Storia di un superdotato
di
Suve
genere
etero
Mi fa incazzare sentir dire e ripetere “le misure non contano”, ipocrita affermazione di tante donne e vana scusa di tanti uomini. Mi incazzo ancora di più quando sento entrambi i generi commentare ironicamente “il nero di whatsapp”: “certe cose non esistono”, “quanta abbondanza”, “ce l’avesse mio marito”, “magari a somigliargli”.
Ma che ne sapete voi di cosa vuole dire averlo abnorme?
Mi chiamo Massimo (chissà se è stata una scelta goliardica quella dei miei genitori di chiamarmi così) e mi presento: Sono alto 182 centimetri, peso 75 chilogrammi, sono bianco (a scanso di equivoci, non sono evidentemente quello di whatsapp) e il mio “affare" misura… 24 centimetri a riposo e 35 in erezione, con un diametro, eretto, di otto centimetri.
Beato te dirà qualcuno… BEATO UN CAZZO! Sì, proprio, il mio.
Finché ero ragazzino, e non badavo a certe cose, ero quasi orgoglioso quando una qualche zia ricordava a mia madre i tempi in cui mi cambiavano il pannolino e vedevano “quella cosa” sul mio inguine. Oh, ci avranno certo riso ed io, beato infante, avrò riso vedendo loro, senza poter immaginare cosa sarebbe successo poi.
Il primo shock l’ho avuto nella pubertà, con la mia prima erezione spontanea, quando mi misi quasi a piangere vedendo quel palo che si ergeva dal mio inguine (e ancora non era arrivato alle dimensioni attuali) e non sapevo spiegarmi cosa succedesse al mio corpo.
Per farla breve racconterò succintamente i periodi successivi, cioè quelli in cui la perfidia dei ragazzi con cui magari facevo la doccia dopo la scuola calcio (ero un discreto centrocampista fino a che ho smesso, quasi subito anche per quel motivo) li induceva a prendermi in giro davanti a tutti: “Dumbo”, e non era per le orecchie; “Artigliere”, ed altri soprannomi ancora per irridermi. I più smaliziati mi chiamavano “Rocco” ma durò poco: crescendo sembrava un complimento.
E complimento misto a invidia forse lo era, ma io soffrivo questa forma di bullismo, mi sembrava di essere un marziano capitato per caso sul pianeta terra, e ciò mi ha portato a chiudermi in me, a “nascondermi”.
D’altronde che ne potete sapere della coltellata al cuore che è il vedere la ragazzina che mi piaceva e con cui stavo iniziando un filarino scappare… sì, letteralmente “scappare”, dopo esserci scambiati teneri baci, quasi i miei primi, aver assaggiato la morbidezza del suo seno, delle sue cosce. Solo perché, eccitato, lo avevo tirato fuori. Non scorderò mai la sua faccia mentre già tendeva la mano per impugnarlo e darmi quella soddisfazione che anelavo, la mia prima sega fatta da mani diverse dalle mie.
Sorpresa, sgomento… paura. Si alzò dalla panchina del parco dove ci eravamo appartati e corse via senza voltarsi indietro, e da quel momento, a scuola, mi evitò accuratamente.
Certo, la voce iniziava a girare e intuivo tanta curiosità nelle ragazze che conoscevo: sorrisi maliziosi, battutine ambigue ma mai, mai più ebbi l’occasione di appartarmi con qualcuna. Al dunque si tiravano indietro. Negli anni ho imparato a destreggiarmi con i vari problemi: mai indossare slip, non c’entrava, molto meglio i più comodi boxer, rigorosamente con pantaloni larghi. Ma attenzione a non eccitarsi in momenti inopportuni perché se ero seduto erano dolori, se ero in piedi rimediavo figure di palta.
Quindi grandi seghe mattutine per affrontare la giornata con i sensi in pace o quasi, e nonostante questo diverse volte dovetti eclissarmi facendomi anche la fama di misantropo. E misantropo lo diventai per necessità, preferendo rimanere da solo piuttosto che affrontare situazioni imbarazzanti o, peggio, rivedere ancora la paura sul volto di una ragazza.
Provai anche con delle prostitute ma quelle da strada, bianche o nere che fossero, si ritraevano anch’esse al momento clou e io, mortificato, tagliavo corto rinunciando anche a una soddisfazione di labbra e/o lingua (a proposito, avete idea di quanto sia difficile trovare profilattici di taglia maxi? Altro problema non da poco). Unico successo, parziale, una escort, quando decisi di provare “il livello superiore”, e questa ve la voglio raccontare.
Allora, nella mia condizione di “morto di figa”, nel senso che le donne mi piacevano, eccome, ma non battevo chiodo per i motivi sopra detti, dopo l’ennesimo
- No… assolutamente no… vai a scopare tua sorella –
dettomi da una biondina slavata trovata in fondo al viale, nel momento in cui tirai fuori l’uccello e speravo fosse la volta buona, pensai che una escort, vera professionista del sesso, potesse “accettarmi”.
Così vagliai diverse pagine internet decidendomi infine per una ragazza di origini sudamericane che si faceva chiamare Carmen. Il prezzo era di 600 euro, un bel colpo per le mie finanze da universitario, ma almeno sul lato economico avevo meno preoccupazioni grazie ai miei genitori.
Mi presentai a casa sua puntualissimo, portai persino una rosa rossa con me pensando di attirare il suo benvolere. La gradì molto, non se l’aspettava, e fu gentilissima facendomi accomodare nella sua camera e iniziando a spogliarsi mentre invitava me a fare altrettanto. Mi denudai al rallentatore per ammirare il suo corpo che si mostrava via via che gli abiti cadevano.
- Sei bellissima… -
Ammiravo i suoi seni sodi, appena scoperti da un reggiseno di pizzo nero volato da qualche parte. Mi sorrise:
- Grazie… sei gentile. Spogliati completamente, in un attimo sono da te –
Continuai ad ammirarla mentre si girava e, chinandosi, si toglieva il perizoma. La visione del suo culetto e, più sotto, dell’apertura della vagina, mi mandò a mille. In un lampo mi spogliai restando in piedi, l’uccello che sporgeva dritto come un fuso. Si girò e il sorriso le sparì dalle labbra che restarono aperte, spalancate dallo stupore.
- Oh… mamma mia… non è possibile…ma è vero? –
Un moto di orgoglio me lo fece afferrare muovendolo a destra e sinistra per mostrarle che non era uno scherzo.
- E’… un monumento, un obelisco… è troppo grande…io non credo… di riuscire a prenderlo –
Il mondo mi crollò addosso, le mie aspettative svanirono in un istante. Se anche lei aveva problemi, se dubitava di potercela fare…
Mi sedetti sul letto prendendomi la testa tra le mani, bestemmiando tra me e me, a un passo dalle lacrime. Mi venne accanto e mi pose una mano sulla spalla chiedendomi cosa avessi e le mie dighe crollarono. Accorato le raccontai in pratica la storia della mia vita, delle umiliazioni, delle sofferenze, delle voglie insoddisfatte, dei desideri, delle speranze che avevo in lei. Parlai per una ventina di minuti ed in tutto il tempo lei mi carezzò lievemente la spalla dicendo parole di conforto. Quando terminai e mi stavo asciugando le lacrime, già mi sentivo meglio per lo sfogo, mi prese una mano tra le sue e mi parlò, nonostante la poca differenza di età (avrà avuto 26-27 anni), con tono materno:
- Mi dispiace, credimi. Ne ho visti di cazzi ma come il tuo… mi rovineresti, non potrei lavorare per giorni. –
Sospirai sconsolato:
- Mi devo rassegnare ad una vita di seghe allora, se nemmeno tu… -
- Non buttarti giù, noi donne non siamo tutte uguali. Prima o poi ne troverai una che potrà prenderti dentro. Fino ad allora però… perché dovresti andare avanti a seghe? –
Il suo tono divenne malizioso, mentre lasciava la mia mano e scendeva al mio ventre impugnando il mio uccello ritornato a stato di riposo.
- Accidenti… anche così è più grosso del più grosso che ho mai preso… aspetta… -
Mi si inginocchiò davanti afferrandolo con entrambe le mani, scuotendolo e facendogli prendere vigore fino a che non raggiunse il massimo turgore.
- Accidenti e ancora accidenti… non riesco nemmeno a stringergli la mano intorno… sembra un ramo d’albero… -
Una lappata golosa della lingua sulla cappella mi fece sobbalzare. Prese a leccarmi tenendolo stretto tra le mani e ad ogni leccata parlava magnificandone l’imponenza.
- E’ grande… slap… è enorme… slap… mette paura, ma non credere… slap…che non mi metta voglia addosso… slap… se solo potessi… slap… . Mi piace, mi piace questo cazzo gigante… slap… e a te piace così? --- slap… grrrffff… accidenti, non riesco nemmeno a farlo entrare in bocca… slap… mi sto bagnando anche io sai?… slap… A leccartelo… aspetta… grrrffff mmmhhhhh… no, non riesco proprio a prenderlo… slap… -
No, non fingeva, la sua voce era veramente eccitata, me lo dimostrò la mano che si portò tra le cosce. e il sapere, il vedere che quella splendida donna si eccitava per me mi eccitò a mia volta più della sua lingua che scorreva su tutta l’asta, lambiva il glande, si insinuava nel meato. Nel momento in cui chiuse le labbra sulla punta, pur senza riuscire a prenderla tutta, sentii come una scossa elettrica partirmi dalle reni e mi contorsi in un orgasmo che non aveva paragoni con quelli procuratimi da me stesso.
- Eccolo… lo sento… vibra… vibra… ooohhhhhh….. sì, vienimi in faccia… ggglloooomm… mmmmhhhh… quanta… quanta ne hai…. Ancora, spruzzami tutta –
Avvertendo i sintomi dell’orgasmo, Carmen tolse la bocca scuotendo l’uccello, muovendo le mani lungo l’asta mentre densi schizzi bollenti fuoriuscivano colpendola al viso, nella bocca che portò di nuovo sulla cappella senza riuscire a fermare, a trattenere, il flusso del mio piacere. Usò il mio cazzo come un idrante dirigendone i getti sul seno, sul viso, e ancora ne usciva, meno violentemente, con schizzi meno corposi. Alla fine era totalmente impiastricciata e quando ripresi contatto con la coscienza la prima cosa che vidi fu il suo sorriso sul viso striato di bianco.
Forse impietosita dalla mia storia, forse veramente eccitata dalla situazione, forse per orgoglio professionale, forse per tutte le cose insieme, si ridusse la “parcella” a 300 euro, che pur sono tanti per un mezzo pompino ma pochi, molto pochi per la riacquistata sicurezza in me che elaborai la sera ripensando all’accaduto e allo squisito piacere provato grazie a lei.
Mi diedi dell’imbecille più volte per non averci pensato da solo, e più volte mi perdonai ricordando il senso di mortificazione provato in quelle occasioni, la voglia di fuggire che mi prendeva ricevendo un no. Da quel momento tutto sarebbe cambiato: non potevo scopare? Beh, mi sarei “accontentato” nel mentre cercavo la donna della mia vita o, più prosaicamente, una figa bella larga adatta al mio affare.
Non che d’improvviso diventasse tutto rose e fiori, ma il mio rapporto col gentil sesso cambiò radicalmente. Non fui più un musone solitario e cominciai a frequentare più assiduamente compagni e compagne di facoltà, a accettare con gioia gli sguardi di interesse di qualcuna.
Avevo il solito problema delle improvvise erezioni in momenti non consoni ma il più delle volte bastava chiedere di andare alla toilette per sottrarmi all’imbarazzo, attendere il rilassamento e tornare insieme agli altri/e.
La prima volta che provai un approccio “intimo” rividi ancora stupore, sgomento, paura sul volto della lei di turno, ma questa volta sapevo come gestire la cosa: non più fughe vergognose ma l’ostentazione di sicurezza (che poi tanto tanto non avevo). Il più delle volte era sufficiente quando lei era una mia coetanea non troppo esperta
Fu un periodo in cui non allacciai legami sentimentali “seri” ma in compenso ricevetti tante seghe, tanti pompini (solo una riuscì a metterselo in bocca, almeno la testa, quasi soffocando quando godetti senza avvertirla) e scoprii un gioco che mi piacque molto:
In sostanza, e a voi sembrerà una cosa normale ma per me era nuovo, consisteva nel massaggiare con il mio affare le labbra intime di lei. A volte da dietro, col mio uccello che scorreva tra le sue cosce urtando a ripetizione grandi labbra e clitoride, a volte da davanti, stesso movimento, a volte, il mio preferito, con lei distesa su letto o divano e io che facevo scorrere il mio uccello sopra di lei, arrivando in qualche occasione a puntarlo sull’ingresso della vagina e lasciarlo lì, a dilatare le labbra intime. Piaceva molto anche a loro. Nessuna penetrazioni per carità, e diventai anche un buon linguista, ma tanta soddisfazione reciproca.
Per me, che prima fuggivo davanti agli sguardi degli altri, era un paradiso. Tra l’altro lo spargersi della voce ribaltò lo scenario che avevo vissuto, anzi subito, da adolescente. Divenni “popolare”. Non più scherno ma battute spesso amichevoli, una volta anche da un docente, da parte dei maschi; risatine maliziose delle ragazze quando pensavano che non le vedessi e tante… beh, non esageriamo, diverse ragazze che cominciarono a farmi “gli occhi dolci”.
La mia vita sessuale era rivoluzionata e, mentre continuava la mia ricerca di un “ambiente ospitale e ricettivo”, proseguiva la mia carriera universitaria.
Rodolfo: l’incontro con lui cambiò ancora la mia vita. No, non nel senso che pensate voi, sono etero e nemmeno curioso, cambiò per ciò che comportò successivamente.
All’inizio del terzo anno dovetti cambiare casa e ne presi una con lui, mio compagno di corso con cui andavo abbastanza d’accordo. Trovammo subito un’intesa efficiente ed efficace. In comune avevamo la cucina ed il salotto, dove studiammo diverse volte insieme, poi ognuno aveva una sua camera, spaziosa, dove trovare all’occorrenza della privacy.
Rodolfo stava insieme a Rosa, universitaria anche lei ma di un’altra facoltà, e capitò di uscire insieme qualche volta o di trovarsi, più spesso, a casa. Sentivo anche i “rumori” che provenivano dalla sua stanza quando si appartavano, ma poiché anche loro potevano udire i “rumori” fatti da me quando mi appartavo io con qualche ragazza la partita era pari e ognuno se ne fregava altamente.
Ad ogni modo, con Rodolfo nacque una bella amicizia e, per estensione, lo fu anche con Rosa. Amicizia, quindi confidenza. Senza entrare nel profondo ma stavamo bene tutti assieme. La svolta di cui parlavo avvenne quando Rodolfo ebbe problemi a casa che lo turbarono compromettendogli lo studio e, di riflesso, il rapporto con Rosa. Era nervoso, svogliato, irascibile, taciturno. Di colpo non era più la bella compagnia di un tempo. Cercai di essergli vicino per quanto potevo ma purtroppo non potei aiutarlo, anzi cara grazia che non mi mandò a quel paese come fece con altri amici che volevano aiutarlo anche loro.
Per farla breve, un fine settimana che Rodolfo tornò a casa di fretta per un qualcosa, ci ritrovammo abbandonati io e Rosa a casa. Lei prima si lamentò e poi si sfogò con me. Era sinceramente innamorata di lui ma non ce la faceva più a sopportare la situazione.
Anche sul piano sessuale, mi disse, non era più come prima. Difatti non li vedevo più appartarsi con la stessa frequenza e spesso li sentivo litigare.
- Cazzo Massimo, ti pare possibile che io sia costretta a fare da me? L’altra settimana avevo bisogno di allentare la tensione prima dell’esame e… di solito io e Rodolfo ci facciamo un fine settimane di scopate così il lunedì sono tranquilla, rilassata e pronta. E invece quello stronzo si incazza perché ho messo la minigonna. Ma ti pare possibile? Non ha mai detto nulla, anzi gli piace quando le metto e adesso… Insomma, ho passato metà della notte con le dita ficcate dentro e il lunedì invece che rilassata ero stanca morta. Ventisei… maledizione, ventisei per une esame dove meritavo almeno 30 se non la lode, e tutto perché ero stanca e nervosa e facevo fatica a ragionare davanti al professore. E adesso prende e parte, e non perché, per fortuna, qualcuno a casa ha problemi di salute, ma perché deve parlare urgentemente col fratello. Già, deve parlargli di persona, non per telefono, e non può aspettare, deve farlo subito. Maledizione a tutti e due. –
Cercai di consolarla con le solite frasi sul momento transitorio, che Rodolfo presto sarebbe tornato quello di prima eccetera eccetera. Niente, più parlava e più si arrabbiava. Alla fine dovetti bloccarla con decisione:
- Rosa basta, vai di là a darti una rinfrescata e cerca di pensare ad altro o te ne fai una fissa. Guarda, preparo uno spuntino per quando torni, ma basta pensare a Rodolfo eh? –
Mi guardò in modo strano, in effetti era la prima volta che “le imponevo” qualcosa, ma andò di là lo stesso. Al ritorno sembrava rasserenata. Sbocconcellammo qualcosa parlando del più e del meno e poi ci accomodammo sul divano per guardare qualcosa in TV.
- Scusami Massimo, non dovevo farti carico dei miei problemi, specie di quelli sessuali. Piuttosto a te come va? Non ne abbiamo mai parlato tanto, per esempio non so se hai una ragazza. –
- No, sono single –
- Mi pare strano, anche se ti ho visto con qualcuna, per caso sei… -
- No… non sono gay se è questo che intendevi. Semplicemente non ho ancora trovato quella giusta –
Quella giusta… dentro di me riflettei sulla veridicità di quella frase fatta. Cercavo veramente quella giusta senza riuscire a trovarla.
Restammo alcuni attimi in silenzio e, girandomi verso di lei, vidi che mi guardava sorridendo, un sorriso tra il malizioso ed il perculativo. Le chiesi spiegazioni.
- Scusami ancora Massimo è che… Rodolfo mi ha parlato di te e del tuo… problema. Lo so benissimo che sei da solo e so anche il perché. Senza contare la voce che gira tra noi ragazze dell’ateneo. –
Stavo per arrabbiarmi per essere stato preso in giro su quell’argomento per me così sensibile, e un tempo l’avrei fatto sicuramente ma ora, che pur senza ottenere quel che volevo mi ritenevo abbastanza soddisfatto, accettai lo scherzo e ridacchiai insieme a lei.
Rimanemmo in silenzio ancora qualche istante e poi la sua voce, in tono basso, appena udibile, mi giunse come un fulmine alle orecchie. –
- Massimo, vorrei chiederti… me lo fai vedere? –
La guardai stranito dalla sua richiesta.
- Non mi sembra una richiesta ortodossa, perché vuoi vederlo? –
- E’ che… sento le mie amiche parlare di te, del tuo affare. Ognuna lo descrive in termini diversi ma tutte concordano sul fatto che sia… fuori del normale. Sono curiosa. –
- Lo è… purtroppo per me lo è. –
Risposi tristemente, colpito nel vivo. Poi mi alterai:
- Perfetto: scopro che Rodolfo ti svela le mie confidenze e che sono oggetto di conversazione e derisione da parte delle ragazze. Che bella giornata di merda oggi. Chi ti ha parlato di me? Cosa ti ha detto?
- Non posso dirti chi, è qualcuna che è stata con te e… beh, non era per deriderti, anzi. Mi ha raccontato che le hai messo paura, che non è riuscita a prenderlo e che ha dovuto lavorare di mani e bocca per… Insomma, è così grande davvero? –
Ero vicino all’esasperazione e feci un gesto teatrale alzandomi e tirando giù pantaloni e mutande.
- Giudica tu –
Rosa sgranò gli occhi trovandosi davanti il mio affare nemmeno in erezione. Lo guardò, penzolante a meno di mezzo metro dai suoi occhi, con aria prima stupita, poi interessata e infine, restai sorpreso io… voglia.
- E’… è… è… gigantesco. Non ne ho mai visto uno così. Cresce ancora? –
Senza chiedere il permesso allungò una mano per toccarlo. Prima timidamente, come se avesse paura di scottarsi, poi con più decisione, palpandolo per accertarsi che fosse reale. Ovviamente le sue manovre mi fecero reagire e il mio affare, come un serpente che esce dalla tana, iniziò a sollevare la testa.
- Non posso crederci, sta crescendo ancora… –
L’altra mano raggiunse la prima e insieme scorsero su e giù portandomi alla piena erezione.
- Oh mamma… è… enorme. Non riesco a tenerlo –
La situazione mi intrigava. Mentre lei mi masturbava con entrambe le mani, pienamente concentrata sulla carne dura che stringeva, io azzardai:
- Adesso che l’hai visto che vuoi fare? –
Mi guardò dal basso verso l’alto con un’aria strana, poi spalancò la bocca e la appoggiò sulla punta:
- Mmmggghhh… non ci riesco, aspetta… mmmggghhhhhh… Accidenti, posso prenderne appena la punta –
Una scena già vista da parte mia: una bella ragazza che chiude le sue labbra intorno alla punta del mio uccello, il calore della sua bocca, il tocco della sua lingua. Però questa volta si trattava della ragazza del mio amico. Sinceramente stavo per tirarmi indietro, già preda del rimorso. Fu la voglia evidente che traspariva da ogni sua mossa, l’entusiasmo con cui usava la lingua su tutto il cazzo, l’ardore con cui cercava, a più riprese, di metterselo in bocca. Tutto questo mi fecero restare a godermi le sue attenzioni mettendo da parte ogni scrupolo. E fu un bene, o la mia vita non sarebbe cambiata.
Rosa si dedicò per diversi minuti al mio cazzo, continuando a riempirmi, anzi riempirlo, di complimenti. Solo dopo un tempo che mi parve interminabile mi tirò giù sul divano facendomi stendere e, dopo essersi tolta gonna e mutandine, salendomi sopra. Si puntò l’uccello sull’apertura della vagina e prese a scendere.
A quel punto mi preparavo a vedere il suo scorno nel constatare l’impossibilità di farlo entrare e invece…
Un labbro stretto tra i denti, l’espressione totalmente concentrata, scese giù lentamente, in pratica sedendovisi sopra. Di colpo sentii il calore del suo ventre avvolgermi la cappella. Era riuscita là dove altre (quelle pochissime che avevano provato, rinunciando quasi subito) avevano fallito. Non si fermò. Io la guardavo stupito, già un terzo del mio cazzo era dentro di lei ed io finalmente provavo quella sensazione stupenda che tutti conoscete. Scese ancora fermandosi a metà e guardandomi trionfante.
- Lo sento… Dio se lo sento, mi riempie tutta. –
Poi, posso immaginare che faccia potevo avere, risalì e riscese ancora sorridendomi.
- Mi piacciono grandi –
Una spiegazione per l’abbondante flusso di succhi che vedevo bagnare l’asta fuoriuscendo dalla vagina ma non per la sua capacità. Parve intuire e continuò la spiegazione.
- Sono larga e profonda tesoro mio… e anche così non riesco più di questo… mmmmmhhhhh, me lo sento contro l’utero… non muoverti o mi sventri, lascia fare a me. –
Immobile, calcolando che ero almeno una ventina di centimetri dentro di lei, forse più, mi guardai bene dal protestare. Il mio sogno si era avverato, avevo trovato la mia metà complementare... STAVO SCOPANDO, dopo tanto penare una donna mi prendeva dentro di se… e le piaceva.
- OOOOHHHHHHH… che cazzo che hai… che cazzo che hai… -
La vedevo godere e accelerare i movimenti, le gambe che le tremavano nello sforzo, le mani sui seni a tormentarsi i capezzoli… e la sua figa che saliva e scendeva, nascondendo e facendo riapparire il mio cazzo sempre più lucido dei suoi umori.
- Rosa… sto per venire. –
La avvertii non riuscendo più a trattenermi.
- Sì tesoro, voglio sentirti… vieni… vieni… vieniiiiIIIIIHHHH –
Si contorse nell’orgasmo e io mi lasciai andare. Forse spinsi verso l’alto nello spasimo, non ricordo, ma lei non si mosse lasciando che le riempissi la figa con il mio seme bollente che eruttò copioso. Quando mi rilassai e lei si alzò, il mio cazzo ricomparve bagnato dei nostri umori mescolati e, quando fui fuori da lei, un fiotto bianco sgorgò dalla sua vagina mentre lei si buttava indietro sul divano esausta.
Ci misi un paio di minuti a riprendermi dal più bell’orgasmo mai avuto fino a quel momento, poi mi alzai e mi stesi di fianco a lei abbracciandola possessivamente. Un pizzico di dispiacere per Rodolfo mi assalì, ma non potevo e non volevo lasciarla andare ora che l’avevo trovata. Le nostre bocche si unirono in un bacio umido e lascivo e mi addormentai felice.
Al risveglio eravamo ancora abbracciati. Ci scambiammo tenerezze poi andammo sotto la doccia, insieme, carezzandoci vicendevolmente. Avrei voluto prenderla ancora, il mio uccello aveva tirato ancora su la testa, ma lei mi fermò:
- No tesoro, non me la sento, mi hai aperta tutta… però posso farti godere così… -
E nel dirlo si inginocchiò sul piatto della doccia e, sotto il getto scrosciante dell’acqua, mi fece il più bel pompino che potessi desiderare facendosi sborrare prima in bocca e poi addosso, le strisce bianche portate subito via dall’acqua.
Iniziò così la mia storia con lei, e ogni volta che ci pensavo mi sentivo in colpa verso Rodolfo ma non potevo più fare a meno degli incontri che ci ritagliavamo come potevamo.
Rosa mi confessò che sin dalla sua prima volta aveva una predilezione per le “taglie forti”. Non che facesse la smorfiosa snobbando quelli più piccoli, semplicemente faceva una netta distinzione tra sentimenti e sesso, alla ricerca dell’uomo che l’avrebbe soddisfatta in entrambi gli aspetti. Per me aveva una simpatia ma amava Rodolfo e non avrebbe mai fatto quello che aveva fatto se non fosse stato per quel periodo di crisi con lui, incentivata dalla conoscenza delle mie dimensioni. Non si era mai posta problemi, invece di spaventarsi, come tante altre (mi spiegò che tranne qualche caso tutte avrebbero potuto prendermi, almeno in larghezza: “ci passa un bambino” era la sua spiegazione per quel che riteneva un problema di testa e non fisico), lei si bagnava di più vedendo un cazzo grande. Era come una sfida con se stessa per vedere quanto riusciva a prenderne.
Con me aveva faticato di più ma era pienamente soddisfatta, forse per lei era anche una specie di compensazione per il brutto periodo che stava passando con Rodolfo e non aveva la minima intenzione, come me del resto, di interrompere la nostra relazione atipica.
Il rapporto parallelo andò avanti ancora fino all’estate, quando portò Rodolfo al mare, a casa di sua madre, una bella donna divorziata, e… invitarono anche me a far loro compagnia per un po’.
Non vi dico che strazio fu per me sentire Rodolfo e Rosa che facevano sesso dall’altra parte della parete, le nostre camere erano adiacenti. Mi sentivo geloso ma non potevo farci niente. Mi rendevo conto che per Rosa ero solo una storia di sesso, che i suoi sentimenti erano per Rodolfo, ma mi accontentavo delle briciole che lei mi regalava, non potevo fare altrimenti.
Lei era gentile, dolce, premurosa, ma quando c’era Rodolfo era tutta per lui.
Un pomeriggio che loro due erano andati in spiaggia, decisi di restare in camera a cazzeggiare. Al limite avrei fatto una passeggiata ma non avevo voglia di rosolarmi al sole vedendo loro due ridere e scherzare insieme.
Stavo con i soli boxer, per il caldo opprimente, cercando di leggere un libro prestatomi dalla madre, quando sentii aprire la porta e Mafalda, la madre appunto, entrò nella mia stanza.
- Massimo, posso? Scusa, ti volevo dire una cosa –
Mi coprii col lenzuolo e le feci cenno di entrare.
- Scusami, fa così caldo e non pensavo che entrasse qualcuno. –
- Non preoccuparti, ti ho già visto in costume e poi fa sempre piacere vedere un bel ragazzo senza vestiti addosso. –
Questa frase avrebbe dovuto avvertirmi che c’era qualcosa di strano nel suo comportamento, anche perché aveva il costume e un pareo che la copriva solo parzialmente.
Mafalda è una signora cinquantenne ma dimostra almeno quindici anni di meno. Potenza della palestra e di una vita sana, impreziosita da un ritocchino chirurgico che le aveva donato una quarta misura da applausi. Proprio sul suo seno, a stento coperto dal top del costume, si puntarono i miei occhi mentre le parlavo e lei se ne accorse.
- Che mi dovevi dire? –
- Ho parlato con Rosa, mi ha raccontato di voi –
Restai un attimo perplesso: perché raccontare alla madre di noi? Eravamo stati molto attenti a non dare adito al benché minimo sospetto, rinunciando per questo anche a qualche occasione per stare insieme. Mi preparai ad una ramanzina da parte sua e attesi che parlasse ancora.
- Vedi Massimo caro, io e mia figlia abbiamo un rapporto molto confidenziale… ed abbiamo anche gli stessi gusti. Quindi non sorprenderti se quando mi ha parlato di te mi sono incuriosita. –
Di colpo mi strappò il lenzuolo di mano e restai con i soli boxer davanti a lei.
- mmmmhhhhh, sì, si intuiva vedendoti in costume ma adesso si vede anche meglio –
Si riferiva al mio uccello. I costumi da bagno che avevo, oltre che scelti appositamente larghi, avevano una specie di slip interno che mi permetteva di occultarlo meglio mentre con i boxer che indossavo scendeva lungo la coscia con i contorni perfettamente visibili.
Scattai in piedi mettendo le mani davanti all’inguine.
- Permetti? –
Senza attendere la risposta si sporse verso di me e, afferratomi per l’elastico dei boxer, li tirò giù, poi scostò le mie mani ed ebbe una visuale perfetta.
- Accidenti, un conto è sentirlo dire ed un conto è vederlo, sei… notevole. –
Proseguendo nel movimento lo prese in mano scuotendolo e lui, la mia nemesi, reagì iniziando a indurirsi.
- mmmmhhhhhh, sì bello, cresci, cresci ancora… fatti vedere per bene –
Mafalda continuava a massaggiarmi, adesso a due mani, l’uccello per ritrovarselo in breve dritto come un fuso, sporgente ad angolo retto dal mio addome.
- Oh cazzo… tu…sei… Priapo –
Per l’ennesima volta udii quel tono di stupore che caratterizzava ogni donna che aveva avuto modo di vedermelo, per la seconda volta, la prima con Rosa, non avvertii invece paura.
- Mafalda… io… lasciami stare dai, tra poco tornano Rodolfo e Rosa. –
Imbarazzato, sentendomi un fenomeno da baraccone, mi aggrappai all’unica scusa che mi venne in mente.
- Non preoccuparti, Rosa mi chiamerà prima di tornare –
Anche da questa frase avrei dovuto capire qualcosa ma già la sua lingua mi stava scorrendo lungo l’asta, dalla punta ai testicoli e indietro, lasciando una scia di saliva.
- mmgggghhh… mmmggghhhh… non ci riesco –
Avendo provato a imboccarlo, senza successo, si accontentò di leccarlo dappertutto, scivolando intorno al glande, premendo sul meato con la punta della lingua con evidente piacere, senza smettere di muovere le mani lungo l’asta.
Oramai non me ne fregava più niente di un eventuale ritorno di Rodolfo e Rosa, non avrei potuto tirarmi indietro nemmeno volendo, e non volevo. Guardare dall’alto il suo viso contornato da corti capelli biondi, la sua lingua che sporgeva verso di me e, sotto, lo spettacolo dei suoi seni, mi ricordò una fantasia che mai avevo potuto realizzare.
- Aspetta –
Le dissi facendola alzare e stendersi sul letto. Mi assecondò togliendosi pareo e slip, guardandomi con un sorriso d’attesa. Probabilmente pensava che volessi ricambiarla e invece avevo altre idee.
Le salii a cavalcioni del busto e le alzai le coppe del top. Comprese le mie intenzioni e mi sorrise lasciva togliendoselo e prendendosi i seni tra le mani.
Con un sospiro di soddisfazione appoggiai il mio cazzo nel solco, subito avvolto dai suoi seni che lei premeva con le mani, e presi a muovermi avanti e indietro, scorrendo nello spazio stretto, sfiorandole le labbra nel momento di massima estensione, la lingua di lei che guizzava accogliendomi ogni volta.
Feci durare la spagnola più che potevo, finalmente sentendomi completamente inglobato come mi era capitato solo scopando con Rosa, e poi le esplosi in viso, rantolando il mio piacere e spandendo densi schizzi di seme sui suoi capelli, sul suo collo, centrando anche la bocca spalancata, e lei che non smetteva di guardarmi stringendo ancora i seni attorno a me e spalmandosi poi lo sperma su tutto il petto.
- Accidenti quanta… beh, è in proporzione. Ce la fai ancora o devi riposare? –
Tornò con la lingua su di me, mugolando di soddisfazione nel sentire che avevo ceduto solo un poco di durezza, e riportandomi al massimo vigore.
- Vieni, fammelo sentire –
Sotto di me si sdraiò sul letto e aprì le cosce. Mi feci indietro tra di esse e puntai il mio affare all’ingresso della vagina.
- mmmhhhhh. Dai, spingi, entrami dentro –
Mi sentii sprofondare nel suo ventre con più facilità di quanto mi aspettassi.
- Fermo, basta così, adesso muoviti –
Mi fermò quando era rimasta fuori forse un terzo della mia asta.
Mi mossi come mi diceva sentendomi avvolgere completamente, lei che si agitava sotto di me gemendo forte, sempre più forte, piantandomi le unghie nella schiena, stringendomi a se e rovesciando indietro la testa in un ululato di piacere che durò per tutto il tempo del suo orgasmo. Era incredibile per me come riuscisse a prendermi senza problemi, meglio, molto meglio di Rosa che era solita procedere cautamente. Arrivò il mio turno di godere e volli farlo non dentro ma sopra di lei, uscendo e segandomi per schizzarle su tutto il corpo, arrivando anche al volto, il mio seme, spargendolo sopra quello ancora sulla sua pelle, coprendole il busto e il collo con densi filamenti biancastri.
- Ho bisogno di una doccia, mi hai sporcata tutta. –
Mi disse dopo qualche minuto di rilassamento in cui restammo a guardarci, stesi fianco a fianco, sorridendoci senza parlare.
- Sei fantastica. Ma come fai a… ? –
- Dopo te lo spiego, adesso ho veramente bisogno di una doccia, facciamola insieme. –
Ci stringemmo, relativamente, nel cubicolo e ci lavammo vicendevolmente indugiando su ogni centimetro della nostra pelle, scherzando allegramente e eccitandoci ancora poco a poco.
Una volta asciugati mi fece una carezza al cazzo, in stato di semi riposo, e mi fece segno di seguirla.
- Vieni con me, adesso soddisferò la tua di curiosità -
Mi condusse nella sua camera e lì aprì il cassetto di un comò tirando fuori tre dildo di fogge e colori diversi, con dimensioni a crescere: il primo già più grande di un pene normale, il secondo che poteva essere la fotocopia del mio ed il terzo… mostruoso, almeno cinquanta centimetri, spesso in proporzione.
- Ti presento i miei tre migliori amici. Ti ho già detto che anche a me piacciono grandi vero? Adesso capisci, sono abituata a loro. –
Scossi il capo incredulo immaginandomi Mafalda che si introduceva primo uno e poi l’altro di quegli affari. Ecco perché riusciva a prendermi senza problemi.
- Mi fanno compagnia spesso, ma uno di carne calda è tutt’altra cosa –
Con occhi vogliosi mi guardò il cazzo che stava tornando su eccitato dall’immagine mentale che mi ero creato. Lo strinse velocemente e poi si diresse al letto.
- Voglio provare un’altra cosa, e sono sicura che tu non l’hai fatto mai, non per come mi ha raccontato Rosa. –
Si mise a quattro zampe sul letto e mi invitò lì accanto.
- Prendi quello più piccolo e ungilo –
Mi disse porgendomi un flacone di lubrificante.
Io presi il dildo “piccolo”, che poi era di più di venti centimetri e forse cinque di diametro, e lo unsi al meglio. Stavo capendo cosa volesse e la cosa mi eccitava enormemente. Forse avrei fatto sesso in un modo che fino a quel momento per me era solo una vana speranza.
- Sì, mettimelo dentro… piano, così, spingi di più, preparamelo per bene –
Le infilai il cazzo di plastica nell’ano senza incontrare troppa resistenza, segno evidente della sua abitudinarietà. Lo mossi avanti e indietro per un po’, roteandolo quando lei me lo chiese.
- mmmmhhhh. Va bene, adesso prova con l’altro. –
L’altro era quello di mezzo. Lo unsi con ancora più cura, lo poggiai sull’ano dilatato e spinsi cautamente. Incontrai più resistenza di prima ma alla fine anche questo era per metà dentro. Lo mossi avanti e indietro, lei che gemeva in continuazione.
- Sì, mmmhhhhhh… aaaaaahhhhhhh, ancora un po’….. mmmhhhhhhh. Adesso Massimo, adesso… mettimi il tuo. –
Non ero più in me dall’eccitazione, avendo quasi rinunciato alla figa prima di incontrare Rosa figuriamoci se potevo immaginare di inculare qualcuna. Abbondai con il lubrificante e, dopo aver tolto il dildo, appoggiai la punta all'ano oscenamente aperto. Entrai facilmente sentendola appena fremere sotto di me. Mancò poco che godessi appena entrato, per la sola idea di stare inculando una donna, un atto che nemmeno nelle mie fantasie più oscene avevo mai osato immaginare realisticamente. Ed invece Mafalda spingeva indietro per farmi entrare ancora di più. Diedi un colpo di reni sprofondando per altri centimetri
- unghhhh... stronzo, fai piano -
- Scusa... -
Fuori di me dall'eccitazione non avevo pensato che se pur abituata non era ancora pronta del tutto. Restai fermo, anzi mi ritirai per una decina di centimetri e poi spinsi ancora in avanti, questa volta lentamente, sentendomi stretto dalla sua carne calda.
- mmmhhhhh, sì, così va bene, muoviti piano. -
Feci come ordinava a poco dopo la sentii agitarsi sotto le mie mani che la tenevano per le anche. Anche lei si muoveva per venirmi incontro e già scorrevo in lei con più facilità di prima.
- Sì...mmmmhhhhhh... dai.... fottimi.... fottimi per bene...aaaaahhhhhhh -
Apprezzava il mio cazzo che le scorreva nell'intestino, una mano tra le gambe a toccarsi gemeva sempre più forte. Io... io ero in paradiso, sembrava che dentro avesse una mano che, contraendosi, me lo stringeva. Mancava poco al mio orgasmo quando sentii un rumore e subito dopo una voce:
- MASSIMO... E MAFALDA... ODDIO CHE SCHIFO! -
Rosa e Rodolfo erano rientrati senza che ce ne accorgessimo e ci avevano beccati.
Mi girai di scatto uscendo dal corpo di Mafalda che emise un urletto di dolore. A due metri da me Rodolfo ci guardava esterrefatto, dietro di lui Rosa che, invece, non pareva così sconvolta.
- Ma che cazzo... rientro e ti trovo che stai sfondando il culo alla mamma della mia ragazza. Vuoi ucciderla con quell'affare? Ma che cazzo... -
Non so voi, ma a me già faceva girare i coglioni dovermi interrompere sul più bello della realizzazione di un sogno, avere poi un amico che mi faceva la morale con aria schifata... beh, mi stavo incazzando. Scesi dal letto e feci passo verso di lui.
- Rodolfo, perché non ti fai i cazzi tuoi? -
Fece un passo indietro, sempre con quell'aria schifata.
- Cosa vuoi fare, inculare anche me con quel coso? E tu Mafalda, non ti vergogni? -
Mafalda, per nulla preoccupata di essere stata sorpresa, reagì cambiando atteggiamento, assumendo un tono duro.
- Come ha detto lui, ci stavamo facendo i cazzi nostri... Non dimenticarti che sei a casa mia e qui faccio quello che mi pare, senza rendere conto a te. -
Non trovando appoggio in lei Rodolfo si girò verso Rosa.
- E tu? Non hai niente da dire? -
Rosa rispose con un'alzata di spalle:
- Mamma non è sposata, può fare quello che vuole -
Sbuffando Rodolfo girò su se stesso e uscì dalla stanza. Sentimmo dei rumori dalla camera che divideva con Rosa e poco dopo la porta sbattere ed un'auto partire.
Rosa andò di là a controllare e tornò subito:
- Se ne è andato. Ha preso la sua roba e se ne è andato. -
poi scoppiò a ridere:
- Guardati, sembri un soldato pronto all'attacco. Attento, metti la sicura al bazooka o fai una strage -
In effetti avevo mantenuto la mia posa aggressiva, baricentro abbassato, schiena appena china, muscoli tesi e... il mio affare che ancora duro puntava davanti a me come un cannone.
Mafalda si unì alla risata della figlia e subito lo feci anche io. Mi sedetti sul letto rilassandomi e chiesi scusa a Rosa:
- Mi dispiace se questo influirà sui rapporti tra te e Rodolfo, però vedi, io e Mafalda... -
- Stai tranquillo, sapevo già di trovarvi insieme, è solo che non ho fatto in tempo a fermarlo. Certo pure voi due, lasciare la porta aperta... -
- Sapevi? -
- Sì, raccontando di te a mamma in pratica l'ho invitata a... “provarti”. La conosco. Non hai sentito la mia chiamata?-
- No, ho lasciato il telefono di là. Infatti lo stavo “provando”, e provando per bene quando siete arrivati. Dovremo ricominciare da capo Massimo, vedo che ti stai rilassando troppo. -
Mafalda si intromise nel discorso, accennando al mio affare che stava reclinando il capo. In un tardivo sussulto di pudore portai le mani all'inguine, senza riuscire ovviamente a coprirlo, facendo ridere entrambe.
- Ora ti nascondi? Troppo tardi, lo conosciamo bene tutte e due... -
Rosa rideva sguaiatamente ma Mafalda invece si fece di colpo seria. Mi prese per un braccio tirandomi e facendomi stendere sul letto e si chinò, in ginocchio sul letto, prendendomelo con entrambe le mani.
- Io e lui abbiamo una cosa in sospeso... Rosa, mi aiuti? -
- Certo mamma, arrivo subito. -
Sotto i miei occhi spalancati dallo stupore, mentre Mafalda mi carezzava l'asta per tutta la sua lunghezza, Rosa si tolse gli abiti e, rimanendo completamente nuda, si inginocchiò sul letto dall'altra parte aggiungendo le sue mani a quelle della madre.
Mafalda alzò gli occhi e mi sorrise:
- Beh, te l'ho detto che io e mia figlia abbiamo un rapporto un po' particolare. -
Sì, io e la mamma ci siamo già divise qualche maschietto, non siamo gelose l'una dell'altra. -
Lo stupido che è in me colse l'occasione per venire fuori:
- Anche Rodolfo? -
Mafalda mi guardò stranita:
- No, quello è uno stronzo e l'ha appena dimostrato. -
- Dai mamma, non offendere il mio fidanzato. -
- Da oggi credo sia ex, ma lasciamo perdere e pensiamo a Massimo. Ce la fai a farne un'altra se ora godi? Voglio sentirti ancora... dietro -
Riuscii solo ad annuire eccitato, le loro quattro mani che stringevano e roteavano sull'asta, le loro lingue che si alternavano sulla cappella. Mi leccarono e succhiarono insieme, passandoselo l'una con l'altra, per forse un paio di minuti, dopo di che esplosi senza riuscire a trattenermi, inondando i loro volti col mio seme, sporcando facce e capelli senza che smettessero per un istante di usare lingua e mani su di me.
Adesso sono laureato e ho scelto di lavorare in una città sul mare. Sì, esatto, dove c'è la madre di Rosa. Ah, a proposito, Rosa e Rodolfo si sono lasciati appena rientrati in facoltà. Io ho dovuto cercarmi un'altra casa ma è stato facile... sono andato a vivere con Rosa, e ancora vivo con lei, nella stessa casa della madre... ed usiamo un solo letto matrimoniale.
Ma che ne sapete voi di cosa vuole dire averlo abnorme?
Mi chiamo Massimo (chissà se è stata una scelta goliardica quella dei miei genitori di chiamarmi così) e mi presento: Sono alto 182 centimetri, peso 75 chilogrammi, sono bianco (a scanso di equivoci, non sono evidentemente quello di whatsapp) e il mio “affare" misura… 24 centimetri a riposo e 35 in erezione, con un diametro, eretto, di otto centimetri.
Beato te dirà qualcuno… BEATO UN CAZZO! Sì, proprio, il mio.
Finché ero ragazzino, e non badavo a certe cose, ero quasi orgoglioso quando una qualche zia ricordava a mia madre i tempi in cui mi cambiavano il pannolino e vedevano “quella cosa” sul mio inguine. Oh, ci avranno certo riso ed io, beato infante, avrò riso vedendo loro, senza poter immaginare cosa sarebbe successo poi.
Il primo shock l’ho avuto nella pubertà, con la mia prima erezione spontanea, quando mi misi quasi a piangere vedendo quel palo che si ergeva dal mio inguine (e ancora non era arrivato alle dimensioni attuali) e non sapevo spiegarmi cosa succedesse al mio corpo.
Per farla breve racconterò succintamente i periodi successivi, cioè quelli in cui la perfidia dei ragazzi con cui magari facevo la doccia dopo la scuola calcio (ero un discreto centrocampista fino a che ho smesso, quasi subito anche per quel motivo) li induceva a prendermi in giro davanti a tutti: “Dumbo”, e non era per le orecchie; “Artigliere”, ed altri soprannomi ancora per irridermi. I più smaliziati mi chiamavano “Rocco” ma durò poco: crescendo sembrava un complimento.
E complimento misto a invidia forse lo era, ma io soffrivo questa forma di bullismo, mi sembrava di essere un marziano capitato per caso sul pianeta terra, e ciò mi ha portato a chiudermi in me, a “nascondermi”.
D’altronde che ne potete sapere della coltellata al cuore che è il vedere la ragazzina che mi piaceva e con cui stavo iniziando un filarino scappare… sì, letteralmente “scappare”, dopo esserci scambiati teneri baci, quasi i miei primi, aver assaggiato la morbidezza del suo seno, delle sue cosce. Solo perché, eccitato, lo avevo tirato fuori. Non scorderò mai la sua faccia mentre già tendeva la mano per impugnarlo e darmi quella soddisfazione che anelavo, la mia prima sega fatta da mani diverse dalle mie.
Sorpresa, sgomento… paura. Si alzò dalla panchina del parco dove ci eravamo appartati e corse via senza voltarsi indietro, e da quel momento, a scuola, mi evitò accuratamente.
Certo, la voce iniziava a girare e intuivo tanta curiosità nelle ragazze che conoscevo: sorrisi maliziosi, battutine ambigue ma mai, mai più ebbi l’occasione di appartarmi con qualcuna. Al dunque si tiravano indietro. Negli anni ho imparato a destreggiarmi con i vari problemi: mai indossare slip, non c’entrava, molto meglio i più comodi boxer, rigorosamente con pantaloni larghi. Ma attenzione a non eccitarsi in momenti inopportuni perché se ero seduto erano dolori, se ero in piedi rimediavo figure di palta.
Quindi grandi seghe mattutine per affrontare la giornata con i sensi in pace o quasi, e nonostante questo diverse volte dovetti eclissarmi facendomi anche la fama di misantropo. E misantropo lo diventai per necessità, preferendo rimanere da solo piuttosto che affrontare situazioni imbarazzanti o, peggio, rivedere ancora la paura sul volto di una ragazza.
Provai anche con delle prostitute ma quelle da strada, bianche o nere che fossero, si ritraevano anch’esse al momento clou e io, mortificato, tagliavo corto rinunciando anche a una soddisfazione di labbra e/o lingua (a proposito, avete idea di quanto sia difficile trovare profilattici di taglia maxi? Altro problema non da poco). Unico successo, parziale, una escort, quando decisi di provare “il livello superiore”, e questa ve la voglio raccontare.
Allora, nella mia condizione di “morto di figa”, nel senso che le donne mi piacevano, eccome, ma non battevo chiodo per i motivi sopra detti, dopo l’ennesimo
- No… assolutamente no… vai a scopare tua sorella –
dettomi da una biondina slavata trovata in fondo al viale, nel momento in cui tirai fuori l’uccello e speravo fosse la volta buona, pensai che una escort, vera professionista del sesso, potesse “accettarmi”.
Così vagliai diverse pagine internet decidendomi infine per una ragazza di origini sudamericane che si faceva chiamare Carmen. Il prezzo era di 600 euro, un bel colpo per le mie finanze da universitario, ma almeno sul lato economico avevo meno preoccupazioni grazie ai miei genitori.
Mi presentai a casa sua puntualissimo, portai persino una rosa rossa con me pensando di attirare il suo benvolere. La gradì molto, non se l’aspettava, e fu gentilissima facendomi accomodare nella sua camera e iniziando a spogliarsi mentre invitava me a fare altrettanto. Mi denudai al rallentatore per ammirare il suo corpo che si mostrava via via che gli abiti cadevano.
- Sei bellissima… -
Ammiravo i suoi seni sodi, appena scoperti da un reggiseno di pizzo nero volato da qualche parte. Mi sorrise:
- Grazie… sei gentile. Spogliati completamente, in un attimo sono da te –
Continuai ad ammirarla mentre si girava e, chinandosi, si toglieva il perizoma. La visione del suo culetto e, più sotto, dell’apertura della vagina, mi mandò a mille. In un lampo mi spogliai restando in piedi, l’uccello che sporgeva dritto come un fuso. Si girò e il sorriso le sparì dalle labbra che restarono aperte, spalancate dallo stupore.
- Oh… mamma mia… non è possibile…ma è vero? –
Un moto di orgoglio me lo fece afferrare muovendolo a destra e sinistra per mostrarle che non era uno scherzo.
- E’… un monumento, un obelisco… è troppo grande…io non credo… di riuscire a prenderlo –
Il mondo mi crollò addosso, le mie aspettative svanirono in un istante. Se anche lei aveva problemi, se dubitava di potercela fare…
Mi sedetti sul letto prendendomi la testa tra le mani, bestemmiando tra me e me, a un passo dalle lacrime. Mi venne accanto e mi pose una mano sulla spalla chiedendomi cosa avessi e le mie dighe crollarono. Accorato le raccontai in pratica la storia della mia vita, delle umiliazioni, delle sofferenze, delle voglie insoddisfatte, dei desideri, delle speranze che avevo in lei. Parlai per una ventina di minuti ed in tutto il tempo lei mi carezzò lievemente la spalla dicendo parole di conforto. Quando terminai e mi stavo asciugando le lacrime, già mi sentivo meglio per lo sfogo, mi prese una mano tra le sue e mi parlò, nonostante la poca differenza di età (avrà avuto 26-27 anni), con tono materno:
- Mi dispiace, credimi. Ne ho visti di cazzi ma come il tuo… mi rovineresti, non potrei lavorare per giorni. –
Sospirai sconsolato:
- Mi devo rassegnare ad una vita di seghe allora, se nemmeno tu… -
- Non buttarti giù, noi donne non siamo tutte uguali. Prima o poi ne troverai una che potrà prenderti dentro. Fino ad allora però… perché dovresti andare avanti a seghe? –
Il suo tono divenne malizioso, mentre lasciava la mia mano e scendeva al mio ventre impugnando il mio uccello ritornato a stato di riposo.
- Accidenti… anche così è più grosso del più grosso che ho mai preso… aspetta… -
Mi si inginocchiò davanti afferrandolo con entrambe le mani, scuotendolo e facendogli prendere vigore fino a che non raggiunse il massimo turgore.
- Accidenti e ancora accidenti… non riesco nemmeno a stringergli la mano intorno… sembra un ramo d’albero… -
Una lappata golosa della lingua sulla cappella mi fece sobbalzare. Prese a leccarmi tenendolo stretto tra le mani e ad ogni leccata parlava magnificandone l’imponenza.
- E’ grande… slap… è enorme… slap… mette paura, ma non credere… slap…che non mi metta voglia addosso… slap… se solo potessi… slap… . Mi piace, mi piace questo cazzo gigante… slap… e a te piace così? --- slap… grrrffff… accidenti, non riesco nemmeno a farlo entrare in bocca… slap… mi sto bagnando anche io sai?… slap… A leccartelo… aspetta… grrrffff mmmhhhhh… no, non riesco proprio a prenderlo… slap… -
No, non fingeva, la sua voce era veramente eccitata, me lo dimostrò la mano che si portò tra le cosce. e il sapere, il vedere che quella splendida donna si eccitava per me mi eccitò a mia volta più della sua lingua che scorreva su tutta l’asta, lambiva il glande, si insinuava nel meato. Nel momento in cui chiuse le labbra sulla punta, pur senza riuscire a prenderla tutta, sentii come una scossa elettrica partirmi dalle reni e mi contorsi in un orgasmo che non aveva paragoni con quelli procuratimi da me stesso.
- Eccolo… lo sento… vibra… vibra… ooohhhhhh….. sì, vienimi in faccia… ggglloooomm… mmmmhhhh… quanta… quanta ne hai…. Ancora, spruzzami tutta –
Avvertendo i sintomi dell’orgasmo, Carmen tolse la bocca scuotendo l’uccello, muovendo le mani lungo l’asta mentre densi schizzi bollenti fuoriuscivano colpendola al viso, nella bocca che portò di nuovo sulla cappella senza riuscire a fermare, a trattenere, il flusso del mio piacere. Usò il mio cazzo come un idrante dirigendone i getti sul seno, sul viso, e ancora ne usciva, meno violentemente, con schizzi meno corposi. Alla fine era totalmente impiastricciata e quando ripresi contatto con la coscienza la prima cosa che vidi fu il suo sorriso sul viso striato di bianco.
Forse impietosita dalla mia storia, forse veramente eccitata dalla situazione, forse per orgoglio professionale, forse per tutte le cose insieme, si ridusse la “parcella” a 300 euro, che pur sono tanti per un mezzo pompino ma pochi, molto pochi per la riacquistata sicurezza in me che elaborai la sera ripensando all’accaduto e allo squisito piacere provato grazie a lei.
Mi diedi dell’imbecille più volte per non averci pensato da solo, e più volte mi perdonai ricordando il senso di mortificazione provato in quelle occasioni, la voglia di fuggire che mi prendeva ricevendo un no. Da quel momento tutto sarebbe cambiato: non potevo scopare? Beh, mi sarei “accontentato” nel mentre cercavo la donna della mia vita o, più prosaicamente, una figa bella larga adatta al mio affare.
Non che d’improvviso diventasse tutto rose e fiori, ma il mio rapporto col gentil sesso cambiò radicalmente. Non fui più un musone solitario e cominciai a frequentare più assiduamente compagni e compagne di facoltà, a accettare con gioia gli sguardi di interesse di qualcuna.
Avevo il solito problema delle improvvise erezioni in momenti non consoni ma il più delle volte bastava chiedere di andare alla toilette per sottrarmi all’imbarazzo, attendere il rilassamento e tornare insieme agli altri/e.
La prima volta che provai un approccio “intimo” rividi ancora stupore, sgomento, paura sul volto della lei di turno, ma questa volta sapevo come gestire la cosa: non più fughe vergognose ma l’ostentazione di sicurezza (che poi tanto tanto non avevo). Il più delle volte era sufficiente quando lei era una mia coetanea non troppo esperta
Fu un periodo in cui non allacciai legami sentimentali “seri” ma in compenso ricevetti tante seghe, tanti pompini (solo una riuscì a metterselo in bocca, almeno la testa, quasi soffocando quando godetti senza avvertirla) e scoprii un gioco che mi piacque molto:
In sostanza, e a voi sembrerà una cosa normale ma per me era nuovo, consisteva nel massaggiare con il mio affare le labbra intime di lei. A volte da dietro, col mio uccello che scorreva tra le sue cosce urtando a ripetizione grandi labbra e clitoride, a volte da davanti, stesso movimento, a volte, il mio preferito, con lei distesa su letto o divano e io che facevo scorrere il mio uccello sopra di lei, arrivando in qualche occasione a puntarlo sull’ingresso della vagina e lasciarlo lì, a dilatare le labbra intime. Piaceva molto anche a loro. Nessuna penetrazioni per carità, e diventai anche un buon linguista, ma tanta soddisfazione reciproca.
Per me, che prima fuggivo davanti agli sguardi degli altri, era un paradiso. Tra l’altro lo spargersi della voce ribaltò lo scenario che avevo vissuto, anzi subito, da adolescente. Divenni “popolare”. Non più scherno ma battute spesso amichevoli, una volta anche da un docente, da parte dei maschi; risatine maliziose delle ragazze quando pensavano che non le vedessi e tante… beh, non esageriamo, diverse ragazze che cominciarono a farmi “gli occhi dolci”.
La mia vita sessuale era rivoluzionata e, mentre continuava la mia ricerca di un “ambiente ospitale e ricettivo”, proseguiva la mia carriera universitaria.
Rodolfo: l’incontro con lui cambiò ancora la mia vita. No, non nel senso che pensate voi, sono etero e nemmeno curioso, cambiò per ciò che comportò successivamente.
All’inizio del terzo anno dovetti cambiare casa e ne presi una con lui, mio compagno di corso con cui andavo abbastanza d’accordo. Trovammo subito un’intesa efficiente ed efficace. In comune avevamo la cucina ed il salotto, dove studiammo diverse volte insieme, poi ognuno aveva una sua camera, spaziosa, dove trovare all’occorrenza della privacy.
Rodolfo stava insieme a Rosa, universitaria anche lei ma di un’altra facoltà, e capitò di uscire insieme qualche volta o di trovarsi, più spesso, a casa. Sentivo anche i “rumori” che provenivano dalla sua stanza quando si appartavano, ma poiché anche loro potevano udire i “rumori” fatti da me quando mi appartavo io con qualche ragazza la partita era pari e ognuno se ne fregava altamente.
Ad ogni modo, con Rodolfo nacque una bella amicizia e, per estensione, lo fu anche con Rosa. Amicizia, quindi confidenza. Senza entrare nel profondo ma stavamo bene tutti assieme. La svolta di cui parlavo avvenne quando Rodolfo ebbe problemi a casa che lo turbarono compromettendogli lo studio e, di riflesso, il rapporto con Rosa. Era nervoso, svogliato, irascibile, taciturno. Di colpo non era più la bella compagnia di un tempo. Cercai di essergli vicino per quanto potevo ma purtroppo non potei aiutarlo, anzi cara grazia che non mi mandò a quel paese come fece con altri amici che volevano aiutarlo anche loro.
Per farla breve, un fine settimana che Rodolfo tornò a casa di fretta per un qualcosa, ci ritrovammo abbandonati io e Rosa a casa. Lei prima si lamentò e poi si sfogò con me. Era sinceramente innamorata di lui ma non ce la faceva più a sopportare la situazione.
Anche sul piano sessuale, mi disse, non era più come prima. Difatti non li vedevo più appartarsi con la stessa frequenza e spesso li sentivo litigare.
- Cazzo Massimo, ti pare possibile che io sia costretta a fare da me? L’altra settimana avevo bisogno di allentare la tensione prima dell’esame e… di solito io e Rodolfo ci facciamo un fine settimane di scopate così il lunedì sono tranquilla, rilassata e pronta. E invece quello stronzo si incazza perché ho messo la minigonna. Ma ti pare possibile? Non ha mai detto nulla, anzi gli piace quando le metto e adesso… Insomma, ho passato metà della notte con le dita ficcate dentro e il lunedì invece che rilassata ero stanca morta. Ventisei… maledizione, ventisei per une esame dove meritavo almeno 30 se non la lode, e tutto perché ero stanca e nervosa e facevo fatica a ragionare davanti al professore. E adesso prende e parte, e non perché, per fortuna, qualcuno a casa ha problemi di salute, ma perché deve parlare urgentemente col fratello. Già, deve parlargli di persona, non per telefono, e non può aspettare, deve farlo subito. Maledizione a tutti e due. –
Cercai di consolarla con le solite frasi sul momento transitorio, che Rodolfo presto sarebbe tornato quello di prima eccetera eccetera. Niente, più parlava e più si arrabbiava. Alla fine dovetti bloccarla con decisione:
- Rosa basta, vai di là a darti una rinfrescata e cerca di pensare ad altro o te ne fai una fissa. Guarda, preparo uno spuntino per quando torni, ma basta pensare a Rodolfo eh? –
Mi guardò in modo strano, in effetti era la prima volta che “le imponevo” qualcosa, ma andò di là lo stesso. Al ritorno sembrava rasserenata. Sbocconcellammo qualcosa parlando del più e del meno e poi ci accomodammo sul divano per guardare qualcosa in TV.
- Scusami Massimo, non dovevo farti carico dei miei problemi, specie di quelli sessuali. Piuttosto a te come va? Non ne abbiamo mai parlato tanto, per esempio non so se hai una ragazza. –
- No, sono single –
- Mi pare strano, anche se ti ho visto con qualcuna, per caso sei… -
- No… non sono gay se è questo che intendevi. Semplicemente non ho ancora trovato quella giusta –
Quella giusta… dentro di me riflettei sulla veridicità di quella frase fatta. Cercavo veramente quella giusta senza riuscire a trovarla.
Restammo alcuni attimi in silenzio e, girandomi verso di lei, vidi che mi guardava sorridendo, un sorriso tra il malizioso ed il perculativo. Le chiesi spiegazioni.
- Scusami ancora Massimo è che… Rodolfo mi ha parlato di te e del tuo… problema. Lo so benissimo che sei da solo e so anche il perché. Senza contare la voce che gira tra noi ragazze dell’ateneo. –
Stavo per arrabbiarmi per essere stato preso in giro su quell’argomento per me così sensibile, e un tempo l’avrei fatto sicuramente ma ora, che pur senza ottenere quel che volevo mi ritenevo abbastanza soddisfatto, accettai lo scherzo e ridacchiai insieme a lei.
Rimanemmo in silenzio ancora qualche istante e poi la sua voce, in tono basso, appena udibile, mi giunse come un fulmine alle orecchie. –
- Massimo, vorrei chiederti… me lo fai vedere? –
La guardai stranito dalla sua richiesta.
- Non mi sembra una richiesta ortodossa, perché vuoi vederlo? –
- E’ che… sento le mie amiche parlare di te, del tuo affare. Ognuna lo descrive in termini diversi ma tutte concordano sul fatto che sia… fuori del normale. Sono curiosa. –
- Lo è… purtroppo per me lo è. –
Risposi tristemente, colpito nel vivo. Poi mi alterai:
- Perfetto: scopro che Rodolfo ti svela le mie confidenze e che sono oggetto di conversazione e derisione da parte delle ragazze. Che bella giornata di merda oggi. Chi ti ha parlato di me? Cosa ti ha detto?
- Non posso dirti chi, è qualcuna che è stata con te e… beh, non era per deriderti, anzi. Mi ha raccontato che le hai messo paura, che non è riuscita a prenderlo e che ha dovuto lavorare di mani e bocca per… Insomma, è così grande davvero? –
Ero vicino all’esasperazione e feci un gesto teatrale alzandomi e tirando giù pantaloni e mutande.
- Giudica tu –
Rosa sgranò gli occhi trovandosi davanti il mio affare nemmeno in erezione. Lo guardò, penzolante a meno di mezzo metro dai suoi occhi, con aria prima stupita, poi interessata e infine, restai sorpreso io… voglia.
- E’… è… è… gigantesco. Non ne ho mai visto uno così. Cresce ancora? –
Senza chiedere il permesso allungò una mano per toccarlo. Prima timidamente, come se avesse paura di scottarsi, poi con più decisione, palpandolo per accertarsi che fosse reale. Ovviamente le sue manovre mi fecero reagire e il mio affare, come un serpente che esce dalla tana, iniziò a sollevare la testa.
- Non posso crederci, sta crescendo ancora… –
L’altra mano raggiunse la prima e insieme scorsero su e giù portandomi alla piena erezione.
- Oh mamma… è… enorme. Non riesco a tenerlo –
La situazione mi intrigava. Mentre lei mi masturbava con entrambe le mani, pienamente concentrata sulla carne dura che stringeva, io azzardai:
- Adesso che l’hai visto che vuoi fare? –
Mi guardò dal basso verso l’alto con un’aria strana, poi spalancò la bocca e la appoggiò sulla punta:
- Mmmggghhh… non ci riesco, aspetta… mmmggghhhhhh… Accidenti, posso prenderne appena la punta –
Una scena già vista da parte mia: una bella ragazza che chiude le sue labbra intorno alla punta del mio uccello, il calore della sua bocca, il tocco della sua lingua. Però questa volta si trattava della ragazza del mio amico. Sinceramente stavo per tirarmi indietro, già preda del rimorso. Fu la voglia evidente che traspariva da ogni sua mossa, l’entusiasmo con cui usava la lingua su tutto il cazzo, l’ardore con cui cercava, a più riprese, di metterselo in bocca. Tutto questo mi fecero restare a godermi le sue attenzioni mettendo da parte ogni scrupolo. E fu un bene, o la mia vita non sarebbe cambiata.
Rosa si dedicò per diversi minuti al mio cazzo, continuando a riempirmi, anzi riempirlo, di complimenti. Solo dopo un tempo che mi parve interminabile mi tirò giù sul divano facendomi stendere e, dopo essersi tolta gonna e mutandine, salendomi sopra. Si puntò l’uccello sull’apertura della vagina e prese a scendere.
A quel punto mi preparavo a vedere il suo scorno nel constatare l’impossibilità di farlo entrare e invece…
Un labbro stretto tra i denti, l’espressione totalmente concentrata, scese giù lentamente, in pratica sedendovisi sopra. Di colpo sentii il calore del suo ventre avvolgermi la cappella. Era riuscita là dove altre (quelle pochissime che avevano provato, rinunciando quasi subito) avevano fallito. Non si fermò. Io la guardavo stupito, già un terzo del mio cazzo era dentro di lei ed io finalmente provavo quella sensazione stupenda che tutti conoscete. Scese ancora fermandosi a metà e guardandomi trionfante.
- Lo sento… Dio se lo sento, mi riempie tutta. –
Poi, posso immaginare che faccia potevo avere, risalì e riscese ancora sorridendomi.
- Mi piacciono grandi –
Una spiegazione per l’abbondante flusso di succhi che vedevo bagnare l’asta fuoriuscendo dalla vagina ma non per la sua capacità. Parve intuire e continuò la spiegazione.
- Sono larga e profonda tesoro mio… e anche così non riesco più di questo… mmmmmhhhhh, me lo sento contro l’utero… non muoverti o mi sventri, lascia fare a me. –
Immobile, calcolando che ero almeno una ventina di centimetri dentro di lei, forse più, mi guardai bene dal protestare. Il mio sogno si era avverato, avevo trovato la mia metà complementare... STAVO SCOPANDO, dopo tanto penare una donna mi prendeva dentro di se… e le piaceva.
- OOOOHHHHHHH… che cazzo che hai… che cazzo che hai… -
La vedevo godere e accelerare i movimenti, le gambe che le tremavano nello sforzo, le mani sui seni a tormentarsi i capezzoli… e la sua figa che saliva e scendeva, nascondendo e facendo riapparire il mio cazzo sempre più lucido dei suoi umori.
- Rosa… sto per venire. –
La avvertii non riuscendo più a trattenermi.
- Sì tesoro, voglio sentirti… vieni… vieni… vieniiiiIIIIIHHHH –
Si contorse nell’orgasmo e io mi lasciai andare. Forse spinsi verso l’alto nello spasimo, non ricordo, ma lei non si mosse lasciando che le riempissi la figa con il mio seme bollente che eruttò copioso. Quando mi rilassai e lei si alzò, il mio cazzo ricomparve bagnato dei nostri umori mescolati e, quando fui fuori da lei, un fiotto bianco sgorgò dalla sua vagina mentre lei si buttava indietro sul divano esausta.
Ci misi un paio di minuti a riprendermi dal più bell’orgasmo mai avuto fino a quel momento, poi mi alzai e mi stesi di fianco a lei abbracciandola possessivamente. Un pizzico di dispiacere per Rodolfo mi assalì, ma non potevo e non volevo lasciarla andare ora che l’avevo trovata. Le nostre bocche si unirono in un bacio umido e lascivo e mi addormentai felice.
Al risveglio eravamo ancora abbracciati. Ci scambiammo tenerezze poi andammo sotto la doccia, insieme, carezzandoci vicendevolmente. Avrei voluto prenderla ancora, il mio uccello aveva tirato ancora su la testa, ma lei mi fermò:
- No tesoro, non me la sento, mi hai aperta tutta… però posso farti godere così… -
E nel dirlo si inginocchiò sul piatto della doccia e, sotto il getto scrosciante dell’acqua, mi fece il più bel pompino che potessi desiderare facendosi sborrare prima in bocca e poi addosso, le strisce bianche portate subito via dall’acqua.
Iniziò così la mia storia con lei, e ogni volta che ci pensavo mi sentivo in colpa verso Rodolfo ma non potevo più fare a meno degli incontri che ci ritagliavamo come potevamo.
Rosa mi confessò che sin dalla sua prima volta aveva una predilezione per le “taglie forti”. Non che facesse la smorfiosa snobbando quelli più piccoli, semplicemente faceva una netta distinzione tra sentimenti e sesso, alla ricerca dell’uomo che l’avrebbe soddisfatta in entrambi gli aspetti. Per me aveva una simpatia ma amava Rodolfo e non avrebbe mai fatto quello che aveva fatto se non fosse stato per quel periodo di crisi con lui, incentivata dalla conoscenza delle mie dimensioni. Non si era mai posta problemi, invece di spaventarsi, come tante altre (mi spiegò che tranne qualche caso tutte avrebbero potuto prendermi, almeno in larghezza: “ci passa un bambino” era la sua spiegazione per quel che riteneva un problema di testa e non fisico), lei si bagnava di più vedendo un cazzo grande. Era come una sfida con se stessa per vedere quanto riusciva a prenderne.
Con me aveva faticato di più ma era pienamente soddisfatta, forse per lei era anche una specie di compensazione per il brutto periodo che stava passando con Rodolfo e non aveva la minima intenzione, come me del resto, di interrompere la nostra relazione atipica.
Il rapporto parallelo andò avanti ancora fino all’estate, quando portò Rodolfo al mare, a casa di sua madre, una bella donna divorziata, e… invitarono anche me a far loro compagnia per un po’.
Non vi dico che strazio fu per me sentire Rodolfo e Rosa che facevano sesso dall’altra parte della parete, le nostre camere erano adiacenti. Mi sentivo geloso ma non potevo farci niente. Mi rendevo conto che per Rosa ero solo una storia di sesso, che i suoi sentimenti erano per Rodolfo, ma mi accontentavo delle briciole che lei mi regalava, non potevo fare altrimenti.
Lei era gentile, dolce, premurosa, ma quando c’era Rodolfo era tutta per lui.
Un pomeriggio che loro due erano andati in spiaggia, decisi di restare in camera a cazzeggiare. Al limite avrei fatto una passeggiata ma non avevo voglia di rosolarmi al sole vedendo loro due ridere e scherzare insieme.
Stavo con i soli boxer, per il caldo opprimente, cercando di leggere un libro prestatomi dalla madre, quando sentii aprire la porta e Mafalda, la madre appunto, entrò nella mia stanza.
- Massimo, posso? Scusa, ti volevo dire una cosa –
Mi coprii col lenzuolo e le feci cenno di entrare.
- Scusami, fa così caldo e non pensavo che entrasse qualcuno. –
- Non preoccuparti, ti ho già visto in costume e poi fa sempre piacere vedere un bel ragazzo senza vestiti addosso. –
Questa frase avrebbe dovuto avvertirmi che c’era qualcosa di strano nel suo comportamento, anche perché aveva il costume e un pareo che la copriva solo parzialmente.
Mafalda è una signora cinquantenne ma dimostra almeno quindici anni di meno. Potenza della palestra e di una vita sana, impreziosita da un ritocchino chirurgico che le aveva donato una quarta misura da applausi. Proprio sul suo seno, a stento coperto dal top del costume, si puntarono i miei occhi mentre le parlavo e lei se ne accorse.
- Che mi dovevi dire? –
- Ho parlato con Rosa, mi ha raccontato di voi –
Restai un attimo perplesso: perché raccontare alla madre di noi? Eravamo stati molto attenti a non dare adito al benché minimo sospetto, rinunciando per questo anche a qualche occasione per stare insieme. Mi preparai ad una ramanzina da parte sua e attesi che parlasse ancora.
- Vedi Massimo caro, io e mia figlia abbiamo un rapporto molto confidenziale… ed abbiamo anche gli stessi gusti. Quindi non sorprenderti se quando mi ha parlato di te mi sono incuriosita. –
Di colpo mi strappò il lenzuolo di mano e restai con i soli boxer davanti a lei.
- mmmmhhhhh, sì, si intuiva vedendoti in costume ma adesso si vede anche meglio –
Si riferiva al mio uccello. I costumi da bagno che avevo, oltre che scelti appositamente larghi, avevano una specie di slip interno che mi permetteva di occultarlo meglio mentre con i boxer che indossavo scendeva lungo la coscia con i contorni perfettamente visibili.
Scattai in piedi mettendo le mani davanti all’inguine.
- Permetti? –
Senza attendere la risposta si sporse verso di me e, afferratomi per l’elastico dei boxer, li tirò giù, poi scostò le mie mani ed ebbe una visuale perfetta.
- Accidenti, un conto è sentirlo dire ed un conto è vederlo, sei… notevole. –
Proseguendo nel movimento lo prese in mano scuotendolo e lui, la mia nemesi, reagì iniziando a indurirsi.
- mmmmhhhhhh, sì bello, cresci, cresci ancora… fatti vedere per bene –
Mafalda continuava a massaggiarmi, adesso a due mani, l’uccello per ritrovarselo in breve dritto come un fuso, sporgente ad angolo retto dal mio addome.
- Oh cazzo… tu…sei… Priapo –
Per l’ennesima volta udii quel tono di stupore che caratterizzava ogni donna che aveva avuto modo di vedermelo, per la seconda volta, la prima con Rosa, non avvertii invece paura.
- Mafalda… io… lasciami stare dai, tra poco tornano Rodolfo e Rosa. –
Imbarazzato, sentendomi un fenomeno da baraccone, mi aggrappai all’unica scusa che mi venne in mente.
- Non preoccuparti, Rosa mi chiamerà prima di tornare –
Anche da questa frase avrei dovuto capire qualcosa ma già la sua lingua mi stava scorrendo lungo l’asta, dalla punta ai testicoli e indietro, lasciando una scia di saliva.
- mmgggghhh… mmmggghhhh… non ci riesco –
Avendo provato a imboccarlo, senza successo, si accontentò di leccarlo dappertutto, scivolando intorno al glande, premendo sul meato con la punta della lingua con evidente piacere, senza smettere di muovere le mani lungo l’asta.
Oramai non me ne fregava più niente di un eventuale ritorno di Rodolfo e Rosa, non avrei potuto tirarmi indietro nemmeno volendo, e non volevo. Guardare dall’alto il suo viso contornato da corti capelli biondi, la sua lingua che sporgeva verso di me e, sotto, lo spettacolo dei suoi seni, mi ricordò una fantasia che mai avevo potuto realizzare.
- Aspetta –
Le dissi facendola alzare e stendersi sul letto. Mi assecondò togliendosi pareo e slip, guardandomi con un sorriso d’attesa. Probabilmente pensava che volessi ricambiarla e invece avevo altre idee.
Le salii a cavalcioni del busto e le alzai le coppe del top. Comprese le mie intenzioni e mi sorrise lasciva togliendoselo e prendendosi i seni tra le mani.
Con un sospiro di soddisfazione appoggiai il mio cazzo nel solco, subito avvolto dai suoi seni che lei premeva con le mani, e presi a muovermi avanti e indietro, scorrendo nello spazio stretto, sfiorandole le labbra nel momento di massima estensione, la lingua di lei che guizzava accogliendomi ogni volta.
Feci durare la spagnola più che potevo, finalmente sentendomi completamente inglobato come mi era capitato solo scopando con Rosa, e poi le esplosi in viso, rantolando il mio piacere e spandendo densi schizzi di seme sui suoi capelli, sul suo collo, centrando anche la bocca spalancata, e lei che non smetteva di guardarmi stringendo ancora i seni attorno a me e spalmandosi poi lo sperma su tutto il petto.
- Accidenti quanta… beh, è in proporzione. Ce la fai ancora o devi riposare? –
Tornò con la lingua su di me, mugolando di soddisfazione nel sentire che avevo ceduto solo un poco di durezza, e riportandomi al massimo vigore.
- Vieni, fammelo sentire –
Sotto di me si sdraiò sul letto e aprì le cosce. Mi feci indietro tra di esse e puntai il mio affare all’ingresso della vagina.
- mmmhhhhh. Dai, spingi, entrami dentro –
Mi sentii sprofondare nel suo ventre con più facilità di quanto mi aspettassi.
- Fermo, basta così, adesso muoviti –
Mi fermò quando era rimasta fuori forse un terzo della mia asta.
Mi mossi come mi diceva sentendomi avvolgere completamente, lei che si agitava sotto di me gemendo forte, sempre più forte, piantandomi le unghie nella schiena, stringendomi a se e rovesciando indietro la testa in un ululato di piacere che durò per tutto il tempo del suo orgasmo. Era incredibile per me come riuscisse a prendermi senza problemi, meglio, molto meglio di Rosa che era solita procedere cautamente. Arrivò il mio turno di godere e volli farlo non dentro ma sopra di lei, uscendo e segandomi per schizzarle su tutto il corpo, arrivando anche al volto, il mio seme, spargendolo sopra quello ancora sulla sua pelle, coprendole il busto e il collo con densi filamenti biancastri.
- Ho bisogno di una doccia, mi hai sporcata tutta. –
Mi disse dopo qualche minuto di rilassamento in cui restammo a guardarci, stesi fianco a fianco, sorridendoci senza parlare.
- Sei fantastica. Ma come fai a… ? –
- Dopo te lo spiego, adesso ho veramente bisogno di una doccia, facciamola insieme. –
Ci stringemmo, relativamente, nel cubicolo e ci lavammo vicendevolmente indugiando su ogni centimetro della nostra pelle, scherzando allegramente e eccitandoci ancora poco a poco.
Una volta asciugati mi fece una carezza al cazzo, in stato di semi riposo, e mi fece segno di seguirla.
- Vieni con me, adesso soddisferò la tua di curiosità -
Mi condusse nella sua camera e lì aprì il cassetto di un comò tirando fuori tre dildo di fogge e colori diversi, con dimensioni a crescere: il primo già più grande di un pene normale, il secondo che poteva essere la fotocopia del mio ed il terzo… mostruoso, almeno cinquanta centimetri, spesso in proporzione.
- Ti presento i miei tre migliori amici. Ti ho già detto che anche a me piacciono grandi vero? Adesso capisci, sono abituata a loro. –
Scossi il capo incredulo immaginandomi Mafalda che si introduceva primo uno e poi l’altro di quegli affari. Ecco perché riusciva a prendermi senza problemi.
- Mi fanno compagnia spesso, ma uno di carne calda è tutt’altra cosa –
Con occhi vogliosi mi guardò il cazzo che stava tornando su eccitato dall’immagine mentale che mi ero creato. Lo strinse velocemente e poi si diresse al letto.
- Voglio provare un’altra cosa, e sono sicura che tu non l’hai fatto mai, non per come mi ha raccontato Rosa. –
Si mise a quattro zampe sul letto e mi invitò lì accanto.
- Prendi quello più piccolo e ungilo –
Mi disse porgendomi un flacone di lubrificante.
Io presi il dildo “piccolo”, che poi era di più di venti centimetri e forse cinque di diametro, e lo unsi al meglio. Stavo capendo cosa volesse e la cosa mi eccitava enormemente. Forse avrei fatto sesso in un modo che fino a quel momento per me era solo una vana speranza.
- Sì, mettimelo dentro… piano, così, spingi di più, preparamelo per bene –
Le infilai il cazzo di plastica nell’ano senza incontrare troppa resistenza, segno evidente della sua abitudinarietà. Lo mossi avanti e indietro per un po’, roteandolo quando lei me lo chiese.
- mmmmhhhh. Va bene, adesso prova con l’altro. –
L’altro era quello di mezzo. Lo unsi con ancora più cura, lo poggiai sull’ano dilatato e spinsi cautamente. Incontrai più resistenza di prima ma alla fine anche questo era per metà dentro. Lo mossi avanti e indietro, lei che gemeva in continuazione.
- Sì, mmmhhhhhh… aaaaaahhhhhhh, ancora un po’….. mmmhhhhhhh. Adesso Massimo, adesso… mettimi il tuo. –
Non ero più in me dall’eccitazione, avendo quasi rinunciato alla figa prima di incontrare Rosa figuriamoci se potevo immaginare di inculare qualcuna. Abbondai con il lubrificante e, dopo aver tolto il dildo, appoggiai la punta all'ano oscenamente aperto. Entrai facilmente sentendola appena fremere sotto di me. Mancò poco che godessi appena entrato, per la sola idea di stare inculando una donna, un atto che nemmeno nelle mie fantasie più oscene avevo mai osato immaginare realisticamente. Ed invece Mafalda spingeva indietro per farmi entrare ancora di più. Diedi un colpo di reni sprofondando per altri centimetri
- unghhhh... stronzo, fai piano -
- Scusa... -
Fuori di me dall'eccitazione non avevo pensato che se pur abituata non era ancora pronta del tutto. Restai fermo, anzi mi ritirai per una decina di centimetri e poi spinsi ancora in avanti, questa volta lentamente, sentendomi stretto dalla sua carne calda.
- mmmhhhhh, sì, così va bene, muoviti piano. -
Feci come ordinava a poco dopo la sentii agitarsi sotto le mie mani che la tenevano per le anche. Anche lei si muoveva per venirmi incontro e già scorrevo in lei con più facilità di prima.
- Sì...mmmmhhhhhh... dai.... fottimi.... fottimi per bene...aaaaahhhhhhh -
Apprezzava il mio cazzo che le scorreva nell'intestino, una mano tra le gambe a toccarsi gemeva sempre più forte. Io... io ero in paradiso, sembrava che dentro avesse una mano che, contraendosi, me lo stringeva. Mancava poco al mio orgasmo quando sentii un rumore e subito dopo una voce:
- MASSIMO... E MAFALDA... ODDIO CHE SCHIFO! -
Rosa e Rodolfo erano rientrati senza che ce ne accorgessimo e ci avevano beccati.
Mi girai di scatto uscendo dal corpo di Mafalda che emise un urletto di dolore. A due metri da me Rodolfo ci guardava esterrefatto, dietro di lui Rosa che, invece, non pareva così sconvolta.
- Ma che cazzo... rientro e ti trovo che stai sfondando il culo alla mamma della mia ragazza. Vuoi ucciderla con quell'affare? Ma che cazzo... -
Non so voi, ma a me già faceva girare i coglioni dovermi interrompere sul più bello della realizzazione di un sogno, avere poi un amico che mi faceva la morale con aria schifata... beh, mi stavo incazzando. Scesi dal letto e feci passo verso di lui.
- Rodolfo, perché non ti fai i cazzi tuoi? -
Fece un passo indietro, sempre con quell'aria schifata.
- Cosa vuoi fare, inculare anche me con quel coso? E tu Mafalda, non ti vergogni? -
Mafalda, per nulla preoccupata di essere stata sorpresa, reagì cambiando atteggiamento, assumendo un tono duro.
- Come ha detto lui, ci stavamo facendo i cazzi nostri... Non dimenticarti che sei a casa mia e qui faccio quello che mi pare, senza rendere conto a te. -
Non trovando appoggio in lei Rodolfo si girò verso Rosa.
- E tu? Non hai niente da dire? -
Rosa rispose con un'alzata di spalle:
- Mamma non è sposata, può fare quello che vuole -
Sbuffando Rodolfo girò su se stesso e uscì dalla stanza. Sentimmo dei rumori dalla camera che divideva con Rosa e poco dopo la porta sbattere ed un'auto partire.
Rosa andò di là a controllare e tornò subito:
- Se ne è andato. Ha preso la sua roba e se ne è andato. -
poi scoppiò a ridere:
- Guardati, sembri un soldato pronto all'attacco. Attento, metti la sicura al bazooka o fai una strage -
In effetti avevo mantenuto la mia posa aggressiva, baricentro abbassato, schiena appena china, muscoli tesi e... il mio affare che ancora duro puntava davanti a me come un cannone.
Mafalda si unì alla risata della figlia e subito lo feci anche io. Mi sedetti sul letto rilassandomi e chiesi scusa a Rosa:
- Mi dispiace se questo influirà sui rapporti tra te e Rodolfo, però vedi, io e Mafalda... -
- Stai tranquillo, sapevo già di trovarvi insieme, è solo che non ho fatto in tempo a fermarlo. Certo pure voi due, lasciare la porta aperta... -
- Sapevi? -
- Sì, raccontando di te a mamma in pratica l'ho invitata a... “provarti”. La conosco. Non hai sentito la mia chiamata?-
- No, ho lasciato il telefono di là. Infatti lo stavo “provando”, e provando per bene quando siete arrivati. Dovremo ricominciare da capo Massimo, vedo che ti stai rilassando troppo. -
Mafalda si intromise nel discorso, accennando al mio affare che stava reclinando il capo. In un tardivo sussulto di pudore portai le mani all'inguine, senza riuscire ovviamente a coprirlo, facendo ridere entrambe.
- Ora ti nascondi? Troppo tardi, lo conosciamo bene tutte e due... -
Rosa rideva sguaiatamente ma Mafalda invece si fece di colpo seria. Mi prese per un braccio tirandomi e facendomi stendere sul letto e si chinò, in ginocchio sul letto, prendendomelo con entrambe le mani.
- Io e lui abbiamo una cosa in sospeso... Rosa, mi aiuti? -
- Certo mamma, arrivo subito. -
Sotto i miei occhi spalancati dallo stupore, mentre Mafalda mi carezzava l'asta per tutta la sua lunghezza, Rosa si tolse gli abiti e, rimanendo completamente nuda, si inginocchiò sul letto dall'altra parte aggiungendo le sue mani a quelle della madre.
Mafalda alzò gli occhi e mi sorrise:
- Beh, te l'ho detto che io e mia figlia abbiamo un rapporto un po' particolare. -
Sì, io e la mamma ci siamo già divise qualche maschietto, non siamo gelose l'una dell'altra. -
Lo stupido che è in me colse l'occasione per venire fuori:
- Anche Rodolfo? -
Mafalda mi guardò stranita:
- No, quello è uno stronzo e l'ha appena dimostrato. -
- Dai mamma, non offendere il mio fidanzato. -
- Da oggi credo sia ex, ma lasciamo perdere e pensiamo a Massimo. Ce la fai a farne un'altra se ora godi? Voglio sentirti ancora... dietro -
Riuscii solo ad annuire eccitato, le loro quattro mani che stringevano e roteavano sull'asta, le loro lingue che si alternavano sulla cappella. Mi leccarono e succhiarono insieme, passandoselo l'una con l'altra, per forse un paio di minuti, dopo di che esplosi senza riuscire a trattenermi, inondando i loro volti col mio seme, sporcando facce e capelli senza che smettessero per un istante di usare lingua e mani su di me.
Adesso sono laureato e ho scelto di lavorare in una città sul mare. Sì, esatto, dove c'è la madre di Rosa. Ah, a proposito, Rosa e Rodolfo si sono lasciati appena rientrati in facoltà. Io ho dovuto cercarmi un'altra casa ma è stato facile... sono andato a vivere con Rosa, e ancora vivo con lei, nella stessa casa della madre... ed usiamo un solo letto matrimoniale.
5
voti
voti
valutazione
3.4
3.4
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Opzione lampo (versione completa)racconto sucessivo
Escort 9 - la coppia felice -
Commenti dei lettori al racconto erotico