Mai far arrabbiare una fidanzata
di
Actraiser
genere
tradimenti
Nonostante avessimo litigato tutto il giorno, quella sera decidemmo di andare comunque al ricevimento a cui eravamo stati invitati, in un’elegante villa fuori città.
I sorrisi e le frasi di circostanza nascondevano il mio reale stato d’animo, ero profondamente ferita per come lui non capisse le mie esigenze, e mentre lo guardavo parlare con i suoi colleghi di lavoro e il suo capo, sentivo salire un disprezzo sempre più profondo. Da diversi minuti avevo notato un uomo alto, bruno, assai elegante, che mi guardava insistentemente, spogliandomi con gli occhi: un leggero imbarazzo misto ad eccitazione si impadronì a poco a poco di tutta la mia attenzione, dimenticandomi di colpo della rabbia verso il mio compagno.
Fummo fatti accomodare in una grande sala dove avremmo assistito ad un breve spettacolo teatrale: appena si spensero le luci sentii improvvisamente una mano tastarmi e frugare nelle mie parti intime. Con mia sorpresa vidi che non era affatto il mio fidanzato che cercava una patetica riconciliazione, ma era il bello e solitario sconosciuto. Feci come per fermarlo, ma in realtà quasi automaticamente il mio corpo si ammorbidì per permettergli meglio di esplorarmi: neanche io mi capacitavo di quel che stava succedendo, lui continuava a guardare indifferente il noioso spettacolo, e io sentivo il sangue affluire copioso sul mio basso ventre mentre la sua mano stuzzicava con abilità il mio clitoride, e il succo cominciava a colare sul mio perizoma nero; a stento riuscii a trattenere dei gridolini, quando di colpo si riaccesero le luci. Lo vidi leccarsi le dita con nonchalance mentre io mi sentivo come una bimba scoperta a fare qualche marachella dai genitori: ma il mio compagno invece non si accorse di nulla.
Seguitai a camminare lungo la villa, ammirando i quadri alle pareti e facendo finta di nulla, benché sperassi che lo sconosciuto mi seguisse. E infatti dopo un po’ avvertii una mano cingermi un fianco e trascinarmi di fretta dentro una stanza libera: era lui, potevo leggere nei suoi occhi l’eccitazione, e vedere di riflesso anche la mia. Eravamo nel cucinino, dove erano stati sistemati gli avanzi delle portate, la porta restò leggermente socchiusa, il rischio che ci scoprissero era assai alto, ma eravamo troppo infoiati per badarci. Mi sfilò le mutandine incrostate di succo ficale lasciandomele all’altezza delle ginocchia, e cominciò a leccare avidamente il dolce nettare. La sua bocca si riempiva del mio sesso, succhiando, leccando e mordicchiando senza sosta, ero talmente in estasi che mi levai del tutto il perizoma e misi una gamba sulla sua schiena, mentre gli accarezzavo la testa per esortarlo a farmi venire. D’improvviso si staccò, prese una mollica di pane, e cominciò a ripassarlo sulla mia fica, dentro, fuori e tutt’intorno al clito rosso e turgido, per poi mettermelo in bocca: sentivo questo corpo estraneo inzuppato dei miei umori mentre le nostre lingue si intrecciavano, e la sua mano continuava a masturbarmi con rinnovata foga.
Stava per esplodere, così si aprì la patta e cacciò il suo arnese, e dopo pochi rapidi colpi se ne venne sulle tartine al caviale, che poi mi costrinse inevitabilmente ad assaggiare, e assaporai così il gusto asprigno dell’inedita pietanza. Portò la mia testa al suo sesso, non ero capace di ribellarmi, avrei fatto qualsiasi cosa in quel momento, e così ripulii servizievolmente la cappella dando piccoli baci tutto intorno al glande. In un attimo ebbe di nuovo il cazzo in tiro, mi ribaltò e mi penetrò senza alcuna difficoltà: a pancia sotto, sul tavolo del cucinino, potevo intravedere dalla porta socchiusa il mio fidanzato che continuava ignaro di tutto nelle sue pubbliche relazioni, non potevo trattenermi dal guardarlo incessantemente mentre venivo scopata come una lurida troia. Non ancora soddisfatto del tutto, lo sconosciuto smontò per infilarmi la turgida cappella tra le chiappe, la strada, per quanto più stretta, era un sentiero già battuto, cosicché il dolore non fu eccessivo. Mise un piede sopra una sedia lì vicino per potermi impalare meglio, il calore che sprigionava la mia fica era indescrivibile, ad ogni suo colpo di reni il mio clitoride strusciava sul tavolino provocandomi un piacere immenso: stavo per venire continuando a guardare il mio fidanzato, mi sentivo una baldracca inaudita ma il piacere era così grande che non avrei mai potutto arrestarmi. La sua mano soffocò il mio orgasmo, la morsi fino a farlo sanguinare, mentre lui se ne veniva tirandomi i capelli con violenza, e poi solo gemiti e sospiri, la sua fronte sudata sulla mia spalla nuda, il mio volto sfatto dal colpevole godimento, il mio fidanzato sorridente e fresco cornuto a pochi metri di distanza.
Facemmo appena in tempo a ricomporci ed uscire, che entrò nel cucinino la cameriera: ero certa che avrebbe percepito il nostro peccato, magari avrebbe riconosciuto l’inequivocabile fetore di fica che appestava la piccola stanza, ma ormai la frittata era fatta. Tornai dal mio fidanzato con l’ano in fiamme e un filo di sborra che colava giù tra le gambe, sorridendo mentre lui con una mano cingeva i miei fianchi. Continuammo la serata come se niente fosse successo.
I sorrisi e le frasi di circostanza nascondevano il mio reale stato d’animo, ero profondamente ferita per come lui non capisse le mie esigenze, e mentre lo guardavo parlare con i suoi colleghi di lavoro e il suo capo, sentivo salire un disprezzo sempre più profondo. Da diversi minuti avevo notato un uomo alto, bruno, assai elegante, che mi guardava insistentemente, spogliandomi con gli occhi: un leggero imbarazzo misto ad eccitazione si impadronì a poco a poco di tutta la mia attenzione, dimenticandomi di colpo della rabbia verso il mio compagno.
Fummo fatti accomodare in una grande sala dove avremmo assistito ad un breve spettacolo teatrale: appena si spensero le luci sentii improvvisamente una mano tastarmi e frugare nelle mie parti intime. Con mia sorpresa vidi che non era affatto il mio fidanzato che cercava una patetica riconciliazione, ma era il bello e solitario sconosciuto. Feci come per fermarlo, ma in realtà quasi automaticamente il mio corpo si ammorbidì per permettergli meglio di esplorarmi: neanche io mi capacitavo di quel che stava succedendo, lui continuava a guardare indifferente il noioso spettacolo, e io sentivo il sangue affluire copioso sul mio basso ventre mentre la sua mano stuzzicava con abilità il mio clitoride, e il succo cominciava a colare sul mio perizoma nero; a stento riuscii a trattenere dei gridolini, quando di colpo si riaccesero le luci. Lo vidi leccarsi le dita con nonchalance mentre io mi sentivo come una bimba scoperta a fare qualche marachella dai genitori: ma il mio compagno invece non si accorse di nulla.
Seguitai a camminare lungo la villa, ammirando i quadri alle pareti e facendo finta di nulla, benché sperassi che lo sconosciuto mi seguisse. E infatti dopo un po’ avvertii una mano cingermi un fianco e trascinarmi di fretta dentro una stanza libera: era lui, potevo leggere nei suoi occhi l’eccitazione, e vedere di riflesso anche la mia. Eravamo nel cucinino, dove erano stati sistemati gli avanzi delle portate, la porta restò leggermente socchiusa, il rischio che ci scoprissero era assai alto, ma eravamo troppo infoiati per badarci. Mi sfilò le mutandine incrostate di succo ficale lasciandomele all’altezza delle ginocchia, e cominciò a leccare avidamente il dolce nettare. La sua bocca si riempiva del mio sesso, succhiando, leccando e mordicchiando senza sosta, ero talmente in estasi che mi levai del tutto il perizoma e misi una gamba sulla sua schiena, mentre gli accarezzavo la testa per esortarlo a farmi venire. D’improvviso si staccò, prese una mollica di pane, e cominciò a ripassarlo sulla mia fica, dentro, fuori e tutt’intorno al clito rosso e turgido, per poi mettermelo in bocca: sentivo questo corpo estraneo inzuppato dei miei umori mentre le nostre lingue si intrecciavano, e la sua mano continuava a masturbarmi con rinnovata foga.
Stava per esplodere, così si aprì la patta e cacciò il suo arnese, e dopo pochi rapidi colpi se ne venne sulle tartine al caviale, che poi mi costrinse inevitabilmente ad assaggiare, e assaporai così il gusto asprigno dell’inedita pietanza. Portò la mia testa al suo sesso, non ero capace di ribellarmi, avrei fatto qualsiasi cosa in quel momento, e così ripulii servizievolmente la cappella dando piccoli baci tutto intorno al glande. In un attimo ebbe di nuovo il cazzo in tiro, mi ribaltò e mi penetrò senza alcuna difficoltà: a pancia sotto, sul tavolo del cucinino, potevo intravedere dalla porta socchiusa il mio fidanzato che continuava ignaro di tutto nelle sue pubbliche relazioni, non potevo trattenermi dal guardarlo incessantemente mentre venivo scopata come una lurida troia. Non ancora soddisfatto del tutto, lo sconosciuto smontò per infilarmi la turgida cappella tra le chiappe, la strada, per quanto più stretta, era un sentiero già battuto, cosicché il dolore non fu eccessivo. Mise un piede sopra una sedia lì vicino per potermi impalare meglio, il calore che sprigionava la mia fica era indescrivibile, ad ogni suo colpo di reni il mio clitoride strusciava sul tavolino provocandomi un piacere immenso: stavo per venire continuando a guardare il mio fidanzato, mi sentivo una baldracca inaudita ma il piacere era così grande che non avrei mai potutto arrestarmi. La sua mano soffocò il mio orgasmo, la morsi fino a farlo sanguinare, mentre lui se ne veniva tirandomi i capelli con violenza, e poi solo gemiti e sospiri, la sua fronte sudata sulla mia spalla nuda, il mio volto sfatto dal colpevole godimento, il mio fidanzato sorridente e fresco cornuto a pochi metri di distanza.
Facemmo appena in tempo a ricomporci ed uscire, che entrò nel cucinino la cameriera: ero certa che avrebbe percepito il nostro peccato, magari avrebbe riconosciuto l’inequivocabile fetore di fica che appestava la piccola stanza, ma ormai la frittata era fatta. Tornai dal mio fidanzato con l’ano in fiamme e un filo di sborra che colava giù tra le gambe, sorridendo mentre lui con una mano cingeva i miei fianchi. Continuammo la serata come se niente fosse successo.
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