Un especialista en Barcelona - vil.II

di
genere
gay

[......] É già passata mezz’ora e mentre penso a tutto questo non cesso di selezionare mentalmente, i ragazzi più attraenti. Ne ho individuati almeno sette-otto di molto appetibili. Sono assai diversi fra loro, dal ragazzetto biondo che sembra nord americano a quello di colore con i riccioli rasta e un culetto spettacolare. Tra tutti però, ce n’è uno che attira la mia attenzione più degli altri. É più piccolo di statura e di struttura più esile e questo lo fa apparire più giovane della maggioranza dei presenti. È di pelle piuttosto scura, più di quella che ci si può aspettare per le pur tante ore passate sotto il sole. Il suo corpo è decisamente magro è proporzionato, ma è il suo viso a catturarmi. Ha lineamenti bellissimi con fitti capelli corvini e spesse sopracciglia. Tra tutti è quello con l’abbigliamento più trasandato oltre che abbastanza sporco, a giudicare dalle macchie che si notano fin da qua. Nessuna marca o distintivo, un paio di pantaloni a tasche, piuttosto malandati e una canottiera grigia abbastanza attillata che pare avere anche qualche buco.
Un tizio sulla sessantina mi si avvicina con passo lento, e leggermente zoppicante. L’odore di alcol lo precede. Si ferma alla mia destra e guardandomi con un ghigno sul volto, resta senza parlare per qualche secondo. Dopo aver cercato di ignorarlo, mi vedo costretto ad alzare lo sguardo mentre con una mano frugo nelle tasche alla ricerca di qualche spicciolo, attendendo qualche cenno chiarificatore per quel improvviso interesse.
Con voce rauca di gran fumatore mi chiede:
_ “Oye ….! Te gustan los chavales, verdad?” (Hey, ……… ti piacciono i ragazzi, vero)
_ Perdòn? No le he entendido señor (scusi, non l’ho capita signore), rispondo con il mio arrugginito spagnolo della mia specialistica alla Complutense.
_ Hombre venga…! Ya me has entendido. Se te ve desde lejos que se te cae la bava para los yogurines. Yo les reconozco en seguida a los que os gustan los muchachos, a ver si me entiendes …! (Uomo dai ….! mi hai già capito. Si vede da lontano che ti cadono le bave per gli sbarbati. Io li riconosco immediatamente a quelli a cui piacciono i ragazzetti, vediamo se mi capisci …!), mi dice ridacchiando.
_ El gitanito te mola, ….. verdad? No me estraña, es un bomboncito para ciuparse los dedos ….. y te sale barato, además (Il zingarello ti piace, vero? Non mi sorprende, è un bon bon da succhiarsi le dita …. e ti costa poco, oltretutto), mi dice mentre mi passa davanti e claudicante si allontana ridendo, come se niente fosse.
Rimango a bocca aperta, colpito dall’audacia delle sue parole. Mi ha letto nel pensiero. Mi sono sentito trasparente.
La parte terminale dell’ultima frase, all’improvviso, apre una consapevolezza insperata. Se non mi ha detto una sciocchezza, quella fantasia inconfessabile potrebbe trasformarsi in realtà e anche a buon mercato. Non ho mai pagato per far sesso, non ne ho avuto bisogno per fortuna. Questa volta però, sembra che siano solo poche decine di euro a separarmi da quell’oggetto dei desideri. Non voglio farmela scappare.
Non gli stacco gli occhi di dosso, e se ne accorge anche il ragazzo che lo accompagna. Anche lui di pelle scura, fisico molto molto sensuale, più alto e muscoloso, con addominali e pettorali scolpiti. Il viso è carino anche se meno dell’altro e sembra il classico teppistello latino che indossa l’immancabile berretto col frontino all’indietro. Ho sempre avuto un debole per quel tipo di ragazzo. Mi guarda serio poi richiama l’attenzione dell’altro sussurrandogli qualcosa. Ridono tra loro, poi il più piccolo gira la testa verso di me e mi guarda con un sorriso dolcissimo e malizioso al tempo stesso.
Si lancia in fossa per riapparire al lato opposto e con un salto con avvitamento torna a sparire.
Riappare “perdendo” lo skate durante il salto. Lo ha fatto chiaramente apposta, uno così lo skate lo tiene incollato ai piedi. Mi arriva così vicino che lo fermo da seduto, con un piede. Un’altra risatina complice con l’amico conferma l’intenzionalità del gesto. Mi alzo e infilata la cravatta tra i bottoni della camicia, mi tiro su le maniche indifferente al fatto di non avere con me altro completo di ricambio in caso di caduta, quindi mi avvicino e chiedo:
_ Puedo? (posso?)
Si guardano sorpresi poi il più basso annuisce.
Potrei coprirmi di ridicolo, ne sono cosciente, sono anni che non lo uso ma qualcosa mi dice di giocarmi quella possibilità di aggancio al meglio, manco dovessi conquistarlo poi .…
Mi porto sul bordo e dopo due secondi di concentrazione, inspiro e mi lancio in fossa. Scendo rapido ma allargo il giro evitando il salto e cercando di guadagnare confidenza con il mezzo. Riprendo velocità ed arrivo a bloccarmi sullo spigolo opposto. Sono arrugginito, me ne rendo conto, ma meno di quanto pensassi. Sono determinato a conquistare il loro rispetto e intuisco che non può che passare per prove di abilità come questa.
Mi lancio, prendo velocità e con un paio di carambole mi esibisco in un salto un po’ sconsiderato. Mi ritrovo a mezz’aria con lo skate che mia ha superato, un colpo secco di addominali come ai vecchi tempi ed inverto la marcia per ripiombare in fossa. L’ho fatto e quindi posso ripetermi. Acquisto velocità e sul lato opposto rinnovo il gesto in una variante ancor più spettacolare. Sono incredibilmente ancora in piedi. Arrivo sul bordo della buca e bilanciando con lo skate mi fermo giusto tra i due che mi guardano piuttosto increduli. Alzo lo sguardo e noto che sono una decina gli skaters che si sono fermati per osservare la mia impresa, oltre a qualche più anziano osservatore.
I due mi battono un cinque e ci scambiamo il rituale pugno con la mano destra mentre annuiscono seri in senso di approvazione.
Ho il fiatone anche se cerco di dissimularlo, non riuscirei a parlare quindi guadagno tempo avviandomi verso la panchina mentre mi aggiusto la camicia.
Potrei essere soddisfatto così e chiudere con orgoglio la giornata visto il gesto atletico del tutto insperato che ha fatto schizzare di colpo la mia autostima.
I due confabulano qualcosa, poi, con passo cadenzato, il ragazzino mi si avvicina e si siede sulla spalliera della panchina. Ha in mano una canna che sta fumando. Si rivolge a me in castellano dando per scontato io sia spagnolo o più probabilmente, ha capito al volo che sono un “Guiri” (straniero) come dicono qua, ma si esprime nell’unica lingua che conosce.
_ Que hacemos …? (che facciamo?) mi chiede. Donde te alojas? (dove sei alloggiato?)
Non voglio fraintendere quindi prudentemente chiedo:
_ a que te refieres? (a che ti riferisci?)
_ mi sorride ancora e mi dice:
Que quieres que te haga?
Una paja?
quieres que te la chupe o quieres follar? (Cosa vuoi che ti faccia? Una sega? Vuoi che te lo succhi o vuoi scopare?)
Deglutisco e tardo a rispondere. Non ero preparato a tanta schiettezza. Non so cosa voglio in realtà e forse qualcosa dentro di me vorrebbe tirarsi indietro arrivati a questo punto.
_ Que edad tienes? Me pareces muy joven, però, mucho (qual è la tua età? Mi sembri molto giovane, ma molto) dico sperando cosi di trovarmi una scusa per non andare oltre giacchè sono convinto sia minorenne.
_ Pues tio ……, tengo dieciocho! (zio …., ne ho diciotto!) mi dice con un sorriso furbetto che sembra prendermi in giro ma è al tempo stesso assolutamente irresistibile. Decido di prendere per buona la sua risposta come se avessi visto un suo documento e rinuncio a chiedere di più nonostante sia convinto sia decisamente minorenne.
Mi passa la canna che nonostante un certo affanno, aspiro profondamente, tossisco un po’ ma torno a tirare una seconda densa boccata che mi da un certo senso di stordimento ed euforia.
Gli sorrido anch’io questa volta e gli rispondo spavaldo:
_ Lo quiero todo … (voglio tutto …)
_ Entonces son sesenta pavos, màs el hotel, o cien y te levas los dos (Allora sono sessanta euro, più l’hotel o cento e ti prendi entrambi).
Sono già così eccitato dalla sua domanda che mi trema la voce ed avverto già una consistente erezione, dissimulata appena dal largo pantalone e dalla posizione seduta. Non indugio ulteriormente e rettifico l’accordo con una stretta di mano e la restituzione del resto della canna non prima di aver fatto un altro lungo tiro:
_ Pues, los dos, entonces (allora, i due)
Ci scambiamo i numeri e concordiamo che vengano all’hotel tra due ore.
Si allontanano velocemente. Guardo gli altri ragazzi presenti e mi sento osservato. Qualcuno di loro avrà già assistito a qualche trattativa simile. Decido di fregarmene, Lodi per fortuna è lontana, l’eccitazione è troppa e qui non mi conosce nessuno.
Arrivato in hotel, incrocio un paio di colleghi nella hall che mi fermano per dirmi qualcosa, annuisco senza quasi ascoltarli, sono totalmente disinteressato in questo momento e credo se ne siano accorti.
_ Stai bene? Sei strano, è successo qualcosa? Fermati a bere qualcosa con noi, sta sera ci ubriachiamo e andiamo a ballare senno chi lo sopporta domani il dottor Van Boutenbeg …. commenta Patrizia.
La tipa é da un po che mi fa il filo e sebbene sia sposata, mi ha già fatto capire che si farebbe molto volentieri una bella scopata con me e, normalmente, non mi sarei certo tirato indietro.
Il tradimento con una donna sposata in campo neutro è una occasione da non farsi scappare. Oltretutto di lei …… si parla un gran bene.
Ringrazio e rassicuro sul fatto che li raggiungerò più tardi appena avuto la meglio con un incipiente mal di testa.
In questo momento nulla mi risulta più eccitante che quello che sto per fare e spero sinceramente di arrivare a fine serata, completamente svuotato .…
Devo trovare il modo di farli entrare senza dare nell’occhio ma la hall è piena di clienti tra cui molti colleghi. Vado in camera e mi faccio una doccia, con il rasoio elettrico aggiusto i miei peli pubici in eccesso in modo da esaltare la lunghezza della mia dotazione. Mi depilo lo scroto completamente e taglio, con scomodità, la poca peluria anale. É curioso, non lo faccio abitualmente per Paola e lo sto facendo per un gitano e un teppistello colombiano lerci e che pago oltretutto. Due spruzzi di profumo e un po’ di crema idratante sul viso.
Mi stendo nudo pancia in giù sulla moquette ed inizio a fare alcune serie di piegamenti sulle braccia. Poi sollevo una pesante sedia con un movimento ritmico per gonfiare i bicipiti. Cosa stai facendo? mi dico tra me e me, in un attimo di lucidità. Mi sento un po’ ridicolo ma dura poco. Un messaggio dei due mi arriva:
_ Ya estamos, es que el conserje nos ha parado a la entrada y no os deja subir! (siamo già qui, è che il consierge ci ha fermato e non ci lascia salire!).
Mi infilo la tuta da ginnastica velocemente, mi spruzzo altro profumo, mi metto il berretto con il frontino ben calato per non farmi riconoscere e gli occhiali da sole scuri. So che è un po’ ridicolo ma sarà comunque meno facile per i colleghi riconoscermi in mezzo a tutta quella bolgia.
Sono abituati a vedermi elegante e potrei passare inosservato conciato così. In ascensore una coppia di ragazzi si tiene per mano, mi sento rassicurato, sono a Barcellona.
Mi faccio largo tra le persone che stanno parlando tra loro. Riconosco alcuni colleghi e colleghe ma sembro non destare la loro attenzione. Sono al lato del Consierge che sembra cercare di allontanare i due con toni abbastanza rudi. Lo fermo e gli dico:
_ Señor, están conmigo. Son los nietos de mi pareja, no se preocupe (Signore, sono con me, sono i nipoti della mia compagna, non si preoccupi)
L’uomo mi guarda e sospirando, per niente persuaso dalla mia spiegazione improvvisata, mi dice non senza ironia:
_ Sus nietos vienen a menudo en este hotel…. Usted señor, ni se imagina los tíos que tienen estos dos guarros ….. (I suoi nipoti vengono spesso in questo hotel, lei ne se lo immagina, signore, quanti zii hanno questi due sporcaccioni …)
Non l’ha bevuta, ma credo che gli importi poco e che sia cosa all’ordine del giorno per lui, quindi decide di prendere per buona la mia spiegazione e li fa passare.
Procediamo a debita distanza e raggiungiamo l’ascensore. Due medici nord europei entrano con noi e ci guardano con certa circospezione. I due ragazzi in effetti hanno tutta l’aria di stare li per svuotare il portafogli di tutti i presenti. Fingo di non conoscerli e così, astutamente, fanno loro. Percorriamo a testa bassa i corridoi che sembrano non finire mai e finalmente arriviamo alla millediciasette.
Ho una camera grande con perfino una Jacuzzi, forse sarebbe il caso di infilarceli dentro, l’odore di sudore si sente a distanza. Mi siedo su un piccolo sofà mentre loro accendono un paio di porros nonostante il divieto di fumare e senza sognarsi di chiedere aprono il minibar prendendosi due birre. Non gliele nego, anzi, ne tirano una anche a me, chissà che mi aiuti a rilassarmi. Fumiamo.
_ De donde sois? (di dove siete) dico per rompere il ghiaccio.
_ De “La Mina” aquì detrás, (del quartiere “La Mina” qua dietro)
Ricordo questo nome, me ne ha parlato il receptionist al check-in, pare sia un quartiere piuttosto malfamato della città, popolato da gitanos e latinos e più in generale, dagli ultimi della città.
_ Eres gitano tú, verdad? (sei gitano tu, vero?)
Senza rispondermi, ridendo per la domanda, accenna alcuni passi di flamenco improvvisati. Si vede che non è un ballerino professionale ma è evidente che ce l’ha nel sangue e le basi sono solide. Quella sicurezza antica nei movimenti lo rendono ancora più attraente e me lo mangio letteralmente con gli occhi.
_ Y tú, de donde eres? Me quiero referir, de donde viene tu familia? (E tu di dove sei? Voglio dire, la tua famiglia da dove arriva?)
Rimane un poco in silenzio poi svogliatamente risponde sintetico:
_ De Colombia.
Capisco che non è qua per parlare e che aspetta solo di finire il lavoro per tornarsene per strada.
Accendono un altro porro e me lo passano. Faccio qualche tiro profondo e noto che mi da una certa ebrezza, in effetti.
Il Colombiano improvvisamente si sfila la maglietta rimanendo a petto nudo. I larghi pantaloni con tasche, sono abbassati all’altezza dell’inguine lasciando in vista i sensualissimi addominali bassi.
Il suo corpo mi appare ora in tutta la sua bellezza. Una figura essenziale con spalle larghe e bacino stretto, non un solo filo di grasso, ogni fibra è in evidenza. Quei muscoli sono certamente frutto di una attività fisica quotidiana, intensa ma naturale. Non sono i muscoli ipertrofici di un body builder. Adoro quei corpi maschili.
Davanti a me ho un essere primitivo, senza sovrastrutture, con appena il minimo dei requisiti basici di educazione e forse nemmeno quelli. Non avrà letto un libro in vita sua e avrà sofferto la scuola dell’obbligo come una prigione, probabilmente evadendone prima del tempo. Maneggia però perfettamente, tutte le mille astuzie che la strada gli ha imposto fin da bambino. É una intelligenza animale la loro, nessuna elucubrazione o intellettualismo, nessun astrattismo, solo istinto e velocità d’azione perché se perdi tempo, la preda sarà di un altro.
Il più basso improvvisamente tira fuori dai larghi pantaloni due portafogli, uno maschile e un’altro femminile, l’altro inizia a smanettare un telefonino d’alta gamma pur non avendo idea di come sbloccarlo. Lui è il braccio veloce, deve solo afferrare e filarsela, ci penserà qualcun altro poi a trarne profitto anche per lui. Gli spetterà qualcosa, poco per il rischio corso, ma se sai a malapena leggere e sei povero, questo è ciò che ti spetta.
_ cómo te llamas? (come ti chiami?) chiedo al più alto
_ Raul.
_ y tú, guapo? (e tu, bello?)
_ Luìs
mi risponde con un leggero ghigno, forse gratificato dal mio aggettivo.
Raul è il più impaziente, non vuole perdere tempo. Si avvicina e si ferma in piedi a pochi centimetri da me. Allungo le mani ed inizio a toccargli l’addome teso, si percepisce al tatto, ogni singola fibra di quei muscoli. La pelle è liscia e le mie dita palpano per avvertire prominenze ed avvallamenti, poi inizio lentamente a risalire. Libero dalle mutande che non ho indossato, il mio pene trova ancora spazio nella larga tuta, è già durissimo mentre continuo a risalire e con le dita ripercorro lo scalino dei suoi pettorali stupendi.
Quella pelle color caffellatte presenta qualche alone che non son certo se sia dovuto al pigmento naturale o alla scarsa igiene, lo stesso noto sulla faccia di Luis.
Quest’ultimo, più irrequieto, accende la radio che sta sul comodino e incontrata una stazione di musica che trasmette un insopportabile reggaeton, inizia a muoversi a ritmo, incuriosito dagli oggetti presenti nella camera. Sospetto stia cercando qualcosa da prendere a premio dentro di poco.
Ho raggiunto le spalle di Raul, tocco quei caldi deltoidi mentre appoggio il mio viso al suo addome, lo annuso ripetutamente. Sa di maschio, è un odore naturale, non spiacevole che si fonde con un intenso odore di sudore che proviene dalle sue ascelle. Apro leggermente le labbra e cerco di abboccare parte di uno di quegli otto lingotti di carne fibrosa. Cerco quasi di addentarli e lui sembra assecondarmi contraendoli di più. Sa di disporre di un’arma infallibile e la usa per annullare ogni mia volontà. Ha una tartaruga da modello e con quel corpo potrebbe forse guadagnarsi da vivere facendosi fotografare, penso tra me mentre con la lingua perimetro quelle protuberanze. Sembrano l’opera di un abile tappezziere che sa creare ad arte le imbottiture e le cuciture di un prezioso sofà antico.
Poi con maggior lucidezza deduco che si annoierebbe mortalmente con un lavoro come quello, come un animale selvatico in gabbia. Non è abituato agli obblighi, esce di casa a caccia, si procura il necessario, si riposa quando e dove ne ha voglia e poi gode della sua libertà giocando fino a notte inoltrata. Di tanto in tanto, si presenta una buona occasione per racimolare quello per cui occorrerebbero giorni di furterelli per essere messo assieme. I soldi fatti vendendosi, oltretutto, nessuno glieli chiederà, in casa, e saranno quindi, tutti per se.
Luìs si avvicina, forse sentendosi messo un po’ da parte dopo essere stato il prescelto, ma senza fare di più. Lo rassicuro con un sorriso ammiccante confermandogli che resta il piatto prediletto da consumarsi alla fine.
Mi accorgo di una protuberanza sotto i larghi pantaloni di Raul segno che le mie mani e la mia bocca hanno sortito qualche effetto. Lentamente raggiungo la zona e con una mano ne comprovo diametro e consistenza sotto la spessa stoffa. Alzo lo sguardo cercando i suoi scuri occhi nocciola e compiaciuto per il calibro raggiunto, accenno ad un sorriso lussurioso.
Quella durezza non scontata, mi induce a far loro una domanda che subito dopo mi apparirà sciocca, poiché vorrebbe presupporre che dietro quella prestazione ci sia la ricerca di piacere e non di un compenso.
_ Oye ….., sois homosexuales, chicos? (Hey, siete omosessuali, ragazzi?)
I due si guardano, Luìs inizia a ridere e dice innocente, con quella bocca carnosa:
_ Que es eso? (cos’è questo? Cosa significa?)
Immediatamente capisco che la domanda è per loro incomprensibile oltre che irrilevante.
Farebbero quello che stanno facendo del tutto indipendentemente dalle loro inclinazioni e desideri.
Il loro istinto edonistico li porta forse a cercare ugualmente una dose di piacere ma senza darla per scontata e senza che sia la guida alle loro azioni.
Decido di non riformulare la domanda in altro modo ed inizio a sbottonare il pantalone di Raul che cade, pesante, svelando il boxer aderente che sporgeva durante le acrobazie.
L’indumento presenta un alone giallastro sul davanti e alcuni buchi. Il tessuto protende ed è prossimo al mio volto. Avevo in programma di portarmeli nella vasca per dar loro una lavata, è evidente che non lo fanno da giorni. Quel odore forte di urina e di genitali si sprigiona ora senza impedimenti ma invece di farmi allontanare, mi attira fino a ritrovarmi ad un centimetro dalla stoffa. Inspiro lentamente e a fondo, l’odore è pungente ma non rivoltante e quindi insisto varie volte cercando di selezionarne gli aromi che lo compongono. Il codice della selezione animale non prevede profumi artificiali né saponi, ma odori bestiali che informino gli altri animali circa la salute e la disponibilità all’accoppiamento.
Afferro le mutande con due dita e le abbasso lentamente. Lo devo fare più di quanto mi aspettassi per permettere a quel lungo bastone di carne di abbandonare la sua prigione.
Il mio sguardo resta imbambolato, é enorme, assai sproporzionato rispetto al corpo magro ed essenziale del ragazzo. Me lo aspetterei in una persona di ben altra possanza una arnese del genere. Quel contrasto di scala era quello che ancora mancava per farmi salire il sangue alla testa.
Lo sfioro con le mani e la reazione è fulminea, Le numerose vene lungo l’asta sono turgide e in rilievo. Quella massa carnosa e pesante che si erige è un piccolo miracolo di ingegneria idraulica.
La parte terminale è un po’ torta vedo il basso e il glande sembra essere grosso anche se nascosto da un sottile prepuzio che lo copre parzialmente. L’odore adesso è cambiato, abbasso le mutande per riconoscerlo. Ricorda quello di uno stoccafisso secco, è pungente. Potrei esigergli di andare a lavarsi ma non lo faccio, anzi mi avvicino nuovamente, per inalarlo ancora. Mi eccita da morire.
Tiro con due dita verso il basso la cappella vincendo la resistenza opposta dall’erezione ed inizio a passare la lingua sulla parte superiore di quella lunga asta. Inclino la testa e con la bocca addento dolcemente l’asta su un lato e riassalgo fino a percorrerla tutta fino alla radice, mentre con la lingua la insalivo. Ora al contrario, lo alzo fino a portare la parte superiore a contatto col ventre. La sua poderosa dimensione include ora anche lo scroto. Con devozione riprendo a leccarlo in tutta la sua lunghezza che sembra non finire mai. Mi soffermo ora in basso, leccando ed insalivando quella gonfia borsa carnosa. Con una mano dolcemente isolo un testicolo e me lo porto alla bocca. Ne colgo solo ora la dimensione e la turgidezza. Lo annuso e lo assaporo. Ha un odore molto diverso da quello del glande, è un odore dolciastro che la mia mente associa al sesso ed ai genitali in generale. Prendo l’altro testicolo in bocca e lo massaggio con la lingua. Lui a tratti sembra avvertire una scossa quando suggo con un po più di forza. Sollevò le palle per raggiungere la loro parte inferiore. La cucitura di pelle sembra concentrare molte derivazioni nervose visto l’effetto che ha la mia lingua sul ragazzo. Capisco che gli piace dai respiri profondi, poi la conferma mi arriva dalla sua incitazione.
_ Joder! dàle, dàle puto cabron …! (Cazzo! dai, continua, vai così, figlio di troia …!)
Mi intima a non fermarmi insultandomi, segno che ho trovato qualcosa a cui non sa resistere.
Non è uno da tempi lenti Raul e non tarda manifestarmi la sua impazienza.
_ Còmeme la polla, maricòn …! Joder! ….. chupamela capullo! (Mangiami il cazzo, frocio ….! Fanculo, succhiamelo cazzone!)
La sua attitudine da giovane macho si sta poco a poco inchinando al piacere della carne che lo fa sentire debole. L’insulto diventa quindi il suo anelito ribelle, contraddetto dalla sua mano che afferra il suo pene per meglio infilarlo nella mia bocca. (continua)
scritto il
2020-03-17
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