Elle, amante calda

di
genere
etero

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Elle

Dopo tanti giorni di corteggiamento reciproco, svolto in massima parte nel piazzale del condominio e caratterizzato solo da parole gentili ed affettuose, mi dette appuntamento a casa dei suoceri, che erano assenti e della quale lei aveva le chiavi. Lei era già lì, al buio e con qualche piccola luce accesa; appena richiuse la porta alle mie spalle, ci baciammo appassionatamente. Era il primo bacio. La sua bocca era saporosa, tumida, da essa mi staccai con rammarico. Mi fece strada e intanto si toglieva gli indumenti. Io mi sentivo sperso: ero profondamente innamorato e non riuscivo né a realizzare cosa stessi facendo, né riuscivo ad essere razionale. Lei si distese su un divano, totalmente nuda e mi invitò a starle accanto. C’era una sedia, l’accostai al divano e mi sedetti. La guardavo, incapace di parlare, di muovere le braccia. Lei parlava ed ogni tanto mi toccava la coscia, mi sfiorava il sesso. Ma io non capivo. Non mi accorsi nemmeno che tra le gambe aveva una rosea conchiglia che da lì a qualche tempo sarebbe diventata la mia idea fissa. Ma in quel momento avevo dimenticato che le donne hanno la fica, per me lei era una dea asessuata: ero innamorato non di Elle ma dell’idea di Elle. La guardavo: mi sembrava una di quelle statuine di bisquit che si rompono appena le tocchi. E così non la toccai, mentre lei continuava a sfiorarmi le cosce e il sesso. Ma io non capivo. Finalmente lei decise di agire, mi sbottonò i pantaloni, mi fece spogliare. Ma io niente. Lei mi prese il sesso in mano, mi prese una mano e se la portò sul suo. Rimasi immobile, instupidito, incapace anche di fare una carezza. Il mio amore profondo per lei mi aveva bloccato, mi aveva reso impotente.
Ma lei si dimostrò più saggia di me, aveva capito il mio problema psicologico, mi desiderava senza la zavorra del sentimento, voleva che la scopassi. Ma questi sono considerazioni che ho fatto solo dopo un po’ di tempo, quando anche io mi ero liberato del peso del sentimento e in lei vide non più “l’idea”, ma una donna di carne, fatta di seno, di cosce, di culo, di fica e … di bocca. Eh, già, la bocca … che usò non solo per baciare la mia ma per applicarla su una parte di me in maniera tale da lasciarmi il segno per sempre. Ma andiamo per ordine.
Dopo qualche giorno mi telefonò per invitarmi ad accompagnarla in campagna. Lei e suo marito settimanalmente andavano in un casolare a fare picnic con i loro amici. Aveva escogitato la scusa di andarsi a riprendere una pentola, andava al casolare e mi voleva per compagnia. Aveva una scomoda e vecchia Alfasud, arrivammo davanti al casolare, ma lei non entrò. Cominciammo a baciarci: accidenti come baciava! Solo che lo spazio dell’auto ci costringeva a fare le contorsioni. Lei tirò il sedile indietro e si tirò su la gonna. Belle cosce bianche ... allungai le mani e le accarezzai. Lei aprì le gambe, aveva anche il body: sperava forse che glielo sbottonassi? La toccai lì, ma senza molta convinzione e poi non avrei saputo come aprire quel maledetto indumento. Allora lei appoggiò la sua mano sulla patta dei miei pantaloni. Toccai il paradiso, come si dice, ed improvvisamente sentii che qualcosa si muoveva. Lo sentì anche lei e me lo massaggiò un poco. Poi: «Sbottonati» mi disse. Lo feci, mi aiutò ad abbassare i pantaloni e gli slip, lo prese in mano, poi si abbassò e lo prese in bocca. Avevo qualche esperienza in proposito, di cui una molto bella con un’amica milanese che mi aveva fatto la corte quando eravamo ragazzi. Fu il primo pompino che mi fu fatto, mi ero sposato solo da qualche mese e quello fu l’inizio dei tradimenti. La sua bocca era calda, la lingua avvolgente … Bene, Elle era altrettanto brava, se lo tenne in bocca per molti minuti, poi arrivò il momento in cui stavo per esplodere. Cercai di allontanarla da me spingendola indietro, ma lei fu irremovibile. Fui costretto a venirle in bocca. Lei aprì lo sportello, sputò e tornò a guardarmi sorridente. «Hai visto, mi disse, che è facile?».
Continuammo a vederci settimanalmente, cambiando luogo ma sempre in macchina. Ero diventato più spregiudicato, non avevo pudore adesso a tirarlo fuori e ad accarezzarlo per passarlo poi nelle sue mani o nella sua bocca. Avevamo imparato lei a non indossare più il body ed io a scostare le sue mutandine e a massaggiarle la fica, a titillare il suo clitoride. Mi piaceva masturbarla mentre ci baciavano e ci succhiavamo le lingue o mentre le succhiavo i capezzoli. Era bello nel momento del suo orgasmo sentire la fica stringersi intorno alle mie dita. Una sera, finito il rito erotico, lei scese dalla mia macchina, più comoda della sua, salì sulla sua, poi mentre si avviava aprì il finestrino della macchina e mi disse: «Come sarebbe bello averlo dentro …».
Ma si dovette aspettare ancora qualche mese. Organizzò tutto lei. Io tutti i mercoledì della settimana andavo a fare lezione all’università; lei disse al marito che andava a trovare sua sorella a Firenze. Invece scese a Siena, dove l’aspettavo. Aveva una veste di color rosso cafone, le stava malissimo ma non le dissi nulla. Con la mia macchina si tornò a casa, ma per strade in cui era possibile trovare qualche rifugio. Lo trovammo in una vecchia cava di sabbia. Iniziammo a farci le coccole: baci, carezze, toccamenti e l’immancabile esercizio con la bocca che le piaceva tanto. Abbassai i sedili dell’auto fino a farli diventare quasi un lettino e così mi
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accorsi della funzionalità della brutta gonna rossa: era facile ad aprirsi, comodissima … Io ero pronto, col fucile carico, lei si tolse le mutandine ed aprì le gambe. Non la guardai nemmeno, fui subito dentro di lei. La posizione non era comoda, ma lei inarcò la schiena e potei così arrivare in fondo. Era vogliosissima, dopo alcuni minuti ebbe il primo orgasmo, e, dopo aver ripreso il respiro normale, lo volle ancora … Al terzo suo orgasmo venni anch’io e finalmente potei darle quello che da tempo lei sospirava ed io ero stato incapace di realizzare prima. Tutto forse durò poco più di mezz’ora ma non avevamo più energie per farlo durare di più.
Da allora in poi tutto fu più facile. A volte era difficile trovare il tempo per uscire e così quando aveva più voglia si metteva nel terrazzino, quasi dirimpetto al mio. Si toccava il seno, si portava le mani nel grembo e si toccava; oppure teneva in mano un frutto e se lo portava in bocca e lo succhiava per farmi capire che in bocca desiderava il mio pene. Erano tutti comportamenti che avevano poco a che fare col sentimento amoroso e più con la libidine. A poco a poco anche in me si spense il sentimento, sostituito da un desiderio intenso di palparla, di leccarle la fica, di darglielo in bocca e di trombarla, come si dice in toscana, per ore.
Fu quello il momento in cui cambiai modo di essere. Il rapporto sessuale con lei mi indusse a guardare le donne in altro modo, a misurarne con uno sguardo l’ampiezza del culo e la pienezza delle tette. Così ogni tanto, mentre scopavamo, mi scappava di bocca un apprezzamento per questa o per quella. Lei faceva finta di essere gelosa, ma poi mi provocava: «Ti piace XX? Te la scoperesti vero? Che ti piace di più il suo culo o le sue tette? Dove le metteresti questo cazzo che tengo in mano? Scommetto che glielo infileresti in bocca …» e così via. Fino al giorno in cui le dissi: «Ti piacerebbe essere presente mentre XX me lo tiene in bocca?». Era ovviamente una provocazione, ma lei rispose immediatamente di sì. Durante altri incontri il discorso fu approfondito. E così scoprii che le sarebbe piaciuto giocare con una donna, di masturbarla, di leccarle la fica. «Ti piacerebbe?» - «Sì, saprei come e dove leccarla …». Da lì in poi nei discorsi con cui commentavamo i nostri atti sessuali, spesso compariva un’altra donna, immaginaria o presa dalle nostre conoscenze. In uno dei miei racconti ricordo di quella volta in cui la masturbai raccontandole di un suo immaginario incontro con una ragazzina per la quale aveva presa mezza cotta. Ma si parlava anche di un terzo uomo: un pomeriggio d’estate, poco prima di partire dal nostro luogo di incontro, mi volle salutare a suo modo; io ero seduto in macchina, pronto a partire, lei aprì lo sportello e mi mise una mano tra le gambe. «Fatti salutare meglio …». Si chinò e me lo prese in bocca. Dopo un po’ che succhiava e leccava, cominciò a dimenarsi … «C’è uno dietro di me … mi sta palpando il culo … Mi ha alzato la gonna e sfilato le mutandine …», sollevò il viso e mi guardò sorridendo. «Ti spiace se mi scopa? Uhm … che bello! È dentro di me … hmmmmmm, uno in bocca e uno nella fica …». Mi feci provocare e le sborrai in bocca.
Questa libertà di parola si trasformò per me in una libertà di comportamento. Sbollita la cotta amorosa non solo guardavo con maggiore attenzione le altre donne, ma quando le avvicinavo e vedevo che avevano un qualche interesse nei miei confronti, diventavo sfacciato e mi attivavo per portarmele a letto. Fu così che durante la mia storia con Elle ci furono molte parentesi, alcune brevi o brevissime, altre un po’ più lunghe. In tal modo conobbi Carla, Loretta, Bonaria, Giuli, Anna, Imma, Velia, Liliana. Velia e Giuli, di cui ho parlato in modo più o meno velato in due raccontini, meriterebbero la dedica di qualche pagina.
Così, variavamo i nostri incontri che, per necessità, erano alquanto ripetitivi. Si arrivava sul posto ognuno con la sua auto, lei scendeva dalla sua e veniva nella mia. Io intanto avevo preparato i sedili in modo da avere un po’ di spazio in più. Lei si sedeva e cominciavamo a parlare del più e del meno, di cosa avevamo fatto ecc. ecc.; dopo un po’ lei mi chiedeva: «Cosa mi hai portato? Cosa mi fai vedere?». Allora io mi toglievo pantaloni e mutande, lo prendevo in mano e le mostravo quel che le avevo portato ancora mezzo moscio. Lei lo prendeva in mano, lo leccava e quando era diventato quasi duro lo ingoiava. No, in verità non lo ingoiava, lo teneva racchiuso dentro la mano portandosi in bocca solo la parte superiore. Aveva la bocca piccola che non poteva contenere troppo. Quando riteneva che tutto fosse pronto, si toglieva gli slip e si metteva a cavalcioni sulle mie gambe. A volte non facevo in tempo a metterle una mano sulla fica, che lei si era già accovacciata e si faceva penetrare lentamente. Poi, dopo essersi fermata un po’ sul mio membro, cominciava a muoversi piano piano e poi sempre più veloce. Mi assaporava tutto, mi godeva tutto, fino ad avere il primo orgasmo. Si metteva una mano sulla bocca per impedirsi di urlare … «Oh dio dio dio, oh dio dio dio …» questo era il suo grido di giubilo. Mi guardava con gli occhi di chi vuole ringraziarti e non trova le parole. Dopo l’orgasmo, il suo viso diventava bellissimo, come quello di una ragazzina di undici o dodici anni, era di una bellezza adolescenziale da farmi commuovere. Ma durava poco. Mi guardava e intanto teneva le cosce aperte, le vedevo la fica gonfia di piacere, con tutti i peli intorno bagnati dai suoi umori. Se la toccava, si masturbava … «Masturbati anche tu» mi diceva. Così una davanti all’altro ci masturbavamo. Mi piaceva come si accarezzava, come si toccava il clito, come si infilava le dita nella fessura. Con l’altra mano
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intanto aveva tirato fuori una tetta, col capezzolo duro e diritto come un chiodo; se l’accarezzava, si strizzava il capezzolo con due dita, tenendo gli occhi chiusi. «Apri un pochino di più le gambe» dicevo io. «Te la voglio leccare», lei resisteva, ma bastava che mi chinassi di più e facessi la mossa di mettere il capo tra le sue cosce, che lei le allargava e mi offriva la sua bella patata tutta aperta. Cominciavo a leccare l’interno delle cosce, gli inguini e via via la mia lingua si avvicinava alla sua odorosa conchiglia. La punta della mia lingua percorreva i contorni della sua vagina, leccava le grandi labbra, poi saliva verso il clito, che succhiavo con dolcezza, poi entrava dentro. Intanto avevo messo le mani sotto le sue chiappe in modo da sollevarla un po’. In questo modo avevo la libertà di esplorare un campo più vasto, tutto glabro nelle parti inferiori e con una leggera peluria sul monte di Venere. La mia lingua era tutto un leccare e ficcarsi dentro dove trovava un varco e le mie labbra succhiavano tutto. Le piaceva molto questo gioco e dopo un po’ infatti cominciava a dimenarsi, stringeva le cosce attorno al mio capo.- Più si avvicinava il momento dell’orgasmo e più mi stringeva, mi mancava l’aria, sentivo il respiro affannarsi, ma continuavo a leccare. Un’ultima stretta e l’urlo soffocato «Oh mio dio dio dio, oh mio dio dio dio …». Finalmente potevo riemergere e respirare profondamente. Prendevamo fiato tutti e due, io ritornavo seduto al mio posto, col cazzo ancora duro (a pensarci mi meraviglio di come ero resistente). Lei si alzava e mi veniva sopra; ma se la prima volta aveva cavalcato sbattendomi i seni in faccia, ora si sedeva dandomi le spalle. Era una posizione in cui non resistevo, dopo nemmeno due minuti mi sbrodolavo dentro di lei. Ma non sempre finiva così, perché spesso concludevamo con un pompino. Ma non era la stessa cosa: se il piacere per me era grande, mi era difficile venire subito: qualche volta mi pompava a lungo prima che io le riempissi la bocca.
Questa era, dunque, la normalità.
Ma poi c’erano i giorni in cui avevamo la possibilità di incontrarci a casa sua o a casa mia. Fare il percorso tra i due appartamenti era facile, perché c’erano dei portici che ci permettevano di non essere visti. A casa scopavamo sui divani, sui letti dei figli, sui tappeti, nessun luogo ci era precluso tranne il letto matrimoniale, quasi come se volessimo rispettare i luoghi deputati delle mogli e dei mariti. A casa potevamo sbizzarrirci in giochi erotici impossibili sulle auto. Il sesso orale era il clou dei nostri incontri: mi sdraiavo e lei mi veniva sopra, si faceva entrare il cazzo in bocca e intanto mi apriva le gambe sul mio viso. È quello che si dice “sessantanove”, uno dei giochi erotici più passionali, in cui ci si annienta come persone e si diventa macchine del sesso, ci si ubriaca di libidine e di lussuria.
Ci leccavamo a vicenda, nudi come vermi, mi piaceva accarezzarle il sedere, tondo bianco morbido. Quando era eccitata mi lasciava toccare l’ano. Ci giocavo con un dito, quasi a solleticarlo … se era in giornata buona si divertiva anche lei a stringermi il dito; talora si abbandonava e mi squadernava tutto il bacino, così tenendole il dito dentro la leccavo a mio piacimento, le titillavo il clito che era piccolo e poi glielo succhiavo. Sempre aveva l’orgasmo. Ne aveva tanti, uno dietro l’altro, ne collezionava almeno tre ogni volta che ci incontravamo.
Poi abbiamo scoperto l’orto. Tutto il condominio aveva l’orto, io ne avevo una parte proprio in fondo al campo. A loro ne era toccato uno separato dal mio da un altro lotto, sul quale c’era un capanno per gli attrezzi. Avevamo scoperto che dietro il capanno era impossibile essere visti. Quando mi vedeva nell’orto, scendeva anche lei. Facevamo finta di zappettare, innaffiare; poi lei si metteva dietro il capanno, si accovacciava ed apriva le gambe e si toccava. A sei metri di distanza, oltre il capanno, c’ero anch’io e … lascio all’immaginazione. Era imprevedibilmente porca e faceva cose che non mi aspettavo. Come quando, durante un incontro, scese dalla macchina e, come d’abitudine, le misi una mano sotto la gonna. Perbacco! Non aveva le mutandine. Lo fece ancora e tutte le volte fu una piacevole sorpresa.
E poi ci fu il periodo delle foto, grazie alle cam elettroniche, che hanno reso tutto più facile. La prima volta che ci fotografammo mi feci prestare una polaroid che rilasciava le foto dopo qualche minuto. Difficile trovare la posa giusta, ci si mise sul letto davanti allo specchio dell’armadio ed io fotografai l’immagine riflessa. L’unica posa possibile fu quella di lei inginocchiata che agiva su di me con la bocca ed io in piedi. Poi vennero le macchine digitali, subito ne comprai una. Quando vedeva una macchina fotografica impazziva. La potevo fotografare in tutte le pose, con tutti i dettagli. Era una narcisista inverosimile. Le piacevano anche i film porno. Ne abbiamo visti diversi, uno le piacque molto perché c’erano due ragazze che facevano sesso lesbico: lei guardava e si toccava fra le gambe mentre io le accarezzavo e le baciavo i seni. Un giorno ne vedemmo uno nel televisore che stava in cucina. L’ultima scena mostrava una donna tutta aperta. Eravamo seduti sul bordo del tavolo di cucina, lei scese ed andò a toccare e accarezzare quel punto del televisore in cui c’era l’immagine della patata e poi si portò le dita in bocca per leccarsele. Era porca, ma mi piaceva.

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Avevo decine e decine di foto scattate ovunque: nel bosco, in camera da letto, sull’auto; vista davanti, di profilo, di dietro, accovacciata, vestita e nuda, in pose angeliche e in altre oscene. Le prime ad essere cancellate sono state quelle in cui si vedeva lei che lo teneva in bocca, con gli occhi chiusi oppure aperti come se fosse in estasi. Poi cancellai quelle in cui lei chinata in avanti si era fatta fotografare da dietro. Altre scattate dopo che avevamo fatto l’amore, con la patata ancora gonfia di piacere e tutta bagnata: anche queste cancellate, come cancellate sono state quelle di dettaglio della sua vagina.
Un giorno provammo anche la telecamera. Suo marito aveva comprato una Sony e lei subito si era impadronita dei comandi, molto probabilmente perché aveva in mente di usarla con me. E così un giorno provammo. Posizionammo la cam su un tavolinetto, io mi misi accanto, in piedi, e lei prese tutte le misure. Avviò la cam e venne accanto a me a farsi riprendere: tema del filmino, un bel pompino, con protagonista femminile lei ed io come comprimario. Subito dopo lo vedemmo, con conseguenze prevedibili. Quando tornai a casa, come di solito ci telefonammo perché era necessario sapere se tutto era andato bene. «Hai cancellato la ripresa?». «Sì, ma prima l’ho riguardata …». «Ti sei voluta rivedere …». «Sì, mi sono eccitata e mi sono masturbata …». Era così.
Quelle scattate sul letto, lei tutta nuda, con le gambe semiaperte e la vulva appena nascosta dalla peluria e con le mani a toccarsi il seno, erano le più belle e per questo furono cancellate per ultime. Me ne sono rimaste mezza dozzina, di cui un paio in cui è a figura intera, vestita, in altre c’è il solo viso, in due è a seno scoperto, un’altra è sdraiata a cosce aperte ma vestita, e infine una in cui, sdraiata, fa vedere sotto la gonna un po’ della sua intimità.



Poi, come ogni cosa, tutto finì. A distanza di un po’ di tempo ci salutammo romanticamente in un vasto parcheggio vuoto di un centro commerciale. Parlammo per lunghi minuti; io le avevo infilato una mano sotto il maglioncino, e, scostato il reggipetto, le ho tenuto un seno nel palmo della mano e le ho solleticato ogni tanto il capezzolo. Per commiato, così come aveva fatto la prima volta sull’Alfa Sud tanti anni prima, mi volle fare un regalino con la bocca.

scritto il
2021-10-23
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