Impegni
di
Genio di razza 100
genere
tradimenti
Impegni 1 (dalla parte di Clara)
L’invito di Nico mi spiazza un poco: sono anni che lavoriamo in pratica gomito a gomito e non posso negare che una grande simpatia l’ho sempre provata per lui; credo anche di averglielo detto in qualche occasione, oltre a farglielo capire in moltissimi modi con gesti, mezze frasi, atteggiamenti e tutto quel corredo di piccole cose che servono ad una donna per segnalare interesse per un maschio; ma non ci ha mai nemmeno sfiorato l’idea di andare al di là della simpatia amicale: neanche quella volta che, ad una cena sociale, avendo bevuto un poco di più, lui cercò di incantonarmi e di baciarmi; mi limitai a ricordargli che Alex era il mio grande amore e non era il caso di forzarmi la mano; ne avevo parlato anche ad Alex e quasi quotidianamente gli narravo le piccole vicende dell’ufficio e le schermaglie amichevoli, al limite dell’innamoramento, che ogni giorno ci scambiavamo: l’impegno fondamentale tra me ed Alex era per l’appunto di fare tutte le cose alla luce della massima lealtà e della totale chiarezza.
Per questo, il suo invito a cenare insieme stasera mi spiazza: lui sa per certo che sarei rimasta sola fino a domani mattina, quando Alex tornerà dal convegno al quale sta partecipando; sa anche del mio timore che la presenza, al convegno, della collega che lo tampina da anni e che ha provato già più volte a portarselo a letto possa stavolta trovarlo più disponibile; poiché almeno una volta c’è riuscita, anche se Alex non me ne ha mai parlato, questa situazione è per me motivo di ansia; non sono certa che lui saprà ancora resistere alle profferte della prosperosa e generosa collega e questo mi crea inevitabilmente incertezza; Nico si è offerto di farmi compagnia e giura che non spingerà oltre, ma sono io a non sentirmi sicura di volerlo respingere ancora: penso con molta convinzione che forse è meglio se chiamo Alex e lo avverto che potrebbe accadere qualcosa tra me e Nico, questa sera; non ho nessuna intenzione di mettere in discussione il principio della lealtà e la tenuta stessa del nostro rapporto; sto per chiamarlo, quando mi previene e il telefono squilla appena l’ho preso.
“Ciao, Clara, come stai? Cosa fai stasera?”
Sto per vomitare la verità e liberarmi dell’ansia, quando lui riprende.
“Sai, forse stasera non riesco a rimanerti fedele; la collega mi sta perseguitando e non riesco più a rimanere indifferente alle sue proposte. Ti fa molto male se mi lascio andare?”
“Per fare male, lo fa; ma non in maniera grave; tra l’altro, proprio adesso Nico mi ha invitato a cenare con lui per non restare sola in casa; avevo anch’io una mezza intenzione di lasciarmi andare, dopo tanto tempo. Forse ci possiamo concedere una serata di libertà e di perversione: che ne dici?”
“Per me va bene; vuol dire che domani ci raccontiamo per filo e per segno la serata e la godremo di nuovo rivivendola. Comunque, al di là di tutto, ti amo tantissimo!”
“Anch’io ti amo alla follia; anche per questo, mi sento più libera di vivermi la mia individualità senza il mio maschio alfa, stasera!”
“Come? Io ti parlo di grande amore e tu mi rispondi col maschio alfa? Ciao, sto scherzando, ti amo.”
“Anch’io. Ciao.”
Tutto sembra scivolare sul binario di una semplicità disarmante: ci prepariamo a farci le corna con la massima disinvoltura: questo, se per un verso è estremamente civile, razionale, produttivo, perché evita tanti inutili screzi che possono ingenerarsi per equivoci, inganni, malintesi, scuse, mezzucci ecc; d’altro canto, però, priva in qualche modo di poesia anche l’adulterio, eliminando tutta la serie di marchingegni connessi alla ricerca di occasioni, all’invenzione di scuse, insomma tutto l’armamentario di mezze cose che danno pepe al rapporto clandestino; telefono a Nico e gli confermo la cena ‘da amici’; passerà lui a prendermi intorno alle nove.
Passo le ore che mancano a tirarmi a lucido per essere il più affascinante possibile: mi depilo in ogni dove, mi faccio un buon clistere (hai visto mai?), passo mezz’ora in vasca con sali e profumi, mi ungo il corpo di creme, insomma esco dal bagno che sono veramente una strafiga; scelgo di vestirmi elegante ma abbastanza sexy: autoreggenti e microtanga, per cominciare; un reggiseno che disegna e non deve sostenere (non ne ho bisogno); una camicetta molto ammiccate, coi bottoncini di madreperla che, volendo, faccio aprire solo gonfiando il petto; una minigonna che scende solo qualche centimetro sotto la figa ed un tacco da dieci che porta in cielo il mio fondoschiena già ammirato di per sé per come è alto e sodo; quando arrivo all’auto di Nico sono solo bellissima; quando, per sedermi, apro il cappottino che ho indossato sopra, gli occhi gli balzano fuori dalle orbite.
“Sei una bomba, amore mio; io ti violento qui stesso e salto la cena!!!”
Gli dico di non raccontare stupidaggini e lo invito a muoversi; intanto, gli schiocco un leggero bacio sulla guancia per non segnarlo col rossetto; in una mezz’oretta arriva al ristorante in colina che ha scelto e faccio un ingresso da gran diva, quando mi libero del soprabito e attraverso la sala da pranzo con tutto il carico della mia sensualità: lui mi segue come un cagnolino e sembra sbavare e quasi baciare il pavimento dove passo; ci sediamo a tavola e lo invito a mantenere un contegno più consono al locale; scherziamo un poco sull’argomento, poi cerchiamo di distrarci pensando alla cena: in realtà, tutte le pietanze sono una scusa per scambiarci bocconcini come due fidanzatini, per brindare continuamente anche al niente, per bere dallo stesso bicchiere.
In pratica, quando la cena è finita ed usciamo, se non siamo proprio innamorati, è certo che la serata non può finire lì: a confermarlo, prima di entrare in macchina, Nico mi prende in vita, mi abbraccia stretto e mi mangia le labbra, infilando in gola mezzo metro di lingua; rispondo con la stessa furia e sbatto il pube contro il suo, a cercare lo spessore della sua asta che mi sembra promettere meravigliosamente; mi stacco repentinamente, prima che la stimolazione del sesso, anche da sopra i vestiti, accentui la colata di umori che già ha distrutto il micro tanga ed ha aggredito le calze; quando arriviamo sotto casa mia, mi guarda interrogativo; gli indico il posto di parcheggio riservato , scendo e mi avvio ad aprire il portone; già nell’ascensore, le sue mani si sono fatte più ardite e si infilano nella figa e fra le tette: devo frenarlo, perché non si sa mai, in un condominio; naturalmente, appena entriamo in casa, mi incastra immediatamente contro la porta appena chiusa e mi divora di baci, sul viso, sulla bocca, sul seno, mentre le mani scivolano a saggiare il culo e la figa, insinuandosi nei pertugi e provocandomi lussuriosi colpi di leggero orgasmo.
Ci spogliamo mentre andiamo nella camera da letto e, giunti, Nico mi spinge supina sul letto, si abbassa fra le mie cosce e aggredisce con la bocca la figa che lecca, morde, succhia, aspira, titilla mandandomi ai pazzi: sborro come una fontana il cui rubinetto sia irrimediabilmente andato; quando mi sento sazia di orgasmi, lo blocco e lo spingo io supino sul letto, mi inginocchio a fianco a lui e finalmente mi godo la sua asta che è molto più bella di come me l’aspettavo: oddio, non ha lo spessore e la lunghezza di Alex, che è un fuoriserie; ma con i suoi ventidue centimetri si batte bene: mi auguro che sappia usarla come il mio compagno che in quello è un grande artista e mi fa morire; per il momento sono io che lo porto al limite della crisi, praticandogli un pompino tra i più belli che ricordo: lo sento lamentarsi, gemere, mormorare, implorare, sussurrare frasi senza senso, finché mi esplode in bocca un orgasmo lungo e ricco, che ingoio tutto con amore, senza lasciarne una goccia.
Ci sdraiamo sul letto, quasi a prendere requie dopo il primo scontro; la prima a riaversi sono io che gli prendo di nuovo in bocca l’asta, la faccio tornare dura e ritta come piace a me, gli monto sopra e la guido verso la vulva: mi impalo lentamente, lussuriosamente, godendomi ogni centimetro del membro che mi penetra, finché lo sento urtare la cervice dell’utero e procurarmi un’enorme esplosione; aziono i muscoli della vagina e quelli dell’utero e lo sento, inopinatamente, urlare per il secondo orgasmo che gli esplode nella mia figa: sono imbarazzata e sbalordita perché due eiaculazioni in così poco tempo rischiano di ridurre al minimo i tempi di durata dell’amplesso; ed io vorrei ancora godermelo; per fortuna, Nico ha una buona resistenza e riesce ancora a ‘tenere botta’ il tempo necessario a farmi godere con la figa, con il culo, con le tette e con la bocca: dopo un paio d’ore, però, è al capolinea e me lo dice chiaro; lo faccio rivestire e lo spedisco via.
Nella doccia, mi lavo da dosso tutto, sudore, sborra, libidine e desiderio; mi restano alcuni rimpianti: essermi fatta una scopata che potevo evitarmi; la coscienza che l’avevo in qualche modo svuotata raccontandola prima ad Alex, quindi senza il gusto del mistero; la certezza che quello che lui aveva dato all’altra era certamente più e meglio di quel che avevo preso io; alla fine, mi resta il dubbio che la conclamata lealtà preventiva possa essere solo una fregatura: devo parlarne con Alex e verificare se non sia meglio, semmai, parlarne ‘dopo’; ma sono certa che con la sua categoricità non mi darà ascolto.
Rientra, come previsto, ad ora di pranzo; ci precipitiamo l’uno nelle braccia dell’altro e dobbiamo perfino sforzarci per mangiare prima di finire a letto per amarci e per parlare; io mi sento un po’ in colpa, non so neppure perché; lui invece sembra allegro, mi chiede della mia scopata e gliela racconto tutta, anche nei minimi particolari: si eccita moltissimo a sentire e mi sbatte alla grande, interrompendomi ogni tanto, specialmente quando rievoco momenti particolarmente piccanti; poi è la sua volta di raccontarmi la serata con la collega e, come avevo pensato, lui è stato grande protagonista e l’altra si è fatta letteralmente massacrare da un amante straordinario, che io conosco perfettamente e di cui, a tratti, mi sento molto gelosa, specialmente quando esprime valutazioni entusiastiche sul modo in cui lei gli succhiava il cazzo fino al midollo o quando gli chiedeva di pisciarle addosso con sensualità, cosa che noi non avevamo mai praticato.
Quando ormai siamo tutti e due troppo stanchi per continuare a scopare e il racconto ha esaurito quasi totalmente i particolari utili ad eccitarci, azzardo l’osservazione che mi premeva e che mi faceva temere di più, che cioè a me era sembrata svuotarsi di senso la vacanza trasgressiva annunciata e quindi fatta con il permesso dell’altro; gli chiedo se non ritenga che un pizzico di mistero possa invece arricchire le cose di quel quid che fa di una pietanza abituale un cibo per specialisti; mi risponde che l’adulterio è di per se intrigante, ma che contraddice al principio di chiarezza e che per lui è puro e semplice tradimento; mentre la scopata che ci siamo fatti noi è semplicemente la dilatazione del nostro amore con altri protagonisti e che moltissime volte, mentre scopava con l’altra, la mia immagine si sovrapponeva e, per una sorta di transfert, era come se ci scopasse tutte e due; devo ammettere che anche a me è capitato, ma continuo a ritenere che un pizzico di mistero non guasti; non ne parliamo più né quella volta né successivamente; ma il dubbio mi rimane.
Tra le cose che mi danno un fastidio immenso, c’è la cura dei denti: andare dal dentista per me è come andare a farmi torturare, retaggio forse di un atavico terrore che a molte persone scatena la paura della poltrone da dentista: ogni volta che mi tocca andarci, sono capace di inventarmi le scuse più becere per evitarle e spesso Alex è costretto a portarmici quasi a viva forza, anche se so perfettamente che condivide lo stesso fastidio e anche lui deve farsi forza per andarci; negli ultimi tempi, però, mi stuzzica un po’ l’idea di andare dal dentista, un nostro amico giovane e prestante, che per qualche mese mi ha fatto un poco di corte senza speranza: nella mia logica perversa, che non mi ha abbandonata, di fare qualcosa alle spalle di Alex per saggiarne il ‘sapore’, il pensiero mi è andato a Franco.
Notoriamente, il dentista non deve toccare parti ‘segrete’ del corpo e non deve far spogliare i pazienti; eppure, mi sono accorta che, quando sto seduta sulla poltrona, volendo, la mia mano può scivolare ‘casualmente’ lungo la patta del dottore, fino a sentire la consistenza della sua verga; prendo allora alcuni appuntamenti in rapida successione e chiedo ad Alex di accompagnarmi: l’idea che lui sia in anticamera mentre io cerco di concupire il dentista, mi fa impazzire e più di una volta, solo a pensarci, sento che mi bagno; la prima volta che ci provo non ho molta fortuna perché il lavoro impone a Franco di tenersi abbastanza distante da me; quando, però, per una particolare osservazione, mi si piazza assai vicino, faccio scattare la trappola, la mia mano tocca la cerniera del pantalone e sento la bestia vibrare immediatamente, quasi scossa dall’elettricità; muovo le dita a sentire lo spessore e Franco mi guarda meravigliato; sostengo il suo sguardo diretto, continuando a solleticare il cazzo; entra l’infermiera, lui accelera le pratiche e mi liquida con un’aria molto sospettosa.
Potrei raccontare la cosa ad Alex e proporgliela come ipotesi di trasgressione sotto il naso; ma io voglio che ci sia almeno una certa consistenza in quello che medito: farmi scopare dal dentista non è un’ipotesi molto praticabile, considerato che non lo consentono né l’ambiente né le condizioni di lavoro; una possibilità può essere presentarsi come ultima paziente e scoparmelo a fine ambulatorio; ma il filtro dell’infermiera che prende le prenotazioni rende tutto troppo laborioso e in quel caso non posso contare sulla presenza in sala d’attesa di Alex, il che riduce in gran parte il mio piacere di trasgredire; posso però optare per una cosa più semplice, una doppia masturbazione, ad esempio: ed a quell’idea mi appiglio.
La settimana successiva, come al solito, andiamo insieme, io ed Alex, allo studio dentistico e, quando è il mio turno, lo lascio in sala d’attesa e vado nell’ambulatorio; c’è un lungo periodo di preparazione, durante il quale realizza delle radiografie, controlla certi precedenti e insomma studia il caso del mio dente da curare; io intanto me ne sto ansiosa sulla poltrona e non vedo l’ora che mi si avvicini abbastanza da consentirmi di mettere in atto il mio piano; ad un certo punto, mi arriva abbastanza vicino da poterlo toccare, senza por tempo in mezzo allungo la mano afferro il cazzo con determinazione e glielo meno un poco da sopra i pantaloni.
“Allora non avevo capito male!”
Mi dice sornione, apre la patta e tira fuori una bella bestia sui venti centimetri che io prendo in mano; contemporaneamente, infila la mano sotto la mia minigonna, senza incontrare nemmeno le mutande (avevo avuto l’accortezza di non indossare intimo) e in un attimo due dita sono nella mia figa e ravanano il clitoride provocandomi fitte di piacere intenso; io meno l’uccello su e giù praticandogli una sega magistrale, con interruzioni e riprese, soste ed intense scappellature: godo a vedere la cappella scoprirsi e poi rientrare; le vene del cazzo pulsare su tutta l’asta, i coglioni tendersi gonfi di sperma; uso anche l’altra mano per raccogliere le palle mentre gli meno il cazzo; lui si dedica intensamente al mio clitoride e lo tortura tanto che gli sborro in mano; si porta le dita alla bocca e se le lecca con entusiasmo; cerco di piegarmi per prendere in bocca il cazzo, ma la posizione è difficile e non ci riesco.
“Continuiamo con le mani; non è necessario andare oltre; mi stai facendo godere da pazzi. E tu?”
“Anche per me va bene se mi sditalini.”
A quel punto, si scatena una vera orgia dei sensi: Franco mi infila l’anulare nel culo, il medio nella figa e prende il clitoride tra pollice e d indice e lo masturba sapientemente: ho un orgasmo assai violento e devo mordermi le labbra per non urlare: in fondo, Alex è lì, appena fuori la porta; dopo che mi sono scaricata, mi dedico con grande impegno alla sega che gli ho cominciato a fare; gli faccio togliere la mano dal mio ventre e lo costringo a dedicarsi solo al suo godimento: dopo cinque minuti, esplode con violenza un orgasmo stratosferico che ha il buonsenso di raccogliere in uno straccio che aveva preso prima; mi passa dei fazzolettini che uso per asciugarmi la figa completamente bagnata, ne usa altri per pulirsi il cazzo dopo la sborrata; ci ricomponiamo e mi accompagna alla porta; Alex non è più nella sala d’attesa, un signore mi fa cenno che è andato a fumare, esco nel giardino e lo vedo su un piccolo dosso; mi avvicino a lui dubbiosa e noto che guardava verso la parete di fronte, anzi verso un finestrone di quella parete; osservo meglio e capisco che affaccia direttamente nel laboratorio dentistico.
“Hai visto tutto?”
Non mi risponde; prende il telefonino e pigia sui tasti; un caratteristico rumore mi avverte che ho ricevuto un messaggio; è lui; apro l’allegato e mi si proietta per intero il video della masturbazione reciproca.
“E adesso?”
“Adesso, tu torni nell’ambulatorio e avverti il tuo nuovo amante segreto che ti deve mantenere perché non puoi farcela da sola ed io non mantengo a mie spese una traditrice fedifraga. I patti erano chiari e, visto che hai voluto lanciare la sfida, e che hai perso, adesso ti devi immediatamente trovare un alloggio, perché a casa mia non ti voglio, ed un mezzo di sostentamento perché, come ti ho detto, non ti mantengo più.”
“Tutto questo per una sega?”
“No, tutto questo per un principio calpestato e tradito.”
“Senti, amico talebano; io ho perso una scommessa con me stessa e con te; avevi ragione, l’adulterio è più pericoloso di una scopata concorde. Ma se credi che una piccola sega e una scommessa persa mi riducano di colpo a mantenuta, a puttana che deve cercarsi un protettore, beh, mi sa che ti sbagli proprio di grosso. Tu sei un ottimo avvocato, ma questo ha significato per me essere a contatto con tanti ottimi avvocati. Non c’è un documento formale che dice che abbiamo una relazione, ma ci sono le consuetudini, il vicinato, gli amici; e tutti, perfino i giudici del tribunale che ho frequentato come tua compagna ufficiale, possono testimoniare che sono la tua donna: attento, non dico ‘sono stata’ perché io continuo ad essere e sarò sempre la tua donna, almeno finché un tribunale non mi imporrà di sacrificare il grande amore che ho avuto e che ho per te a favore di un foglio di carta che recita che sono la tua legittima compagna; un grande avvocato come te sa che, per una causa civile di così poca importanza, ci vuole tanto, troppo tempo.”
“Ci vorrà il tempo che ci vorrà, ma io sono deciso; devi uscire dalla mia vita.”
“Posso invitarti a ripensare a quella serata del falò in spiaggia che tanti anni fa ci fece accostare e poi accoppiare? Ti ricordi il gioco del pegno? Chi perde paga pegno. Chi ha perso una scommessa, deve pagare un pegno; chi ha vinto, decide quale sia il pegno; ricordi che quella maledetta Marisa, poiché avevo perso, per pegno mi impose di baciare il più rompicoglioni della festa? Non lo volevo nella mia vita, quello stronzo; ma dovetti baciarlo per pagare pegno; e da allora non ho più smesso di amarlo e di baciarlo: eppure mi disturbava, così spocchioso e talebano, così testardo che ora, per tener fede ai suoi principi, mi caccia dalla sua vita, dopo avermi cacciato dalla mia, quando mi impedì di continuare gli studi, tanto c’era lui; quando mi ha costretto a seguirlo dovunque la professione lo portasse, tanto potevo e dovevo fidarmi di lui. Credi che, se incontro il giudice giusto, ti addebiterà la mia mancata laurea? O vale assai meno di una sega al dentista? Amore, ripensaci: la stai facendo fuori dal vaso. Nel calcio i falli di gioco sono puniti, ma quelli di reazione sono considerati molto, molto più gravi; stai per commettere un fallo di reazione; non sarebbe meglio se cercassi di inventarti il pegno da farmi pagare per la scommessa persa?”
“Marisa cosa ti imporrebbe come pegno?”
“Hai da scegliere: la settimana nel campeggio nudisti che da anni rifiuto per vergogna; la visita al club privè che ti affascina tanto e mi spaventa a morte; lo scambio con la coppia che ti stai coccolando in internet; ne vuoi ancora? La perfida Marisa di quegli anni meravigliosi saprebbe essere feroce. Ma l’abbiamo incontrata poco tempo fa, se ricordi, ed è invecchiata, addomesticata, spuntata: oggi ti suggerirebbe di scoparmi fino a farmi sentire male, per dimostrare che solo tu mi puoi dare certe emozioni: e lo dico a ragion veduta, perché è esattamente quello che penso. Ti ricordi cosa successe quando dovetti baciarti? Non dimenticare che lo feci con tanto amore che ci cadesti come un allocco e fosti subito mio; il pegno pagato a Marisa fu l’inizio della nostra felicità; quello che ti proporrebbe oggi sarebbe l’inizio di una nuova fase di quella felicità. Io vado a casa nostra, cancello il video e ti aspetto; tu scegli come relazionarti a me: come schiava al tuo servizio, come zoccola sopportata in casa tua, come compagna innamorata; io non me ne vado. Devi uccidermi, se vuoi liberarti di me; se invece vuoi cancellare una sega e farmi continuare ad essere la tua donna, io lo sono sempre stata e non ho smesso solo per un gioco da ragazzini.”
Impegni 2 (dalla parte di Alex)
Quando il lavoro mi obbliga ad andare fuori per impegni istituzionali, in genere mi riesce difficile accettare con entusiasmo, perché tendenzialmente me ne starei più volentieri a casa mia, a coccolarmi i miei interessi, il mio lavoro, i miei hobbies e soprattutto la mia deliziosa compagna con la quale da tanti anni condivido una vita di grande serenità ed entusiasmo; quando però l’impegno è ridotto ad una sola giornata, dalla mattina alla mattina seguente (ma solo perché la distanza impedisce di rientrare in serata) allora il fastidio diventa quasi più greve, come in questa occasione in cui per discutere di strani e astrusi problemi di giustizia siamo obbligati a risiedere per un giorno intero in una città non molto lontana da dove però è impensabile rientrare a casa al termine dei lavori; per di più, mi trovo ad avere come compagna ‘di avventura’ una collega molto affascinante, con la quale ho avuto una storia nel passato; ma, quello che mi tormenta di più, è che tutto si è svolto all’insaputa di Clara, la mia compagna, con la quale io stesso ho imposto il criterio che ci si può consentire tutte le libertà del mondo, a patto che si sia chiari e leali, vale a dire che si avverta prima delle proprie scelte per non lasciare che vengano scoperte e risultino così un tradimento.
Per Agnese, non l’ho fatto e quell’unica volta che mi sono trovato a passare un fine settimana da solo con lei in una grande città sconosciuta, non riuscii a resistere alla tentazione di assaggiare il suo corpo meraviglioso e molto desiderato in tutto l’ambiente, anche per una conclamata capacità di lei di essere veramente libera; non averne parlato con Clara mi caricò di forti motivi di rimorso; ma alla fine riuscii a farmene una ragione e mi ripromisi di non cedere più a quella tentazione; per questo motivo, stasera sono molto incerto, tirato da tutte le parti, se confidarle la possibilità prima che il fattaccio si verifichi; aspettare gli eventi e, semmai, parlargliene dopo; tenermi tutto dentro e non fare parola nascondendo un episodio chiuso in se stesso col rischio che qualcosa possa sfuggire a qualche collega che Clara frequenta con me talvolta; opto per la lealtà e la chiamo: mi risponde al primo squillo, quasi stesse lì già pronta ad ascoltare la mia confessione.
Le dico nella maniera più garbata possibile che stasera c’è la possibilità che nasca qualcosa con la collega Agnese che mi sta tampinando in tutti i modi e le chiedo se le fa molto male; mi rassicura che, si, fa male ma non in maniera grave; mi aggiunge però che anche lei ha un invito dal suo collega Nico, uno che, silenziosamente e senza speranza, la corteggia da qualche anno; l’ho conosciuto e so per certo che, se non vuole Clara, lui non fa una mossa; ma lei mi aggiunge che, vista l’atmosfera, non le dispiacerebbe che creassimo una sorta di ‘vacanza concordata’ e passassimo tutti e due una serata in estrema libertà, anche di scopata; concordo che è una buona idea e la impegno solo, domani, quando tornerò a casa, a raccontarmi tutto nei particolari; ovviamente, mi impegno a fare altrettanto.
La ‘serata brava’ comincia presto, sin dalla cena, intorno alle otto: Agnese è decisa a vivere tutta la notte all’insegna del grande amore e, naturalmente, comincia presto, da quando arriva al tavolo in abbigliamento decisamente sexy, con larghi spacchi sulla gonna, lunga fino ai piedi, che le consentono di camminare con andatura nobile e altera mentre intanto gli spacchi che si aprono consentono una visuale ampia fino all’inguine ed alla figa; quando si siede, sfila il piede dalla scarpa e me lo fa scivolare fra le gambe fino a che giunge laddove ha deciso, sulla patta già gonfia e che lei provvede a sollecitare provocandone l’ulteriore rigonfiamento; il tutto è abbastanza coperto dalle falde abbondanti della coperta sulla tavola; decido allora di prenderle il piede e di guidarlo a strofinarmi il cazzo facendomi una sega molto originale, con la punta del piede che mi percorre la mazza sempre più dura, imbrigliata con sofferenza tra boxer e pantaloni.
Fortunatamente, arriva il cameriere per le ordinazioni e dobbiamo ricomporci un attimo; ma Agnese insiste coi suoi giochini più o meno sessuali e tutta la cena è un rincorrersi di carezze, di baci più o meno rubati,di tocchi più o meno leciti ad ogni parte del corpo: quando mi sembra, coi nostri giochetti, di andare oltre il lecito per due stimati avvocati, convegnisti per l’occasione, cerco di frenarla anche richiamandola all’ordine; la risposta è sempre la stessa ‘andiamo a letto!’ ed è difficile darle torto; ci si mette anche qualche bicchiere di vino a rendere allegra la mia convitata e mi prende una grande nostalgia della mia Clara: chissà cosa sta facendo in questo momento; anzi, sono certo che è a cena, ma sicuramente lei non si abbandona a certi eccessi smodati: anche se sta già limonando con Nico, certamente lo fa con assai più classe; a questo punto, preferirei essere alle sue spalle a guardarla amoreggiare con l’altro,piuttosto che dovermi preoccupare di non farmi coinvolgere dagli eccessi di Agnese che proclama con tutto il corpo che vuole scopare.
Ad un certo momento, si alza e si dirige alla toilette: non riesco a togliermi dalla testa l’idea che stia organizzandosi qualcosa di particolare; quando vedo uno dei camerieri dirigersi alla toilette, capisco che si è già attrezzata per un aperitivo che freni un attimo le sue voglie smodate; li seguo per curiosità e, varcata la porta comune, sento forti gemiti provenienti dalla toilette per le donne: spudoratamente, accosto l’occhio alla serratura e vedo la figa di Agnese in primo piano: ha solo spostato la balza del vestito e l’altro la sta penetrando; ‘Agnese, apri!’; non se lo fa ripetere ed entro: ha un piede sul coperchio abbassato del water e si fa penetrare così, in piedi; le giro dietro, tiro fuori la bestia e con fredda ferocia gliela infilo nel culo, perfettamente cosciente che lo spessore, la lunghezza e la mancanza di lubrificazione le faranno provare molto dolore; le tappo la bocca perché l’urlo non arrivi in sala e le tengo il cazzo piantato saldamente nel retto quasi a fare sponda all’altro che spinge il suo cazzo di normale stazza avanti e indietro nella figa fino a che esplode con un grugnito e scivola fuori.
“Sborrami in culo!”
Mi implora Agnese; ma non mi va; le dico di calmarsi e di lasciare spazio per cose più importanti di una semplice inculata; mi prega di tenerlo ancora dentro e di sditalinarla finché non arriva all’orgasmo; lo faccio volentieri e, per tragica coincidenza, mi vengono in mente tutte le volte che inculo Clara e la sento gemere dolcemente mentre si pastrugna la figa e mi chiede di aspettare finché gode e mi consente di eiaculare dove voglio; altra scopata, altra storia, forse anche altra classe; ed ora quella classe se la gode uno stronzo: perché ho accettato di far prevalere la mia libidine sulla bellezza? Finalmente Agnese raggiunge il suo orgasmo, si asciuga accuratamente con i tovaglioli di carta figa e culo, io sgattaiolo fuori dalla toilette e dopo poco mi raggiunge anche lei; ormai l’attività sessuale è praticamente avviata e ci resta solo rifugiarci in camera e scatenarci; mi impongo di lasciare da parte Clara e il suo pensiero (forse anche con un pizzico di gelosia inconscia, del tutto fuori luogo) e finalmente prendiamo l’ascensore per salire al piano.
Non ho il tempo di chiudere la porta che Agnese è già tutta nuda (facile, col poco che indossava) e si è fiondata per slacciare la cintura e arrivare al cazzo; abbassati i pantaloni fino alle caviglie, mi spinge di spalle sul letto e si avventa come un’affamata sul cazzo che le affonda in gola quasi fino alle palle: sono meravigliato, perché mai avevo trovata una donna così allupata e, soprattutto, perché sono abituato ai deliziosi, delicati, dolcissimi pompini di Clara che riesce a tirarmi l’anima dal cazzo con eleganza, con finezza, con dolcezza; invece Agnese è una vera forza della natura e la violenza con cui si chiava in bocca e succhia come un’idrovora mi procura anche qualche leggero fastidio all’asta sfregata; la blocco per un istante e comincio a chiavarla io, in gola, ma con più calma e metodo, invitandola a leccare l’asta quando entra e a percorrerla con la lingua poi, tutta fino ai coglioni; le suggerisco anche di leccare le palle e di prenderle in bocca, una per volta, per assaporarne la consistenza.
Il pompino che ne viene fuori è finalmente una grande pompata, una prova di abilità sessuale, che lei però subito interrompe: in culo, l’ha già provata, la mazza; in bocca, ci si è divertita abbastanza; le manca di saggiarla in figa; si stende supina, alla missionaria, e mi chiede di penetrarla; finisco di spogliarmi, salgo sul letto e mi dedico a leccarla, ignorando le sue pressioni per essere subito penetrata; vulva, clitoride e vagina sono ben tumide di eccitazione: anche per questo, la lingua che le accarezza delicatamente risulta più eccitante e lei registra un paio di orgasmi forti, prima che mi accinga ad riempirle la figa; finalmente la penetro e la sento gemere a lungo di piacere totale; approfitto della posizione per succhiarle un capezzolo e mi accorgo che gradisce molto, anzi gode fino all’orgasmo.
Andiamo avanti così per un paio d’ore: si fa penetrare più volte in ogni foro, cambia tutte le posizioni possibili e raggiunge l’orgasmo una serie infinita di volte; alla fine mi chiede se sono esperto di pioggia dorata: le confesso che ne ho sentito ma non l’ho mai praticata; mi guida in bagno, nel box della doccia si accoccola sui calcagni e mi chiede di orinarle addosso: capisco il significato del termine e chiedo se lei farà lo stesso con me, mentre intanto comincio a spruzzarle addosso il liquido dorato; mi dice che lo farà, ma a quel punto mi coglie una folgorazione, forse prevista anche dal protocollo del metodo, ma che non conosco: le dico cioè che possiamo orinare con i sessi compenetrati; accetta di provarci, si alza in piedi e si fa impalare in figa dal mio cazzo che è rimasto bello duro: a me scappa subito di orinare e lei lo fa in conseguenza; i pochi minuti di irrigazione sembrano un continuo orgasmo; mi blocca con forza ‘passalo nel culo!’ mi ordina, lo faccio e le comincio a pisciare nel culo che, slabbrato com’è, accoglie tutto; faccio scorrere l’acqua della doccia, ci laviamo e torniamo in camera in accappatoio.
La notte trascorre praticamente tra un cazzo nel culo ed uno in bocca, una botta in figa ed una tra le tette: Agnese non perdona niente a quella serata e si fa scopare alla morte fino a che vediamo albeggiare; raccolgo le mie cose e, cauto come un ladro, mi dirigo alla mia camera per riposare almeno qualche ora; quando mi sveglio, tutti i convegnisti sono andati via, sono quasi le undici ed io sono atteso a casa da Clara per pranzo: filo via a razzo quasi inseguito da fantasmi, in parte per tanti rimorsi per la nottata, in parte per la grande rabbia di non essere riuscito a liberarmi dall’incombente presenza assente della mia donna; un pensierino nell’angolo suggerisce che le cose clandestine si godono di più; ma non voglio ammetterlo.
Appena varco la soglia, l’abbraccio fra noi è particolarmente intenso, quasi tornassimo da una lunga spedizione e non da un solo giorno di lontananza; Clara non ha un’aria molto allegra: penso che, come me, qualche rimorso se lo sia fatto venire; mi mostro più allegro e in forma di quanto non sia e le chiedo se le va di parlare delle nostre rispettive serate; preferisce che prima mangiamo; poi avremo tempo per parlare; dopo pranzo, andiamo direttamente sul letto e ci mettiamo a pomiciare, mentre lei mi racconta quello che in circa due ore ha fatto con il suo amante occasionale: come previsto, è stato molto garbato ed elegante sia a cena sia nel dopocena, timido quanto basta ma anche deciso; il cazzo, manco a dirlo, non ha niente a che vedere col mio mostro e non lo usa molto male, ma un’eiaculazione troppo rapida alla prima penetrazione l’ha messo alle corde; poi però, opportunamente guidato, è riuscito a riprendersi e l’ha scopata con molta classe e con gioia di tutti e due: poco dopo mezzanotte, lei ha preferito rimandarlo a casa per dormire in pace.
Mentre racconta, più di una volta mi trovo ad eccitarmi di brutto, quando mi descrive i giochini amorosi al pranzo o quando la scopava con enorme delicatezza, quasi temesse di sciupare una statuina di biscuit; la sensazione fisica di esserci mi riporta ai transfert vissuti con Agnese e, sull’onda dell’eccitazione, fermo il racconto per scoparla un poco
E’ toccato poi a me fare il resoconto della mia notte brava e, naturalmente, tutto è diventato carnale, intenso, quasi violento, per la enorme differenza tra le due: le ho accennato dell’aperitivo nella toilette con una doppia penetrazione e le ho parlato delle numerose occasione in cui l’ho scopata con violenza; ho insistito forse un po’ troppo, aggiungendo qualche entusiasmo in più, alla pratica orale della mia collega e mi è sembrato la colpisse un poco; le ho detto che l’avevo praticamente strapazzata e dominata e lei si è limitata a dirmi che lo sapeva e che mi ama anche per questa mia enorme capacità di vivere il sesso con passionalità e con amore; alla fine del colloquio, mi ha chiesto se non avessi avuto la sensazione che aveva lei, che cioè preannunciare una cosa così intima come una scopata libera può svuotare un poco di poesia il fatto in se: benché avessi formulato proprio quel pensiero un attimo dopo aver concluso con Agnese, ribatto che il principio di chiarezza rimane comunque intoccabile e che la lealtà non ha mai fatto male a nessuno; ma vedo che non è convinta.
Qualche tempo dopo, Clara deve di necessità ricorrere ad un controllo dentistico: la cosa la mette in agitazione per un’atavica paura ingiustificata della poltrona del dentista; per ovviare a questa sua fanciullesca remora, decido di accompagnarla e ci rechiamo insieme all’ambulatorio: finché siamo in sala d’attesa, stiamo insieme; quando poi la chiamano in ambulatorio, l’infermiera fa cenno che forse è meglio se va solo la paziente; accetto la sentenza e vado fuori a fumare; per una strana coincidenza, il punto dove trovo a terra numerosi mozziconi è esattamente alle spalle dell’edificio e un finestrone basso guarda direttamente nell’ambulatorio dentistico: la cosa mi fa sorridere e mi riservo di scherzare con Clara sul fatto che ho assistito a tutta la sua terapia; quando però, alla fine della seduta, vedo la mano di lei cadere mollemente dalla poltrona e appoggiarsi sulla patta del medico, scatta una gelosia imprevista; quando poi lui si avvede della cosa (evidentemente, è stato colto anche lui di sorpresa) e mi accorgo che la mia compagna ha stretto volutamente e apertamente il cazzo nei pantaloni, la gelosia diventa aperta e chiara; in quel momento entra l’infermiera, i due si ricompongono ed io posso andare in sala d’attesa ad aspettarla.
Lungo il percorso, mi auguro che in qualche modo lei introduca il discorso; ma il suo cicaleccio è tutto per le emozioni provate davanti a limette e trapani, al prossimo appuntamento col dentista e non fa nessun accenno alla mano galeotta: la cosa è di tale levità che troverei normalissimo che me ne parlasse anche divertita; ma non so capire se sta tentando una scommessa (fare qualcosa a mia insaputa e comunicarmelo solo alla fine) e se effettivamente ha in mente un tradimento classico, col cornuto ultimo ad essere informato; in ogni caso, mi sento offeso e sento umiliati i principi che io stesso avevo enunciato (ma anche calpestato; solo che questo lei non lo sapeva); comunque per tutta la settimana che manca spero inutilmente che me ne parli; quando arriva il momento di tornare a visita, sono evidentemente vigile e poliziesco, pronto a cogliere ogni sbavatura.
Entriamo in sala d’attesa e , con la solita prassi, aspettiamo finché non la chiamano da sola in ambulatorio; vado a fumare e mi piazzo di vedetta al finestrone; tiro fuori il telefonino e mi preparo a riprendere tutte le fasi delle corna, dal momento in cui lei si siede sulla poltrona, attraverso i primi contatti ‘innocenti’ fino a quando le mani di ambedue si scatenano nella sega e nel ditalino più belli che mi fosse capitato di vedere (per la verità, ne avevo visto pochi; molti li avevamo fatti ma erano di un’altra classe!); stringo i denti per la rabbia e non so decidere cosa mi fa soffrire di più, se la gelosia, il tradimento, la rabbia, la mia stessa stupidità o la sorpresa per un errore così banale della donna che amo; assisto alla grande sborrata di lui e al grande orgasmo di lei, che deve avere allagato la poltrona; resto fermo e aspetto.
Clara esce dalla sale d’attesa, mi cerca un po’ in giro poi mi nota sul dosso; tra noi, non una parola, solo sguardi eloquenti e, da parte mia, feroci; gli occhi fissi sul finestrone attirano inevitabilmente lo sguardo di lei e tutto le risulta chiaro; mi chiede se ho visto e che voglio fare; le dico di cercarsi un alloggio e un sostegno, perché mi rifiuto di prenderla in casa.
Il suo discorso prende le mosse da molto lontano; mi ricorda una serata strana al mare, un falò con giovani seminudi a danzare intorno al fuoco al suono di una chitarra poco probabile e uno strano ‘gioco dei pegni’ per cui, chi perdeva una gara o una scommessa, doveva ‘pagare pegno’ facendo, anche suo malgrado, qualcosa che chi avesse vinto poteva imporgli senza discussioni; quando toccò a Clara, Marisa, la ragazza che aveva vinto la scommessa, le impose di dare un bacio di grande passione al meno inserito del gruppo, al più antipatico e insopportabile dei presenti; era fin troppo chiaro che il riferimento era a me, capitato contro voglia in quel gruppo di ragazzi più giovani di me di almeno quattro e cinque anni (che a quell’età sono un abisso) impacciato nei miei vecchi bermuda, insomma improponibile; Clara mi si avvicinò, mi fece alzare e mi avvolse in un bacio che aveva del divino: non solo sentii la mia bocca aspirata nella sua, perlustrata interamente dalla sua lingua fino alle tonsille, non solo sentii la salivazione crescere fino a farci scambiare litri di liquidi, ma soprattutto sentii il suo ventre giovane e acceso premermi sull’inguine facendo scattare la mia arma segreta, un biscione di venticinque centimetri che avrebbe fatto impazzire chiunque; ne godè a iosa, anche se entro i limiti dello scarso abbigliamento, e, quando si staccò, il suo costumino era da strizzare e i miei bermuda bagnati fino al ginocchio: ambedue avevamo avuto un orgasmo meraviglioso senza toccarci a pelle; da quella sera non abbiamo smesso di baciarci fino a stamane.
La logica di Clara è che quella della reciproca masturbazione è pratica tipicamente infantile, perché solo ragazzi assolutamente ingenui ed inesperti possono trovare reciproca soddisfazione sessuale con le mani; quindi, l’accaduto si può classificare sotto la categoria ‘pegni da pagare per scommessa persa’ e non certamente come motivo di rottura: aveva scommesso, con se stessa prima che con me, di fare un poco di sesso alle mie spalle, si era fatta scoprire e meritava di pagare pegno; era assolutamente improponibile l’ipotesi di rompere una storia decennale per una ragazzata come era stata la sega fatta al dentista; di fronte alla mia obiezione che quello che contava era il principio, Clara si scatenò e mi dimostrò concretamente che i principi in casa li avevo sempre e solo dettati io, che a quelli aveva dovuto sacrificare tutta se stessa e che, al momento giusto, io li avevo indifferentemente calpestati.
Osservò innanzitutto che, anche non essendoci un certificato che attestasse la nostra relazione, in troppe occasioni pubbliche, davanti a giudici e avvocati, la avevo presentata ufficialmente come la compagna: in tribunale, esistevano tutti gli elementi per il riconoscimento di coppia di fatto con la testimonianza di autorevoli esponenti del tribunale; lei invece aveva prove e poteva portare testimonianze che ero stato io a ‘consigliare’ che interrompesse gli studi per dedicarsi alla casa, che non assumesse un lavoro impegnativo perché provvedevo io; sicché, sbatterla in mezzo alla strada per una sega non sarebbe stato mai riconosciuto come valido motivo di rottura da nessun tribunale era quanto meno un esercizio di dominio ingiustificato; volendo, avrebbe portato la cosa in tutti i gradi della giustizia e, dal momento che ero avvocato, sapevo anche quanti anni sarebbe durato un processo di divorzio da una relazione di fatto: per la prima volta nella mia vita, fui costretto a riflettere che effettivamente avevo fatto promesse impegnative e che non potevo cavarmela con un licenziamento in tronco; comunque si fosse risolta la faccenda, avrei dovuto innanzitutto ricordarmi di farle completare gli studi (era ancora a tempo) e di assicurarle un lavoro e un dignitoso stipendio, almeno pari a quello che lo studio di cui facevo parte pagava a persone di minore qualità intellettuali e per lavori banali.
L’ultima mazzata è ben dura: una sega fatta in un momento di polemica con me non può affatto essere paragonata al week end di fuoco mio con Agnese, di cui tempo addietro si era largamente cibata la curiosità pettegola dei circoli di mogli degli avvocati che io le facevo frequentare e dove niente passava inosservato: le mie pretese, a quel punto, non sono solo infondate ma assurde e puerili; se io voglio tenere il punto del mio millantato integralismo ipocrita e bacchettone, lei non si allontana dalla casa dove ha vissuto tanti anni con me e chiederà l’assistenza di uno dei miei peggiori avversari in tribunale per conciarmi quanto peggio possibile; se invece aderisco all’idea di considerare la vicenda una scommessa perduta con pegno da pagare, mi offre lei stessa le ipotesi alternative, tutte fondate sul principio che alcune zone della sua personalità sono ancora imperscrutate e che, per quel verso, possono considerarsi altrettante ‘verginità’ da offrire all’amore.
La prima che mi propone, la più semplice, è impegnarla a venire con me in vacanza l’estate prossima, per una settimana, in un campeggio per nudisti, proposta che ha respinto per anni; la seconda ipotesi è imporle la visita, in mia compagnia, ad un club privè che a me risulta fascinosa e a lei spaventosa; la terza è coinvolgermi nell’opera che sto conducendo di rapportarmi al mio socio di studio, appassionato di scambio di coppia, per arrivare a scoparmi legalmente sua moglie che mi attizza moltissimo e costringendo, implicitamente, lei a lasciarsi scopare dal collega che non le piace gran che; non riesco a negare che ha tutte le ragioni di questo mondo e che la presunzione di imporre un ruolo da maschio dominante, da individuo alfa, si scontra con una realtà ben più radicata, fatta di grande amore, di dedizione e di una piccolissima sbavatura, che non toglie niente alla passione che ci ha sorretto e che ancora ci anima; inoltre, a pensarci bene, l’ipotesi di intrecciare qualcosa di perverso con il mio socio (ma soprattutto con sua moglie) con la complicità di Clara mi stuzzica notevolmente: stavolta, per non essere sperequativo, le posso anche promettere che, se funziona, niente ci impedisce di riproporre il tema, stavolta facendo scegliere a lei il maschio che l’attizza e accontentandomi io della femmina che mi capita; ma questo appartiene al futuribile; per ora c’è da recuperare lo strappo e tornare insieme alla ‘nostra’ casa.
“Andiamo a casa, allora?”
E’ giustamente ansiosa, Clara; ed anche un poco preoccupata: tutta una vita (non solo i dieci anni insieme ma tutto quello che significano e comportano) si stanno giocando in un gesto, in una parola; cercando di tenere il tono più risentito che mi riesce, mi dirigo alla macchina e lei mi segue in silenzio; guido imbronciato fino a casa, Clara si lancia fuori appena ho spento il motore e si avvia di corsa al portone, quasi temesse di vederselo chiuso in faccia dal mio risentimento; mentre saliamo in ascensore, le circondo la vita con un braccio e si lascia andare con la testa sul mio petto; appena in casa, lancia in aria le scarpe, mi prende per la vita e mi tira giù, sul tappeto, solleva la minigonna fino in vita e si scoscia sul mio volto offrendomi la figa in bocca; devo solo spostare il filo del perizoma per arrivare a catturare tra le labbra, succhiando a ventosa, la vulva e il clitoride che mordo con violenza strappandole un urletto di piacere, più che di dolore.
Mia nonna, quando passava una sfuriata in casa, a chi correva subito dopo in bagno (è quasi un riflesso condizionato), diceva che era la collera che andava giù; ci ripenso ed ho proprio quella sensazione quando sento l’orgasmo di Clara esplodermi sul volto e riempirmelo tutto dai capelli al mento: effettivamente è come se in quel gesto le tensioni della mattinata, ma anche quelle accumulate prima, d’improvviso si scaricassero in un solo flusso di umori; intanto, lei è riuscita ad aprire i pantaloni, a tirar fuori la mia verga ed a gingillarsela con amore tra bocca, lingua e mani finché si impegna con tutte le energie all’unico suo obiettivo: vedere lo sperma spruzzare dal meato e colpirla in bocca, sugli occhi, sul viso; anche per me, come diceva la nonna, la collera va giù; ma io cerco di dare una spiegazione più maschilista.
“C’è poco da fare, per te il mio cazzo è un’altra cosa: con gli altri puoi anche giocare; col mio fai solo e sempre tanto amore!”
“Allora, hai deciso che devo pagare pegno? Quale?”
“Lo scambio di coppia mi affascina; a te piacerà meno; ma se usciamo soddisfatti, ripetiamo l’esperimento e stavolta scegli tu il maschietto e io mi prendo quel che capita.”
“Ti amo. Mi accompagni ancora dal dentista? Se vieni, entri con me in ambulatorio così controlli direttamente.”
“Eh, no! Ti accompagno, entri sola e vado a fumare; poi spero che ti limiti a una sega o al massimo a un pompino: visto che sono avvisato, posso solo godere, se ti sto a guardare; e forse godi anche di più, se sai che sono lì a guardarti.”
“Devi avere sempre l’ultima battuta. Ma forse è anche per questo che ti amo!”
L’invito di Nico mi spiazza un poco: sono anni che lavoriamo in pratica gomito a gomito e non posso negare che una grande simpatia l’ho sempre provata per lui; credo anche di averglielo detto in qualche occasione, oltre a farglielo capire in moltissimi modi con gesti, mezze frasi, atteggiamenti e tutto quel corredo di piccole cose che servono ad una donna per segnalare interesse per un maschio; ma non ci ha mai nemmeno sfiorato l’idea di andare al di là della simpatia amicale: neanche quella volta che, ad una cena sociale, avendo bevuto un poco di più, lui cercò di incantonarmi e di baciarmi; mi limitai a ricordargli che Alex era il mio grande amore e non era il caso di forzarmi la mano; ne avevo parlato anche ad Alex e quasi quotidianamente gli narravo le piccole vicende dell’ufficio e le schermaglie amichevoli, al limite dell’innamoramento, che ogni giorno ci scambiavamo: l’impegno fondamentale tra me ed Alex era per l’appunto di fare tutte le cose alla luce della massima lealtà e della totale chiarezza.
Per questo, il suo invito a cenare insieme stasera mi spiazza: lui sa per certo che sarei rimasta sola fino a domani mattina, quando Alex tornerà dal convegno al quale sta partecipando; sa anche del mio timore che la presenza, al convegno, della collega che lo tampina da anni e che ha provato già più volte a portarselo a letto possa stavolta trovarlo più disponibile; poiché almeno una volta c’è riuscita, anche se Alex non me ne ha mai parlato, questa situazione è per me motivo di ansia; non sono certa che lui saprà ancora resistere alle profferte della prosperosa e generosa collega e questo mi crea inevitabilmente incertezza; Nico si è offerto di farmi compagnia e giura che non spingerà oltre, ma sono io a non sentirmi sicura di volerlo respingere ancora: penso con molta convinzione che forse è meglio se chiamo Alex e lo avverto che potrebbe accadere qualcosa tra me e Nico, questa sera; non ho nessuna intenzione di mettere in discussione il principio della lealtà e la tenuta stessa del nostro rapporto; sto per chiamarlo, quando mi previene e il telefono squilla appena l’ho preso.
“Ciao, Clara, come stai? Cosa fai stasera?”
Sto per vomitare la verità e liberarmi dell’ansia, quando lui riprende.
“Sai, forse stasera non riesco a rimanerti fedele; la collega mi sta perseguitando e non riesco più a rimanere indifferente alle sue proposte. Ti fa molto male se mi lascio andare?”
“Per fare male, lo fa; ma non in maniera grave; tra l’altro, proprio adesso Nico mi ha invitato a cenare con lui per non restare sola in casa; avevo anch’io una mezza intenzione di lasciarmi andare, dopo tanto tempo. Forse ci possiamo concedere una serata di libertà e di perversione: che ne dici?”
“Per me va bene; vuol dire che domani ci raccontiamo per filo e per segno la serata e la godremo di nuovo rivivendola. Comunque, al di là di tutto, ti amo tantissimo!”
“Anch’io ti amo alla follia; anche per questo, mi sento più libera di vivermi la mia individualità senza il mio maschio alfa, stasera!”
“Come? Io ti parlo di grande amore e tu mi rispondi col maschio alfa? Ciao, sto scherzando, ti amo.”
“Anch’io. Ciao.”
Tutto sembra scivolare sul binario di una semplicità disarmante: ci prepariamo a farci le corna con la massima disinvoltura: questo, se per un verso è estremamente civile, razionale, produttivo, perché evita tanti inutili screzi che possono ingenerarsi per equivoci, inganni, malintesi, scuse, mezzucci ecc; d’altro canto, però, priva in qualche modo di poesia anche l’adulterio, eliminando tutta la serie di marchingegni connessi alla ricerca di occasioni, all’invenzione di scuse, insomma tutto l’armamentario di mezze cose che danno pepe al rapporto clandestino; telefono a Nico e gli confermo la cena ‘da amici’; passerà lui a prendermi intorno alle nove.
Passo le ore che mancano a tirarmi a lucido per essere il più affascinante possibile: mi depilo in ogni dove, mi faccio un buon clistere (hai visto mai?), passo mezz’ora in vasca con sali e profumi, mi ungo il corpo di creme, insomma esco dal bagno che sono veramente una strafiga; scelgo di vestirmi elegante ma abbastanza sexy: autoreggenti e microtanga, per cominciare; un reggiseno che disegna e non deve sostenere (non ne ho bisogno); una camicetta molto ammiccate, coi bottoncini di madreperla che, volendo, faccio aprire solo gonfiando il petto; una minigonna che scende solo qualche centimetro sotto la figa ed un tacco da dieci che porta in cielo il mio fondoschiena già ammirato di per sé per come è alto e sodo; quando arrivo all’auto di Nico sono solo bellissima; quando, per sedermi, apro il cappottino che ho indossato sopra, gli occhi gli balzano fuori dalle orbite.
“Sei una bomba, amore mio; io ti violento qui stesso e salto la cena!!!”
Gli dico di non raccontare stupidaggini e lo invito a muoversi; intanto, gli schiocco un leggero bacio sulla guancia per non segnarlo col rossetto; in una mezz’oretta arriva al ristorante in colina che ha scelto e faccio un ingresso da gran diva, quando mi libero del soprabito e attraverso la sala da pranzo con tutto il carico della mia sensualità: lui mi segue come un cagnolino e sembra sbavare e quasi baciare il pavimento dove passo; ci sediamo a tavola e lo invito a mantenere un contegno più consono al locale; scherziamo un poco sull’argomento, poi cerchiamo di distrarci pensando alla cena: in realtà, tutte le pietanze sono una scusa per scambiarci bocconcini come due fidanzatini, per brindare continuamente anche al niente, per bere dallo stesso bicchiere.
In pratica, quando la cena è finita ed usciamo, se non siamo proprio innamorati, è certo che la serata non può finire lì: a confermarlo, prima di entrare in macchina, Nico mi prende in vita, mi abbraccia stretto e mi mangia le labbra, infilando in gola mezzo metro di lingua; rispondo con la stessa furia e sbatto il pube contro il suo, a cercare lo spessore della sua asta che mi sembra promettere meravigliosamente; mi stacco repentinamente, prima che la stimolazione del sesso, anche da sopra i vestiti, accentui la colata di umori che già ha distrutto il micro tanga ed ha aggredito le calze; quando arriviamo sotto casa mia, mi guarda interrogativo; gli indico il posto di parcheggio riservato , scendo e mi avvio ad aprire il portone; già nell’ascensore, le sue mani si sono fatte più ardite e si infilano nella figa e fra le tette: devo frenarlo, perché non si sa mai, in un condominio; naturalmente, appena entriamo in casa, mi incastra immediatamente contro la porta appena chiusa e mi divora di baci, sul viso, sulla bocca, sul seno, mentre le mani scivolano a saggiare il culo e la figa, insinuandosi nei pertugi e provocandomi lussuriosi colpi di leggero orgasmo.
Ci spogliamo mentre andiamo nella camera da letto e, giunti, Nico mi spinge supina sul letto, si abbassa fra le mie cosce e aggredisce con la bocca la figa che lecca, morde, succhia, aspira, titilla mandandomi ai pazzi: sborro come una fontana il cui rubinetto sia irrimediabilmente andato; quando mi sento sazia di orgasmi, lo blocco e lo spingo io supino sul letto, mi inginocchio a fianco a lui e finalmente mi godo la sua asta che è molto più bella di come me l’aspettavo: oddio, non ha lo spessore e la lunghezza di Alex, che è un fuoriserie; ma con i suoi ventidue centimetri si batte bene: mi auguro che sappia usarla come il mio compagno che in quello è un grande artista e mi fa morire; per il momento sono io che lo porto al limite della crisi, praticandogli un pompino tra i più belli che ricordo: lo sento lamentarsi, gemere, mormorare, implorare, sussurrare frasi senza senso, finché mi esplode in bocca un orgasmo lungo e ricco, che ingoio tutto con amore, senza lasciarne una goccia.
Ci sdraiamo sul letto, quasi a prendere requie dopo il primo scontro; la prima a riaversi sono io che gli prendo di nuovo in bocca l’asta, la faccio tornare dura e ritta come piace a me, gli monto sopra e la guido verso la vulva: mi impalo lentamente, lussuriosamente, godendomi ogni centimetro del membro che mi penetra, finché lo sento urtare la cervice dell’utero e procurarmi un’enorme esplosione; aziono i muscoli della vagina e quelli dell’utero e lo sento, inopinatamente, urlare per il secondo orgasmo che gli esplode nella mia figa: sono imbarazzata e sbalordita perché due eiaculazioni in così poco tempo rischiano di ridurre al minimo i tempi di durata dell’amplesso; ed io vorrei ancora godermelo; per fortuna, Nico ha una buona resistenza e riesce ancora a ‘tenere botta’ il tempo necessario a farmi godere con la figa, con il culo, con le tette e con la bocca: dopo un paio d’ore, però, è al capolinea e me lo dice chiaro; lo faccio rivestire e lo spedisco via.
Nella doccia, mi lavo da dosso tutto, sudore, sborra, libidine e desiderio; mi restano alcuni rimpianti: essermi fatta una scopata che potevo evitarmi; la coscienza che l’avevo in qualche modo svuotata raccontandola prima ad Alex, quindi senza il gusto del mistero; la certezza che quello che lui aveva dato all’altra era certamente più e meglio di quel che avevo preso io; alla fine, mi resta il dubbio che la conclamata lealtà preventiva possa essere solo una fregatura: devo parlarne con Alex e verificare se non sia meglio, semmai, parlarne ‘dopo’; ma sono certa che con la sua categoricità non mi darà ascolto.
Rientra, come previsto, ad ora di pranzo; ci precipitiamo l’uno nelle braccia dell’altro e dobbiamo perfino sforzarci per mangiare prima di finire a letto per amarci e per parlare; io mi sento un po’ in colpa, non so neppure perché; lui invece sembra allegro, mi chiede della mia scopata e gliela racconto tutta, anche nei minimi particolari: si eccita moltissimo a sentire e mi sbatte alla grande, interrompendomi ogni tanto, specialmente quando rievoco momenti particolarmente piccanti; poi è la sua volta di raccontarmi la serata con la collega e, come avevo pensato, lui è stato grande protagonista e l’altra si è fatta letteralmente massacrare da un amante straordinario, che io conosco perfettamente e di cui, a tratti, mi sento molto gelosa, specialmente quando esprime valutazioni entusiastiche sul modo in cui lei gli succhiava il cazzo fino al midollo o quando gli chiedeva di pisciarle addosso con sensualità, cosa che noi non avevamo mai praticato.
Quando ormai siamo tutti e due troppo stanchi per continuare a scopare e il racconto ha esaurito quasi totalmente i particolari utili ad eccitarci, azzardo l’osservazione che mi premeva e che mi faceva temere di più, che cioè a me era sembrata svuotarsi di senso la vacanza trasgressiva annunciata e quindi fatta con il permesso dell’altro; gli chiedo se non ritenga che un pizzico di mistero possa invece arricchire le cose di quel quid che fa di una pietanza abituale un cibo per specialisti; mi risponde che l’adulterio è di per se intrigante, ma che contraddice al principio di chiarezza e che per lui è puro e semplice tradimento; mentre la scopata che ci siamo fatti noi è semplicemente la dilatazione del nostro amore con altri protagonisti e che moltissime volte, mentre scopava con l’altra, la mia immagine si sovrapponeva e, per una sorta di transfert, era come se ci scopasse tutte e due; devo ammettere che anche a me è capitato, ma continuo a ritenere che un pizzico di mistero non guasti; non ne parliamo più né quella volta né successivamente; ma il dubbio mi rimane.
Tra le cose che mi danno un fastidio immenso, c’è la cura dei denti: andare dal dentista per me è come andare a farmi torturare, retaggio forse di un atavico terrore che a molte persone scatena la paura della poltrone da dentista: ogni volta che mi tocca andarci, sono capace di inventarmi le scuse più becere per evitarle e spesso Alex è costretto a portarmici quasi a viva forza, anche se so perfettamente che condivide lo stesso fastidio e anche lui deve farsi forza per andarci; negli ultimi tempi, però, mi stuzzica un po’ l’idea di andare dal dentista, un nostro amico giovane e prestante, che per qualche mese mi ha fatto un poco di corte senza speranza: nella mia logica perversa, che non mi ha abbandonata, di fare qualcosa alle spalle di Alex per saggiarne il ‘sapore’, il pensiero mi è andato a Franco.
Notoriamente, il dentista non deve toccare parti ‘segrete’ del corpo e non deve far spogliare i pazienti; eppure, mi sono accorta che, quando sto seduta sulla poltrona, volendo, la mia mano può scivolare ‘casualmente’ lungo la patta del dottore, fino a sentire la consistenza della sua verga; prendo allora alcuni appuntamenti in rapida successione e chiedo ad Alex di accompagnarmi: l’idea che lui sia in anticamera mentre io cerco di concupire il dentista, mi fa impazzire e più di una volta, solo a pensarci, sento che mi bagno; la prima volta che ci provo non ho molta fortuna perché il lavoro impone a Franco di tenersi abbastanza distante da me; quando, però, per una particolare osservazione, mi si piazza assai vicino, faccio scattare la trappola, la mia mano tocca la cerniera del pantalone e sento la bestia vibrare immediatamente, quasi scossa dall’elettricità; muovo le dita a sentire lo spessore e Franco mi guarda meravigliato; sostengo il suo sguardo diretto, continuando a solleticare il cazzo; entra l’infermiera, lui accelera le pratiche e mi liquida con un’aria molto sospettosa.
Potrei raccontare la cosa ad Alex e proporgliela come ipotesi di trasgressione sotto il naso; ma io voglio che ci sia almeno una certa consistenza in quello che medito: farmi scopare dal dentista non è un’ipotesi molto praticabile, considerato che non lo consentono né l’ambiente né le condizioni di lavoro; una possibilità può essere presentarsi come ultima paziente e scoparmelo a fine ambulatorio; ma il filtro dell’infermiera che prende le prenotazioni rende tutto troppo laborioso e in quel caso non posso contare sulla presenza in sala d’attesa di Alex, il che riduce in gran parte il mio piacere di trasgredire; posso però optare per una cosa più semplice, una doppia masturbazione, ad esempio: ed a quell’idea mi appiglio.
La settimana successiva, come al solito, andiamo insieme, io ed Alex, allo studio dentistico e, quando è il mio turno, lo lascio in sala d’attesa e vado nell’ambulatorio; c’è un lungo periodo di preparazione, durante il quale realizza delle radiografie, controlla certi precedenti e insomma studia il caso del mio dente da curare; io intanto me ne sto ansiosa sulla poltrona e non vedo l’ora che mi si avvicini abbastanza da consentirmi di mettere in atto il mio piano; ad un certo punto, mi arriva abbastanza vicino da poterlo toccare, senza por tempo in mezzo allungo la mano afferro il cazzo con determinazione e glielo meno un poco da sopra i pantaloni.
“Allora non avevo capito male!”
Mi dice sornione, apre la patta e tira fuori una bella bestia sui venti centimetri che io prendo in mano; contemporaneamente, infila la mano sotto la mia minigonna, senza incontrare nemmeno le mutande (avevo avuto l’accortezza di non indossare intimo) e in un attimo due dita sono nella mia figa e ravanano il clitoride provocandomi fitte di piacere intenso; io meno l’uccello su e giù praticandogli una sega magistrale, con interruzioni e riprese, soste ed intense scappellature: godo a vedere la cappella scoprirsi e poi rientrare; le vene del cazzo pulsare su tutta l’asta, i coglioni tendersi gonfi di sperma; uso anche l’altra mano per raccogliere le palle mentre gli meno il cazzo; lui si dedica intensamente al mio clitoride e lo tortura tanto che gli sborro in mano; si porta le dita alla bocca e se le lecca con entusiasmo; cerco di piegarmi per prendere in bocca il cazzo, ma la posizione è difficile e non ci riesco.
“Continuiamo con le mani; non è necessario andare oltre; mi stai facendo godere da pazzi. E tu?”
“Anche per me va bene se mi sditalini.”
A quel punto, si scatena una vera orgia dei sensi: Franco mi infila l’anulare nel culo, il medio nella figa e prende il clitoride tra pollice e d indice e lo masturba sapientemente: ho un orgasmo assai violento e devo mordermi le labbra per non urlare: in fondo, Alex è lì, appena fuori la porta; dopo che mi sono scaricata, mi dedico con grande impegno alla sega che gli ho cominciato a fare; gli faccio togliere la mano dal mio ventre e lo costringo a dedicarsi solo al suo godimento: dopo cinque minuti, esplode con violenza un orgasmo stratosferico che ha il buonsenso di raccogliere in uno straccio che aveva preso prima; mi passa dei fazzolettini che uso per asciugarmi la figa completamente bagnata, ne usa altri per pulirsi il cazzo dopo la sborrata; ci ricomponiamo e mi accompagna alla porta; Alex non è più nella sala d’attesa, un signore mi fa cenno che è andato a fumare, esco nel giardino e lo vedo su un piccolo dosso; mi avvicino a lui dubbiosa e noto che guardava verso la parete di fronte, anzi verso un finestrone di quella parete; osservo meglio e capisco che affaccia direttamente nel laboratorio dentistico.
“Hai visto tutto?”
Non mi risponde; prende il telefonino e pigia sui tasti; un caratteristico rumore mi avverte che ho ricevuto un messaggio; è lui; apro l’allegato e mi si proietta per intero il video della masturbazione reciproca.
“E adesso?”
“Adesso, tu torni nell’ambulatorio e avverti il tuo nuovo amante segreto che ti deve mantenere perché non puoi farcela da sola ed io non mantengo a mie spese una traditrice fedifraga. I patti erano chiari e, visto che hai voluto lanciare la sfida, e che hai perso, adesso ti devi immediatamente trovare un alloggio, perché a casa mia non ti voglio, ed un mezzo di sostentamento perché, come ti ho detto, non ti mantengo più.”
“Tutto questo per una sega?”
“No, tutto questo per un principio calpestato e tradito.”
“Senti, amico talebano; io ho perso una scommessa con me stessa e con te; avevi ragione, l’adulterio è più pericoloso di una scopata concorde. Ma se credi che una piccola sega e una scommessa persa mi riducano di colpo a mantenuta, a puttana che deve cercarsi un protettore, beh, mi sa che ti sbagli proprio di grosso. Tu sei un ottimo avvocato, ma questo ha significato per me essere a contatto con tanti ottimi avvocati. Non c’è un documento formale che dice che abbiamo una relazione, ma ci sono le consuetudini, il vicinato, gli amici; e tutti, perfino i giudici del tribunale che ho frequentato come tua compagna ufficiale, possono testimoniare che sono la tua donna: attento, non dico ‘sono stata’ perché io continuo ad essere e sarò sempre la tua donna, almeno finché un tribunale non mi imporrà di sacrificare il grande amore che ho avuto e che ho per te a favore di un foglio di carta che recita che sono la tua legittima compagna; un grande avvocato come te sa che, per una causa civile di così poca importanza, ci vuole tanto, troppo tempo.”
“Ci vorrà il tempo che ci vorrà, ma io sono deciso; devi uscire dalla mia vita.”
“Posso invitarti a ripensare a quella serata del falò in spiaggia che tanti anni fa ci fece accostare e poi accoppiare? Ti ricordi il gioco del pegno? Chi perde paga pegno. Chi ha perso una scommessa, deve pagare un pegno; chi ha vinto, decide quale sia il pegno; ricordi che quella maledetta Marisa, poiché avevo perso, per pegno mi impose di baciare il più rompicoglioni della festa? Non lo volevo nella mia vita, quello stronzo; ma dovetti baciarlo per pagare pegno; e da allora non ho più smesso di amarlo e di baciarlo: eppure mi disturbava, così spocchioso e talebano, così testardo che ora, per tener fede ai suoi principi, mi caccia dalla sua vita, dopo avermi cacciato dalla mia, quando mi impedì di continuare gli studi, tanto c’era lui; quando mi ha costretto a seguirlo dovunque la professione lo portasse, tanto potevo e dovevo fidarmi di lui. Credi che, se incontro il giudice giusto, ti addebiterà la mia mancata laurea? O vale assai meno di una sega al dentista? Amore, ripensaci: la stai facendo fuori dal vaso. Nel calcio i falli di gioco sono puniti, ma quelli di reazione sono considerati molto, molto più gravi; stai per commettere un fallo di reazione; non sarebbe meglio se cercassi di inventarti il pegno da farmi pagare per la scommessa persa?”
“Marisa cosa ti imporrebbe come pegno?”
“Hai da scegliere: la settimana nel campeggio nudisti che da anni rifiuto per vergogna; la visita al club privè che ti affascina tanto e mi spaventa a morte; lo scambio con la coppia che ti stai coccolando in internet; ne vuoi ancora? La perfida Marisa di quegli anni meravigliosi saprebbe essere feroce. Ma l’abbiamo incontrata poco tempo fa, se ricordi, ed è invecchiata, addomesticata, spuntata: oggi ti suggerirebbe di scoparmi fino a farmi sentire male, per dimostrare che solo tu mi puoi dare certe emozioni: e lo dico a ragion veduta, perché è esattamente quello che penso. Ti ricordi cosa successe quando dovetti baciarti? Non dimenticare che lo feci con tanto amore che ci cadesti come un allocco e fosti subito mio; il pegno pagato a Marisa fu l’inizio della nostra felicità; quello che ti proporrebbe oggi sarebbe l’inizio di una nuova fase di quella felicità. Io vado a casa nostra, cancello il video e ti aspetto; tu scegli come relazionarti a me: come schiava al tuo servizio, come zoccola sopportata in casa tua, come compagna innamorata; io non me ne vado. Devi uccidermi, se vuoi liberarti di me; se invece vuoi cancellare una sega e farmi continuare ad essere la tua donna, io lo sono sempre stata e non ho smesso solo per un gioco da ragazzini.”
Impegni 2 (dalla parte di Alex)
Quando il lavoro mi obbliga ad andare fuori per impegni istituzionali, in genere mi riesce difficile accettare con entusiasmo, perché tendenzialmente me ne starei più volentieri a casa mia, a coccolarmi i miei interessi, il mio lavoro, i miei hobbies e soprattutto la mia deliziosa compagna con la quale da tanti anni condivido una vita di grande serenità ed entusiasmo; quando però l’impegno è ridotto ad una sola giornata, dalla mattina alla mattina seguente (ma solo perché la distanza impedisce di rientrare in serata) allora il fastidio diventa quasi più greve, come in questa occasione in cui per discutere di strani e astrusi problemi di giustizia siamo obbligati a risiedere per un giorno intero in una città non molto lontana da dove però è impensabile rientrare a casa al termine dei lavori; per di più, mi trovo ad avere come compagna ‘di avventura’ una collega molto affascinante, con la quale ho avuto una storia nel passato; ma, quello che mi tormenta di più, è che tutto si è svolto all’insaputa di Clara, la mia compagna, con la quale io stesso ho imposto il criterio che ci si può consentire tutte le libertà del mondo, a patto che si sia chiari e leali, vale a dire che si avverta prima delle proprie scelte per non lasciare che vengano scoperte e risultino così un tradimento.
Per Agnese, non l’ho fatto e quell’unica volta che mi sono trovato a passare un fine settimana da solo con lei in una grande città sconosciuta, non riuscii a resistere alla tentazione di assaggiare il suo corpo meraviglioso e molto desiderato in tutto l’ambiente, anche per una conclamata capacità di lei di essere veramente libera; non averne parlato con Clara mi caricò di forti motivi di rimorso; ma alla fine riuscii a farmene una ragione e mi ripromisi di non cedere più a quella tentazione; per questo motivo, stasera sono molto incerto, tirato da tutte le parti, se confidarle la possibilità prima che il fattaccio si verifichi; aspettare gli eventi e, semmai, parlargliene dopo; tenermi tutto dentro e non fare parola nascondendo un episodio chiuso in se stesso col rischio che qualcosa possa sfuggire a qualche collega che Clara frequenta con me talvolta; opto per la lealtà e la chiamo: mi risponde al primo squillo, quasi stesse lì già pronta ad ascoltare la mia confessione.
Le dico nella maniera più garbata possibile che stasera c’è la possibilità che nasca qualcosa con la collega Agnese che mi sta tampinando in tutti i modi e le chiedo se le fa molto male; mi rassicura che, si, fa male ma non in maniera grave; mi aggiunge però che anche lei ha un invito dal suo collega Nico, uno che, silenziosamente e senza speranza, la corteggia da qualche anno; l’ho conosciuto e so per certo che, se non vuole Clara, lui non fa una mossa; ma lei mi aggiunge che, vista l’atmosfera, non le dispiacerebbe che creassimo una sorta di ‘vacanza concordata’ e passassimo tutti e due una serata in estrema libertà, anche di scopata; concordo che è una buona idea e la impegno solo, domani, quando tornerò a casa, a raccontarmi tutto nei particolari; ovviamente, mi impegno a fare altrettanto.
La ‘serata brava’ comincia presto, sin dalla cena, intorno alle otto: Agnese è decisa a vivere tutta la notte all’insegna del grande amore e, naturalmente, comincia presto, da quando arriva al tavolo in abbigliamento decisamente sexy, con larghi spacchi sulla gonna, lunga fino ai piedi, che le consentono di camminare con andatura nobile e altera mentre intanto gli spacchi che si aprono consentono una visuale ampia fino all’inguine ed alla figa; quando si siede, sfila il piede dalla scarpa e me lo fa scivolare fra le gambe fino a che giunge laddove ha deciso, sulla patta già gonfia e che lei provvede a sollecitare provocandone l’ulteriore rigonfiamento; il tutto è abbastanza coperto dalle falde abbondanti della coperta sulla tavola; decido allora di prenderle il piede e di guidarlo a strofinarmi il cazzo facendomi una sega molto originale, con la punta del piede che mi percorre la mazza sempre più dura, imbrigliata con sofferenza tra boxer e pantaloni.
Fortunatamente, arriva il cameriere per le ordinazioni e dobbiamo ricomporci un attimo; ma Agnese insiste coi suoi giochini più o meno sessuali e tutta la cena è un rincorrersi di carezze, di baci più o meno rubati,di tocchi più o meno leciti ad ogni parte del corpo: quando mi sembra, coi nostri giochetti, di andare oltre il lecito per due stimati avvocati, convegnisti per l’occasione, cerco di frenarla anche richiamandola all’ordine; la risposta è sempre la stessa ‘andiamo a letto!’ ed è difficile darle torto; ci si mette anche qualche bicchiere di vino a rendere allegra la mia convitata e mi prende una grande nostalgia della mia Clara: chissà cosa sta facendo in questo momento; anzi, sono certo che è a cena, ma sicuramente lei non si abbandona a certi eccessi smodati: anche se sta già limonando con Nico, certamente lo fa con assai più classe; a questo punto, preferirei essere alle sue spalle a guardarla amoreggiare con l’altro,piuttosto che dovermi preoccupare di non farmi coinvolgere dagli eccessi di Agnese che proclama con tutto il corpo che vuole scopare.
Ad un certo momento, si alza e si dirige alla toilette: non riesco a togliermi dalla testa l’idea che stia organizzandosi qualcosa di particolare; quando vedo uno dei camerieri dirigersi alla toilette, capisco che si è già attrezzata per un aperitivo che freni un attimo le sue voglie smodate; li seguo per curiosità e, varcata la porta comune, sento forti gemiti provenienti dalla toilette per le donne: spudoratamente, accosto l’occhio alla serratura e vedo la figa di Agnese in primo piano: ha solo spostato la balza del vestito e l’altro la sta penetrando; ‘Agnese, apri!’; non se lo fa ripetere ed entro: ha un piede sul coperchio abbassato del water e si fa penetrare così, in piedi; le giro dietro, tiro fuori la bestia e con fredda ferocia gliela infilo nel culo, perfettamente cosciente che lo spessore, la lunghezza e la mancanza di lubrificazione le faranno provare molto dolore; le tappo la bocca perché l’urlo non arrivi in sala e le tengo il cazzo piantato saldamente nel retto quasi a fare sponda all’altro che spinge il suo cazzo di normale stazza avanti e indietro nella figa fino a che esplode con un grugnito e scivola fuori.
“Sborrami in culo!”
Mi implora Agnese; ma non mi va; le dico di calmarsi e di lasciare spazio per cose più importanti di una semplice inculata; mi prega di tenerlo ancora dentro e di sditalinarla finché non arriva all’orgasmo; lo faccio volentieri e, per tragica coincidenza, mi vengono in mente tutte le volte che inculo Clara e la sento gemere dolcemente mentre si pastrugna la figa e mi chiede di aspettare finché gode e mi consente di eiaculare dove voglio; altra scopata, altra storia, forse anche altra classe; ed ora quella classe se la gode uno stronzo: perché ho accettato di far prevalere la mia libidine sulla bellezza? Finalmente Agnese raggiunge il suo orgasmo, si asciuga accuratamente con i tovaglioli di carta figa e culo, io sgattaiolo fuori dalla toilette e dopo poco mi raggiunge anche lei; ormai l’attività sessuale è praticamente avviata e ci resta solo rifugiarci in camera e scatenarci; mi impongo di lasciare da parte Clara e il suo pensiero (forse anche con un pizzico di gelosia inconscia, del tutto fuori luogo) e finalmente prendiamo l’ascensore per salire al piano.
Non ho il tempo di chiudere la porta che Agnese è già tutta nuda (facile, col poco che indossava) e si è fiondata per slacciare la cintura e arrivare al cazzo; abbassati i pantaloni fino alle caviglie, mi spinge di spalle sul letto e si avventa come un’affamata sul cazzo che le affonda in gola quasi fino alle palle: sono meravigliato, perché mai avevo trovata una donna così allupata e, soprattutto, perché sono abituato ai deliziosi, delicati, dolcissimi pompini di Clara che riesce a tirarmi l’anima dal cazzo con eleganza, con finezza, con dolcezza; invece Agnese è una vera forza della natura e la violenza con cui si chiava in bocca e succhia come un’idrovora mi procura anche qualche leggero fastidio all’asta sfregata; la blocco per un istante e comincio a chiavarla io, in gola, ma con più calma e metodo, invitandola a leccare l’asta quando entra e a percorrerla con la lingua poi, tutta fino ai coglioni; le suggerisco anche di leccare le palle e di prenderle in bocca, una per volta, per assaporarne la consistenza.
Il pompino che ne viene fuori è finalmente una grande pompata, una prova di abilità sessuale, che lei però subito interrompe: in culo, l’ha già provata, la mazza; in bocca, ci si è divertita abbastanza; le manca di saggiarla in figa; si stende supina, alla missionaria, e mi chiede di penetrarla; finisco di spogliarmi, salgo sul letto e mi dedico a leccarla, ignorando le sue pressioni per essere subito penetrata; vulva, clitoride e vagina sono ben tumide di eccitazione: anche per questo, la lingua che le accarezza delicatamente risulta più eccitante e lei registra un paio di orgasmi forti, prima che mi accinga ad riempirle la figa; finalmente la penetro e la sento gemere a lungo di piacere totale; approfitto della posizione per succhiarle un capezzolo e mi accorgo che gradisce molto, anzi gode fino all’orgasmo.
Andiamo avanti così per un paio d’ore: si fa penetrare più volte in ogni foro, cambia tutte le posizioni possibili e raggiunge l’orgasmo una serie infinita di volte; alla fine mi chiede se sono esperto di pioggia dorata: le confesso che ne ho sentito ma non l’ho mai praticata; mi guida in bagno, nel box della doccia si accoccola sui calcagni e mi chiede di orinarle addosso: capisco il significato del termine e chiedo se lei farà lo stesso con me, mentre intanto comincio a spruzzarle addosso il liquido dorato; mi dice che lo farà, ma a quel punto mi coglie una folgorazione, forse prevista anche dal protocollo del metodo, ma che non conosco: le dico cioè che possiamo orinare con i sessi compenetrati; accetta di provarci, si alza in piedi e si fa impalare in figa dal mio cazzo che è rimasto bello duro: a me scappa subito di orinare e lei lo fa in conseguenza; i pochi minuti di irrigazione sembrano un continuo orgasmo; mi blocca con forza ‘passalo nel culo!’ mi ordina, lo faccio e le comincio a pisciare nel culo che, slabbrato com’è, accoglie tutto; faccio scorrere l’acqua della doccia, ci laviamo e torniamo in camera in accappatoio.
La notte trascorre praticamente tra un cazzo nel culo ed uno in bocca, una botta in figa ed una tra le tette: Agnese non perdona niente a quella serata e si fa scopare alla morte fino a che vediamo albeggiare; raccolgo le mie cose e, cauto come un ladro, mi dirigo alla mia camera per riposare almeno qualche ora; quando mi sveglio, tutti i convegnisti sono andati via, sono quasi le undici ed io sono atteso a casa da Clara per pranzo: filo via a razzo quasi inseguito da fantasmi, in parte per tanti rimorsi per la nottata, in parte per la grande rabbia di non essere riuscito a liberarmi dall’incombente presenza assente della mia donna; un pensierino nell’angolo suggerisce che le cose clandestine si godono di più; ma non voglio ammetterlo.
Appena varco la soglia, l’abbraccio fra noi è particolarmente intenso, quasi tornassimo da una lunga spedizione e non da un solo giorno di lontananza; Clara non ha un’aria molto allegra: penso che, come me, qualche rimorso se lo sia fatto venire; mi mostro più allegro e in forma di quanto non sia e le chiedo se le va di parlare delle nostre rispettive serate; preferisce che prima mangiamo; poi avremo tempo per parlare; dopo pranzo, andiamo direttamente sul letto e ci mettiamo a pomiciare, mentre lei mi racconta quello che in circa due ore ha fatto con il suo amante occasionale: come previsto, è stato molto garbato ed elegante sia a cena sia nel dopocena, timido quanto basta ma anche deciso; il cazzo, manco a dirlo, non ha niente a che vedere col mio mostro e non lo usa molto male, ma un’eiaculazione troppo rapida alla prima penetrazione l’ha messo alle corde; poi però, opportunamente guidato, è riuscito a riprendersi e l’ha scopata con molta classe e con gioia di tutti e due: poco dopo mezzanotte, lei ha preferito rimandarlo a casa per dormire in pace.
Mentre racconta, più di una volta mi trovo ad eccitarmi di brutto, quando mi descrive i giochini amorosi al pranzo o quando la scopava con enorme delicatezza, quasi temesse di sciupare una statuina di biscuit; la sensazione fisica di esserci mi riporta ai transfert vissuti con Agnese e, sull’onda dell’eccitazione, fermo il racconto per scoparla un poco
E’ toccato poi a me fare il resoconto della mia notte brava e, naturalmente, tutto è diventato carnale, intenso, quasi violento, per la enorme differenza tra le due: le ho accennato dell’aperitivo nella toilette con una doppia penetrazione e le ho parlato delle numerose occasione in cui l’ho scopata con violenza; ho insistito forse un po’ troppo, aggiungendo qualche entusiasmo in più, alla pratica orale della mia collega e mi è sembrato la colpisse un poco; le ho detto che l’avevo praticamente strapazzata e dominata e lei si è limitata a dirmi che lo sapeva e che mi ama anche per questa mia enorme capacità di vivere il sesso con passionalità e con amore; alla fine del colloquio, mi ha chiesto se non avessi avuto la sensazione che aveva lei, che cioè preannunciare una cosa così intima come una scopata libera può svuotare un poco di poesia il fatto in se: benché avessi formulato proprio quel pensiero un attimo dopo aver concluso con Agnese, ribatto che il principio di chiarezza rimane comunque intoccabile e che la lealtà non ha mai fatto male a nessuno; ma vedo che non è convinta.
Qualche tempo dopo, Clara deve di necessità ricorrere ad un controllo dentistico: la cosa la mette in agitazione per un’atavica paura ingiustificata della poltrona del dentista; per ovviare a questa sua fanciullesca remora, decido di accompagnarla e ci rechiamo insieme all’ambulatorio: finché siamo in sala d’attesa, stiamo insieme; quando poi la chiamano in ambulatorio, l’infermiera fa cenno che forse è meglio se va solo la paziente; accetto la sentenza e vado fuori a fumare; per una strana coincidenza, il punto dove trovo a terra numerosi mozziconi è esattamente alle spalle dell’edificio e un finestrone basso guarda direttamente nell’ambulatorio dentistico: la cosa mi fa sorridere e mi riservo di scherzare con Clara sul fatto che ho assistito a tutta la sua terapia; quando però, alla fine della seduta, vedo la mano di lei cadere mollemente dalla poltrona e appoggiarsi sulla patta del medico, scatta una gelosia imprevista; quando poi lui si avvede della cosa (evidentemente, è stato colto anche lui di sorpresa) e mi accorgo che la mia compagna ha stretto volutamente e apertamente il cazzo nei pantaloni, la gelosia diventa aperta e chiara; in quel momento entra l’infermiera, i due si ricompongono ed io posso andare in sala d’attesa ad aspettarla.
Lungo il percorso, mi auguro che in qualche modo lei introduca il discorso; ma il suo cicaleccio è tutto per le emozioni provate davanti a limette e trapani, al prossimo appuntamento col dentista e non fa nessun accenno alla mano galeotta: la cosa è di tale levità che troverei normalissimo che me ne parlasse anche divertita; ma non so capire se sta tentando una scommessa (fare qualcosa a mia insaputa e comunicarmelo solo alla fine) e se effettivamente ha in mente un tradimento classico, col cornuto ultimo ad essere informato; in ogni caso, mi sento offeso e sento umiliati i principi che io stesso avevo enunciato (ma anche calpestato; solo che questo lei non lo sapeva); comunque per tutta la settimana che manca spero inutilmente che me ne parli; quando arriva il momento di tornare a visita, sono evidentemente vigile e poliziesco, pronto a cogliere ogni sbavatura.
Entriamo in sala d’attesa e , con la solita prassi, aspettiamo finché non la chiamano da sola in ambulatorio; vado a fumare e mi piazzo di vedetta al finestrone; tiro fuori il telefonino e mi preparo a riprendere tutte le fasi delle corna, dal momento in cui lei si siede sulla poltrona, attraverso i primi contatti ‘innocenti’ fino a quando le mani di ambedue si scatenano nella sega e nel ditalino più belli che mi fosse capitato di vedere (per la verità, ne avevo visto pochi; molti li avevamo fatti ma erano di un’altra classe!); stringo i denti per la rabbia e non so decidere cosa mi fa soffrire di più, se la gelosia, il tradimento, la rabbia, la mia stessa stupidità o la sorpresa per un errore così banale della donna che amo; assisto alla grande sborrata di lui e al grande orgasmo di lei, che deve avere allagato la poltrona; resto fermo e aspetto.
Clara esce dalla sale d’attesa, mi cerca un po’ in giro poi mi nota sul dosso; tra noi, non una parola, solo sguardi eloquenti e, da parte mia, feroci; gli occhi fissi sul finestrone attirano inevitabilmente lo sguardo di lei e tutto le risulta chiaro; mi chiede se ho visto e che voglio fare; le dico di cercarsi un alloggio e un sostegno, perché mi rifiuto di prenderla in casa.
Il suo discorso prende le mosse da molto lontano; mi ricorda una serata strana al mare, un falò con giovani seminudi a danzare intorno al fuoco al suono di una chitarra poco probabile e uno strano ‘gioco dei pegni’ per cui, chi perdeva una gara o una scommessa, doveva ‘pagare pegno’ facendo, anche suo malgrado, qualcosa che chi avesse vinto poteva imporgli senza discussioni; quando toccò a Clara, Marisa, la ragazza che aveva vinto la scommessa, le impose di dare un bacio di grande passione al meno inserito del gruppo, al più antipatico e insopportabile dei presenti; era fin troppo chiaro che il riferimento era a me, capitato contro voglia in quel gruppo di ragazzi più giovani di me di almeno quattro e cinque anni (che a quell’età sono un abisso) impacciato nei miei vecchi bermuda, insomma improponibile; Clara mi si avvicinò, mi fece alzare e mi avvolse in un bacio che aveva del divino: non solo sentii la mia bocca aspirata nella sua, perlustrata interamente dalla sua lingua fino alle tonsille, non solo sentii la salivazione crescere fino a farci scambiare litri di liquidi, ma soprattutto sentii il suo ventre giovane e acceso premermi sull’inguine facendo scattare la mia arma segreta, un biscione di venticinque centimetri che avrebbe fatto impazzire chiunque; ne godè a iosa, anche se entro i limiti dello scarso abbigliamento, e, quando si staccò, il suo costumino era da strizzare e i miei bermuda bagnati fino al ginocchio: ambedue avevamo avuto un orgasmo meraviglioso senza toccarci a pelle; da quella sera non abbiamo smesso di baciarci fino a stamane.
La logica di Clara è che quella della reciproca masturbazione è pratica tipicamente infantile, perché solo ragazzi assolutamente ingenui ed inesperti possono trovare reciproca soddisfazione sessuale con le mani; quindi, l’accaduto si può classificare sotto la categoria ‘pegni da pagare per scommessa persa’ e non certamente come motivo di rottura: aveva scommesso, con se stessa prima che con me, di fare un poco di sesso alle mie spalle, si era fatta scoprire e meritava di pagare pegno; era assolutamente improponibile l’ipotesi di rompere una storia decennale per una ragazzata come era stata la sega fatta al dentista; di fronte alla mia obiezione che quello che contava era il principio, Clara si scatenò e mi dimostrò concretamente che i principi in casa li avevo sempre e solo dettati io, che a quelli aveva dovuto sacrificare tutta se stessa e che, al momento giusto, io li avevo indifferentemente calpestati.
Osservò innanzitutto che, anche non essendoci un certificato che attestasse la nostra relazione, in troppe occasioni pubbliche, davanti a giudici e avvocati, la avevo presentata ufficialmente come la compagna: in tribunale, esistevano tutti gli elementi per il riconoscimento di coppia di fatto con la testimonianza di autorevoli esponenti del tribunale; lei invece aveva prove e poteva portare testimonianze che ero stato io a ‘consigliare’ che interrompesse gli studi per dedicarsi alla casa, che non assumesse un lavoro impegnativo perché provvedevo io; sicché, sbatterla in mezzo alla strada per una sega non sarebbe stato mai riconosciuto come valido motivo di rottura da nessun tribunale era quanto meno un esercizio di dominio ingiustificato; volendo, avrebbe portato la cosa in tutti i gradi della giustizia e, dal momento che ero avvocato, sapevo anche quanti anni sarebbe durato un processo di divorzio da una relazione di fatto: per la prima volta nella mia vita, fui costretto a riflettere che effettivamente avevo fatto promesse impegnative e che non potevo cavarmela con un licenziamento in tronco; comunque si fosse risolta la faccenda, avrei dovuto innanzitutto ricordarmi di farle completare gli studi (era ancora a tempo) e di assicurarle un lavoro e un dignitoso stipendio, almeno pari a quello che lo studio di cui facevo parte pagava a persone di minore qualità intellettuali e per lavori banali.
L’ultima mazzata è ben dura: una sega fatta in un momento di polemica con me non può affatto essere paragonata al week end di fuoco mio con Agnese, di cui tempo addietro si era largamente cibata la curiosità pettegola dei circoli di mogli degli avvocati che io le facevo frequentare e dove niente passava inosservato: le mie pretese, a quel punto, non sono solo infondate ma assurde e puerili; se io voglio tenere il punto del mio millantato integralismo ipocrita e bacchettone, lei non si allontana dalla casa dove ha vissuto tanti anni con me e chiederà l’assistenza di uno dei miei peggiori avversari in tribunale per conciarmi quanto peggio possibile; se invece aderisco all’idea di considerare la vicenda una scommessa perduta con pegno da pagare, mi offre lei stessa le ipotesi alternative, tutte fondate sul principio che alcune zone della sua personalità sono ancora imperscrutate e che, per quel verso, possono considerarsi altrettante ‘verginità’ da offrire all’amore.
La prima che mi propone, la più semplice, è impegnarla a venire con me in vacanza l’estate prossima, per una settimana, in un campeggio per nudisti, proposta che ha respinto per anni; la seconda ipotesi è imporle la visita, in mia compagnia, ad un club privè che a me risulta fascinosa e a lei spaventosa; la terza è coinvolgermi nell’opera che sto conducendo di rapportarmi al mio socio di studio, appassionato di scambio di coppia, per arrivare a scoparmi legalmente sua moglie che mi attizza moltissimo e costringendo, implicitamente, lei a lasciarsi scopare dal collega che non le piace gran che; non riesco a negare che ha tutte le ragioni di questo mondo e che la presunzione di imporre un ruolo da maschio dominante, da individuo alfa, si scontra con una realtà ben più radicata, fatta di grande amore, di dedizione e di una piccolissima sbavatura, che non toglie niente alla passione che ci ha sorretto e che ancora ci anima; inoltre, a pensarci bene, l’ipotesi di intrecciare qualcosa di perverso con il mio socio (ma soprattutto con sua moglie) con la complicità di Clara mi stuzzica notevolmente: stavolta, per non essere sperequativo, le posso anche promettere che, se funziona, niente ci impedisce di riproporre il tema, stavolta facendo scegliere a lei il maschio che l’attizza e accontentandomi io della femmina che mi capita; ma questo appartiene al futuribile; per ora c’è da recuperare lo strappo e tornare insieme alla ‘nostra’ casa.
“Andiamo a casa, allora?”
E’ giustamente ansiosa, Clara; ed anche un poco preoccupata: tutta una vita (non solo i dieci anni insieme ma tutto quello che significano e comportano) si stanno giocando in un gesto, in una parola; cercando di tenere il tono più risentito che mi riesce, mi dirigo alla macchina e lei mi segue in silenzio; guido imbronciato fino a casa, Clara si lancia fuori appena ho spento il motore e si avvia di corsa al portone, quasi temesse di vederselo chiuso in faccia dal mio risentimento; mentre saliamo in ascensore, le circondo la vita con un braccio e si lascia andare con la testa sul mio petto; appena in casa, lancia in aria le scarpe, mi prende per la vita e mi tira giù, sul tappeto, solleva la minigonna fino in vita e si scoscia sul mio volto offrendomi la figa in bocca; devo solo spostare il filo del perizoma per arrivare a catturare tra le labbra, succhiando a ventosa, la vulva e il clitoride che mordo con violenza strappandole un urletto di piacere, più che di dolore.
Mia nonna, quando passava una sfuriata in casa, a chi correva subito dopo in bagno (è quasi un riflesso condizionato), diceva che era la collera che andava giù; ci ripenso ed ho proprio quella sensazione quando sento l’orgasmo di Clara esplodermi sul volto e riempirmelo tutto dai capelli al mento: effettivamente è come se in quel gesto le tensioni della mattinata, ma anche quelle accumulate prima, d’improvviso si scaricassero in un solo flusso di umori; intanto, lei è riuscita ad aprire i pantaloni, a tirar fuori la mia verga ed a gingillarsela con amore tra bocca, lingua e mani finché si impegna con tutte le energie all’unico suo obiettivo: vedere lo sperma spruzzare dal meato e colpirla in bocca, sugli occhi, sul viso; anche per me, come diceva la nonna, la collera va giù; ma io cerco di dare una spiegazione più maschilista.
“C’è poco da fare, per te il mio cazzo è un’altra cosa: con gli altri puoi anche giocare; col mio fai solo e sempre tanto amore!”
“Allora, hai deciso che devo pagare pegno? Quale?”
“Lo scambio di coppia mi affascina; a te piacerà meno; ma se usciamo soddisfatti, ripetiamo l’esperimento e stavolta scegli tu il maschietto e io mi prendo quel che capita.”
“Ti amo. Mi accompagni ancora dal dentista? Se vieni, entri con me in ambulatorio così controlli direttamente.”
“Eh, no! Ti accompagno, entri sola e vado a fumare; poi spero che ti limiti a una sega o al massimo a un pompino: visto che sono avvisato, posso solo godere, se ti sto a guardare; e forse godi anche di più, se sai che sono lì a guardarti.”
“Devi avere sempre l’ultima battuta. Ma forse è anche per questo che ti amo!”
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