarsi nel mucchio con foga dionisiaca. Finimmo la serata al bar, a bere qualche drink e a scherzare con i camerieri, che si facevano tranquillamente toccare. Uno ce l’aveva proprio enorme, non resistetti alla tentazione di smanettarlo un pochettino, fingendomi ritrosa per non crucciare il mio fidanzato, caso mai si fosse fatto venire qualche inutile complesso di inferiorità. D’altro canto anche lui palpeggiò una stangona bionda senza farselo ripetere due volte.
Ce ne andammo verso le quattro, mezzi ubriachi, e contenti del simpatico diversivo: fu un bel modo di festeggiare il nostro terzo anniversario.
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