Zazie - Cap. 5

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genere
pulp

Da quanto tempo Riccardo era rinchiuso in quella stanza in compagnia della strizzacervelli? Non avrebbe saputo dirlo. Il silenzio si fece denso, l'attesa insopportabile. Quando la porta dello studio si riaprì, Enza ebbe un sobbalzo. Lisa portava in viso un'espressione indecifrabile.
«Allora?» chiese Enza ansiosa. «Lo sto sottoponendo a un test». «Che test?». «È una specie di quiz. Credo che lui lo trovi divertente». «È tutto a posto?». «Non proprio. Ti eri accorta che Riccardo manifesta una certa inappetenza?». «No. Te l'ha detto lui?». «E sai che a volte non riesce a dormire?». «A dire il vero no. Non lo sapevo. Ma che significa?». «Ho anche potuto rilevare alcuni sintomi depressivi». «Riccardo è depresso?». «Sì, questo è poco ma sicuro. I comportamenti strani che hai notato rimandano a una condizione psicologica di forte disagio. Il bambino è stressato». «Stressato? come può essere stressato? ha solo undici anni!». «Vivere un'esperienza traumatica a quell'età può avere conseguenze piuttosto gravi. In casi simili, non resta che affidarsi a uno specialista per iniziare al più presto la giusta terapia». «Potresti essere più chiara? faccio davvero fatica a seguirti». «Voglio prima valutare i risultati di quel test. Sai, c'è un protocollo da osservare». «Fanculo il protocollo. Dimmi che problema ha il mio bambino!». «Enza, ti prego! diventare isterica non serve a niente. In fondo, dovresti prendertela solo con te stessa per essere stata una madre tanto irresponsabile». La dottoressa ripercorse il breve tragitto che la separava dal suo studio e, rientrandovi, chiuse la porta alle sue spalle, senza curarsi dell'effetto che l'accusa da lei lanciata aveva avuto sulla povera Enza. Una madre irresponsabile.
Trascorse dell'altro tempo, durante il quale la donna, ferita nell'orgoglio, non poté fare altro che rimuginare su quelle parole. Probabilmente cercava una qualche scusa che la scagionasse; una giustificazione, un alibi. Ma si sorprese a tremare. Per la rabbia, pensò; perché di certo non riusciva ad alleggerirsi la coscienza. Era pallida, sembrava sul punto di svenire. «Si sente bene, signora?». Enza si volse verso la ragazza che, vedendola vacillare, era accorsa per soccorrerla. «Le porto un bicchiere d'acqua?». «Sì, grazie». La ragazza, che incarnava lo stereotipo della segretaria avvenente, raggiunse la scrivania posizionata alla reception e tirò fuori da un cassetto un bicchiere di plastica, si chinò verso un minifrigo portatile e ne trasse una bottiglia d'acqua minerale. Tornò con la bevanda fresca. La porse alla donna, che bevve avidamente, togliendosi il sudore dalla fronte col dorso della mano e abbassando le palpebre nel tentativo di recuperare le forze. Risuonò la voce di Lisa. «Grazie Wanda. Vai pure. Ora ci penso io. Non preoccuparti, non è nulla di grave». «Scusi ancora se l'ho disturbata, ma mi pareva che la signora avesse bisogno di aiuto». «Hai fatto bene, cara. Non devi scusarti». La segretaria si allontanò con discrezione. Doveva essere molto efficiente. La dottoressa non diede alcuna importanza al lieve malore che aveva colpito Enza. Tuttavia, sedette accanto alla sua paziente e le posò una mano sulla spalla. «Con Riccardo ho finito», disse. Enza le puntò addosso uno sguardo vacuo. «È un soggetto piuttosto reticente», continuò Lisa, «le sue dichiarazioni risultano quasi sempre oscure. Dunque, manca una descrizione sufficientemente dettagliata dei fatti». «Di quali fatti?». «Per una valutazione clinica completa dovremmo procedere con una visita medica specialistica». «Riccardo sta male? che cos'ha?». «Non è malato. Ma le mie conclusioni diagnostiche confermano il mio sospetto di possibile abuso sessuale». «Tu devi essere impazzita!», gridò Enza scattando in piedi. «Rimettiti seduta». «E perché dovrei stare ancora a sentirti? Ne ho abbastanza di queste sciocchezze! Uh! Che... Che mi succede!?» «Wanda», chiamò la dottoressa, «per favore porta un altro bicchiere d'acqua alla signora». Enza ebbe un capogiro e crollò sulla poltroncina, dove scoppiò in un pianto dirotto.

«Io sono Enza Chitti». Il vecchio la guardò sonnolento; sembrava essersi appena svegliato, la mente ancora immersa in sogni caotici. «Avevamo un appuntamento, non ricordate? Il vostro collaboratore deve avermi appena annunciata. Mi ha indicato lui dove avrei potuto trovarvi. Diceva che mi stavate aspettando, non è così?». «Sì, Sì... so chi sei. Vieni, accomodati».
Con estrema cautela il vecchio guidò Enza verso una vicina panchina, sotto le fronde di una quercia. «Innanzitutto, volevo ringraziarvi per avermi ricevuta. So quanto siete indaffarato. Scusatemi, ma qual è l'appellativo corretto per rivolgermi a voi?». «Oh, chiamami pure Nicolino. Con questo nome mi presenterò tra poco dinanzi a nostro Signore. Per quale motivo dovresti usarne uno diverso?». La donna prese coraggio e disse: «Sapete perché sono venuta, Nicolino?». «Lo so perché sei venuta», fece il vecchio con inaspettata energia, «E ti chiedo se ti senti pronta a perdonare». «Perdonare?». «Sì. Perdonare significa rimettersi nelle mani del Signore. Del resto, solo Lui sa davvero che cos'è la giustizia». «Ma...», ribatté Enza, «violentare un bambino di certo non può essere giusto». «Mi dicono, però, che questi presunti abusi non sono stati dimostrati. Sei sicura di non accusare un innocente?». «È vero, le visite mediche non hanno dato un esito conclusivo. Non sono state riscontrate evidenze di lesioni fisiche e sono risultati negativi tutti i test per le malattie e le infezioni trasmissibili. Inoltre, Riccardo non ha mai ammesso di aver ricevuto attenzioni particolari da parte di un adulto. Tuttavia, una psicologa molto competente ha sostenuto con mio figlio una serie di colloqui e ha stabilito, con una percentuale di errore minima, che ci troviamo davanti a un caso di abuso sessuale su minore. Per avere un secondo parere, mi sono rivolta a uno specialista, che è anche docente universitario, il quale ha confermato in toto le tesi della collega». «E il nome di Frate Alberto da dove è uscito?». «Beh... da nessuna parte». «Da nessuna parte?». «Sì. Insomma, Riccardo non riesce a raccontare in modo diretto che cosa è stato costretto a subire. Secondo gli psicologi è normale che sia così. Però, nelle sue affermazioni, quando risponde a precise domande, inserisce delle richieste di aiuto, dei messaggi in codice che solo un esperto può interpretare. Usando questo espediente la vittima di abuso può esprimere paura, rabbia, repulsione, disgusto senza dover rivivere le brutte esperienze passate. Le negatività represse allora si manifestano attraverso la descrizione di situazioni astratte o con espressioni verbali e parole chiave che evocano un potenziale pericolo. E Riccardo, senza esserne conscio, ha guidato i suoi intervistatori in un'unica direzione». «E quale sarebbe?». «Tutto ciò che ha a che vedere, anche lontanamente, con la parrocchia o la frequenza del catechismo e del gruppo A.C.R. o anche con la possibilità di incontro casuale con Frate Alberto al di fuori dell'ambiente ecclesiastico, fa scattare nel bambino quei meccanismi segreti che trasmettono rifiuto e ostilità». «Non ti sembra un po' poco per incolpare una persona di un crimine tanto orrendo?», chiese Nicolino prendendo con dolcezza le mani morbide di Enza nelle sue, simili a zampe di insetto. «È per questo che sono venuta da voi, invece di andare alla polizia come mi avevano consigliato». «Oh, è stata una decisione molto saggia, figliola. Potevi scegliere tra vendetta e perdono e hai scelto il perdono. Ciò ti rende onore». «Mi dispiace, ma non è così...». «Enza, ascolta! Non sappiamo se Frate Alberto abbia davvero commesso una tale mostruosità. Gli elementi che hai raccolto mi sembrano abbastanza deboli. Dopotutto, non credo neppure che, per un prete, possano essere molte le occasioni di restare da solo con un bambino in modo da poterne approfittare. Non ci hai pensato?». «In verità, mi sono consultata con una mia amica che è un'educatrice A.C.R. ed è venuto fuori che non è affatto raro che Frate Alberto convochi nel suo studio un singolo bambino per volta, soprattutto quando manca poco alla cresima, allo scopo di perfezionarne la preparazione spirituale. D'altronde, lui è l'unico insegnante di catechismo e, quindi, le occasioni di contatto con gli allievi non gli mancano. Spesso ha addirittura usato il suo studio per somministrare il sacramento della confessione». «Questa amica, questa educatrice A.C.R. è al corrente dell'intera faccenda?». «No. Le ho solo chiesto qualche informazione. Non potrebbe mai sospettare di Frate Alberto, per lei è un santo». «Credimi, è meglio non spargere al vento certe voci. Il danno per la Chiesa potrebbe essere enorme. Il popolo di Dio verrebbe colpito duramente. Molti ripongono le proprie speranze nella persona di Frate Alberto, come fa quella tua amica. Deluderli equivarrebbe a gettarli nelle fauci del maligno. In queste circostanze, di questi tempi, è richiesta la massima prudenza. Solo la luce del perdono potrà illuminare...». «Ma Nicolino», lo interruppe Enza, «io non voglio perdonare Frate Alberto; io voglio che sia punito». «Cara, sai che l'arcangelo Michele non osò proferire parole di condanna nemmeno contro Satana, preferendo lasciare a Dio il compito di giudicare?». La donna cominciava ad averne abbastanza. Scuoteva il capo irritata, mentre il vecchio aggiungeva: «Se Frate Alberto è colpevole soffrirà in modo terribile quando si pentirà delle proprie azioni. Ogni peccatore si pentirà, è inevitabile. Ma non sarà mai la punizione a produrre il pentimento. Mai». «Nicolino, qui non si tratta solo di mio figlio. Se Frate Alberto è un pedofilo non possiamo far finta di niente e lasciare che continui a molestare i bambini». «Non lo faremo. Non faremo finta di niente. In qualità di Ministro Provinciale ho già dato le disposizioni del caso, previa consultazione con il Vescovo». «Quali disposizioni?». «Frate Alberto sarà trasferito ad altra sede». «Ma questo non risolverà il problema...». «Data la natura dei sospetti che lo riguardano, non avrà il permesso di insegnare ai bambini né di avvicinarli se non in presenza di altri adulti». «E... basterà?». «Devi avere fede, cara figliola. Non farti accecare dal risentimento. Comportati da madre amorevole, non da angelo sterminatore. Aiuta Riccardo a dimenticare questa vicenda. E dimenticala anche tu».

Frate Marcello aveva indossato la tonaca. Era in ritardo. La litania dei santi aveva sostituito le corone del rosario. Per le devote l'attesa dell'inizio della Santa Messa si prolungava. «Ora devo andare». Loris sembrava non avere udito quelle parole. «Devo andare», ripeté il frate, «So che sei sconvolto. Anche Enza lo era. Lei si illudeva che l'intervento del Ministro Provinciale e il trasferimento di Frate Alberto avrebbero migliorato la situazione. In realtà, Riccardo continuò a stare a male, a mostrare i sintomi della depressione, ad avere improvvise reazioni violente o crisi di pianto. La psicologa le diceva di avere pazienza. Quando si sfogò con me e mi raccontò tutto era davvero disperata. I sensi di colpa la divoravano. Credeva di essere la peggiore madre del mondo. Io dapprima provai a consolarla. Poi... commisi un errore». «Che errore?». Frate Marcello strinse gli enormi pugni. «Non mi andava proprio giù che quel verme la facesse franca. Così, mi ci misi d'impegno e convinsi Enza a rivelare i suoi sospetti alla polizia». «Ma... quindi la mamma ha sporto denuncia?». «No. Io l'avevo convinta a farlo e le avevo anche combinato un appuntamento con un avvocato di mia conoscenza. Volevo che comprendesse tutte le implicazioni giuridiche di un procedimento penale. Riccardo dopotutto è solo un bambino e Enza non aveva la minima idea di ciò che gli sarebbe capitato una volta che lei avesse dato il via all'indagine». «Capisco. La conversazione con l'avvocato deve avere allarmato la mamma. Con ogni probabilità, temendo di rovinare la vita di Riccardo, ha preferito evitare il clamore che lo scandalo avrebbe suscitato». «No. È andata diversamente. Vedi, Enza non si è presentata all'appuntamento. Io e l'avvocato l'abbiamo aspettata a lungo, ma non si è vista. Quando ho provato a telefonarle si è attivata la segreteria. Le ho lasciato un messaggio, ma non è servito a niente. Sono rimasto sulle spine fino al giorno seguente...». Il frate fece una pausa a effetto. «Il giorno seguente si diffuse una notizia. Pareva che Enza avesse tentato di suicidarsi gettandosi da un balcone». Loris deglutì e andò alla ricerca di qualcosa da dire. Un sorriso ebete gli storceva la bocca. Alla fine decise di tacere. «Non è un po' strano?», lo sollecitò Frate Marcello. «Cosa?», domandò il giovane. «Che tua madre non abbia potuto incontrare l'avvocato a causa di... di... com'è che l'hai definito? un incidente?». «Dove vuole arrivare?». «Da quel momento Enza non ha voluto più saperne di me. Ha ignorato qualsiasi mia richiesta di chiarimenti. E quando ho pensato di rivolgermi a Tony per ottenere una qualche spiegazione, sono stato accolto quasi a male parole. Il ragazzo era incazzato nero e tua madre non voleva nemmeno sentirla nominare. La qualificò come "la regina delle puttane". Citazione testuale. Era successo qualcosa. Ma cosa? Non riuscii a calmarlo e dovetti lasciar perdere. Pochi giorni dopo giunse l'ordine di trasferimento con cui il Ministro Provinciale mi spediva qui, in questo paesino di quattro gatti. Il Vescovo si era mosso dietro le quinte per imporre il ritorno di Frate Alberto. Così, feci fagotto e partii. Ma da allora una pesante inquietudine mi tormenta. Ho praticamente abbandonato tua madre mentre era nei guai fino al collo. E non è escluso che sia stato proprio io a ficcarcela. Sì, secondo me Enza è stata aggredita e minacciata da qualcuno che voleva fermarla, qualcuno che sapeva dell'appuntamento con l'avvocato, qualcuno che rischierebbe di finire in prigione se la verità venisse a galla». «Qualcuno?», disse Loris, «Lei si riferisce a Frate Alberto. Ma... è pazzesco!». «Eccome se lo è!». Frate Marcello fece per uscire dalla stanza. «Vorrei solo che tua madre si lasciasse aiutare. Ho cercato di contattarla anche ieri, ma lei continua a escludermi. Ha paura. Non posso darle torto; è nel mirino di gente senza scrupoli».
Afferrò i paramenti liturgici e li indossò svogliatamente mentre si dirigeva verso l'altare, atteso come una rockstar dalle sue groupies un po' attempate. Loris scivolò fuori dall'edificio e scese le scale del sagrato. Con pochi passi raggiunse la fermata dell'autobus, dove, seduta su una panchina, una ragazza gli scoccò un'occhiata ammonitrice. Non dovettero attendere troppo e, quando salirono sul vecchio Iveco ansimante, la ragazza si assicurò di occupare un posto a distanza di sicurezza da quel giovane dall'aria allucinata. Durante il tragitto, Loris si mise a trastullarsi con il suo smartphone. E chissà come avrebbe reagito quella ragazza sospettosa se avesse potuto sbirciare il display sul quale l'inquietante sconosciuto stava scorrendo le immagini di una donna nuda. Foto esplicite che ossessivamente riproponevano ogni particolare anatomico. L'intimità ridotta a prodotto seriale in formato JPEG. Le foto di Enza. A centinaia. L'archivio completo era pressoché inesauribile.
scritto il
2020-08-29
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