Amara - I
di
ALTer
genere
masturbazione
I
Nella vita di ogni bambino, di qualsiasi bambino, arriva il momento in cui la realtà decide di prenderlo a schiaffi in faccia. Di norma questo grave momento dell’esistenza di ogni bambino o bambina del mondo viene erroneamente legato a un evento drammatico. La morte di un parente o, molto più doloroso, la morte dell’animale casalingo, il trasferimento in una nuova città o la prima delusione amorosa.
È sbagliato. Il più tragico di tutti gli eventi, nonché primo grande e terribile evento nella vita di ogni bambino è il giorno in cui i tuoi compagni di scuola scoprono il tasto giusto per farti piangere. La morte, il trasferimento e le sofferenze del cuore sono come il preannunciato secondo e imminente jumpscare di un qualsiasi film horror: non farà mai male quanto il primo.
Il primo giorno di scuola media di Amara, tutti i suoi compagni di classe scoprirono il suo “tasto giusto” prima ancora che lei potesse averne coscienza. Lo scoprirono all’appello. Alle elementari nessuno l’aveva presa in giro per il suo inusuale nome. In fondo alle elementari i bambini sono troppo presi a cercare ancora di capire cosa vogliano dire tutte le parole che sentono alla tv, figuriamoci le parole emesse dai loro simili.
O forse, molto più semplicemente, alle medie i bambini sono più stronzi.
Dalle medie fino ai ventun anni l’esistenza di Amara fu seguita quasi sempre da battute, risolini, scritte beffarde sui muri del bagno e messaggi crudeli sui social. Il passaggio dalle medie alle superiori sembrò quasi un toccasana per la piccola Amara ma durò meno di quanto aveva sperato, con nuove battute e nuovi sguardi di complicità trai suoi compagni. Tentò la sorte altre due volte in altre due scuole ma la situazione non cambiò poi di molto.
Partendo con un così pessimo presupposto, le sue esperienze vennero quasi del tutto condizionate dal suo carattere che andava via via a consolidarsi nella timida, triste e sconsolata Amara dell’età puberale. Persino la sua prima volta fu il più stupido degli scherzi del destino. Prima di questa famigerata “prima volta”, a sedici anni Amara aveva da poco scoperto i benefici e lo stato di rilassante quiete dati dall’autoerotismo. A sedici anni, senza amici, senza nessuna spiccata passione, contando il leggere saltuariamente un libro ogni tre mesi non classificabile come “passione” e soprattutto con l’intento di non avvicinarsi ai social in alcun modo dopo le già citate esperienze delle medie, a una ragazzina di sedici anni rimangono poche cose per ingannare il tempo. Amara si era così ritrovata in ginocchio sotto la doccia, con le gambe molli come spaghetti scotti, con le orecchie molto più calde dell’acqua che le passava sulla schiena e con una mano che cercava di capire cosa fosse appena uscito dalla sua vagina. Come mai la propria testa era così leggera e perché lei così felice?
Al suo primo vittorioso orgasmo sotto la doccia ne erano seguiti altri. Si era riproposta l’esperienza della doccia, un po’ come un tossico che si buca nella speranza di riprovare l’estasi perduta che l’aveva accompagnato così intensamente nella sua prima volta. Aveva anche sperimentato l’uso di una qualsiasi delle sostanze oleose che erano a portata della sua doccia e, terribili e brucianti ore dopo, era giunta alla conclusione che, di tutti i prodotti presenti in bagno, l’unico a cui fosse concesso avvicinarsi alla sua vagina era l’Infasil Intimo.
Di tutte le crudeltà del destino, le era stata concessa una pubertà che si potrebbe definire “tranquilla”: aveva i brufoli come tutti, ma ne aveva pochi e quasi esclusivamente sul volto e sulle braccia; aveva peli, ma a dispetto dei suoi capelli castano i suoi peli erano biondi, dolci alla vista e quei quattro peletti che le coronavano il monte di Venere erano di un color sabbia anch’esso piacevole da vedere; non aveva preso chili, o almeno non ne aveva presi troppi, ma ovunque il suo corpo avesse deciso di prenderli, quei chili stavano benissimo lì dove dovevano stare. Quindi Amara, a dispetto del suo carattere e della stragrande maggioranza dei sedicenni, amava il suo corpo.
Un saggio una volta disse –Se ti ami ti assaggi– e dalla sua prima esperienza in doccia non passò molto tempo prima che Amara decidesse di assaggiarsi. Era in camera sua e ansimava, scivolata giù dal letto. Aveva iniziato a toccarsi poco prima, quando aveva aperto il libro di storia. Gli occhi le erano caduti sul dipinto “la libertà che guida il popolo” di Eugène Delacroix, il dipinto che ogni libro di Storia al mondo posiziona esattamente sotto le parole “rivoluzione francese”. Aveva visto la libertà in primo piano, con il seno scoperto e si era sentita le orecchie avvampare quando aveva scorto ai piedi di lei un uomo, un cadavere forse, ma pur sempre un uomo senza mutande, disteso a terra. La posizione delle sue gambe non gli consentiva di mostrare il pene che sicuramente sarebbe stato floscio e piccolo, ma le concedeva la vista dei suoi peli pubici. Amara aveva letto in un libro o forse l’aveva sentito alla tv e perciò era conoscenza del fenomeno chiamato rigor mortis.
Si era immaginata il pene di quell’uomo morto, che in realtà non era morto affatto, tutt’altro che piccolo e floscio. Lo aveva immaginato morbido, gonfio, con il glande ben intenzionato a uscire e prendere un po’ di sole. Senza nemmeno rendersene conto la mano destra si era ritirata silenziosamente dal libro. Amara era distesa sul fianco, sul letto con i piedi ancora posati sul parquet della camera. Mentre la sinistra rimaneva tesa sul libro di Storia per tenerlo aperto, la destra strusciava sulle lenzuola del letto e raggiungeva la sua vita. Amara si infilò la mano nelle mutandine come un serpente in una tana di coniglio. Ma la tana era già umida. Aveva iniziato così a toccarsi e nella frenesia i suoi occhi passavano dai peli di lui alle tette di lei. Quando si girò a guardare il soffitto il libro non le serviva più e la mano sinistra era libera di aiutare la compagnia alla ricerca dell’orgasmo. Non si accorse nemmeno di essersi slacciata il nodo dei pantaloncini da casa, di averli lanciati con un calcio lontani da lei, con un altro calcio aveva lanciato le mutande in aria che le ricaddero con un flaccido rumore sulla faccia. Prese con la mano le mutandine ma non le lanciò via, l’odore era buono. Erano calde e avevano un odore forte che le inturgidiva i capezzoli. Anzi, si potrebbe dire che più che buono fosse inebriante.
Amara si sorprese non poco a prendere una boccata a pieni polmoni, tenendo ben pigiate sulla sua faccia le sue mutandine bagnate. Il suo odore le riempì la gola e l’orgasmo la raggiunse dopo poche boccate. Il corpo, flesso per l’orgasmo, in poco tempo si lasciò andare e le gambe di Amara si fecero molle e deboli. Con il sedere sul freddo parquet di camera sua, Amara si tolse le mutande dalla faccia e seguì il filo di bava che le usciva dalla bocca e andava ad ancorarsi in mezzo alle sue mutande, dove sarebbe dovuta stare la sua vagina. Guardò la mano destra. Le pendeva un filo di secrezione, la sua secrezione. Senza nemmeno chiedersi che gusto potesse avere, se lo portò alla bocca. Un minuto dopo si stava toccando nuovamente, questa volta del tutto nuda con le mutande di nuovo sulla faccia.
Secondo Amara, buona parte se non tutte le sue coetanee stavano sperimentando le sue stesse esperienze, anzi, in realtà sperava che nessuna di loro le provasse così forti e passionali come le stava provando lei. E senza nemmeno saperlo aveva ragione.
Così, alla scoperta delle meraviglie del proprio corpicino, Amara sperimentava prima quanto adorasse la propria stessa saliva e i propri umori e poi l’eccitamento nel compiere le sue scoperte in luoghi proibiti.
Era passata dalla sua camera ad ogni angolo del bagno, il salotto, sulla lavatrice in funzione, sul pavimento in camera dei suoi genitori, davanti al frigo, passandosi i ghiaccioli sul piccolo seno da adolescente.
Venne così il terribile giorno della sua prima volta. Ovviamente Amara aveva ben altri progetti per il suo ultimo giorno da vergine. Molto spesso, strusciando i polpastrelli sul clitoride si era immaginata che altre mani la toccassero. Quando si strizzava il capezzolo sognava di una bocca che le lasciasse i segni di un morso attorno all’areola. Quando si tastava la lingua con la mano ed estraendo le dita, le colavano gocce di saliva sul volto, si immaginava sperma che le grondava addosso.
Quel fatidico giorno Amara si stava gustando un Muller al gusto di frutto della passione, uno di quegli yogurt con sopra uno strato di mousse cremosa e sotto lo yogurt. Sedeva lì, di ritorno dal parrucchiere con il nuovo taglio corto, i capelli castani che le scendevano fin sotto la nuca.
Era comodamente appoggiata al tavolo della cucina, seduta su uno dei vertici del tavolo. Portava una canotta gialla e un pantalone sportivo leggero. Come le sue mutandine, l’angolo del tavolo segnava un triangolo la cui punta stava iniziando a stuzzicare il perineo di Amara.
Quando ci si siede su un tavolo, alla maniera di Amara, se si tocca ancora terra con i piedi il peso del proprio corpo farà inevitabilmente leva con il tavolo, finché uno dei due non si sposterà della dovuta distanza. Amara che ovviamente pesava parecchio meno del tavolo continuava a scivolare da quando aveva scelto la precaria posizione. Ma anziché infastidirsi del continuo movimento che la costringeva a riposizionarsi, Amara provava un certo piacere nel sentire l’angolo del tavolo che come una lingua le leccava la vagina dal prepuzio fino sotto all’ano. Non c’era nessuno in casa, Amara ne era sicura e la passione la stava travolgendo con la stessa frenesia di sempre.
Non voleva rischiare che potesse venir sorpresa dai propri genitori durante l’atto, nello stesso luogo in cui mangiavano, perciò si abbassò i pantaloni quel tanto necessario e prese a strusciarsi contro lo spigolo. Passò poi al lato in cui mangiava e si divertì a sentire il suo clitoride scivolare sul liscio tavolo della cucina. Dopo due minuti in quella posizione iniziava già a gemere ma il suo sguardo si andò a posare sulla sedia.
Le sedie della cucina erano in plastica ruvida e lo schienale in fil di lana morbida. Amara aveva pensato –Mi ci vorrei strusciare sopra– fin da quando suo padre le aveva comprate mesi prima, ma il pensiero le era completamente sfuggito dalla mente. Ma adesso la sedia era lì e la fica di Amara era bollente.
Si tolse del tutto i pantaloncini e iniziò a strusciarsi sulla traversa dello schienale, con un piede a terra e l’altro sul sedile della sedia. Le gambe posteriori della sedia terminavano ben oltre la traversa dello schienale, come fossero le corna (non appuntite) di un toro e Amara le stava usando per farsi leva e strusciare più forte sull’estasiante traversa di plastica ruvida che la stava pian piano conducendo all’orgasmo. Quando spingeva in avanti il suo clitoride andava a sbattere contro una delle due terminazioni della gamba. Quando spingeva indietro sentiva invece l’ano stuzzicato dall’altra terminazione.
Dopo meno di un minuto alle prese con la sedia, con l’ultima spinta in avanti Amara raggiunse l’orgasmo. Il suo corpo fu squarciato da un fremito che le piegò la schiena, le fece tremare le spalle e dalla sua gola uscì l’ultimo compiaciuto gemito.
Ora, un qualsiasi lettore saprebbe benissimo cosa aspettarsi dalle prossime righe e i più attenti tra voi avranno anche intuito il come ma è il perché a rendere ciò che avvenne poi tanto crudele quanto ilare. Avevamo lasciato Amara al culmine della sua estasi privata, mentre, ripiegata su sé stessa, gli ultimi fremiti di piacere le scuotevano il giovane corpicino come scariche di elettroshock. Il clitoride, ben sopra la terminazione della gamba di plastica, si era fatto duro e Amara sentiva come il bisogno impellente di fare pipì. Il suo cervello non era al momento in grado di avere pensieri più complessi del “dover fare pipì” e così non fece caso alla sempre più ridotta capacità delle sue gambe di sorreggerla in quella posizione precaria. Fin dal suo primo orgasmo sotto la doccia, una delle costanti nei tanti episodi che avevano costellato la vita di Amara era l’incapacità a sorreggersi con le proprie gambe al culmine dell’atto. Questo perché gli orgasmi di Amara erano molto intensi, molto più intensi almeno di una buona parte degli orgasmi delle altre donne. Amara non saprà mai di questo particolare, ma si ricorderà invece che, nei prossimi atti e nei suoi prossimi anni, dopo ogni orgasmo avrà sempre la certezza di potersi ritrovare con il culo per terra.
Il culmine di questa storia potrebbe benissimo essere stato “e Amara si ritrovò così per terra”, Amara avrebbe persino preferito “e Amara si ruppe una gamba” o “anche entrambe”, ma al contrario di quanto invece accadde, Amara non si ruppe nulla. Nessun osso per lo meno.
Ciò che invece si ruppe fu una membrana e questa membrana fu rotta da quel bel pezzo di plastica ruvida, quella bella terminazione posteriore della sedia che aveva contribuito così bene all’orgasmo della piccola Amara. Non si era nemmeno accorta di star perdendo l’equilibrio, ma si accorse eccome di quel pezzo di sedia in plastica che le perforava la fregna. Non emise un verso. Nemmeno dopo strillò, quando accasciata a terra, Amara emise invece un agognato, lunghissimo rantolo. Si teneva la vagina con entrambe le mani, come per proteggerla dalle crudeli intenzioni di quella sedia. La cosa più comica fu che la sedia, con la caduta, era rimbalzata per terra e, dopo aver ballato sui quattro piedi, era tornata perfettamente in piedi e sulla terminazione incriminata c’era un piccolo alone rosso, pegno della prima volta di Amara.
PS: ripubblico il racconto perché ho notato che mi erano stati rimossi i dialoghi
Nella vita di ogni bambino, di qualsiasi bambino, arriva il momento in cui la realtà decide di prenderlo a schiaffi in faccia. Di norma questo grave momento dell’esistenza di ogni bambino o bambina del mondo viene erroneamente legato a un evento drammatico. La morte di un parente o, molto più doloroso, la morte dell’animale casalingo, il trasferimento in una nuova città o la prima delusione amorosa.
È sbagliato. Il più tragico di tutti gli eventi, nonché primo grande e terribile evento nella vita di ogni bambino è il giorno in cui i tuoi compagni di scuola scoprono il tasto giusto per farti piangere. La morte, il trasferimento e le sofferenze del cuore sono come il preannunciato secondo e imminente jumpscare di un qualsiasi film horror: non farà mai male quanto il primo.
Il primo giorno di scuola media di Amara, tutti i suoi compagni di classe scoprirono il suo “tasto giusto” prima ancora che lei potesse averne coscienza. Lo scoprirono all’appello. Alle elementari nessuno l’aveva presa in giro per il suo inusuale nome. In fondo alle elementari i bambini sono troppo presi a cercare ancora di capire cosa vogliano dire tutte le parole che sentono alla tv, figuriamoci le parole emesse dai loro simili.
O forse, molto più semplicemente, alle medie i bambini sono più stronzi.
Dalle medie fino ai ventun anni l’esistenza di Amara fu seguita quasi sempre da battute, risolini, scritte beffarde sui muri del bagno e messaggi crudeli sui social. Il passaggio dalle medie alle superiori sembrò quasi un toccasana per la piccola Amara ma durò meno di quanto aveva sperato, con nuove battute e nuovi sguardi di complicità trai suoi compagni. Tentò la sorte altre due volte in altre due scuole ma la situazione non cambiò poi di molto.
Partendo con un così pessimo presupposto, le sue esperienze vennero quasi del tutto condizionate dal suo carattere che andava via via a consolidarsi nella timida, triste e sconsolata Amara dell’età puberale. Persino la sua prima volta fu il più stupido degli scherzi del destino. Prima di questa famigerata “prima volta”, a sedici anni Amara aveva da poco scoperto i benefici e lo stato di rilassante quiete dati dall’autoerotismo. A sedici anni, senza amici, senza nessuna spiccata passione, contando il leggere saltuariamente un libro ogni tre mesi non classificabile come “passione” e soprattutto con l’intento di non avvicinarsi ai social in alcun modo dopo le già citate esperienze delle medie, a una ragazzina di sedici anni rimangono poche cose per ingannare il tempo. Amara si era così ritrovata in ginocchio sotto la doccia, con le gambe molli come spaghetti scotti, con le orecchie molto più calde dell’acqua che le passava sulla schiena e con una mano che cercava di capire cosa fosse appena uscito dalla sua vagina. Come mai la propria testa era così leggera e perché lei così felice?
Al suo primo vittorioso orgasmo sotto la doccia ne erano seguiti altri. Si era riproposta l’esperienza della doccia, un po’ come un tossico che si buca nella speranza di riprovare l’estasi perduta che l’aveva accompagnato così intensamente nella sua prima volta. Aveva anche sperimentato l’uso di una qualsiasi delle sostanze oleose che erano a portata della sua doccia e, terribili e brucianti ore dopo, era giunta alla conclusione che, di tutti i prodotti presenti in bagno, l’unico a cui fosse concesso avvicinarsi alla sua vagina era l’Infasil Intimo.
Di tutte le crudeltà del destino, le era stata concessa una pubertà che si potrebbe definire “tranquilla”: aveva i brufoli come tutti, ma ne aveva pochi e quasi esclusivamente sul volto e sulle braccia; aveva peli, ma a dispetto dei suoi capelli castano i suoi peli erano biondi, dolci alla vista e quei quattro peletti che le coronavano il monte di Venere erano di un color sabbia anch’esso piacevole da vedere; non aveva preso chili, o almeno non ne aveva presi troppi, ma ovunque il suo corpo avesse deciso di prenderli, quei chili stavano benissimo lì dove dovevano stare. Quindi Amara, a dispetto del suo carattere e della stragrande maggioranza dei sedicenni, amava il suo corpo.
Un saggio una volta disse –Se ti ami ti assaggi– e dalla sua prima esperienza in doccia non passò molto tempo prima che Amara decidesse di assaggiarsi. Era in camera sua e ansimava, scivolata giù dal letto. Aveva iniziato a toccarsi poco prima, quando aveva aperto il libro di storia. Gli occhi le erano caduti sul dipinto “la libertà che guida il popolo” di Eugène Delacroix, il dipinto che ogni libro di Storia al mondo posiziona esattamente sotto le parole “rivoluzione francese”. Aveva visto la libertà in primo piano, con il seno scoperto e si era sentita le orecchie avvampare quando aveva scorto ai piedi di lei un uomo, un cadavere forse, ma pur sempre un uomo senza mutande, disteso a terra. La posizione delle sue gambe non gli consentiva di mostrare il pene che sicuramente sarebbe stato floscio e piccolo, ma le concedeva la vista dei suoi peli pubici. Amara aveva letto in un libro o forse l’aveva sentito alla tv e perciò era conoscenza del fenomeno chiamato rigor mortis.
Si era immaginata il pene di quell’uomo morto, che in realtà non era morto affatto, tutt’altro che piccolo e floscio. Lo aveva immaginato morbido, gonfio, con il glande ben intenzionato a uscire e prendere un po’ di sole. Senza nemmeno rendersene conto la mano destra si era ritirata silenziosamente dal libro. Amara era distesa sul fianco, sul letto con i piedi ancora posati sul parquet della camera. Mentre la sinistra rimaneva tesa sul libro di Storia per tenerlo aperto, la destra strusciava sulle lenzuola del letto e raggiungeva la sua vita. Amara si infilò la mano nelle mutandine come un serpente in una tana di coniglio. Ma la tana era già umida. Aveva iniziato così a toccarsi e nella frenesia i suoi occhi passavano dai peli di lui alle tette di lei. Quando si girò a guardare il soffitto il libro non le serviva più e la mano sinistra era libera di aiutare la compagnia alla ricerca dell’orgasmo. Non si accorse nemmeno di essersi slacciata il nodo dei pantaloncini da casa, di averli lanciati con un calcio lontani da lei, con un altro calcio aveva lanciato le mutande in aria che le ricaddero con un flaccido rumore sulla faccia. Prese con la mano le mutandine ma non le lanciò via, l’odore era buono. Erano calde e avevano un odore forte che le inturgidiva i capezzoli. Anzi, si potrebbe dire che più che buono fosse inebriante.
Amara si sorprese non poco a prendere una boccata a pieni polmoni, tenendo ben pigiate sulla sua faccia le sue mutandine bagnate. Il suo odore le riempì la gola e l’orgasmo la raggiunse dopo poche boccate. Il corpo, flesso per l’orgasmo, in poco tempo si lasciò andare e le gambe di Amara si fecero molle e deboli. Con il sedere sul freddo parquet di camera sua, Amara si tolse le mutande dalla faccia e seguì il filo di bava che le usciva dalla bocca e andava ad ancorarsi in mezzo alle sue mutande, dove sarebbe dovuta stare la sua vagina. Guardò la mano destra. Le pendeva un filo di secrezione, la sua secrezione. Senza nemmeno chiedersi che gusto potesse avere, se lo portò alla bocca. Un minuto dopo si stava toccando nuovamente, questa volta del tutto nuda con le mutande di nuovo sulla faccia.
Secondo Amara, buona parte se non tutte le sue coetanee stavano sperimentando le sue stesse esperienze, anzi, in realtà sperava che nessuna di loro le provasse così forti e passionali come le stava provando lei. E senza nemmeno saperlo aveva ragione.
Così, alla scoperta delle meraviglie del proprio corpicino, Amara sperimentava prima quanto adorasse la propria stessa saliva e i propri umori e poi l’eccitamento nel compiere le sue scoperte in luoghi proibiti.
Era passata dalla sua camera ad ogni angolo del bagno, il salotto, sulla lavatrice in funzione, sul pavimento in camera dei suoi genitori, davanti al frigo, passandosi i ghiaccioli sul piccolo seno da adolescente.
Venne così il terribile giorno della sua prima volta. Ovviamente Amara aveva ben altri progetti per il suo ultimo giorno da vergine. Molto spesso, strusciando i polpastrelli sul clitoride si era immaginata che altre mani la toccassero. Quando si strizzava il capezzolo sognava di una bocca che le lasciasse i segni di un morso attorno all’areola. Quando si tastava la lingua con la mano ed estraendo le dita, le colavano gocce di saliva sul volto, si immaginava sperma che le grondava addosso.
Quel fatidico giorno Amara si stava gustando un Muller al gusto di frutto della passione, uno di quegli yogurt con sopra uno strato di mousse cremosa e sotto lo yogurt. Sedeva lì, di ritorno dal parrucchiere con il nuovo taglio corto, i capelli castani che le scendevano fin sotto la nuca.
Era comodamente appoggiata al tavolo della cucina, seduta su uno dei vertici del tavolo. Portava una canotta gialla e un pantalone sportivo leggero. Come le sue mutandine, l’angolo del tavolo segnava un triangolo la cui punta stava iniziando a stuzzicare il perineo di Amara.
Quando ci si siede su un tavolo, alla maniera di Amara, se si tocca ancora terra con i piedi il peso del proprio corpo farà inevitabilmente leva con il tavolo, finché uno dei due non si sposterà della dovuta distanza. Amara che ovviamente pesava parecchio meno del tavolo continuava a scivolare da quando aveva scelto la precaria posizione. Ma anziché infastidirsi del continuo movimento che la costringeva a riposizionarsi, Amara provava un certo piacere nel sentire l’angolo del tavolo che come una lingua le leccava la vagina dal prepuzio fino sotto all’ano. Non c’era nessuno in casa, Amara ne era sicura e la passione la stava travolgendo con la stessa frenesia di sempre.
Non voleva rischiare che potesse venir sorpresa dai propri genitori durante l’atto, nello stesso luogo in cui mangiavano, perciò si abbassò i pantaloni quel tanto necessario e prese a strusciarsi contro lo spigolo. Passò poi al lato in cui mangiava e si divertì a sentire il suo clitoride scivolare sul liscio tavolo della cucina. Dopo due minuti in quella posizione iniziava già a gemere ma il suo sguardo si andò a posare sulla sedia.
Le sedie della cucina erano in plastica ruvida e lo schienale in fil di lana morbida. Amara aveva pensato –Mi ci vorrei strusciare sopra– fin da quando suo padre le aveva comprate mesi prima, ma il pensiero le era completamente sfuggito dalla mente. Ma adesso la sedia era lì e la fica di Amara era bollente.
Si tolse del tutto i pantaloncini e iniziò a strusciarsi sulla traversa dello schienale, con un piede a terra e l’altro sul sedile della sedia. Le gambe posteriori della sedia terminavano ben oltre la traversa dello schienale, come fossero le corna (non appuntite) di un toro e Amara le stava usando per farsi leva e strusciare più forte sull’estasiante traversa di plastica ruvida che la stava pian piano conducendo all’orgasmo. Quando spingeva in avanti il suo clitoride andava a sbattere contro una delle due terminazioni della gamba. Quando spingeva indietro sentiva invece l’ano stuzzicato dall’altra terminazione.
Dopo meno di un minuto alle prese con la sedia, con l’ultima spinta in avanti Amara raggiunse l’orgasmo. Il suo corpo fu squarciato da un fremito che le piegò la schiena, le fece tremare le spalle e dalla sua gola uscì l’ultimo compiaciuto gemito.
Ora, un qualsiasi lettore saprebbe benissimo cosa aspettarsi dalle prossime righe e i più attenti tra voi avranno anche intuito il come ma è il perché a rendere ciò che avvenne poi tanto crudele quanto ilare. Avevamo lasciato Amara al culmine della sua estasi privata, mentre, ripiegata su sé stessa, gli ultimi fremiti di piacere le scuotevano il giovane corpicino come scariche di elettroshock. Il clitoride, ben sopra la terminazione della gamba di plastica, si era fatto duro e Amara sentiva come il bisogno impellente di fare pipì. Il suo cervello non era al momento in grado di avere pensieri più complessi del “dover fare pipì” e così non fece caso alla sempre più ridotta capacità delle sue gambe di sorreggerla in quella posizione precaria. Fin dal suo primo orgasmo sotto la doccia, una delle costanti nei tanti episodi che avevano costellato la vita di Amara era l’incapacità a sorreggersi con le proprie gambe al culmine dell’atto. Questo perché gli orgasmi di Amara erano molto intensi, molto più intensi almeno di una buona parte degli orgasmi delle altre donne. Amara non saprà mai di questo particolare, ma si ricorderà invece che, nei prossimi atti e nei suoi prossimi anni, dopo ogni orgasmo avrà sempre la certezza di potersi ritrovare con il culo per terra.
Il culmine di questa storia potrebbe benissimo essere stato “e Amara si ritrovò così per terra”, Amara avrebbe persino preferito “e Amara si ruppe una gamba” o “anche entrambe”, ma al contrario di quanto invece accadde, Amara non si ruppe nulla. Nessun osso per lo meno.
Ciò che invece si ruppe fu una membrana e questa membrana fu rotta da quel bel pezzo di plastica ruvida, quella bella terminazione posteriore della sedia che aveva contribuito così bene all’orgasmo della piccola Amara. Non si era nemmeno accorta di star perdendo l’equilibrio, ma si accorse eccome di quel pezzo di sedia in plastica che le perforava la fregna. Non emise un verso. Nemmeno dopo strillò, quando accasciata a terra, Amara emise invece un agognato, lunghissimo rantolo. Si teneva la vagina con entrambe le mani, come per proteggerla dalle crudeli intenzioni di quella sedia. La cosa più comica fu che la sedia, con la caduta, era rimbalzata per terra e, dopo aver ballato sui quattro piedi, era tornata perfettamente in piedi e sulla terminazione incriminata c’era un piccolo alone rosso, pegno della prima volta di Amara.
PS: ripubblico il racconto perché ho notato che mi erano stati rimossi i dialoghi
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