Sesso notturno
di
LadySayana
genere
etero
Era notte, tutto taceva e noi eravamo adagiati su un letto, con la finestra aperta che ci ricongiungeva con il cielo eterno.
Eravamo soli, intrappolati tra le pareti della stanza, che smorzavano ogni nostro gemito.
Tenevo il suo pene tra le mie mani.
Era duro tra i miei palmi, caldo, colmo di vene scure, sporgenti e pulsanti di sangue, che palpitava e pareva al punto di scoppiare nei suoi genitali.
Compievo movimenti continui con il braccio, mentre lui tendeva il capo all’indietro, con un’espressione di appagamento e incanto, in bilico tra il piacere e la completa estasi delle carni, che lo rapiva e lo estraniava da ogni pulsione esterna.
“Prendilo in bocca” mi intimò, ansimando lentamente, con la voce simile ad un dolce sussurro nel totale silenzio della stanza.
Obbedii. Appoggiai le labbra morbide sulla sia pelle umida, iniziai a leccare la punta del suo pene, compiendo dei momenti rotatori con la lingua, per poi dischiudere la bocca e iniziare a succhiarlo con delicatezza.
Lui appoggiò il palmo ai miei capelli, accarezzando dolcemente la mia testa, per poi sussurrarmi parole rozze e volgari all’orecchio.
”Continua così, succhia come una brava puttana” mormorò, mentre sfiorava il mio seno nudo, ondeggiante verso il basso, mentre io rimanevo immobile, chinata verso di lui.
Cominciò a vellicarmi sui punti più sensibili del mio corpo, fece scorrere la punta delle dita sulla schiena inarcata, sul bacino e sui capezzoli, che iniziò a pressare lievemente con i polpastrelli.
Afferrò con delicatezza i miei capelli, portando la mia testa all’indietro e conducendomi a smettere di succhiare il suo pene.
“Rimani così, non ti muovere” mi ordinò ed io, remissiva per l’eccitazione di cui tutto il mio corpo era pregnante, rimasi inerme, chinata con la testa appoggiata al cuscino.
Sentii i suoi palmi toccarmi le natiche, per poi stringerle talmente forte da immergere le unghie nella mia pelle tremante, causandomi in lieve dolore, il quale fu la legna che innalzò come un fuoco la mia frenesia.
Immerse le mie dita nella mia vagina, la sentii fradicia attorno ai suoi polpastrelli, che iniziò a piegare forte dentro di me, facendomi ansimare e gemere con lo stesso ritmo che lui stabiliva.
Persi il controllo del mio corpo, che si contraeva e straboccava di goduria sotto le sue mani, come se io fossi argilla manipolata dai suoi soffici palmi.
Quando la mia vagina fu abbastanza dilatata, si sistemò in ginocchio dietro di me e appoggiò le mani sui miei fianchi, come se fossero una roccia a cui appigliarsi.
Introdusse il suo pene dentro di me, iniziando a spingere lentamente, intensificando sempre di più il ritmo, fino a compiere un violento assalto sul mio corpo chinato sotto il suo, con una forza pari a quella di un valoroso soldato che abbatte con furore e collera il suo nemico.
Continuò per svariati minuti, ininterrottamente, mentre stringeva i miei polsi contro le lenzuola e spingeva la mia testa sul cuscino con l’energia del suo corpo ferreo e vigoroso.
Il mio viso pareva una maschera di lacrime e gemiti. Il dolore e il piacere si mescolavano l’uno all’altro in un’alchimia infima e quasi perversa.
Lasciò i miei polsi per aggrapparsi alla mia schiena nuda, fremente come un neonato affamato che cerca disperato il latte materno e violento come un puma, con la ferocia pulsante nelle iridi rosse, che introduce gli artigli nelle carni sanguinanti nella preda.
Quando raggiunse l’apice del suo piacere, mi abbandonò, come se fossi un panno bagnato che aveva perso la sua utilità.
Si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi, immergendosi nelle onde soavi del sonno e lasciandosi trasportare inerme dal loro suono solenne.
Io, invece, rimasi immobile a contemplare il soffitto bianco, immaginando che fosse un immenso cielo blu.
Mi chiesi perché mi odiassi così tanto, dato che mi privavo dell’amore che fa splendere le stelle in sintonia con la luna, lo stesso amore puro e sincero che lui non aveva mai voluto concedermi.
Eravamo soli, intrappolati tra le pareti della stanza, che smorzavano ogni nostro gemito.
Tenevo il suo pene tra le mie mani.
Era duro tra i miei palmi, caldo, colmo di vene scure, sporgenti e pulsanti di sangue, che palpitava e pareva al punto di scoppiare nei suoi genitali.
Compievo movimenti continui con il braccio, mentre lui tendeva il capo all’indietro, con un’espressione di appagamento e incanto, in bilico tra il piacere e la completa estasi delle carni, che lo rapiva e lo estraniava da ogni pulsione esterna.
“Prendilo in bocca” mi intimò, ansimando lentamente, con la voce simile ad un dolce sussurro nel totale silenzio della stanza.
Obbedii. Appoggiai le labbra morbide sulla sia pelle umida, iniziai a leccare la punta del suo pene, compiendo dei momenti rotatori con la lingua, per poi dischiudere la bocca e iniziare a succhiarlo con delicatezza.
Lui appoggiò il palmo ai miei capelli, accarezzando dolcemente la mia testa, per poi sussurrarmi parole rozze e volgari all’orecchio.
”Continua così, succhia come una brava puttana” mormorò, mentre sfiorava il mio seno nudo, ondeggiante verso il basso, mentre io rimanevo immobile, chinata verso di lui.
Cominciò a vellicarmi sui punti più sensibili del mio corpo, fece scorrere la punta delle dita sulla schiena inarcata, sul bacino e sui capezzoli, che iniziò a pressare lievemente con i polpastrelli.
Afferrò con delicatezza i miei capelli, portando la mia testa all’indietro e conducendomi a smettere di succhiare il suo pene.
“Rimani così, non ti muovere” mi ordinò ed io, remissiva per l’eccitazione di cui tutto il mio corpo era pregnante, rimasi inerme, chinata con la testa appoggiata al cuscino.
Sentii i suoi palmi toccarmi le natiche, per poi stringerle talmente forte da immergere le unghie nella mia pelle tremante, causandomi in lieve dolore, il quale fu la legna che innalzò come un fuoco la mia frenesia.
Immerse le mie dita nella mia vagina, la sentii fradicia attorno ai suoi polpastrelli, che iniziò a piegare forte dentro di me, facendomi ansimare e gemere con lo stesso ritmo che lui stabiliva.
Persi il controllo del mio corpo, che si contraeva e straboccava di goduria sotto le sue mani, come se io fossi argilla manipolata dai suoi soffici palmi.
Quando la mia vagina fu abbastanza dilatata, si sistemò in ginocchio dietro di me e appoggiò le mani sui miei fianchi, come se fossero una roccia a cui appigliarsi.
Introdusse il suo pene dentro di me, iniziando a spingere lentamente, intensificando sempre di più il ritmo, fino a compiere un violento assalto sul mio corpo chinato sotto il suo, con una forza pari a quella di un valoroso soldato che abbatte con furore e collera il suo nemico.
Continuò per svariati minuti, ininterrottamente, mentre stringeva i miei polsi contro le lenzuola e spingeva la mia testa sul cuscino con l’energia del suo corpo ferreo e vigoroso.
Il mio viso pareva una maschera di lacrime e gemiti. Il dolore e il piacere si mescolavano l’uno all’altro in un’alchimia infima e quasi perversa.
Lasciò i miei polsi per aggrapparsi alla mia schiena nuda, fremente come un neonato affamato che cerca disperato il latte materno e violento come un puma, con la ferocia pulsante nelle iridi rosse, che introduce gli artigli nelle carni sanguinanti nella preda.
Quando raggiunse l’apice del suo piacere, mi abbandonò, come se fossi un panno bagnato che aveva perso la sua utilità.
Si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi, immergendosi nelle onde soavi del sonno e lasciandosi trasportare inerme dal loro suono solenne.
Io, invece, rimasi immobile a contemplare il soffitto bianco, immaginando che fosse un immenso cielo blu.
Mi chiesi perché mi odiassi così tanto, dato che mi privavo dell’amore che fa splendere le stelle in sintonia con la luna, lo stesso amore puro e sincero che lui non aveva mai voluto concedermi.
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