Zazie - Cap. 6
di
BiDiEnne
genere
pulp
Il capannone era invaso dalla musica elettronica dei Tanuki Project. Il brano era The Stream e gli altoparlanti, posizionati in prossimità del quadro elettrico, ne diffondevano le sonorità ipnotiche, pulsando contro i muri screpolati e segnati dall'umidità. Fiocchi di intonaco piovevano sul pavimento di calcestruzzo mentre le assi del solaio tremavano e le plafoniere oscillavano, spostando qua e là i fasci di luce emessi dai tubi fluorescenti. Una pila di sedie di plastica stava accantonata in un angolo. Loris ne prese una e si accostò a Ramona, che, già seduta, gli dava le spalle e non l'aveva visto entrare. «Ciao», le urlò, sperando che lei lo udisse nel mezzo di quel frastuono. La ragazza si voltò. «Ciao», disse, «sei venuto ad assistere alle prove?». Loris rispose alla domanda, ma il volume dell'impianto Hi-Fi era troppo alto. Ramona non capì nemmeno una parola e scosse la testa riccioluta. Per fortuna, la canzone cominciò a sfumare e, prima che iniziasse un nuovo pezzo, Loris ripeté: «Devo parlare con Francesca. Sai dov'è?». «Sta per sfilare». «Anche la mamma è qui?». Ripartì la musica e stavolta coprì la voce della ragazza, che, però, con un cenno del mento indicò a Loris la pedana rialzata che avevano di fronte, a pochi metri di distanza.
Le modelle stavano uscendo dall'improvvisato backstage, passando attraverso una tenda di perline. Erano in quattro e, con un ancheggiare accentuato, si disposero su una fila. La prima si staccò dal gruppo e percorse la passerella, ma Loris non le badò, poiché aveva gli occhi incollati al terzetto rimasto sullo sfondo. Esso era composto da una sconosciuta che incedeva con l'eleganza di una cerbiatta, da una Francesca in grande spolvero e, incredibilmente, da Enza. Quest'ultima, come un pesce fuor d'acqua, boccheggiava cercando di imitare le movenze delle indossatrici più esperte. Era fasciata in un abito lungo di nylon nero, elasticizzato e scintillante. Lo scollo era assai profondo e lo spacco sulla coscia era audace. Si trattava di un capo disegnato per valorizzare silhouette slanciate. Addosso a Enza finiva col marcare troppo la rotondità delle curve, comunicando un'idea di pesantezza e goffaggine. Quando venne il suo turno, sfilò con trepidazione, impacciata dall'imbarazzo di sentirsi inadeguata. Fissava un punto nel vuoto e nemmeno si accorse di suo figlio, che assisteva alla scena col fiato sospeso, come davanti a un pericoloso esercizio acrobatico. Francesca fu l'ultima a calcare il ripiano scricchiolante della pedana; poi si riallineò alle altre modelle e tutte rientrarono negli spogliatoi. La musica cessò e Loris si affrettò a esprimere le proprie perplessità. «Non ci posso credere! Ma che le è preso alla mamma?». «Beh», spiegò Ramona, «si è deciso di inserire nella collezione di quest'anno una linea di abbigliamento per taglie comode, dalla 44 alla 52, ma l'agenzia non dispone di una mannequin dal fisico adatto. Così, Enza ha accettato la proposta di Francesca». «La proposta di Francesca? che significa?». «Sì, quella di far sfilare Enza è stata un'idea di Francesca. In realtà, da quando tua madre è tornata a lavorare in negozio si è lasciata guidare in ogni scelta dal giudizio di Francesca. Pende proprio dalle sue labbra!». «E questo ti fa arrabbiare, suppongo». «Certo che mi fa arrabbiare! Scusa, chi ha mandato avanti la baracca mentre Enza se ne stava rintanata in casa? Chi è rimasta qui a sgobbare senza mai pretendere alcun compenso per le ore di straordinario?». «Tu». «Esatto. E allora perché adesso il mio parere non conta nulla? E perché ogni sciocchezza suggerita da Francesca, invece, è accolta come un'intuizione geniale? Non lo sopporto!». «Hai ragione, Ramona. Mi dispiace. La mamma si comporta in modo strano. Anche questo giocare a fare la modella non è da lei». «Cavolo, ma è questo il punto! Francesca le dà solo consigli assurdi! Avrai notato anche tu che Enza non è assolutamente in grado di sfilare. Perché esporla a una sicura figuraccia?». «In effetti, mi è parsa davvero a disagio. Ma perché non lascia perdere?». «Non può lasciar perdere; rischierebbe di deludere Francesca. E comunque ti avverto che lo spettacolo non è ancora finito. Preparati al peggio». «Cioè?». Ramona raccolse da terra una cartellina porta-blocco e batté con l'unghia sulla bozza della scaletta. «Ecco», rise, «questo sarà il momento clou della serata». Loris voleva saperne di più, ma, prima che potesse chiedere maggiori dettagli, la musica ricominciò a martellare.
Due ragazzine magre come spaghetti procedettero fianco a fianco sulla passerella. Una bionda e una bruna, un cocktail speziato e inebriante, doppia dose di frettolosa vivacità e un pizzico di sfrontatezza. Tanto disinvolte da apparire delle veterane. «Baby-doll bianco in tulle con volants ondulati, fiocchetto ornamentale in satin cucito tra le coppe in pizzo e perizoma coordinato per la splendida Chiara», annunciò una voce dagli altoparlanti, mentre la modella bruna volteggiava sorridente. «Baby-doll in chiffon azzurro con bordi ricamati e merletto, bijoux frontale con strass e tanga con nastro in raso per la stupenda Tamara». E adesso era la bionda a pavoneggiarsi e a pregustare l'ammirazione che il pubblico le avrebbe certamente tributato. Uscirono altre quattro indossatrici, tutte di età compresa tra i diciassette e i venticinque anni, sfoggiando gli indumenti e gli accessori della gamma di intimo e lingerie. Infine, fu la volta dell'ultima coppia. «Negligé nero in tessuto satinato con bordo inferiore dal taglio asimmetrico, spalline incrociate sulla schiena e stringatura anteriore decorativa per la seducente Francesca». Loris e Ramona si scambiarono un segnale impercettibile e tornarono subito a guardare increduli lo spettacolo. «Bikini rosso composto solamente da fettucce elastiche, con piccole strisce di microrete trasparente che attraversano il seno e il cavallo e con legature posteriori al collo e sulla schiena per la sexy Enza». Sulle note di Policy of Truth dei Depeche Mode le due sfilarono a beneficio dei pochi presenti. Loris fissava il corpo di sua madre, quel corpo che, grazie alle foto e ai video che Django aveva prelevato dalla pagina web di zazie_hotmilf, ormai aveva imparato a conoscere in ogni minimo dettaglio. Aveva già visto da tutte le possibili angolazioni quel seno generoso appena un po' sfiorito, quelle braccia piene e tornite, le fossette di cellulite sulle grosse cosce e sull'ampio e sporgente sedere, i morbidi rotolini di ciccia che ricoprivano fianchi e ventre. La vena varicosa che affiorava lungo la gamba sinistra. La peluria bionda e setosa. La frastagliata fessura della vagina. Aveva visto tutto ciò in centinaia di piccanti immagini, ma rimase comunque affascinato quando si ritrovò Enza davanti, in carne e ossa, praticamente nuda, impegnata a tenere il passo di Francesca, che dominava la scena col suo grande carisma. Anzi, forse l'accesso a quel materiale pornografico costituiva la premessa del violento eccitamento che lo scuoteva e che egli non poteva nascondere. Nemmeno faceva caso a Francesca, la cui bellezza prepotente avrebbe attirato lo sguardo di chiunque, e seguitava invece a entusiasmarsi per l'irresistibile mediocrità di sua madre, per la tenerezza che questa suscitava e per la propensione al ruolo di vittima che la donna palesava. Le fotografie avevano mostrato un lato di Enza che non riguardava soltanto la sessualità, un lato sul quale ora, grazie anche ai riflettori puntati su quella fatale passerella, infieriva una luce rivelatrice. Era un'attitudine alla sottomissione, un'abitudine a cedere al volere altrui, a rimanere presto imprigionata nelle relazioni con le altre persone. Era la consapevolezza di un fallimento. La certificazione di una sconfitta. La rassegnazione a ritenersi limitata, non all'altezza, brutta. Ed era proprio un sentimento di totale umiliazione che Enza dava l'impressione di provare mentre posava per quegli scatti e, a maggior ragione, mentre sfilava con accanto Francesca. Loris, che, come Zeno Cosini, amava il sesso debole in proporzione diretta della sua debolezza, si infiammò scoprendo la conturbante natura di sua madre, si infiammò tanto da dover accavallare le gambe nel tentativo di celare una colpevole erezione.
«Allora?», fece Ramona non appena le modelle scomparvero alla vista, oltrepassando la tenda di perline, «Che te ne pare?». Loris, imbarazzatissimo, si produsse in una smorfia che metteva in risalto la sua somiglianza con un uccello necrofago e si agitò sulla sedia come un criminale messo alle strette durante un interrogatorio. Aveva la fronte e le mani sudate. «Hai visto che roba?», insisté la ragazza, «Cristo! Quel completino intimo era talmente volgare da far sembrare Enza una bagascia da due soldi! E, naturalmente, è stata Francesca a convincerla a indossarlo». «Però...», farfugliò Loris, «potrebbe trattarsi di un segno di miglioramento. Voglio dire, la mamma che si spoglia e si esibisce conciata così davanti a un pubblico è un qualcosa che ha dell'incredibile; ma è pure la dimostrazione del fatto che lei ormai sta bene con se stessa e non si preoccupa delle critiche della gente. Accettando con serenità le sue imperfezioni, potrebbe finalmente diventare felice e risultare addirittura più assertiva. Insomma, fino a qualche tempo fa se doveva andare in spiaggia si imbacuccava nel pareo come una mummia!». «Se lo dici tu...», disse Ramona piuttosto scettica.
Loris attese che il suo pene tornasse a dimensioni meno ingombranti, poi si mise in piedi e salutò la ragazza, che lo congedò con una scrollata di spalle. Si incamminò verso gli spogliatoi, ma non appena entrò in una specie di anticamera venne intercettato da un uomo alto e biondo, che lo investì col suo alito al sentore di birra e, gesticolando e urlando, lo spaventò a morte. «Dove credi di andare, segaiolo?». «Uh, io veramente...». «Scommetto che ti sei perso. Vieni con me, ti accompagno al cesso. Lì ti sentirai a casa, stronzo!». Continuando a sbraitare, l'uomo afferrò Loris per un braccio. «Che sta succedendo?», gridò Enza sbucando dal camerino e attraversando la penombra del corridoio. «Niente di grave. È entrato un insetto. Tanto non ci metto niente a spiaccicarlo». «No, Graziano. Fermo! Quello è mio figlio». «Ma... davvero? Lui sarebbe tuo figlio!? Non ci posso credere!». L'uomo pareva divertito. Loris era pallido come un cencio. «Sì», fece Enza avvicinandosi, «lascialo andare, per favore». Graziano liberò Loris dalla sua morsa e gli assestò una cameratesca pacca sulla schiena, che per poco non lo mandò lungo disteso. «Grazie, adesso puoi andare», disse Enza, «Sei stato molto efficiente, come sempre. Sei proprio un ottimo Bodyguard!» «Sempre a disposizione». L'uomo, soddisfatto di sé, andò alla ricerca di altri pericolosi intrusi da neutralizzare.
«Stai bene? Che ci fai qui?». Loris, riprendendo pian piano colore, si rilassò e si lasciò guidare da Enza verso uno stanzino che si rivelò essere un piccolo ufficio, con tanto di scrivania e PC. Il monitor era antiquato, di quelli col tubo catodico. Uno strato di polvere ricopriva i documenti disseminati un po' ovunque. Elaborate ragnatele decoravano gli angoli. C'era anche un vecchio apparecchio telefonico, non più collegato alla presa, col cavo arrotolato e sigillato con una fascetta. «Allora? perché sei venuto? C'è qualche problema?». Enza portava un kimono di raso fucsia e un paio di pantofole di pelo. «Non si potrebbe accendere la luce?», propose Loris. In effetti, il biancore che penetrava attraverso le fila di mattoni in vetrocemento era debole e non permetteva di distinguere i dettagli delle cose. E il giovane di certo avrebbe voluto poter guardare ancora e senza impedimenti o limitazioni il corpo di sua madre a stento contenuto in quella vestaglietta frusciante. «La lampadina è fulminata», disse Enza. «Oh!», fece Loris deluso. «Devi dirmi qualcosa?». «No. Cioè... sono venuto per parlare con Francesca». «E che vuoi da lei?». Lui non rispose. «Non le starai dando il tormento con le tue paranoie?». «Non si tratta di paranoie. Non stavolta», disse il giovane, «Sono andato a trovare Frate Marcello». Enza accusò il colpo e ammutolì. «Ho ricostruito l'intera vicenda. So di Gianni Kurt Angle e so... che Riccardo è stato...». Non finì la frase, ma poi aggiunse: «Puoi smetterla di mentire». Il respiro della donna si fece affannoso. «Mamma, hai capito? Con me puoi essere sincera, puoi sfogarti. Non tenerti tutto dentro». «E...», mormorò Enza in debito di ossigeno, « E Francesca che c'entra?». «Ho il sospetto che lei abbia tentato di coprire i crimini di Frate Alberto. A questo punto, credo che sapesse sia dello stupro sia dell'aggressione a scopo intimidatorio che hai subito. Voglio smascherarla!». «Oh... Loris, sta' zitto!», gemette Enza.
Una risata riempì la stanza propagandosi come un gas tossico. Era un suono che proveniva dalle profondità della gola, che si frammentava in rintocchi monotoni ed echeggiava fra le mura spoglie. Non trasmetteva alcuna allegria. Si ripeteva, diffondendo una gelida ostilità tutt'intorno. Loris vide un'ombra scivolare silenziosa dietro di sé. Poi la lampadina che pendeva dal soffitto si accese. Non era affatto fulminata, dunque. L'ambiente circostante si illuminò all'improvviso, esibendo il suo tesoro di ciarpame e sporcizia. «E bravo il nostro Loris!», disse Francesca col dito ancora premuto sull'interruttore, «Enza, non mi aspettavo che tuo figlio si rivelasse un simile rompicoglioni!». La ragazza indossava ancora il negligé trasparente con cui aveva sfilato. Un'espressione trionfante stazionava sul suo volto. Incrociò le braccia sul petto, assumendo un atteggiamento di sfida. «Francesca...», borbottò Loris, sorpreso da quella teatrale apparizione. «Volevi vedermi, se non sbaglio», disse lei, «Beh, eccomi!». «Ci stavi spiando?». «Un pochino...», rispose Francesca abbandonandosi a un'altra risata maligna. «Se hai ascoltato le mie parole», fece il giovane, «ti sarà chiaro che ormai è inutile continuare a mentire». «Mmh, hai proprio ragione. Non ha più senso nascondere la verità. Tu sei pronto ad affrontarla?». «Certo! Sii sincera e smettila una buona volta di proteggere un mostro come Frate Alberto!». «E tu, Enza? tu sei pronta ad affrontare la dura verità?». La donna non disse nulla. Sembrava sconvolta. Si era rintanata in un cantuccio e tremava. Teneva gli occhi sgranati e si afferrava i capelli convulsamente nei pugni stretti, come a volerseli strappare dalla testa. «Mamma, che ti prende? stai male?». «Perché non iniziamo da Tony?», chiese Francesca in tono provocatorio. Madre e figlio furono impietriti dallo stupore. «Tony!?», mormorò Enza, «ma... Tony è partito...». «Puoi dirlo forte!», concordò la ragazza ironica, «E sai dov'è andato?». «Francesca, no!», urlò Loris. «Come no? Non volevi che fossi sincera?». «È capitato qualcosa di brutto a Tony?», starnazzò Enza. «Diglielo!», sibilò Francesca in faccia a Loris, «Dille la verità!». «Che verità? Tony sta bene? Sta bene, vero?». Il giovane era avvilito, stretto come in una morsa tra la perfidia di Francesca e l'agitazione di Enza. «Mamma... cerca di farti coraggio...», disse stupidamente. «Ma... dov'è adesso? È ferito?». «Mamma... ti prego!». «Alla fine Gianni lo ha trovato», disse Francesca, «Qualcuno deve averlo messo sulle sue tracce». «Oddio! Oddio, no! Lo ha ammazzato? Loris, rispondimi». Ma lui non rispose.
Enza riprese a tormentarsi i capelli, indietreggiò fino a urtare contro il muro e, scivolando pian piano sulla schiena, si ritrovò seduta sul pavimento gibboso, tra i buchi che costellavano il decrepito linoleum. «Ma... perché?», pigolò Enza al colmo dello sconforto, «Cristo, Francesca! avevi già ottenuto quello che volevi! Tra me e lui era tutto finito, Tony mi odiava. Aveva deciso di partire. Se ne sarebbe andato per sempre. Che bisogno c'era...?». «Ormai dovresti conoscermi», disse la ragazza, «Non lascio mai le cose a metà. Tony è stato sciocco. Nascondendosi in quella catapecchia a due passi dalla foresteria, un po' se l'è cercata. Ho solo dovuto informare il nostro amico Gianni». Enza si strinse le ginocchia al petto ed emise un gorgoglio liquido, seguito da un lamento prolungato, vibrante. Singhiozzi simili a colpi di tosse le salirono dallo stomaco trasformandosi presto in conati di vomito. «Mamma... non volevo... non volevo che tu lo sapessi in questo modo!», fece Loris. «Ecco», commentò Francesca, «non ti sta mai bene niente! eppure avevi così insistito con la solfa di quanto sia importante la verità!». «Sei spregevole!», l'accusò il giovane, «Ti piace veder soffrire le persone? per questo ti sei schierata dalla parte di quel porco di Frate Alberto? Sei crudele quanto lui! Hai tramato fin dall'inizio per impedire che lo incriminassero. E continui a farlo». Francesca produsse una risatina nasale e, con la sua camminata fluida, attraversò la breve distanza che la separava da Loris. In un attimo furono vicinissimi, i loro nasi si sfioravano. «Ti supplico, Francesca!», gridò Enza con la voce distorta dall'agonia, «non fargli del male.» «Un ultimo sforzo!», disse la ragazza, «Fin qui sei stato bravo, ma è necessario un ultimo sforzo. Prova a usare la fantasia!». Loris sentiva l'alito di lei solleticargli il collo, il profumo di lei raggiungerlo, lieve come una carezza. «La fantasia?», mormorò confuso, «che significa?». «A questo punto hai tutti gli elementi a disposizione, puoi ricomporre il puzzle». «Ma certo... è stato Frate Alberto a...». «Non deludermi, Loris. Frate Alberto è un uomo mediocre, un'autentica nullità. A lui interessa solo mangiare, accumulare denaro e dormire con accanto una prostituta dopo aver consumato i suoi due minuti settimanali di sesso. Credimi, non è il pericoloso predatore che stai cercando». «Speri ancora di salvarlo? È incredibile! Io non...». Francesca lo zittì posandogli un dito sulle labbra. «Shhh...», fece, «Un ultimo sforzo, non ti chiedo altro». Con un guizzo, gli voltò le spalle e si avventò su Enza. «Alzati! Subito!», le ordinò. La donna scattò in piedi, mentre le lacrime continuavano a bagnarle il viso congestionato. Non provò a opporsi quando Francesca le sciolse il nodo della cintura e con uno strattone le tolse di dosso il kimono, che scivolò a terra in un fluttuare di morbide volute, circondandole le caviglie. Enza indossava ancora il bikini microscopico con cui aveva sfilato poco prima. «Che te ne pare, Loris?», disse Francesca, «Credevi che non mi fossi accorta della tua perversione?». «Della mia... ma che stai inventando?». «Non c'è bisogno di fingere. La nostra Enza ti manda al manicomio, ammettilo! Guardala pure, non vergognarti! Ti viene voglia di scoparla, non è vero? anche a me fa lo stesso effetto, te lo giuro». Il ragazzo arrossì e venne colto da un accesso di tosse. «Non devi preoccuparti, Loris. Se subiamo l'influsso di certe pulsioni non è mica colpa nostra». «Che pulsioni? non capisco...».
Francesca afferrò Enza per i capelli e la costrinse a piegarsi sulla scrivania. Le sfilò lo slip e le allargò le gambe. La donna singhiozzava, le mani stese ai lati della faccia che teneva premuta contro il ripiano di formica del mobile. «Fermati! Lasciala stare!», intervenne Loris disperato. Per tutta risposta, la ragazza rifilò a Enza uno schiaffone sul sedere. La poveretta sobbalzò e cacciò un urletto stridulo simile a uno squittio, ma non modificò la posizione assunta, limitandosi a molleggiare sulle punte dei piedi. Francesca aggirò la scrivania e andò a sedersi sulla poltroncina spelacchiata, intercettando lo sguardo impaurito della donna per mostrarle con cattiveria lo slip che le aveva tolto. «Avanti, Loris!», disse, «È il momento di compiere quell'ultimo sforzo. Tua madre è pronta. Come vedi mi obbedisce come un cagnolino. Avanti, è tutta tua! so che vuoi fotterla». Il giovane sembrava sul punto di svenire. Le parti più intime di sua madre erano lì davanti a lui, impietosamente offerte alla sua depravata lussuria. Avrebbe dovuto essere infuriato con quella ragazzina che si comportava in modo tanto odioso. E invece emergeva dall'assurdo di quella situazione un'opportunità che scatenava in lui un desiderio inconfessabile. «Puoi farle qualsiasi cosa», continuò Francesca, «Non ci sono limiti. Divertiti! Sei tu che comandi il gioco. Se proprio non ti viene in mente niente di meglio, puoi anche chiederle di raccontarti quello che è realmente accaduto il giorno dell'incidente, quando è volata giù dal balcone. Stavolta non mentirà, te lo garantisco. Comunque, io ti consiglio di lasciar perdere certe stronzate. Non ti ricapiterà molto presto di annusare l'odore della fica. Forse non ti ricapiterà mai più. Segui l'istinto per una volta! Il cazzo non devi mica usarlo solo per pisciare! tiralo fuori, forza!».
In effetti, nelle mutande di Loris si stava combattendo una battaglia decisiva e il giovane avanzava goffo e lento come uno zombie, avvicinandosi a Enza, che restava china e tremante, le gambe divaricate, completamente esposta alle attenzioni morbose di suo figlio. Ormai a lui sarebbe bastato allungare una mano per poter toccare quella pelle lucida di sudore, quelle forme femminili così abbondanti, così materne. Con una smorfia di stizza cercò il tiretto della cerniera dei pantaloni, imprecò sottovoce perché il meccanismo s'era inceppato e stette un minuto buono a dimenarsi per tentare di sbloccarlo. Enza intanto teneva gli occhi chiusi e i pugni stretti. Il pene sgusciò fuori dalla patta e sgocciolò sull'impiantito, poi depositò nella mano a coppa di Loris un esiguo rigurgito di sperma. Francesca ridacchiò guardando il giovane che roteava le dita, disgustato da quella secrezione appiccicosa. «Merda!», disse la ragazza, «Tutto qui? Nemmeno il tempo di slacciarti i pantaloni! Che delusione!». Lui aveva superato il limite fissato dal comune senso del pudore, l'aveva superato con quel suo modo quasi alieno di condursi. In fondo, per Loris sentirsi a disagio era la norma e, quindi, il fatto di ritrovarsi catapultato in un contesto abnorme, fosse anche uno scenario di sfrenata libidine, non lo spingeva a modificare più di tanto il suo atteggiamento esteriore. E allora, con calma, cavò dalla tasca un fazzoletto e si ripulì, per quanto gli fu possibile. Nonostante la cura che vi dedicò, infatti, una vistosa chiazza gli decorava ora i calzoni all'altezza del pube. Infine, tirò su la zip sottraendo alla vista quell'organo genitale che con troppa fretta, provvidenziale fretta, aveva esercitato le proprie funzioni. Provò a parlare, ma la saliva gli andò di traverso; tossì fino a lacrimare. «Mamma...», disse con una voce sottile quando la tosse si calmò, «cos'è successo davvero quel giorno? voglio saperlo. Frate Alberto ha mandato qualcuno a minacciarti e a farti del male? o è stato Gianni Kurt Angle ad aggredirti? Dimmelo!».
Enza sollevò la testa dalla scrivania e incrociò lo sguardo severo di Francesca. Attendeva che le venisse concesso il permesso di raccontare la sua storia. La ragazza annuì. «Diglielo», ordinò, «e senza omettere nulla. Voglio che Loris conosca la verità. Dopotutto, è la verità a renderci liberi. Giusto?».
Le modelle stavano uscendo dall'improvvisato backstage, passando attraverso una tenda di perline. Erano in quattro e, con un ancheggiare accentuato, si disposero su una fila. La prima si staccò dal gruppo e percorse la passerella, ma Loris non le badò, poiché aveva gli occhi incollati al terzetto rimasto sullo sfondo. Esso era composto da una sconosciuta che incedeva con l'eleganza di una cerbiatta, da una Francesca in grande spolvero e, incredibilmente, da Enza. Quest'ultima, come un pesce fuor d'acqua, boccheggiava cercando di imitare le movenze delle indossatrici più esperte. Era fasciata in un abito lungo di nylon nero, elasticizzato e scintillante. Lo scollo era assai profondo e lo spacco sulla coscia era audace. Si trattava di un capo disegnato per valorizzare silhouette slanciate. Addosso a Enza finiva col marcare troppo la rotondità delle curve, comunicando un'idea di pesantezza e goffaggine. Quando venne il suo turno, sfilò con trepidazione, impacciata dall'imbarazzo di sentirsi inadeguata. Fissava un punto nel vuoto e nemmeno si accorse di suo figlio, che assisteva alla scena col fiato sospeso, come davanti a un pericoloso esercizio acrobatico. Francesca fu l'ultima a calcare il ripiano scricchiolante della pedana; poi si riallineò alle altre modelle e tutte rientrarono negli spogliatoi. La musica cessò e Loris si affrettò a esprimere le proprie perplessità. «Non ci posso credere! Ma che le è preso alla mamma?». «Beh», spiegò Ramona, «si è deciso di inserire nella collezione di quest'anno una linea di abbigliamento per taglie comode, dalla 44 alla 52, ma l'agenzia non dispone di una mannequin dal fisico adatto. Così, Enza ha accettato la proposta di Francesca». «La proposta di Francesca? che significa?». «Sì, quella di far sfilare Enza è stata un'idea di Francesca. In realtà, da quando tua madre è tornata a lavorare in negozio si è lasciata guidare in ogni scelta dal giudizio di Francesca. Pende proprio dalle sue labbra!». «E questo ti fa arrabbiare, suppongo». «Certo che mi fa arrabbiare! Scusa, chi ha mandato avanti la baracca mentre Enza se ne stava rintanata in casa? Chi è rimasta qui a sgobbare senza mai pretendere alcun compenso per le ore di straordinario?». «Tu». «Esatto. E allora perché adesso il mio parere non conta nulla? E perché ogni sciocchezza suggerita da Francesca, invece, è accolta come un'intuizione geniale? Non lo sopporto!». «Hai ragione, Ramona. Mi dispiace. La mamma si comporta in modo strano. Anche questo giocare a fare la modella non è da lei». «Cavolo, ma è questo il punto! Francesca le dà solo consigli assurdi! Avrai notato anche tu che Enza non è assolutamente in grado di sfilare. Perché esporla a una sicura figuraccia?». «In effetti, mi è parsa davvero a disagio. Ma perché non lascia perdere?». «Non può lasciar perdere; rischierebbe di deludere Francesca. E comunque ti avverto che lo spettacolo non è ancora finito. Preparati al peggio». «Cioè?». Ramona raccolse da terra una cartellina porta-blocco e batté con l'unghia sulla bozza della scaletta. «Ecco», rise, «questo sarà il momento clou della serata». Loris voleva saperne di più, ma, prima che potesse chiedere maggiori dettagli, la musica ricominciò a martellare.
Due ragazzine magre come spaghetti procedettero fianco a fianco sulla passerella. Una bionda e una bruna, un cocktail speziato e inebriante, doppia dose di frettolosa vivacità e un pizzico di sfrontatezza. Tanto disinvolte da apparire delle veterane. «Baby-doll bianco in tulle con volants ondulati, fiocchetto ornamentale in satin cucito tra le coppe in pizzo e perizoma coordinato per la splendida Chiara», annunciò una voce dagli altoparlanti, mentre la modella bruna volteggiava sorridente. «Baby-doll in chiffon azzurro con bordi ricamati e merletto, bijoux frontale con strass e tanga con nastro in raso per la stupenda Tamara». E adesso era la bionda a pavoneggiarsi e a pregustare l'ammirazione che il pubblico le avrebbe certamente tributato. Uscirono altre quattro indossatrici, tutte di età compresa tra i diciassette e i venticinque anni, sfoggiando gli indumenti e gli accessori della gamma di intimo e lingerie. Infine, fu la volta dell'ultima coppia. «Negligé nero in tessuto satinato con bordo inferiore dal taglio asimmetrico, spalline incrociate sulla schiena e stringatura anteriore decorativa per la seducente Francesca». Loris e Ramona si scambiarono un segnale impercettibile e tornarono subito a guardare increduli lo spettacolo. «Bikini rosso composto solamente da fettucce elastiche, con piccole strisce di microrete trasparente che attraversano il seno e il cavallo e con legature posteriori al collo e sulla schiena per la sexy Enza». Sulle note di Policy of Truth dei Depeche Mode le due sfilarono a beneficio dei pochi presenti. Loris fissava il corpo di sua madre, quel corpo che, grazie alle foto e ai video che Django aveva prelevato dalla pagina web di zazie_hotmilf, ormai aveva imparato a conoscere in ogni minimo dettaglio. Aveva già visto da tutte le possibili angolazioni quel seno generoso appena un po' sfiorito, quelle braccia piene e tornite, le fossette di cellulite sulle grosse cosce e sull'ampio e sporgente sedere, i morbidi rotolini di ciccia che ricoprivano fianchi e ventre. La vena varicosa che affiorava lungo la gamba sinistra. La peluria bionda e setosa. La frastagliata fessura della vagina. Aveva visto tutto ciò in centinaia di piccanti immagini, ma rimase comunque affascinato quando si ritrovò Enza davanti, in carne e ossa, praticamente nuda, impegnata a tenere il passo di Francesca, che dominava la scena col suo grande carisma. Anzi, forse l'accesso a quel materiale pornografico costituiva la premessa del violento eccitamento che lo scuoteva e che egli non poteva nascondere. Nemmeno faceva caso a Francesca, la cui bellezza prepotente avrebbe attirato lo sguardo di chiunque, e seguitava invece a entusiasmarsi per l'irresistibile mediocrità di sua madre, per la tenerezza che questa suscitava e per la propensione al ruolo di vittima che la donna palesava. Le fotografie avevano mostrato un lato di Enza che non riguardava soltanto la sessualità, un lato sul quale ora, grazie anche ai riflettori puntati su quella fatale passerella, infieriva una luce rivelatrice. Era un'attitudine alla sottomissione, un'abitudine a cedere al volere altrui, a rimanere presto imprigionata nelle relazioni con le altre persone. Era la consapevolezza di un fallimento. La certificazione di una sconfitta. La rassegnazione a ritenersi limitata, non all'altezza, brutta. Ed era proprio un sentimento di totale umiliazione che Enza dava l'impressione di provare mentre posava per quegli scatti e, a maggior ragione, mentre sfilava con accanto Francesca. Loris, che, come Zeno Cosini, amava il sesso debole in proporzione diretta della sua debolezza, si infiammò scoprendo la conturbante natura di sua madre, si infiammò tanto da dover accavallare le gambe nel tentativo di celare una colpevole erezione.
«Allora?», fece Ramona non appena le modelle scomparvero alla vista, oltrepassando la tenda di perline, «Che te ne pare?». Loris, imbarazzatissimo, si produsse in una smorfia che metteva in risalto la sua somiglianza con un uccello necrofago e si agitò sulla sedia come un criminale messo alle strette durante un interrogatorio. Aveva la fronte e le mani sudate. «Hai visto che roba?», insisté la ragazza, «Cristo! Quel completino intimo era talmente volgare da far sembrare Enza una bagascia da due soldi! E, naturalmente, è stata Francesca a convincerla a indossarlo». «Però...», farfugliò Loris, «potrebbe trattarsi di un segno di miglioramento. Voglio dire, la mamma che si spoglia e si esibisce conciata così davanti a un pubblico è un qualcosa che ha dell'incredibile; ma è pure la dimostrazione del fatto che lei ormai sta bene con se stessa e non si preoccupa delle critiche della gente. Accettando con serenità le sue imperfezioni, potrebbe finalmente diventare felice e risultare addirittura più assertiva. Insomma, fino a qualche tempo fa se doveva andare in spiaggia si imbacuccava nel pareo come una mummia!». «Se lo dici tu...», disse Ramona piuttosto scettica.
Loris attese che il suo pene tornasse a dimensioni meno ingombranti, poi si mise in piedi e salutò la ragazza, che lo congedò con una scrollata di spalle. Si incamminò verso gli spogliatoi, ma non appena entrò in una specie di anticamera venne intercettato da un uomo alto e biondo, che lo investì col suo alito al sentore di birra e, gesticolando e urlando, lo spaventò a morte. «Dove credi di andare, segaiolo?». «Uh, io veramente...». «Scommetto che ti sei perso. Vieni con me, ti accompagno al cesso. Lì ti sentirai a casa, stronzo!». Continuando a sbraitare, l'uomo afferrò Loris per un braccio. «Che sta succedendo?», gridò Enza sbucando dal camerino e attraversando la penombra del corridoio. «Niente di grave. È entrato un insetto. Tanto non ci metto niente a spiaccicarlo». «No, Graziano. Fermo! Quello è mio figlio». «Ma... davvero? Lui sarebbe tuo figlio!? Non ci posso credere!». L'uomo pareva divertito. Loris era pallido come un cencio. «Sì», fece Enza avvicinandosi, «lascialo andare, per favore». Graziano liberò Loris dalla sua morsa e gli assestò una cameratesca pacca sulla schiena, che per poco non lo mandò lungo disteso. «Grazie, adesso puoi andare», disse Enza, «Sei stato molto efficiente, come sempre. Sei proprio un ottimo Bodyguard!» «Sempre a disposizione». L'uomo, soddisfatto di sé, andò alla ricerca di altri pericolosi intrusi da neutralizzare.
«Stai bene? Che ci fai qui?». Loris, riprendendo pian piano colore, si rilassò e si lasciò guidare da Enza verso uno stanzino che si rivelò essere un piccolo ufficio, con tanto di scrivania e PC. Il monitor era antiquato, di quelli col tubo catodico. Uno strato di polvere ricopriva i documenti disseminati un po' ovunque. Elaborate ragnatele decoravano gli angoli. C'era anche un vecchio apparecchio telefonico, non più collegato alla presa, col cavo arrotolato e sigillato con una fascetta. «Allora? perché sei venuto? C'è qualche problema?». Enza portava un kimono di raso fucsia e un paio di pantofole di pelo. «Non si potrebbe accendere la luce?», propose Loris. In effetti, il biancore che penetrava attraverso le fila di mattoni in vetrocemento era debole e non permetteva di distinguere i dettagli delle cose. E il giovane di certo avrebbe voluto poter guardare ancora e senza impedimenti o limitazioni il corpo di sua madre a stento contenuto in quella vestaglietta frusciante. «La lampadina è fulminata», disse Enza. «Oh!», fece Loris deluso. «Devi dirmi qualcosa?». «No. Cioè... sono venuto per parlare con Francesca». «E che vuoi da lei?». Lui non rispose. «Non le starai dando il tormento con le tue paranoie?». «Non si tratta di paranoie. Non stavolta», disse il giovane, «Sono andato a trovare Frate Marcello». Enza accusò il colpo e ammutolì. «Ho ricostruito l'intera vicenda. So di Gianni Kurt Angle e so... che Riccardo è stato...». Non finì la frase, ma poi aggiunse: «Puoi smetterla di mentire». Il respiro della donna si fece affannoso. «Mamma, hai capito? Con me puoi essere sincera, puoi sfogarti. Non tenerti tutto dentro». «E...», mormorò Enza in debito di ossigeno, « E Francesca che c'entra?». «Ho il sospetto che lei abbia tentato di coprire i crimini di Frate Alberto. A questo punto, credo che sapesse sia dello stupro sia dell'aggressione a scopo intimidatorio che hai subito. Voglio smascherarla!». «Oh... Loris, sta' zitto!», gemette Enza.
Una risata riempì la stanza propagandosi come un gas tossico. Era un suono che proveniva dalle profondità della gola, che si frammentava in rintocchi monotoni ed echeggiava fra le mura spoglie. Non trasmetteva alcuna allegria. Si ripeteva, diffondendo una gelida ostilità tutt'intorno. Loris vide un'ombra scivolare silenziosa dietro di sé. Poi la lampadina che pendeva dal soffitto si accese. Non era affatto fulminata, dunque. L'ambiente circostante si illuminò all'improvviso, esibendo il suo tesoro di ciarpame e sporcizia. «E bravo il nostro Loris!», disse Francesca col dito ancora premuto sull'interruttore, «Enza, non mi aspettavo che tuo figlio si rivelasse un simile rompicoglioni!». La ragazza indossava ancora il negligé trasparente con cui aveva sfilato. Un'espressione trionfante stazionava sul suo volto. Incrociò le braccia sul petto, assumendo un atteggiamento di sfida. «Francesca...», borbottò Loris, sorpreso da quella teatrale apparizione. «Volevi vedermi, se non sbaglio», disse lei, «Beh, eccomi!». «Ci stavi spiando?». «Un pochino...», rispose Francesca abbandonandosi a un'altra risata maligna. «Se hai ascoltato le mie parole», fece il giovane, «ti sarà chiaro che ormai è inutile continuare a mentire». «Mmh, hai proprio ragione. Non ha più senso nascondere la verità. Tu sei pronto ad affrontarla?». «Certo! Sii sincera e smettila una buona volta di proteggere un mostro come Frate Alberto!». «E tu, Enza? tu sei pronta ad affrontare la dura verità?». La donna non disse nulla. Sembrava sconvolta. Si era rintanata in un cantuccio e tremava. Teneva gli occhi sgranati e si afferrava i capelli convulsamente nei pugni stretti, come a volerseli strappare dalla testa. «Mamma, che ti prende? stai male?». «Perché non iniziamo da Tony?», chiese Francesca in tono provocatorio. Madre e figlio furono impietriti dallo stupore. «Tony!?», mormorò Enza, «ma... Tony è partito...». «Puoi dirlo forte!», concordò la ragazza ironica, «E sai dov'è andato?». «Francesca, no!», urlò Loris. «Come no? Non volevi che fossi sincera?». «È capitato qualcosa di brutto a Tony?», starnazzò Enza. «Diglielo!», sibilò Francesca in faccia a Loris, «Dille la verità!». «Che verità? Tony sta bene? Sta bene, vero?». Il giovane era avvilito, stretto come in una morsa tra la perfidia di Francesca e l'agitazione di Enza. «Mamma... cerca di farti coraggio...», disse stupidamente. «Ma... dov'è adesso? È ferito?». «Mamma... ti prego!». «Alla fine Gianni lo ha trovato», disse Francesca, «Qualcuno deve averlo messo sulle sue tracce». «Oddio! Oddio, no! Lo ha ammazzato? Loris, rispondimi». Ma lui non rispose.
Enza riprese a tormentarsi i capelli, indietreggiò fino a urtare contro il muro e, scivolando pian piano sulla schiena, si ritrovò seduta sul pavimento gibboso, tra i buchi che costellavano il decrepito linoleum. «Ma... perché?», pigolò Enza al colmo dello sconforto, «Cristo, Francesca! avevi già ottenuto quello che volevi! Tra me e lui era tutto finito, Tony mi odiava. Aveva deciso di partire. Se ne sarebbe andato per sempre. Che bisogno c'era...?». «Ormai dovresti conoscermi», disse la ragazza, «Non lascio mai le cose a metà. Tony è stato sciocco. Nascondendosi in quella catapecchia a due passi dalla foresteria, un po' se l'è cercata. Ho solo dovuto informare il nostro amico Gianni». Enza si strinse le ginocchia al petto ed emise un gorgoglio liquido, seguito da un lamento prolungato, vibrante. Singhiozzi simili a colpi di tosse le salirono dallo stomaco trasformandosi presto in conati di vomito. «Mamma... non volevo... non volevo che tu lo sapessi in questo modo!», fece Loris. «Ecco», commentò Francesca, «non ti sta mai bene niente! eppure avevi così insistito con la solfa di quanto sia importante la verità!». «Sei spregevole!», l'accusò il giovane, «Ti piace veder soffrire le persone? per questo ti sei schierata dalla parte di quel porco di Frate Alberto? Sei crudele quanto lui! Hai tramato fin dall'inizio per impedire che lo incriminassero. E continui a farlo». Francesca produsse una risatina nasale e, con la sua camminata fluida, attraversò la breve distanza che la separava da Loris. In un attimo furono vicinissimi, i loro nasi si sfioravano. «Ti supplico, Francesca!», gridò Enza con la voce distorta dall'agonia, «non fargli del male.» «Un ultimo sforzo!», disse la ragazza, «Fin qui sei stato bravo, ma è necessario un ultimo sforzo. Prova a usare la fantasia!». Loris sentiva l'alito di lei solleticargli il collo, il profumo di lei raggiungerlo, lieve come una carezza. «La fantasia?», mormorò confuso, «che significa?». «A questo punto hai tutti gli elementi a disposizione, puoi ricomporre il puzzle». «Ma certo... è stato Frate Alberto a...». «Non deludermi, Loris. Frate Alberto è un uomo mediocre, un'autentica nullità. A lui interessa solo mangiare, accumulare denaro e dormire con accanto una prostituta dopo aver consumato i suoi due minuti settimanali di sesso. Credimi, non è il pericoloso predatore che stai cercando». «Speri ancora di salvarlo? È incredibile! Io non...». Francesca lo zittì posandogli un dito sulle labbra. «Shhh...», fece, «Un ultimo sforzo, non ti chiedo altro». Con un guizzo, gli voltò le spalle e si avventò su Enza. «Alzati! Subito!», le ordinò. La donna scattò in piedi, mentre le lacrime continuavano a bagnarle il viso congestionato. Non provò a opporsi quando Francesca le sciolse il nodo della cintura e con uno strattone le tolse di dosso il kimono, che scivolò a terra in un fluttuare di morbide volute, circondandole le caviglie. Enza indossava ancora il bikini microscopico con cui aveva sfilato poco prima. «Che te ne pare, Loris?», disse Francesca, «Credevi che non mi fossi accorta della tua perversione?». «Della mia... ma che stai inventando?». «Non c'è bisogno di fingere. La nostra Enza ti manda al manicomio, ammettilo! Guardala pure, non vergognarti! Ti viene voglia di scoparla, non è vero? anche a me fa lo stesso effetto, te lo giuro». Il ragazzo arrossì e venne colto da un accesso di tosse. «Non devi preoccuparti, Loris. Se subiamo l'influsso di certe pulsioni non è mica colpa nostra». «Che pulsioni? non capisco...».
Francesca afferrò Enza per i capelli e la costrinse a piegarsi sulla scrivania. Le sfilò lo slip e le allargò le gambe. La donna singhiozzava, le mani stese ai lati della faccia che teneva premuta contro il ripiano di formica del mobile. «Fermati! Lasciala stare!», intervenne Loris disperato. Per tutta risposta, la ragazza rifilò a Enza uno schiaffone sul sedere. La poveretta sobbalzò e cacciò un urletto stridulo simile a uno squittio, ma non modificò la posizione assunta, limitandosi a molleggiare sulle punte dei piedi. Francesca aggirò la scrivania e andò a sedersi sulla poltroncina spelacchiata, intercettando lo sguardo impaurito della donna per mostrarle con cattiveria lo slip che le aveva tolto. «Avanti, Loris!», disse, «È il momento di compiere quell'ultimo sforzo. Tua madre è pronta. Come vedi mi obbedisce come un cagnolino. Avanti, è tutta tua! so che vuoi fotterla». Il giovane sembrava sul punto di svenire. Le parti più intime di sua madre erano lì davanti a lui, impietosamente offerte alla sua depravata lussuria. Avrebbe dovuto essere infuriato con quella ragazzina che si comportava in modo tanto odioso. E invece emergeva dall'assurdo di quella situazione un'opportunità che scatenava in lui un desiderio inconfessabile. «Puoi farle qualsiasi cosa», continuò Francesca, «Non ci sono limiti. Divertiti! Sei tu che comandi il gioco. Se proprio non ti viene in mente niente di meglio, puoi anche chiederle di raccontarti quello che è realmente accaduto il giorno dell'incidente, quando è volata giù dal balcone. Stavolta non mentirà, te lo garantisco. Comunque, io ti consiglio di lasciar perdere certe stronzate. Non ti ricapiterà molto presto di annusare l'odore della fica. Forse non ti ricapiterà mai più. Segui l'istinto per una volta! Il cazzo non devi mica usarlo solo per pisciare! tiralo fuori, forza!».
In effetti, nelle mutande di Loris si stava combattendo una battaglia decisiva e il giovane avanzava goffo e lento come uno zombie, avvicinandosi a Enza, che restava china e tremante, le gambe divaricate, completamente esposta alle attenzioni morbose di suo figlio. Ormai a lui sarebbe bastato allungare una mano per poter toccare quella pelle lucida di sudore, quelle forme femminili così abbondanti, così materne. Con una smorfia di stizza cercò il tiretto della cerniera dei pantaloni, imprecò sottovoce perché il meccanismo s'era inceppato e stette un minuto buono a dimenarsi per tentare di sbloccarlo. Enza intanto teneva gli occhi chiusi e i pugni stretti. Il pene sgusciò fuori dalla patta e sgocciolò sull'impiantito, poi depositò nella mano a coppa di Loris un esiguo rigurgito di sperma. Francesca ridacchiò guardando il giovane che roteava le dita, disgustato da quella secrezione appiccicosa. «Merda!», disse la ragazza, «Tutto qui? Nemmeno il tempo di slacciarti i pantaloni! Che delusione!». Lui aveva superato il limite fissato dal comune senso del pudore, l'aveva superato con quel suo modo quasi alieno di condursi. In fondo, per Loris sentirsi a disagio era la norma e, quindi, il fatto di ritrovarsi catapultato in un contesto abnorme, fosse anche uno scenario di sfrenata libidine, non lo spingeva a modificare più di tanto il suo atteggiamento esteriore. E allora, con calma, cavò dalla tasca un fazzoletto e si ripulì, per quanto gli fu possibile. Nonostante la cura che vi dedicò, infatti, una vistosa chiazza gli decorava ora i calzoni all'altezza del pube. Infine, tirò su la zip sottraendo alla vista quell'organo genitale che con troppa fretta, provvidenziale fretta, aveva esercitato le proprie funzioni. Provò a parlare, ma la saliva gli andò di traverso; tossì fino a lacrimare. «Mamma...», disse con una voce sottile quando la tosse si calmò, «cos'è successo davvero quel giorno? voglio saperlo. Frate Alberto ha mandato qualcuno a minacciarti e a farti del male? o è stato Gianni Kurt Angle ad aggredirti? Dimmelo!».
Enza sollevò la testa dalla scrivania e incrociò lo sguardo severo di Francesca. Attendeva che le venisse concesso il permesso di raccontare la sua storia. La ragazza annuì. «Diglielo», ordinò, «e senza omettere nulla. Voglio che Loris conosca la verità. Dopotutto, è la verità a renderci liberi. Giusto?».
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