Zazie - Cap. 4
di
BiDiEnne
genere
pulp
«Tony è stato ucciso da un certo Gianni, detto Kurt Angle. Si è trattato di un delitto per gelosia. Ma fatti qualche domanda: chi ci avrebbe guadagnato a scatenare la furia di Gianni? Qualcuno gli ha passato la notizia del tradimento di tua madre. Lo stesso qualcuno che gli ha indicato il luogo in cui avrebbe trovato il suo rivale. Chi? e perché?». «Frate Alberto? ma che motivo avrebbe avuto?». «Ho potuto raccogliere solo alcune tessere del mosaico. Tony non si sbottonava troppo. Anche perché, secondo me, non aveva che una conoscenza parziale dei fatti. Comunque sia, ormai le uniche persone che potrebbero vuotare il sacco sono tua madre e... Frate Marcello». «Frate Marcello? Quello che aveva sostituito Frate Alberto?». «Sì. Gianni Kurt Angle in questa storia è stato solo una pedina e l'infedeltà di tua madre, un pretesto. Almeno, così credeva Tony quando è andato a rifugiarsi presso la foresteria del santuario, dove Frate Marcello gli aveva trovato un alloggio, esaudendo così le preghiere di Enza, che voleva tenere il suo amante al sicuro ma in un luogo non troppo lontano, per poter tornare a stare insieme a lui non appena le acque si fossero calmate». «Però Tony non voleva più saperne di lei». «Giusto. La detestava perché lei gli aveva mentito. Ma poi è riuscito a perdonarla. Diceva che l'amore che li legava era troppo forte e che Gianni Kurt Angle, invece, rappresentava per Enza solo un capriccio, un'infatuazione senza importanza dovuta a una condizione psicologica di vulnerabilità. Insomma, tutto sembrava risolto fra loro due; erano felici e si telefonavano di continuo, dal momento che, per precauzione, avevano deciso di non vedersi durante la latitanza di Tony». «Quindi si erano riconciliati?». «Sì, ma l'idillio non è durato a lungo». «Come mai?».
Il barista venne a ripulire il tavolo. «Tony non meritava un destino tanto orrendo», riprese Gianmarco cercando di trattenere le lacrime, «Non dava fastidio a nessuno. Era un ragazzo che amava la vita, amava la musica e lo sport. E... amava tua madre». «Se lei sapesse che è morto, avrebbe un tracollo psicologico». «Non gliel'hai detto?». «Non posso. Non lo sopporterebbe. Ho il terrore di farle del male». «Io sono terrorizzato». Gianmarco, assecondando la propria indole mite e riflessiva, abbandonò qualsiasi atteggiamento aggressivo. «Lo era anche Tony», gemette, «quando mi confidò che Enza, spinta da Frate Marcello, aveva deciso di denunciare Frate Alberto. Sosteneva che ce n'era abbastanza per spedirlo in galera. Io ho cercato di saperne di più, ma niente. Non c'è stato verso di ottenere maggiori dettagli. È mancato anche il tempo, dal momento che poco dopo la situazione è precipitata». «In che senso è precipitata?». «Ehm... Veramente, prima è precipitata tua madre. Perdonami la battutaccia. Ma il giorno dell'incidente/tentato suicidio/aggressione è coinciso con il definitivo rovinare degli eventi. Da quel giorno, infatti, Tony ha smesso di essere il ragazzo comprensivo e indulgente che era stato fino allora. In quel preciso momento, senza un'apparente ragione, ha deciso di troncare ogni rapporto con Enza. Era di nuovo furioso contro di lei, la respingeva come se quella caduta dal balcone avesse risvegliato il suo risentimento. È assurdo, lo so. Eppure... qualcosa deve averlo indotto a cambiare idea, ma cosa? Per lui era ormai impossibile affrontare l'argomento. Se insistevo a chiedergli spiegazioni, mi mandava al diavolo. Non sopportavo di vederlo soffrire tanto e non sapevo come aiutarlo. Poi, a peggiorare la situazione, è giunta la notizia del trasferimento di Frate Marcello. Capirai, per richiederne l'allontanamento si è mobilitata l'intera comunità dei fedeli. Alcuni fra i più zelanti hanno persino promosso una petizione per richiedere al Vescovo e al Ministro Provinciale dell'Ordine la riassegnazione di Frate Alberto alla sede di provenienza». «E chi ha firmato?». «Tutti. Tranne Enza. Capisci? Volevano indietro il loro capobanda».
Nell'abitacolo aleggiava una fragranza di vaniglia. Tiziano Ferro copriva le loro voci e Francesca abbassò il volume. «La palestra è qui vicino», disse, «arriveremo in un attimo, traffico permettendo». «Forse ci sto ripensando», confessò Enza con una vocina sottile. «Cosa?». «Sì, forse non è il caso che io venga». «Rilassati. Vedrai che poi mi ringrazierai». Enza emise un sospiro, poi disse: «Avere di nuovo vent'anni. Solo questo vorrei». «Davvero? e per quale motivo?». «Quando avevo la tua età ero anch'io spavalda, non mi fregava niente di nessuno, non mi tiravo mai indietro. Certo, non avevo il tuo fisico, né il tuo spirito combattivo, ma sapevo essere... trasgressiva, ecco». «E vorresti tornare a esserlo, non è vero?». «Ho quarantaquattro anni. Quel periodo ormai è soltanto un ricordo». «Parli come mia nonna. Questa nostalgia è troppo prematura. Piuttosto, sembra che tu non riesca a perdonarti di aver commesso qualche errore in passato. Guarda che a chiunque capita di sbagliare». «A dire il vero», disse Enza, «credo che a cambiarmi profondamente sia stata la maternità. Diventare madre mi ha trasformato la vita. Non fraintendermi, io adoro i miei figli. Però, ho sbagliato a seguire i consigli del mio ex marito. Secondo lui la donna deve occuparsi dei bambini a tempo pieno, capisci? E allora, senza accorgermene, sono diventata una... una governante, una massaia rassegnata a cucinare e a rassettare». «Chiamali consigli, chiamali! Tu hai eseguito gli ordini di tuo marito, dilla tutta». «Già... mi sono lasciata annullare da lui. E pensare che, quando mi ha chiesto il divorzio, io l'ho implorato di non andarsene, di darmi un'altra possibilità. L'ho pregato inutilmente. Il bastardo aveva già un'altra donna e così, da un giorno all'altro, ha abbandonato me e i bambini». «Il gran bastardo!». «Il figlio di puttana!». Enza arricciò il naso e cacciò una risatina stridula. «Senza un uomo accanto», riprese, «mi sono sentita smarrita. Mi sembrava di aver bisogno di qualcuno che mi dicesse cosa fare e come farlo. Non riuscivo a prendere le decisioni più banali. Ero in perenne attesa di un cenno di approvazione. Ho aperto il negozio per riguadagnare un minimo di autostima». «Beh, ha funzionato. Sei un'imprenditrice di successo». «Non posso negarlo, gli affari vanno bene. Però...». «Però?». «Non lo so. È che mi sale questa nostalgia...».
L'ingresso della palestra era sormontato da un'insegna: BIG GYM. Tuttavia, il nome si rivelò ingannevole. Infatti, quello nel quale entrarono era un magazzinetto soffocante, male illuminato, con molti attrezzi in poco spazio. Una ragazza corse sghignazzando incontro a Francesca e l'abbracciò, mollandole due sonori baci sulle guance. «Cara, ti aspettavo», disse. Francesca ricambiò i baci e fece le presentazioni. «Lei è Enza». «Piacere. Io sono Marina». Tese la mano e Enza gliela strinse volentieri. La ragazza era castana, civettuola, un po' tarantolata. Oltre a lei, nella palestra c'era solo una bionda, che, mentre finiva una serie di ripetizioni di leg curl, salutò con la mano e farfugliò qualcosa in lingua romena. «Ciao Andreea», le disse Francesca di rimando. «Marzia ancora non s'è vista», cinguettò Marina frullando le ciglia. «Starà litigando col suo fidanzato», singhiozzò Francesca liberando una risata gutturale.
Allo spogliatoio si accedeva tramite una porticina seminascosta sul fondo del locale. Francesca fece strada e Enza la seguì. Entrambe vennero subito aggredite da un insopportabile odore di candeggina. L'arredamento era spartano. Semplici panche di metallo accostate alle mura piastrellate. Niente armadietti. Aggirando il tramezzo che aveva di fronte, Enza vide lo scomparto delle docce nel quale c'era posto per due persone. «Lo spogliatoio dei maschi dov'è?», chiese. «Ma quanto sei antica!», la canzonò Francesca, «Qui non facciamo certe inutili distinzioni». Enza, udendo uno scroscio alle sue spalle, si voltò e non poté trattenere un lieve moto di stupore. «Non ce la facevo più a tenerla», disse l'amica, appollaiata sul water, i pantaloni abbassati fino alle caviglie, i gomiti puntellati sulle ginocchia. La porta del box era spalancata. «La serratura è rotta, ma il bagno è pulito», aggiunse, «Se ti scappa usalo. Non ti buscherai un'infezione, stai tranquilla». «Non c'è bisogno, sto a posto». Francesca indugiò in quella posizione; poi, raddrizzandosi, espose con naturalezza la vulva. Enza stette a fissarla, forse un po' troppo a lungo, finalmente stornò gli occhi e arrossì. Quell'imbarazzo non sfuggì a Francesca, che, gongolando, annunciò: «Sono pronta».
Tornarono dalle altre, alle quali si era aggiunto un tizio massiccio, calvo, con le vene in evidenza sulla muscolatura possente. «Ecco Kurt!», esclamò Francesca cingendogli il collo taurino. «Vieni. Devi conoscerlo». Enza si avvicinò incerta. «Ho portato un'amica. Facciamola assistere all'allenamento. Sto cercando di convincerla a unirsi al nostro gruppo». Gianni Kurt Angle fece un passo indietro e incrociò le braccia sul petto da gorilla, ignorando la mano che la donna per un attimo gli aveva teso. Si lisciò il mento, stirando nel contempo le rughe sulla sua fronte ampia. Con gli occhi piccoli, d'un grigio metallico, squadrò l'intrusa da capo a piedi. «Diciamo», sputò velenoso, «che la signora dovrebbe innanzitutto mettersi a dieta». «Kurt, per favore», disse Francesca, «Vacci piano. Enza, oltre che mia amica, è anche la mia datrice di lavoro». «La signora», continuò lui, «è davvero notevole. Sono convinto che faccia girare i passanti per strada, che gli uomini e anche le donne non possano far altro che restare impressionati da quel culone da pornostar». «Kurt...!», lo ammonì Francesca, ma l'uomo proseguì imperterrito. «Scommetto che persino ai ragazzini non passino inosservate le curve della nostra Enza, che rappresenta la perfetta MILF.». «Non farci caso. Ormai è partito per la tangente», rise Marina accostandosi. «D'altronde», insisté l'uomo, «ognuno ha il diritto di stancarsi di essere quello che è. Forse Enza vuole diventare una dominatrice». «Come me», disse Francesca. «Come me», ripeterono Marina e Andreea. «Già», fece Gianni Kurt Angle, «ma per diventare una vera dominatrice ci vuole carattere. Ci vuole anche il fisico giusto. E invece Enza, a guardarla, sembra un marshmallow». Le ragazze ridacchiavano, lui era serissimo mentre diceva: «Un marshmallow che suscita la golosità di chiunque sia abituato a dominare». Fece qualche passo in direzione di Enza. Le andò vicino, forse troppo vicino. Era alto quanto lei, cioè non più di un metro e sessanta centimetri. La bassa statura era il suo punto debole. Tuttavia, la solidità delle spalle, dei pettorali, dei bicipiti era sufficiente a intimidire Enza, che indietreggiò, finendo addosso alla ragazza che stava sopraggiungendo proprio in quel momento tutta trafelata. «Merda», urlò la nuova arrivata raccogliendo il borsone che, nell'urto, le era sfuggito di mano. «Scusa», farfugliò Enza. «Lei è Marzia», disse ridendo Francesca. «Marzia sei in ritardo», intervenne Marina. «Uh», ribatté quella, «c'è un cazzo di traffico. Sono rimasta imbottigliata». «Non è che stavi litigando con Roberto?». «Non me lo nominate proprio quello stronzo. Gli darei tanti di quei calci in culo!». «Vediamo di combinare qualcosa», la voce di Gianni Kurt Angle coprì le risate.
Le ragazze andarono agli attrezzi. «Tu stammi vicino», disse l'uomo a Enza, aggirandosi come una belva tra le sue allieve. Si allontanò solo per qualche istante. Armeggiò con i tasti dell'Hi-Fi e il pop-funk degli INXS inondò il locale. Enza parve sorpresa dai gusti musicali dell'istruttore, per il quale, forse, sarebbe stato più indicato un genere cruento come il metal estremo. Marzia, che s'era ritirata nello spogliatoio, ne uscì con un cipiglio minaccioso e incominciò la propria sessione di allenamento mettendoci la stessa determinazione delle compagne. Tutte ci davano dentro senza risparmiarsi, mentre Gianni Kurt Angle era lì, a studiarne i movimenti, pronto a intervenire per correggere gli errori di esecuzione, per motivare, per elogiare. «Avere tanta forza è perfettamente inutile», gridò sulle note di Never Tear Us Apart, «se poi quella forza non siamo in grado di controllarla. E per essere in grado di farlo, per avere il pieno controllo di noi stessi, dobbiamo imparare a metterci sempre al primo posto. Dobbiamo diventare egoisti. Ricordate che la vita ha un senso finché le cose che abbiamo sono più importanti delle cose che avevamo. Non esiste alcun passato per chi domina il presente. Non c'è dolore che possa spezzare chi è capace di mantenere il pieno controllo. La vera forza è quel qualcosa che ci permette di vivere e di emozionarci, che ci impone, allo stesso tempo, di realizzare tutto ciò che è realizzabile. Lasciamo ai perdenti le astrazioni mentali. Noi preferiamo la verità, preferiamo il sangue, la carne, le ossa». «Preferiamo lo sperma», rilanciò Marzia sghignazzando.
Le ragazze ripetevano gli esercizi con disinvoltura. Lievi gemiti si perdevano in quella mistura di musica anni '80 e delirio anabolizzante. «La forza è intelligenza», sbraitava Gianni Kurt Angle, «Infatti, solo uno stupido vorrebbe restare debole pur avendo la possibilità di diventare forte. E, come vi ho già detto almeno mille volte, tutti hanno questa possibilità. Bisogna solo afferrarla, senza lasciarsi bloccare dalla paura del cambiamento». Enza riconobbe la propria immagine riflessa nello specchio che rivestiva la parete. Si sorprese a tirare in dentro la pancia, a drizzare la schiena per apparire più in forma mentre tampinava Gianni Kurt Angle, seguendolo nel suo girovagare inquieto tra le ragazze, che sembravano calate in una trance agonistica. Ognuna di esse si dedicava a quella parte del proprio corpo che meglio ripagava i sacrifici affrontati. Francesca eseguiva le croci su panca piana per rafforzare il seno già perfetto. Marina proponeva ripetizioni infinite di donkey kicks per potenziare ulteriormente i glutei poderosi. Le gambe lunghe e affusolate di Andreea erano impegnate in aperture rese più efficaci dai pesi applicati alle caviglie. Marzia, alta e magrissima, imprecava e sfoggiava l'addome scolpito mentre portava a termine l'ennesima serie di piegamenti.
«Vi siete scaldate abbastanza?», chiese Gianni Kurt Angle dopo una buona mezz'ora di quello che agli occhi di Enza doveva sembrare un supplizio. Le ragazze emisero dei gridolini e parvero d'un tratto prese da una strana eccitazione. L'istruttore raggiunse con passo svelto lo spazio libero al di là della selva di macchinari. Sedette a terra a gambe incrociate, sopra i tappetini da fitness che ricoprivano il pavimento. Invitò Enza ad accomodarsi accanto a lui. La donna, incuriosita, si posizionò alla destra di Gianni Kurt Angle, che in quel momento stava battendo le mani per chiamare a raccolta le sue allieve. «Pronte?», urlò. «Sìììì», fecero quelle esplodendo in un boato di esaltazione. «Bene», disse lui, «Andreea e Marzia, cominciate voi». Le due ragazze nominate si piazzarono al centro dello spazio libero, mentre le altre due andarono a sedersi vicino a Enza, la quale dovette percepire una vibrazione negativa, dal momento che rivolse a Francesca uno sguardo preoccupato.
«Fight», tuonò Gianni Kurt Angle. Andreea e Marzia si scagliarono l'una contro l'altra. Si afferrarono per le spalle, compirono un mezzo giro su loro stesse e, facendo leva sulle gambe, si sbilanciarono a vicenda, rotolando sul tatami. Andreea tentò di stringere un braccio attorno al collo dell'avversaria, ma quella fu lesta a spingerla via, stendendola a terra bocconi. Marzia sedette sulla schiena di Andreea e le tirò i capelli, strattonandole la testa con violenza e strappandole un urlo di dolore. La ragazza romena fece partire una gomitata alla cieca che colpì Marzia in pieno viso, costringendola a mollare la presa. Le due si rimisero in piedi. Marzia col dorso della mano si asciugò le gocce di sangue appena affiorate sulle labbra. «Vaffanculo», sibilò prima di gettarsi contro Andreea, che fu abile a schivare la carica e a sgambettare l'assalitrice, scaraventandola a terra, dove la raggiunse come una furia. In un attimo le fu addosso e, con le gambe a forbice, le circondò il ventre, chiudendolo in una morsa. «Cazzo...», rantolò Marzia cercando di divincolarsi. La salda presa dell'avversaria le toglieva il fiato. «Ti arrendi?», chiese Andreea col suo accento dell'est. Per tutta risposta, Marzia le afferrò un seno e lo torse nel pugno. L'altra urlò e, scalciando, perdette la posizione di vantaggio. Di nuovo in piedi, le due si fronteggiarono con fierezza. Si studiarono brevemente prima di tornare a scontrarsi senza esclusione di colpi. Andreea fu rapida a neutralizzare l'iniziativa dell'avversaria e a contrattaccare. Con eleganza scivolò alle spalle di Marzia e la trascinò a terra, immobilizzandola. Iniziò a strangolarla, chiudendole il collo nella morsa delle sue temibili gambe. «Ti arrendi?», chiese quando la faccia di Marzia cambiò colore, virando al rosso carminio. «Nnn... hmph...», fece quella, a corto di ossigeno.
Enza, inorridita, ansimava a sua volta, sperando che qualcuno intervenisse per fermare quell'assurdo spettacolo. «Francesca...», sussurrò all'orecchio dell'amica che, con un gesto perentorio, la zittì. A nessuno sembrava importare che una delle contendenti potesse farsi male. Nel frattempo, Marzia stava perdendo i sensi. «Hmph... hmph...», continuava a mugolare. Del tutto inaspettatamente, però, roteò il capo e affondò i denti nella coscia di Andreea. «Ahiii...», urlò la romena ritraendosi. Poi si alzò e, per un attimo, esaminò la piccola ferita, l'incisione sulla pelle bianchissima. Quindi, produsse una sorta di ringhio e puntò verso Marzia che, prostrata, tossiva e cercava di recuperare le forze. Andreea acchiappò l'avversaria per i capelli, la piegò in avanti e le assestò una ginocchiata sul naso. Un fiotto di sangue zampillò sulla gommapiuma dei tappetini. «Bastaaa!», Enza scattò in piedi, girò le spalle alle due lottatrici e fissò dall'alto in basso Gianni Kurt Angle. «Basta, voglio andarmene», disse, «Mi dispiace, ma non mi sento bene». L'uomo scoprì i denti in quello che poteva essere un ghigno di piacere. «Che ti succede, marshmallow? Le mie ragazze giocano troppo duro per i tuoi gusti? Ti assicuro che non hai ancora visto niente». «Davvero, non mi sento bene», ripeté Enza, «è meglio che vada». «Dai, Enza», intervenne Francesca, «siediti». «No. Non voglio sedermi». «Ma... perché? che ti prende?». «Voglio andare via», piagnucolò la donna. «Non posso accompagnarti adesso», ribatté Francesca, «Tra un po' tocca a me». «Sì», confermò Marina, «tocca a noi. Resta. Ti divertirai». «Non c'è bisogno che mi accompagni. Farò due passi». «Oh, per favore, non essere testarda». «Allora?», s'intromise Andreea, che si esprimeva con una pronuncia stentata, «Possiamo continuare? ci stiamo raffreddando». Enza si voltò e vide che le due ragazze erano impazienti di ricominciare a darsele. Marzia con un rivoletto rosso che ancora le sgorgava da una narice. «Scusate», disse Enza, abbassando lo sguardo davanti alla ferma determinazione delle lottatrici e avviandosi verso l'uscita. «Aspetta», gridò Francesca facendo per seguirla. Ma, una volta in piedi, ci ripensò. Preferì stare a guardare l'amica che scappava via e che così perdeva, a parer suo, un'altra occasione di riscatto. Quando tornò a sedersi, Gianni Kurt Angle le sorrise e si strinse nelle spalle, come a dire: "che ti aspettavi?".
«Oh!», fece Frate Marcello, «Vieni cara, entra pure». «Si sta conquistando le simpatie di tutti, a quanto pare», scherzò lei. «Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. Io, nel mio piccolo, persevero». «Già, ma davvero crede di poter cambiare le cose? Finora, è riuscito solo a inimicarsi buona parte della comunità parrocchiale. Forse lei prende le questioni un po' troppo di petto, non le sembra?». «Se pensano che io abbia un brutto carattere, non immaginano nemmeno cosa li aspetta. Quando sarà Dio a giudicarli, rimpiangeranno di non avermi dato ascolto». «Ho origliato una conversazione tra diaconi, sa? Uno proponeva di contattare il Vescovo, l'altro proponeva di contattare il Ministro Provinciale: entrambi erano determinati a trovare il modo di sbarazzarsi di lei». «Non dovresti origliare...». «Frate Marcello, io non voglio perderla. Insomma, lei mi sta aiutando tanto... Se non potessi più contare sul suo appoggio, non saprei dove sbattere la testa. Per carità, la smetta di giocare a fare l'eroe». Il frate si lisciò la barba con aria compiaciuta. «Ho un dovere da compiere», disse. «Ce l'abbiamo tutti», ribatté Enza, «e non facciamo altro che disattenderlo...». «Ne abbiamo già parlato». «Sì, ma io non sono come lei. Non sono abbastanza forte.» «La forza e il coraggio, a volte, per manifestarsi hanno bisogno dell'occasione adatta. Solo dopo aver attraversato le prove più difficili possiamo capire di che pasta siamo fatti». «Oh, io ho già dato! Basta così! Le ultime prove mi hanno quasi portato alla follia e, a dirla tutta, credo che mi abbiano reso ancora più fragile di prima». «Adesso va meglio? con Tony, intendo. Vi siete chiariti?». «Sì, certo. Anzi, ero venuta per aggiornarla. Tony si è sistemato nella foresteria che lei gli ha messo a disposizione. Non sa come ringraziarla». «Non deve preoccuparsi». «Comunque, appena si saranno calmate le acque, toglierà il disturbo». «Nessun disturbo. Può stare tranquillo. E anche tu dovresti darti una calmata». La donna parve sorpresa. Il frate disse: «Tutto si sistemerà. Voglio che tu te ne convinca. Voglio che tu sia felice». Enza si sforzò di non piangere. Un'ombra le offuscò il volto, ma lei la scacciò come si scaccia una mosca. Spinse il mento in avanti e respirò a fondo. Frate Marcello notò che la donna s'era d'un tratto estraniata; poté, perciò, fissarla in volto con un'intensità quasi sconveniente, senza il timore di venire colto sul fatto mentre prolungava quell'accurata disamina. Si soffermò su quei lineamenti dolci, percorsi da una strana inquietudine e da qualcos'altro. Rimorso? Paura? Gli occhi un po' infossati sembravano laghi estinti. La curva morbida del mento era contratta, forse per lo sforzo di trattenere i singhiozzi che già pizzicavano la gola. Le labbra chiuse formavano un cuore perfetto, un cuore scombussolato e palpitante, che rischiava di venire infranto dalla piega dolente della bocca. Respiri lenti e precisi si susseguivano come le note di una partitura malinconica composta, si sarebbe detto, proprio per essere eseguita da un nasino a patata un po' arrossato. Appena visibili, come in filigrana, i segni delle piccole rughe sulla fronte non erano che leggere scalfitture sulla superficie peraltro immacolata di quella pelle luminosa. Frate Marcello avrebbe potuto continuare a guardarla per ore, spiando nell'intimo di quel dolore che, come in un dipinto sublime, accresceva la bellezza della raffigurazione.
«Se il sentimento che ti lega a Tony fosse autentico», disse, «ti procurerebbe gioia e serenità. Tu, invece, sei triste. Non negarlo. Ti sei chiesta il perché?». «Tony non c'entra», si affrettò a ribattere Enza, riemergendo da quel mare nero in cui s'era inabissata. «Non c'entra? eppure non ti ho mai vista così giù. Sembri addirittura disperata. È questo l'effetto dell'amore?». Enza si schermì e iniziò a farfugliare qualcosa, ma s'impappinò e tacque. «Che ti prende?», insisté il frate, «Non voglio impicciarmi, ma pare che questa riconciliazione ti abbia sconvolta». «Non è così!», gemette la donna, «Tony non c'entra, davvero. Lui è... è fantastico. Gli ho raccontato con calma di me e di Gianni e stavolta è stato ad ascoltarmi. È così buono e comprensivo. Gli ho descritto quelle giornate scombinate, quando la voglia di farla finita mi attraversava la mente come un lampo. Quando arrivavo persino a immaginarmi la scena, mi vedevo stesa nella vasca, con le vene dei polsi squarciate, con l'acqua rossa, densa di sangue, che tracimava e inondava il pavimento sotto i miei occhi ormai ciechi. Ma, dopo una vita intera trascorsa a fare ciò che mi si chiedeva, ciò che ci si aspettava da me, era ancora il senso del dovere a bloccarmi. In fondo, c'erano i ragazzi. Sì, i ragazzi avevano bisogno di una madre. E, benché io fossi una vera nullità, avevo comunque quel ruolo da recitare. Che importanza potevano avere allora i miei sentimenti? Eppure, la madre del piccolo Riccardo è una persona diversa da quella che è stata la madre di Loris e Simonetta. Tanto diversa da essere irriconoscibile. Il cambiamento è stato un fenomeno naturale, come la pioggia o il vento, indipendente dalle mie intenzioni. Un cambiamento innescato da mio marito. Ho detto che mi ritenevo una nullità. Beh, era stato lui a ficcarmelo in testa. Già, perché quando venne a chiedermi la separazione, io mi misi a piangere e lo implorai di non lasciarmi. Se avevo una dignità, la persi in quel momento. Lui, messo a disagio dalla mia debolezza, mi confessò di stare già con un'altra donna. Pensava così di smontarmi, in modo che la smettessi di frignare. Ma io non riuscivo a dominarmi, ero come impazzita, gli gridai che non m'importava, che lui era il mio uomo, mio e di nessun'altra. L'ho esasperato tanto che lui a un certo punto s'è fatto scappare che l'altra era più giovane e più bella, che non aveva partorito tre figli, che non era alle prese con chili di troppo e cellulite. Insomma, voleva offendermi, voleva che reagissi e lo piantassi lì. E invece io gli ho assicurato che aveva il mio permesso di godersi l'amante, purché non mi abbandonasse. Che motivo aveva di andarsene se io gli davo il permesso di tradirmi? Avrei fatto qualsiasi cosa per trattenerlo. Lui non credeva alle sue orecchie. Lessi nel suo sguardo una tale commiserazione che avrei voluto sprofondare, sparire dalla faccia della terra. Mio marito a quel punto desiderava solo allontanarsi e dimenticare quella scena pietosa, dimenticare me che mi coprivo di ridicolo». «Enza», intervenne Frate Marcello, «non c'è bisogno che tu riviva certi traumi». «Invece sì», fece lei, «Rievocare questi brutti ricordi era l'unico modo che avevo per dare a Tony un'idea della donna devastata che ero quando ho incontrato Gianni». «Di certo nessuno può biasimarti. Cercavi solo di tenere insieme la tua famiglia». «Non so che cosa mi abbia preso, ma so che nessuno dovrebbe umiliarsi così». «Non ti sei umiliata». «Altroché se mi sono umiliata. Pensi che mentre mio marito usciva di casa, io ancora gli correvo dietro, pregandolo di tenermi almeno come amante, così lui avrebbe potuto stare ufficialmente con la donna giovane e bella e, di nascosto, continuare a vedersi con me. Poi per mesi e mesi l'ho tempestato di messaggi per chiedergli perdono, perché ero sicura che fosse colpa mia. Doveva essere per forza colpa mia. Mi creavo mille problemi sul fatto che ero ingrassata, che mi vestivo male, che trascuravo le sue esigenze di maschio. E credevo di dovermi scusare per tutto questo. Arrivai a giustificare e difendere le scelte di mio marito anche davanti ai ragazzi; e non lo feci perché volevo preservare il rapporto del padre coi propri figli, ma perché era proprio così che la vedevo. Lui aveva ragione, pienamente. E io mi sarei abbassata a qualunque compromesso pur di riaverlo al mio fianco. Pensa ancora che non mi sia umiliata?». Il frate la fissò in silenzio e Enza proseguì: «Quando ho capito che mio marito non sarebbe più tornato, ho cominciato a sbandare di brutto. Riccardino aveva bisogno di me, ma io ero troppo concentrata su me stessa per accorgermi dei suoi problemi. Stavo sempre dall'estetista o dal parrucchiere. Aprii il negozio di abbigliamento e l'agenzia di moda, mi circondai di ragazzi e ragazze di una bellezza mozzafiato. Gli affari fin da subito andarono a gonfie vele, ma francamente ai soldi proprio non ci badavo. Organizzare gli eventi mondani era diventato il mio unico scopo. Mi piaceva stare al centro dell'attenzione, posare accanto ai fotomodelli, parlare al microfono durante le sfilate, flirtare col pubblico elegante delle serate di gala. Quella messinscena mi dava la forza di andare avanti. Mi eccitava e mi stordiva. Ero come drogata. In quel periodo smisi di sentire la mancanza di mio marito. Finalmente riuscii a considerarlo soltanto il mio ex. Una storia chiusa da lasciarmi alle spalle. Quella intensa vita sociale mi assorbiva e mi esauriva, al punto che non c'era spazio per nient'altro, nemmeno per l'intimità. Molti uomini provavano ad abbordarmi, ovvio. Spesso si trattava di donnaioli incalliti, gente che aveva fatto naufragare un matrimonio, a volte più di uno, perché non riusciva a rinunciare al sesso extraconiugale. In quei casi l'impegno richiesto era davvero minimo. Ciò che mi si proponeva era una parentesi di puro divertimento. E so bene che, se avessi accettato, non ci sarebbe stato nulla di male. Anzi, forse, per tornare alla normalità, avrei dovuto solo sfruttare meglio quelle occasioni. Ma la paura mi paralizzava. Era la paura di deludere quegli uomini, di sbagliare a impostare il rapporto con loro. La paura di soffrire ancora per amore. Mi sentivo fragile come durante una convalescenza e temevo di subire una ricaduta. Perciò declinavo ogni invito, restando prigioniera di quell'affollata solitudine, presa nel vortice di feste e cene sfarzose. Era un'esistenza frivola e sterile. Mi tenevo occupata e ignoravo quella profonda insoddisfazione che mi cresceva dentro. Incontrare un tipo come Gianni Kurt Angle proprio allora è stata la cosa peggiore che potesse capitarmi. Era un uomo odioso; ostentava una tale superiorità e una tale malvagità da apparire quasi come una sorta di villain della Marvel. Lo detestavo, ma arrossivo come una ragazzina se mi rivolgeva la parola. Mio malgrado, quell'atteggiamento da macho mi attizzava. Andavo a cercarlo in palestra con la scusa di aver bisogno di consigli per dimagrire. Il marpione, però, ci mise un attimo a leggermi nel pensiero. Mi guardava con occhi da predatore mentre mi tastava per valutare lo stato dei miei muscoli. Mi sembrava di regredire emotivamente, di tornare a essere un'adolescente inesperta. E, in fondo, inesperta lo ero davvero, soprattutto in confronto a Gianni, che era abituato a collezionare donne. Vicino a lui imparai quanto può essere intenso il piacere dell'orgasmo». Frate Marcello non fece una piega, limitandosi a un breve cenno di incoraggiamento. Enza sapeva che lui non l'avrebbe giudicata. Semmai, avrebbe espresso un parere, ma solo dopo aver raccolto ogni granello di quella drammatica confessione.
«Il sesso può essere un ostacolo», continuò la donna, «A volte può essere addirittura un fastidio, una specie di pratica burocratica. In alcuni casi somiglia a una campagna militare condotta contro un nemico ignoto. Per Gianni, invece, era soltanto un raffinato godimento. Lui era capace di andare avanti per diverse ore, senza fermarsi, con l'unico scopo di prolungare l'estasi. Io mi abbandonavo a quelle sperimentazioni erotiche, dimenandomi e urlando come un'indemoniata. Passavamo la maggior parte del tempo a scopare. E quando non lo facevamo, Gianni mi intratteneva con infinite dissertazioni sul mio corpo. Mi mostrava gli esercizi che avrei dovuto eseguire per migliorarmi. Si arrabbiava perché non ci mettevo l'impegno necessario. Diceva che non era una questione estetica, che, pur essendo una donna attraente, a lungo andare, se non mi fossi dedicata seriamente al fitness, avrei sviluppato varie patologie. E, insisteva, non avrei dovuto nemmeno sottovalutare l'aspetto psicologico. Infatti, se avessi ottenuto qualche risultato, sarei di certo diventata più forte, più determinata, più grintosa. Io gli promettevo che ci avrei dato dentro con la ginnastica, ma, in realtà, speravo che la smettesse di parlare; desideravo solo che ricominciasse subito a toccarmi. Volevo ancora essere trascinata da quell'uragano di emozioni che si scatenava dentro la mia testa ogni volta che Gianni mi saltava addosso. Lontana da lui cadevo in crisi d'astinenza. Sì, stavo proprio a rota, come i drogati, e mi masturbavo in modo compulsivo, immaginando il suo addome scolpito, il suo pene eretto, il calore del suo sperma sulla mia pelle. Avevo perso ogni ritegno. Anche mentre dormivo, sognavo di venire penetrata da Gianni Kurt Angle. Quel rapporto mi teneva costantemente in tensione. Il mio tempo si divideva tra il sesso e l'attesa del sesso. Con tutte le altre persone che mi circondavano, compreso Riccardino, ero scostante e irritabile. Non tolleravo di venire distolta dalle mie fantasticherie pornografiche. Ha capito come mi ero ridotta? ha capito cosa ho combinato?». «Tutto questo l'hai raccontato a Tony?», chiese il frate. «Sì, anche in maniera più esplicita». «Bene. E lui ti ha ascoltata, non è vero? Ha compreso le tue motivazioni? Non ti ha mica accusato di essere una poco di buono?». «Gliel'ho già detto, Tony è stato un vero angelo. Io e lui siamo di nuovo in perfetta sintonia». «Allora perché non fai i salti di gioia? perché non festeggi? perché sei così abbattuta?». Enza prese a fregarsi le mani, piegandosi in avanti come se, per vincere il brivido della paura, tentasse di raggiungere il tepore di un ipotetico camino. «È per via di quell'uomo?», chiese il frate, «Mi riferisco a quel Gianni eccetera eccetera. Temi che possa fare del male a Tony, non è vero? È per questo che ti senti così a disagio?». «No, cioè sì; Gianni sarebbe capace di ammazzare sia me che Tony. Beninteso, lo farebbe per applicare fino in fondo un rigido codice d'onore di sua invenzione. Amore e gelosia sono concetti per lui incomprensibili. Perciò sì, temo che possa farci del male, ma preferisco non pensarci. Insomma, se mi lasciassi condizionare da ciò che potrebbe accadere, da ciò che è soltanto un'eventualità, credo che finirei con l'impazzire. È il passato che mi tormenta, non il futuro». «Che significa?». Enza sospirò e disse: «Ho commesso troppi errori. Per le mie colpe hanno pagato persone innocenti. Non potrò mai perdonarmelo. La verità è che io non merito di essere felice». «Sei troppo dura con te stessa. Hai tutto il tempo per rimediare ai tuoi sbagli, se proprio sei convinta che di sbagli si tratti. Io al posto tuo non mi vergognerei di certe scelte che, comunque, hanno l'inevitabile effetto di provocare una crescita interiore». «Crescita interiore dice?», fece Enza mostrando i denti in un sorriso stanco, «Lei non capisce. Ho sprecato il mio tempo, prima facendomi sbattere come una troia da Gianni e poi riesumando un'ingenuità da liceale per potermi innamorare di Tony. Nel frattempo, i miei figli diventavano degli estranei. Quasi a mia insaputa, Loris si è schiantato contro un muro d'ansia e ha praticamente smesso di avere relazioni sociali; Simonetta si è trasformata in un'adulta spigolosa che preferisce tenersi tutto dentro piuttosto che confidarsi con me; e Riccardino... Riccardino... Mi dispiace... Mi dispiace tanto...». Una violenta crisi di pianto le impedì di proseguire. Le lacrime in un attimo le inondarono il viso deformato dall'angoscia. «Ehi!», esclamò Frate Marcello precipitandosi verso la donna. Nonostante la mole e l'impaccio della tonaca, si inginocchiò agilmente di fronte a lei e le prese le mani nelle sue. «Enza, calmati. Perché disperarsi così? I tuoi figli ti amano e sanno bene che non esistono genitori perfetti. Del resto, non sono perfetti neanche loro, non è vero? Eppure, tu faresti qualunque cosa per assicurargli una vita magnifica. Gli affetti sono la nostra ancora di salvezza e, per fortuna, non si spengono solo perché dalla contabilità degli errori commessi risulta un dissesto. Si può sempre rimediare agli errori. Anche a quelli gravi. L'importante è pentirsi e cambiare condotta, proprio come hai fatto tu». «No», gemette Enza, «non è possibile rimediare a questo...». «Ma di che parli? Cos'è successo?». Lei era combattuta. Voleva vuotare il sacco, liberarsi di un peso tremendo, ma non era affatto facile. Si concentrò e raccolse le idee. Senza smettere di piangere, incominciò un discorso che a ogni sillaba sembrava sul punto di incepparsi.
Il barista venne a ripulire il tavolo. «Tony non meritava un destino tanto orrendo», riprese Gianmarco cercando di trattenere le lacrime, «Non dava fastidio a nessuno. Era un ragazzo che amava la vita, amava la musica e lo sport. E... amava tua madre». «Se lei sapesse che è morto, avrebbe un tracollo psicologico». «Non gliel'hai detto?». «Non posso. Non lo sopporterebbe. Ho il terrore di farle del male». «Io sono terrorizzato». Gianmarco, assecondando la propria indole mite e riflessiva, abbandonò qualsiasi atteggiamento aggressivo. «Lo era anche Tony», gemette, «quando mi confidò che Enza, spinta da Frate Marcello, aveva deciso di denunciare Frate Alberto. Sosteneva che ce n'era abbastanza per spedirlo in galera. Io ho cercato di saperne di più, ma niente. Non c'è stato verso di ottenere maggiori dettagli. È mancato anche il tempo, dal momento che poco dopo la situazione è precipitata». «In che senso è precipitata?». «Ehm... Veramente, prima è precipitata tua madre. Perdonami la battutaccia. Ma il giorno dell'incidente/tentato suicidio/aggressione è coinciso con il definitivo rovinare degli eventi. Da quel giorno, infatti, Tony ha smesso di essere il ragazzo comprensivo e indulgente che era stato fino allora. In quel preciso momento, senza un'apparente ragione, ha deciso di troncare ogni rapporto con Enza. Era di nuovo furioso contro di lei, la respingeva come se quella caduta dal balcone avesse risvegliato il suo risentimento. È assurdo, lo so. Eppure... qualcosa deve averlo indotto a cambiare idea, ma cosa? Per lui era ormai impossibile affrontare l'argomento. Se insistevo a chiedergli spiegazioni, mi mandava al diavolo. Non sopportavo di vederlo soffrire tanto e non sapevo come aiutarlo. Poi, a peggiorare la situazione, è giunta la notizia del trasferimento di Frate Marcello. Capirai, per richiederne l'allontanamento si è mobilitata l'intera comunità dei fedeli. Alcuni fra i più zelanti hanno persino promosso una petizione per richiedere al Vescovo e al Ministro Provinciale dell'Ordine la riassegnazione di Frate Alberto alla sede di provenienza». «E chi ha firmato?». «Tutti. Tranne Enza. Capisci? Volevano indietro il loro capobanda».
Nell'abitacolo aleggiava una fragranza di vaniglia. Tiziano Ferro copriva le loro voci e Francesca abbassò il volume. «La palestra è qui vicino», disse, «arriveremo in un attimo, traffico permettendo». «Forse ci sto ripensando», confessò Enza con una vocina sottile. «Cosa?». «Sì, forse non è il caso che io venga». «Rilassati. Vedrai che poi mi ringrazierai». Enza emise un sospiro, poi disse: «Avere di nuovo vent'anni. Solo questo vorrei». «Davvero? e per quale motivo?». «Quando avevo la tua età ero anch'io spavalda, non mi fregava niente di nessuno, non mi tiravo mai indietro. Certo, non avevo il tuo fisico, né il tuo spirito combattivo, ma sapevo essere... trasgressiva, ecco». «E vorresti tornare a esserlo, non è vero?». «Ho quarantaquattro anni. Quel periodo ormai è soltanto un ricordo». «Parli come mia nonna. Questa nostalgia è troppo prematura. Piuttosto, sembra che tu non riesca a perdonarti di aver commesso qualche errore in passato. Guarda che a chiunque capita di sbagliare». «A dire il vero», disse Enza, «credo che a cambiarmi profondamente sia stata la maternità. Diventare madre mi ha trasformato la vita. Non fraintendermi, io adoro i miei figli. Però, ho sbagliato a seguire i consigli del mio ex marito. Secondo lui la donna deve occuparsi dei bambini a tempo pieno, capisci? E allora, senza accorgermene, sono diventata una... una governante, una massaia rassegnata a cucinare e a rassettare». «Chiamali consigli, chiamali! Tu hai eseguito gli ordini di tuo marito, dilla tutta». «Già... mi sono lasciata annullare da lui. E pensare che, quando mi ha chiesto il divorzio, io l'ho implorato di non andarsene, di darmi un'altra possibilità. L'ho pregato inutilmente. Il bastardo aveva già un'altra donna e così, da un giorno all'altro, ha abbandonato me e i bambini». «Il gran bastardo!». «Il figlio di puttana!». Enza arricciò il naso e cacciò una risatina stridula. «Senza un uomo accanto», riprese, «mi sono sentita smarrita. Mi sembrava di aver bisogno di qualcuno che mi dicesse cosa fare e come farlo. Non riuscivo a prendere le decisioni più banali. Ero in perenne attesa di un cenno di approvazione. Ho aperto il negozio per riguadagnare un minimo di autostima». «Beh, ha funzionato. Sei un'imprenditrice di successo». «Non posso negarlo, gli affari vanno bene. Però...». «Però?». «Non lo so. È che mi sale questa nostalgia...».
L'ingresso della palestra era sormontato da un'insegna: BIG GYM. Tuttavia, il nome si rivelò ingannevole. Infatti, quello nel quale entrarono era un magazzinetto soffocante, male illuminato, con molti attrezzi in poco spazio. Una ragazza corse sghignazzando incontro a Francesca e l'abbracciò, mollandole due sonori baci sulle guance. «Cara, ti aspettavo», disse. Francesca ricambiò i baci e fece le presentazioni. «Lei è Enza». «Piacere. Io sono Marina». Tese la mano e Enza gliela strinse volentieri. La ragazza era castana, civettuola, un po' tarantolata. Oltre a lei, nella palestra c'era solo una bionda, che, mentre finiva una serie di ripetizioni di leg curl, salutò con la mano e farfugliò qualcosa in lingua romena. «Ciao Andreea», le disse Francesca di rimando. «Marzia ancora non s'è vista», cinguettò Marina frullando le ciglia. «Starà litigando col suo fidanzato», singhiozzò Francesca liberando una risata gutturale.
Allo spogliatoio si accedeva tramite una porticina seminascosta sul fondo del locale. Francesca fece strada e Enza la seguì. Entrambe vennero subito aggredite da un insopportabile odore di candeggina. L'arredamento era spartano. Semplici panche di metallo accostate alle mura piastrellate. Niente armadietti. Aggirando il tramezzo che aveva di fronte, Enza vide lo scomparto delle docce nel quale c'era posto per due persone. «Lo spogliatoio dei maschi dov'è?», chiese. «Ma quanto sei antica!», la canzonò Francesca, «Qui non facciamo certe inutili distinzioni». Enza, udendo uno scroscio alle sue spalle, si voltò e non poté trattenere un lieve moto di stupore. «Non ce la facevo più a tenerla», disse l'amica, appollaiata sul water, i pantaloni abbassati fino alle caviglie, i gomiti puntellati sulle ginocchia. La porta del box era spalancata. «La serratura è rotta, ma il bagno è pulito», aggiunse, «Se ti scappa usalo. Non ti buscherai un'infezione, stai tranquilla». «Non c'è bisogno, sto a posto». Francesca indugiò in quella posizione; poi, raddrizzandosi, espose con naturalezza la vulva. Enza stette a fissarla, forse un po' troppo a lungo, finalmente stornò gli occhi e arrossì. Quell'imbarazzo non sfuggì a Francesca, che, gongolando, annunciò: «Sono pronta».
Tornarono dalle altre, alle quali si era aggiunto un tizio massiccio, calvo, con le vene in evidenza sulla muscolatura possente. «Ecco Kurt!», esclamò Francesca cingendogli il collo taurino. «Vieni. Devi conoscerlo». Enza si avvicinò incerta. «Ho portato un'amica. Facciamola assistere all'allenamento. Sto cercando di convincerla a unirsi al nostro gruppo». Gianni Kurt Angle fece un passo indietro e incrociò le braccia sul petto da gorilla, ignorando la mano che la donna per un attimo gli aveva teso. Si lisciò il mento, stirando nel contempo le rughe sulla sua fronte ampia. Con gli occhi piccoli, d'un grigio metallico, squadrò l'intrusa da capo a piedi. «Diciamo», sputò velenoso, «che la signora dovrebbe innanzitutto mettersi a dieta». «Kurt, per favore», disse Francesca, «Vacci piano. Enza, oltre che mia amica, è anche la mia datrice di lavoro». «La signora», continuò lui, «è davvero notevole. Sono convinto che faccia girare i passanti per strada, che gli uomini e anche le donne non possano far altro che restare impressionati da quel culone da pornostar». «Kurt...!», lo ammonì Francesca, ma l'uomo proseguì imperterrito. «Scommetto che persino ai ragazzini non passino inosservate le curve della nostra Enza, che rappresenta la perfetta MILF.». «Non farci caso. Ormai è partito per la tangente», rise Marina accostandosi. «D'altronde», insisté l'uomo, «ognuno ha il diritto di stancarsi di essere quello che è. Forse Enza vuole diventare una dominatrice». «Come me», disse Francesca. «Come me», ripeterono Marina e Andreea. «Già», fece Gianni Kurt Angle, «ma per diventare una vera dominatrice ci vuole carattere. Ci vuole anche il fisico giusto. E invece Enza, a guardarla, sembra un marshmallow». Le ragazze ridacchiavano, lui era serissimo mentre diceva: «Un marshmallow che suscita la golosità di chiunque sia abituato a dominare». Fece qualche passo in direzione di Enza. Le andò vicino, forse troppo vicino. Era alto quanto lei, cioè non più di un metro e sessanta centimetri. La bassa statura era il suo punto debole. Tuttavia, la solidità delle spalle, dei pettorali, dei bicipiti era sufficiente a intimidire Enza, che indietreggiò, finendo addosso alla ragazza che stava sopraggiungendo proprio in quel momento tutta trafelata. «Merda», urlò la nuova arrivata raccogliendo il borsone che, nell'urto, le era sfuggito di mano. «Scusa», farfugliò Enza. «Lei è Marzia», disse ridendo Francesca. «Marzia sei in ritardo», intervenne Marina. «Uh», ribatté quella, «c'è un cazzo di traffico. Sono rimasta imbottigliata». «Non è che stavi litigando con Roberto?». «Non me lo nominate proprio quello stronzo. Gli darei tanti di quei calci in culo!». «Vediamo di combinare qualcosa», la voce di Gianni Kurt Angle coprì le risate.
Le ragazze andarono agli attrezzi. «Tu stammi vicino», disse l'uomo a Enza, aggirandosi come una belva tra le sue allieve. Si allontanò solo per qualche istante. Armeggiò con i tasti dell'Hi-Fi e il pop-funk degli INXS inondò il locale. Enza parve sorpresa dai gusti musicali dell'istruttore, per il quale, forse, sarebbe stato più indicato un genere cruento come il metal estremo. Marzia, che s'era ritirata nello spogliatoio, ne uscì con un cipiglio minaccioso e incominciò la propria sessione di allenamento mettendoci la stessa determinazione delle compagne. Tutte ci davano dentro senza risparmiarsi, mentre Gianni Kurt Angle era lì, a studiarne i movimenti, pronto a intervenire per correggere gli errori di esecuzione, per motivare, per elogiare. «Avere tanta forza è perfettamente inutile», gridò sulle note di Never Tear Us Apart, «se poi quella forza non siamo in grado di controllarla. E per essere in grado di farlo, per avere il pieno controllo di noi stessi, dobbiamo imparare a metterci sempre al primo posto. Dobbiamo diventare egoisti. Ricordate che la vita ha un senso finché le cose che abbiamo sono più importanti delle cose che avevamo. Non esiste alcun passato per chi domina il presente. Non c'è dolore che possa spezzare chi è capace di mantenere il pieno controllo. La vera forza è quel qualcosa che ci permette di vivere e di emozionarci, che ci impone, allo stesso tempo, di realizzare tutto ciò che è realizzabile. Lasciamo ai perdenti le astrazioni mentali. Noi preferiamo la verità, preferiamo il sangue, la carne, le ossa». «Preferiamo lo sperma», rilanciò Marzia sghignazzando.
Le ragazze ripetevano gli esercizi con disinvoltura. Lievi gemiti si perdevano in quella mistura di musica anni '80 e delirio anabolizzante. «La forza è intelligenza», sbraitava Gianni Kurt Angle, «Infatti, solo uno stupido vorrebbe restare debole pur avendo la possibilità di diventare forte. E, come vi ho già detto almeno mille volte, tutti hanno questa possibilità. Bisogna solo afferrarla, senza lasciarsi bloccare dalla paura del cambiamento». Enza riconobbe la propria immagine riflessa nello specchio che rivestiva la parete. Si sorprese a tirare in dentro la pancia, a drizzare la schiena per apparire più in forma mentre tampinava Gianni Kurt Angle, seguendolo nel suo girovagare inquieto tra le ragazze, che sembravano calate in una trance agonistica. Ognuna di esse si dedicava a quella parte del proprio corpo che meglio ripagava i sacrifici affrontati. Francesca eseguiva le croci su panca piana per rafforzare il seno già perfetto. Marina proponeva ripetizioni infinite di donkey kicks per potenziare ulteriormente i glutei poderosi. Le gambe lunghe e affusolate di Andreea erano impegnate in aperture rese più efficaci dai pesi applicati alle caviglie. Marzia, alta e magrissima, imprecava e sfoggiava l'addome scolpito mentre portava a termine l'ennesima serie di piegamenti.
«Vi siete scaldate abbastanza?», chiese Gianni Kurt Angle dopo una buona mezz'ora di quello che agli occhi di Enza doveva sembrare un supplizio. Le ragazze emisero dei gridolini e parvero d'un tratto prese da una strana eccitazione. L'istruttore raggiunse con passo svelto lo spazio libero al di là della selva di macchinari. Sedette a terra a gambe incrociate, sopra i tappetini da fitness che ricoprivano il pavimento. Invitò Enza ad accomodarsi accanto a lui. La donna, incuriosita, si posizionò alla destra di Gianni Kurt Angle, che in quel momento stava battendo le mani per chiamare a raccolta le sue allieve. «Pronte?», urlò. «Sìììì», fecero quelle esplodendo in un boato di esaltazione. «Bene», disse lui, «Andreea e Marzia, cominciate voi». Le due ragazze nominate si piazzarono al centro dello spazio libero, mentre le altre due andarono a sedersi vicino a Enza, la quale dovette percepire una vibrazione negativa, dal momento che rivolse a Francesca uno sguardo preoccupato.
«Fight», tuonò Gianni Kurt Angle. Andreea e Marzia si scagliarono l'una contro l'altra. Si afferrarono per le spalle, compirono un mezzo giro su loro stesse e, facendo leva sulle gambe, si sbilanciarono a vicenda, rotolando sul tatami. Andreea tentò di stringere un braccio attorno al collo dell'avversaria, ma quella fu lesta a spingerla via, stendendola a terra bocconi. Marzia sedette sulla schiena di Andreea e le tirò i capelli, strattonandole la testa con violenza e strappandole un urlo di dolore. La ragazza romena fece partire una gomitata alla cieca che colpì Marzia in pieno viso, costringendola a mollare la presa. Le due si rimisero in piedi. Marzia col dorso della mano si asciugò le gocce di sangue appena affiorate sulle labbra. «Vaffanculo», sibilò prima di gettarsi contro Andreea, che fu abile a schivare la carica e a sgambettare l'assalitrice, scaraventandola a terra, dove la raggiunse come una furia. In un attimo le fu addosso e, con le gambe a forbice, le circondò il ventre, chiudendolo in una morsa. «Cazzo...», rantolò Marzia cercando di divincolarsi. La salda presa dell'avversaria le toglieva il fiato. «Ti arrendi?», chiese Andreea col suo accento dell'est. Per tutta risposta, Marzia le afferrò un seno e lo torse nel pugno. L'altra urlò e, scalciando, perdette la posizione di vantaggio. Di nuovo in piedi, le due si fronteggiarono con fierezza. Si studiarono brevemente prima di tornare a scontrarsi senza esclusione di colpi. Andreea fu rapida a neutralizzare l'iniziativa dell'avversaria e a contrattaccare. Con eleganza scivolò alle spalle di Marzia e la trascinò a terra, immobilizzandola. Iniziò a strangolarla, chiudendole il collo nella morsa delle sue temibili gambe. «Ti arrendi?», chiese quando la faccia di Marzia cambiò colore, virando al rosso carminio. «Nnn... hmph...», fece quella, a corto di ossigeno.
Enza, inorridita, ansimava a sua volta, sperando che qualcuno intervenisse per fermare quell'assurdo spettacolo. «Francesca...», sussurrò all'orecchio dell'amica che, con un gesto perentorio, la zittì. A nessuno sembrava importare che una delle contendenti potesse farsi male. Nel frattempo, Marzia stava perdendo i sensi. «Hmph... hmph...», continuava a mugolare. Del tutto inaspettatamente, però, roteò il capo e affondò i denti nella coscia di Andreea. «Ahiii...», urlò la romena ritraendosi. Poi si alzò e, per un attimo, esaminò la piccola ferita, l'incisione sulla pelle bianchissima. Quindi, produsse una sorta di ringhio e puntò verso Marzia che, prostrata, tossiva e cercava di recuperare le forze. Andreea acchiappò l'avversaria per i capelli, la piegò in avanti e le assestò una ginocchiata sul naso. Un fiotto di sangue zampillò sulla gommapiuma dei tappetini. «Bastaaa!», Enza scattò in piedi, girò le spalle alle due lottatrici e fissò dall'alto in basso Gianni Kurt Angle. «Basta, voglio andarmene», disse, «Mi dispiace, ma non mi sento bene». L'uomo scoprì i denti in quello che poteva essere un ghigno di piacere. «Che ti succede, marshmallow? Le mie ragazze giocano troppo duro per i tuoi gusti? Ti assicuro che non hai ancora visto niente». «Davvero, non mi sento bene», ripeté Enza, «è meglio che vada». «Dai, Enza», intervenne Francesca, «siediti». «No. Non voglio sedermi». «Ma... perché? che ti prende?». «Voglio andare via», piagnucolò la donna. «Non posso accompagnarti adesso», ribatté Francesca, «Tra un po' tocca a me». «Sì», confermò Marina, «tocca a noi. Resta. Ti divertirai». «Non c'è bisogno che mi accompagni. Farò due passi». «Oh, per favore, non essere testarda». «Allora?», s'intromise Andreea, che si esprimeva con una pronuncia stentata, «Possiamo continuare? ci stiamo raffreddando». Enza si voltò e vide che le due ragazze erano impazienti di ricominciare a darsele. Marzia con un rivoletto rosso che ancora le sgorgava da una narice. «Scusate», disse Enza, abbassando lo sguardo davanti alla ferma determinazione delle lottatrici e avviandosi verso l'uscita. «Aspetta», gridò Francesca facendo per seguirla. Ma, una volta in piedi, ci ripensò. Preferì stare a guardare l'amica che scappava via e che così perdeva, a parer suo, un'altra occasione di riscatto. Quando tornò a sedersi, Gianni Kurt Angle le sorrise e si strinse nelle spalle, come a dire: "che ti aspettavi?".
«Oh!», fece Frate Marcello, «Vieni cara, entra pure». «Si sta conquistando le simpatie di tutti, a quanto pare», scherzò lei. «Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. Io, nel mio piccolo, persevero». «Già, ma davvero crede di poter cambiare le cose? Finora, è riuscito solo a inimicarsi buona parte della comunità parrocchiale. Forse lei prende le questioni un po' troppo di petto, non le sembra?». «Se pensano che io abbia un brutto carattere, non immaginano nemmeno cosa li aspetta. Quando sarà Dio a giudicarli, rimpiangeranno di non avermi dato ascolto». «Ho origliato una conversazione tra diaconi, sa? Uno proponeva di contattare il Vescovo, l'altro proponeva di contattare il Ministro Provinciale: entrambi erano determinati a trovare il modo di sbarazzarsi di lei». «Non dovresti origliare...». «Frate Marcello, io non voglio perderla. Insomma, lei mi sta aiutando tanto... Se non potessi più contare sul suo appoggio, non saprei dove sbattere la testa. Per carità, la smetta di giocare a fare l'eroe». Il frate si lisciò la barba con aria compiaciuta. «Ho un dovere da compiere», disse. «Ce l'abbiamo tutti», ribatté Enza, «e non facciamo altro che disattenderlo...». «Ne abbiamo già parlato». «Sì, ma io non sono come lei. Non sono abbastanza forte.» «La forza e il coraggio, a volte, per manifestarsi hanno bisogno dell'occasione adatta. Solo dopo aver attraversato le prove più difficili possiamo capire di che pasta siamo fatti». «Oh, io ho già dato! Basta così! Le ultime prove mi hanno quasi portato alla follia e, a dirla tutta, credo che mi abbiano reso ancora più fragile di prima». «Adesso va meglio? con Tony, intendo. Vi siete chiariti?». «Sì, certo. Anzi, ero venuta per aggiornarla. Tony si è sistemato nella foresteria che lei gli ha messo a disposizione. Non sa come ringraziarla». «Non deve preoccuparsi». «Comunque, appena si saranno calmate le acque, toglierà il disturbo». «Nessun disturbo. Può stare tranquillo. E anche tu dovresti darti una calmata». La donna parve sorpresa. Il frate disse: «Tutto si sistemerà. Voglio che tu te ne convinca. Voglio che tu sia felice». Enza si sforzò di non piangere. Un'ombra le offuscò il volto, ma lei la scacciò come si scaccia una mosca. Spinse il mento in avanti e respirò a fondo. Frate Marcello notò che la donna s'era d'un tratto estraniata; poté, perciò, fissarla in volto con un'intensità quasi sconveniente, senza il timore di venire colto sul fatto mentre prolungava quell'accurata disamina. Si soffermò su quei lineamenti dolci, percorsi da una strana inquietudine e da qualcos'altro. Rimorso? Paura? Gli occhi un po' infossati sembravano laghi estinti. La curva morbida del mento era contratta, forse per lo sforzo di trattenere i singhiozzi che già pizzicavano la gola. Le labbra chiuse formavano un cuore perfetto, un cuore scombussolato e palpitante, che rischiava di venire infranto dalla piega dolente della bocca. Respiri lenti e precisi si susseguivano come le note di una partitura malinconica composta, si sarebbe detto, proprio per essere eseguita da un nasino a patata un po' arrossato. Appena visibili, come in filigrana, i segni delle piccole rughe sulla fronte non erano che leggere scalfitture sulla superficie peraltro immacolata di quella pelle luminosa. Frate Marcello avrebbe potuto continuare a guardarla per ore, spiando nell'intimo di quel dolore che, come in un dipinto sublime, accresceva la bellezza della raffigurazione.
«Se il sentimento che ti lega a Tony fosse autentico», disse, «ti procurerebbe gioia e serenità. Tu, invece, sei triste. Non negarlo. Ti sei chiesta il perché?». «Tony non c'entra», si affrettò a ribattere Enza, riemergendo da quel mare nero in cui s'era inabissata. «Non c'entra? eppure non ti ho mai vista così giù. Sembri addirittura disperata. È questo l'effetto dell'amore?». Enza si schermì e iniziò a farfugliare qualcosa, ma s'impappinò e tacque. «Che ti prende?», insisté il frate, «Non voglio impicciarmi, ma pare che questa riconciliazione ti abbia sconvolta». «Non è così!», gemette la donna, «Tony non c'entra, davvero. Lui è... è fantastico. Gli ho raccontato con calma di me e di Gianni e stavolta è stato ad ascoltarmi. È così buono e comprensivo. Gli ho descritto quelle giornate scombinate, quando la voglia di farla finita mi attraversava la mente come un lampo. Quando arrivavo persino a immaginarmi la scena, mi vedevo stesa nella vasca, con le vene dei polsi squarciate, con l'acqua rossa, densa di sangue, che tracimava e inondava il pavimento sotto i miei occhi ormai ciechi. Ma, dopo una vita intera trascorsa a fare ciò che mi si chiedeva, ciò che ci si aspettava da me, era ancora il senso del dovere a bloccarmi. In fondo, c'erano i ragazzi. Sì, i ragazzi avevano bisogno di una madre. E, benché io fossi una vera nullità, avevo comunque quel ruolo da recitare. Che importanza potevano avere allora i miei sentimenti? Eppure, la madre del piccolo Riccardo è una persona diversa da quella che è stata la madre di Loris e Simonetta. Tanto diversa da essere irriconoscibile. Il cambiamento è stato un fenomeno naturale, come la pioggia o il vento, indipendente dalle mie intenzioni. Un cambiamento innescato da mio marito. Ho detto che mi ritenevo una nullità. Beh, era stato lui a ficcarmelo in testa. Già, perché quando venne a chiedermi la separazione, io mi misi a piangere e lo implorai di non lasciarmi. Se avevo una dignità, la persi in quel momento. Lui, messo a disagio dalla mia debolezza, mi confessò di stare già con un'altra donna. Pensava così di smontarmi, in modo che la smettessi di frignare. Ma io non riuscivo a dominarmi, ero come impazzita, gli gridai che non m'importava, che lui era il mio uomo, mio e di nessun'altra. L'ho esasperato tanto che lui a un certo punto s'è fatto scappare che l'altra era più giovane e più bella, che non aveva partorito tre figli, che non era alle prese con chili di troppo e cellulite. Insomma, voleva offendermi, voleva che reagissi e lo piantassi lì. E invece io gli ho assicurato che aveva il mio permesso di godersi l'amante, purché non mi abbandonasse. Che motivo aveva di andarsene se io gli davo il permesso di tradirmi? Avrei fatto qualsiasi cosa per trattenerlo. Lui non credeva alle sue orecchie. Lessi nel suo sguardo una tale commiserazione che avrei voluto sprofondare, sparire dalla faccia della terra. Mio marito a quel punto desiderava solo allontanarsi e dimenticare quella scena pietosa, dimenticare me che mi coprivo di ridicolo». «Enza», intervenne Frate Marcello, «non c'è bisogno che tu riviva certi traumi». «Invece sì», fece lei, «Rievocare questi brutti ricordi era l'unico modo che avevo per dare a Tony un'idea della donna devastata che ero quando ho incontrato Gianni». «Di certo nessuno può biasimarti. Cercavi solo di tenere insieme la tua famiglia». «Non so che cosa mi abbia preso, ma so che nessuno dovrebbe umiliarsi così». «Non ti sei umiliata». «Altroché se mi sono umiliata. Pensi che mentre mio marito usciva di casa, io ancora gli correvo dietro, pregandolo di tenermi almeno come amante, così lui avrebbe potuto stare ufficialmente con la donna giovane e bella e, di nascosto, continuare a vedersi con me. Poi per mesi e mesi l'ho tempestato di messaggi per chiedergli perdono, perché ero sicura che fosse colpa mia. Doveva essere per forza colpa mia. Mi creavo mille problemi sul fatto che ero ingrassata, che mi vestivo male, che trascuravo le sue esigenze di maschio. E credevo di dovermi scusare per tutto questo. Arrivai a giustificare e difendere le scelte di mio marito anche davanti ai ragazzi; e non lo feci perché volevo preservare il rapporto del padre coi propri figli, ma perché era proprio così che la vedevo. Lui aveva ragione, pienamente. E io mi sarei abbassata a qualunque compromesso pur di riaverlo al mio fianco. Pensa ancora che non mi sia umiliata?». Il frate la fissò in silenzio e Enza proseguì: «Quando ho capito che mio marito non sarebbe più tornato, ho cominciato a sbandare di brutto. Riccardino aveva bisogno di me, ma io ero troppo concentrata su me stessa per accorgermi dei suoi problemi. Stavo sempre dall'estetista o dal parrucchiere. Aprii il negozio di abbigliamento e l'agenzia di moda, mi circondai di ragazzi e ragazze di una bellezza mozzafiato. Gli affari fin da subito andarono a gonfie vele, ma francamente ai soldi proprio non ci badavo. Organizzare gli eventi mondani era diventato il mio unico scopo. Mi piaceva stare al centro dell'attenzione, posare accanto ai fotomodelli, parlare al microfono durante le sfilate, flirtare col pubblico elegante delle serate di gala. Quella messinscena mi dava la forza di andare avanti. Mi eccitava e mi stordiva. Ero come drogata. In quel periodo smisi di sentire la mancanza di mio marito. Finalmente riuscii a considerarlo soltanto il mio ex. Una storia chiusa da lasciarmi alle spalle. Quella intensa vita sociale mi assorbiva e mi esauriva, al punto che non c'era spazio per nient'altro, nemmeno per l'intimità. Molti uomini provavano ad abbordarmi, ovvio. Spesso si trattava di donnaioli incalliti, gente che aveva fatto naufragare un matrimonio, a volte più di uno, perché non riusciva a rinunciare al sesso extraconiugale. In quei casi l'impegno richiesto era davvero minimo. Ciò che mi si proponeva era una parentesi di puro divertimento. E so bene che, se avessi accettato, non ci sarebbe stato nulla di male. Anzi, forse, per tornare alla normalità, avrei dovuto solo sfruttare meglio quelle occasioni. Ma la paura mi paralizzava. Era la paura di deludere quegli uomini, di sbagliare a impostare il rapporto con loro. La paura di soffrire ancora per amore. Mi sentivo fragile come durante una convalescenza e temevo di subire una ricaduta. Perciò declinavo ogni invito, restando prigioniera di quell'affollata solitudine, presa nel vortice di feste e cene sfarzose. Era un'esistenza frivola e sterile. Mi tenevo occupata e ignoravo quella profonda insoddisfazione che mi cresceva dentro. Incontrare un tipo come Gianni Kurt Angle proprio allora è stata la cosa peggiore che potesse capitarmi. Era un uomo odioso; ostentava una tale superiorità e una tale malvagità da apparire quasi come una sorta di villain della Marvel. Lo detestavo, ma arrossivo come una ragazzina se mi rivolgeva la parola. Mio malgrado, quell'atteggiamento da macho mi attizzava. Andavo a cercarlo in palestra con la scusa di aver bisogno di consigli per dimagrire. Il marpione, però, ci mise un attimo a leggermi nel pensiero. Mi guardava con occhi da predatore mentre mi tastava per valutare lo stato dei miei muscoli. Mi sembrava di regredire emotivamente, di tornare a essere un'adolescente inesperta. E, in fondo, inesperta lo ero davvero, soprattutto in confronto a Gianni, che era abituato a collezionare donne. Vicino a lui imparai quanto può essere intenso il piacere dell'orgasmo». Frate Marcello non fece una piega, limitandosi a un breve cenno di incoraggiamento. Enza sapeva che lui non l'avrebbe giudicata. Semmai, avrebbe espresso un parere, ma solo dopo aver raccolto ogni granello di quella drammatica confessione.
«Il sesso può essere un ostacolo», continuò la donna, «A volte può essere addirittura un fastidio, una specie di pratica burocratica. In alcuni casi somiglia a una campagna militare condotta contro un nemico ignoto. Per Gianni, invece, era soltanto un raffinato godimento. Lui era capace di andare avanti per diverse ore, senza fermarsi, con l'unico scopo di prolungare l'estasi. Io mi abbandonavo a quelle sperimentazioni erotiche, dimenandomi e urlando come un'indemoniata. Passavamo la maggior parte del tempo a scopare. E quando non lo facevamo, Gianni mi intratteneva con infinite dissertazioni sul mio corpo. Mi mostrava gli esercizi che avrei dovuto eseguire per migliorarmi. Si arrabbiava perché non ci mettevo l'impegno necessario. Diceva che non era una questione estetica, che, pur essendo una donna attraente, a lungo andare, se non mi fossi dedicata seriamente al fitness, avrei sviluppato varie patologie. E, insisteva, non avrei dovuto nemmeno sottovalutare l'aspetto psicologico. Infatti, se avessi ottenuto qualche risultato, sarei di certo diventata più forte, più determinata, più grintosa. Io gli promettevo che ci avrei dato dentro con la ginnastica, ma, in realtà, speravo che la smettesse di parlare; desideravo solo che ricominciasse subito a toccarmi. Volevo ancora essere trascinata da quell'uragano di emozioni che si scatenava dentro la mia testa ogni volta che Gianni mi saltava addosso. Lontana da lui cadevo in crisi d'astinenza. Sì, stavo proprio a rota, come i drogati, e mi masturbavo in modo compulsivo, immaginando il suo addome scolpito, il suo pene eretto, il calore del suo sperma sulla mia pelle. Avevo perso ogni ritegno. Anche mentre dormivo, sognavo di venire penetrata da Gianni Kurt Angle. Quel rapporto mi teneva costantemente in tensione. Il mio tempo si divideva tra il sesso e l'attesa del sesso. Con tutte le altre persone che mi circondavano, compreso Riccardino, ero scostante e irritabile. Non tolleravo di venire distolta dalle mie fantasticherie pornografiche. Ha capito come mi ero ridotta? ha capito cosa ho combinato?». «Tutto questo l'hai raccontato a Tony?», chiese il frate. «Sì, anche in maniera più esplicita». «Bene. E lui ti ha ascoltata, non è vero? Ha compreso le tue motivazioni? Non ti ha mica accusato di essere una poco di buono?». «Gliel'ho già detto, Tony è stato un vero angelo. Io e lui siamo di nuovo in perfetta sintonia». «Allora perché non fai i salti di gioia? perché non festeggi? perché sei così abbattuta?». Enza prese a fregarsi le mani, piegandosi in avanti come se, per vincere il brivido della paura, tentasse di raggiungere il tepore di un ipotetico camino. «È per via di quell'uomo?», chiese il frate, «Mi riferisco a quel Gianni eccetera eccetera. Temi che possa fare del male a Tony, non è vero? È per questo che ti senti così a disagio?». «No, cioè sì; Gianni sarebbe capace di ammazzare sia me che Tony. Beninteso, lo farebbe per applicare fino in fondo un rigido codice d'onore di sua invenzione. Amore e gelosia sono concetti per lui incomprensibili. Perciò sì, temo che possa farci del male, ma preferisco non pensarci. Insomma, se mi lasciassi condizionare da ciò che potrebbe accadere, da ciò che è soltanto un'eventualità, credo che finirei con l'impazzire. È il passato che mi tormenta, non il futuro». «Che significa?». Enza sospirò e disse: «Ho commesso troppi errori. Per le mie colpe hanno pagato persone innocenti. Non potrò mai perdonarmelo. La verità è che io non merito di essere felice». «Sei troppo dura con te stessa. Hai tutto il tempo per rimediare ai tuoi sbagli, se proprio sei convinta che di sbagli si tratti. Io al posto tuo non mi vergognerei di certe scelte che, comunque, hanno l'inevitabile effetto di provocare una crescita interiore». «Crescita interiore dice?», fece Enza mostrando i denti in un sorriso stanco, «Lei non capisce. Ho sprecato il mio tempo, prima facendomi sbattere come una troia da Gianni e poi riesumando un'ingenuità da liceale per potermi innamorare di Tony. Nel frattempo, i miei figli diventavano degli estranei. Quasi a mia insaputa, Loris si è schiantato contro un muro d'ansia e ha praticamente smesso di avere relazioni sociali; Simonetta si è trasformata in un'adulta spigolosa che preferisce tenersi tutto dentro piuttosto che confidarsi con me; e Riccardino... Riccardino... Mi dispiace... Mi dispiace tanto...». Una violenta crisi di pianto le impedì di proseguire. Le lacrime in un attimo le inondarono il viso deformato dall'angoscia. «Ehi!», esclamò Frate Marcello precipitandosi verso la donna. Nonostante la mole e l'impaccio della tonaca, si inginocchiò agilmente di fronte a lei e le prese le mani nelle sue. «Enza, calmati. Perché disperarsi così? I tuoi figli ti amano e sanno bene che non esistono genitori perfetti. Del resto, non sono perfetti neanche loro, non è vero? Eppure, tu faresti qualunque cosa per assicurargli una vita magnifica. Gli affetti sono la nostra ancora di salvezza e, per fortuna, non si spengono solo perché dalla contabilità degli errori commessi risulta un dissesto. Si può sempre rimediare agli errori. Anche a quelli gravi. L'importante è pentirsi e cambiare condotta, proprio come hai fatto tu». «No», gemette Enza, «non è possibile rimediare a questo...». «Ma di che parli? Cos'è successo?». Lei era combattuta. Voleva vuotare il sacco, liberarsi di un peso tremendo, ma non era affatto facile. Si concentrò e raccolse le idee. Senza smettere di piangere, incominciò un discorso che a ogni sillaba sembrava sul punto di incepparsi.
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