Ilaria e la scommessa Azzurra: Italia-Inghilterra (Finale)
di
LovelySara
genere
incesti
Domenica 11 luglio 2021
«Fratelliii... d'Italiaaa... L'Italiaaa... s'è destaaa... Dell'elmooo... di Scipiooo... S'è cintaaa... la testaaa...».
A Ilaria batteva forte il cuore, mentre cantava a squarciagola - come mai aveva fatto in vita sua - l'Inno di Mameli. Per lei, che fino a un mese prima non avrebbe saputo riconoscere nemmeno un giocatore, era in quel momento un'emozione unica stare lì in mezzo a tutta quella folla, con la maglietta Azzurra addosso e due piccole bandiere tricolore dipinte sulle guance, a fare il tifo per la sua Nazionale nella finale degli Europei contro l'Inghilterra.
«Ho due biglietti a disposizione per la finalissima di Wembley» le aveva detto con un messaggio vocale a dir poco entusiasta Federico, il suo fidanzato, appena cinque giorni prima, subito dopo la semifinale vinta con la Spagna.
«Lo sai che devo andare» era stata la frase che la ragazza aveva rivolto a suo cugino Paolo, la mattina dopo. Erano più o meno le prime parole che si scambiavano, da quando si erano lasciati andare a quel bellissimo momento di intimità, a quell'eccitante masturbazione reciproca, perfetto culmine di settimane fatte di seduzione e provocazioni. Ascoltare subito dopo quel messaggio di Federico li aveva scombussolati entrambi, molto più dell'atto in sé. Lei doveva capire molte cose, e rivedere il suo ragazzo di persona le sembrava l'unica maniera possibile per riuscirci.
Fu proprio Paolo, gentiluomo perfino in una circostanza del genere, ad accompagnarla all'aeroporto quel mercoledì pomeriggio. Il suo ragazzo le aveva prenotato un volo last minute per consentirle di raggiungerlo, e stare qualche giorno insieme prima della finale. Nel salutare suo cugino all'entrata del gate, Ilaria gli prese la mano e la strinse forte, per poi dargli un bacio sulla guancia. E così, dopo essersi guardati negli occhi per dei secondi che parvero interminabili, ma allo stesso tempo troppo brevi, si lasciarono senza aggiungere altre parole.
«Non puoi capire quanto mi sei mancata» le disse Federico in taxi, baciandole la mano che teneva stretta nella sua. Il ragazzo era particolarmente affettuoso, cosa che paradossalmente a Ilaria provocò una leggera sensazione di fastidio. Dov'era stato quell'affetto, nelle ultime settimane? Pur consapevole di non essersi comportata da fidanzata perfetta - anzi, tutt'altro - covava una certa frustrazione per come lui l'aveva trascurata da quando era partito.
Quella sera lei non si concesse, tradendo le aspettative di Federico, che dopo un mese di lontananza aveva dato per scontato di fare l'amore con la sua ragazza alla prima occasione utile. Adducendo come motivazione la stanchezza per il viaggio - peraltro non era una bugia, la notte precedente aveva dormito poco e male - Ilaria si coricò presto, e quando al mattino si svegliò, il suo uomo aveva già lasciato l'appartamento per andare al lavoro. Le fece trovare però un biglietto sul cuscino, nel quale le dava le indicazioni per pranzare insieme.
Passò quindi una mattinata da turista, provando a distrarsi e a deviare la mente da suo cugino, che in qualche modo era sempre presente nei suoi pensieri. Si sentiva in colpa per come lo aveva abbandonato, e non poteva fare a meno di tornare col ricordo alle emozioni di quella serata nella stazione degli autobus, a quell'unica volta in cui si erano davvero lasciati andare a un momento di pura passione.
Londra era bella, bellissima, impossibile affermare il contrario. Essendo pieno luglio, le sembrò che tutte quelle storie sul clima sempre piovoso fossero solo dicerie. Ma l'atmosfera per le strade era calda non solo per via delle condizioni meteo, ma anche e soprattutto per la finale degli Europei che sarebbe andata in scena di lì a tre giorni. Gli inglesi erano carichi a pallettoni, ovunque ci si girasse era pieno di bandiere, cartelloni pubblicitari, tifosi che sembravano già intenti a festeggiare per una partita ancora da giocare. "It's coming home" si cantava nelle piazze e fuori dai pub, con una supponenza che infastidì Ilaria, ormai orgogliosa tifosa azzurra.
Quando verso l'ora di pranzo, dopo una lunga camminata, raggiunse il palazzo dove lavorava Federico, ne rimase colpita. Si trattava di un grattacielo imponente, e nonostante gli uffici dell'azienda presso la quale lui stava facendo lo stage fossero solo una delle tante attività che occupavano l'edificio, capì una volta di più quanto il padre del suo ragazzo fosse un pezzo grosso. Per trovare un'opportunità del genere al figlio, studente di Economia al primo anno, doveva avere davvero conoscenze di una certa rilevanza.
Ad accoglierla fu la receptionist. "Ashley", diceva la targhetta identificativa posta sulla sua elegante camicia di seta. Era una ragazza dai capelli rossi, forse sui venticinque anni, che la invitò ad accomodarsi sui divanetti della hall mentre avvisava Federico del suo arrivo. Nel parlare con lei Ilaria si ritrovò un po' in difficoltà: era convinta di sapere bene l'inglese, ma quell'accento britannico così marcato l'aveva colta in contropiede.
Mentre attendeva e si guardava intorno, ammirando i costosi quadri appesi alle pareti e l'arredamento un po' in stile art nouveau, che lei trovò decisamente british, si accorse dello sguardo diretto verso di lei della stessa receptionist. Chissà se Federico aveva parlato di lei, ai suoi colleghi? Chissà se in quel momento la ragazza dai capelli rossi stava pensando «Allora è questa la famosa Ilaria», o piuttosto «E questa chi sarà?».
Quando lui uscì dall'ascensore, rimase impressionata dal suo aspetto super professionale. Non era abituata a vederlo in giacca e cravatta, fu un'emozione particolare. Si mescolava perfettamente all'ambiente, più che uno stagista le sembrò di vedere un dirigente giovane ma già affermato.
Pranzarono in un bel locale del centro. Federico monopolizzò la conversazione, raccontandole di quanto gli piacesse il lavoro, di come i suoi capi lo apprezzassero, dei possibili risvolti positivi per il suo percorso di studi. Ilaria lo guardava e ascoltava, ma non sempre riusciva a prestare la giusta attenzione a ciò che diceva, distratta dai mille pensieri che le agitavano l'animo. Soprattutto quando iniziò a raccontarle di come era stato bello assistere dal vivo alla semifinale fra Italia e Spagna. Mentre lui ripercorreva le sue emozioni nei vari momenti della partita, negli occhi di lei comparivano altrettante immagini che la vedevano protagonista. In spiaggia con suo cugino e quattro semisconosciuti, a spogliarsi, a eccitarsi, a fare pipì di fronte a tutti.
«E tu? L'hai vista coi tuoi?» le chiese a bruciapelo, risvegliandola da quel sogno a occhi aperti.
«Sì» rispose semplicemente, per poi provare ad aggiungere: «Sai che mio padre è scaramantico».
Lui le prese la mano e gliela baciò. «Non posso credere che tu sia finalmente qui... e che guarderemo la finale insieme a Wembley».
«Sono qui perché finalmente mi hai invitata. Dove sei stato nelle ultime quattro settimane? Perché non mi hai mai proposto di raggiungerti? Perché hai smesso di chiamarmi?». Questo avrebbe voluto dirgli, Ilaria. Invece si morse il labbro, e si limitò a sorridere.
«Per questa sera ho un programma speciale per noi due... Ma oggi pomeriggio dovrai farmi un favore, dovresti andare a ritirare una cosa».
Quel "favore" si rivelò essere una sorpresa dedicata a lei. «Sei matto» gli disse, quando la sera lui rientrò nell'appartamento. Ilaria la indossava già.
Federico rise, poi le si avvicinò, e alzandole un braccio le fece fare una piroetta su sé stessa. «Ti sta d'incanto, non trovi?».
Era vero. Quel vestito blu le calzava davvero alla perfezione. Era un abito elegante ma allo stesso tempo giovanile, retto da due sottilissime spalline che le lasciavano scoperta buona parte della schiena, e con un profondo spacco laterale nella gonna che arrivava praticamente fino a terra. Abbinate, aveva già indossato delle décolleté slingback argentate, dal tacco alto e sottilissimo, prese nello stesso negozio dove era andata a ritirare il vestito.
«Avrai speso un occhio della testa, non dovevi» disse al suo insolitamente generoso fidanzato, genuinamente rammaricata per quella spesa che non riteneva di meritare.
«Sono nostri clienti, mi hanno fatto lo sconto. E poi volevo fare qualcosa di speciale per la mia ragazza» le rispose, prima di darle un bacio sulle labbra. «Con questa abbronzatura ti sta ancora meglio... Ma sei senza reggiseno?».
«Ti sembra un vestito che si possa indossare con il reggiseno?» osservò allora lei, facendogli notare come quel tipo di scollatura non si prestasse all'utilizzo di biancheria.
Lui le appoggiò una mano sul seno, e le diede un altro bacio, stavolta più appassionato. Poi si diresse verso il bagno. «Faccio una doccia in cinque minuti e sono pronto!».
Fu in effetti una serata speciale, come da proclami. La portò in uno dei ristoranti più raffinati e caratteristici di Londra, nel quartiere di South Kensington. E dopo la cena, organizzò un piccolo tour per le strade della città, a bordo di una carrozza trainata da un bellissimo cavallo bianco. Ilaria finì davvero per sentirsi come una principessa, e mentre Federico le descriveva i vari posti e monumenti, ostentando cultura come se abitasse a Londra da tutta la vita, a lei venne quasi l'istinto di piangere. Ma più che di emozione, quelle lacrime ricacciate subito indietro erano dettate dal senso di colpa, per un peso che avvertiva insopportabile nel petto.
Quando rientrarono nel piccolo monolocale di Federico, era quasi mezzanotte. Entrambi ancora elettrizzati da una serata che sarebbe stato ingiusto definire diversamente da "magica", iniziarono a baciarsi in maniera appassionata sin dalla soglia. E rimasero avvinghiati fino al raggiungimento del letto, sul bordo del quale lui la fece prima sedere, e poi distendere. A quel punto, inginocchiandosi davanti a lei, allungò le mani sotto alla gonna, passando per lo spacco laterale. E quando arrivò ad afferrare i suoi slip, glieli tolse di dosso con decisione, quasi strappandoli. E poi sotto la gonna infilò anche la testa, facendosi spazio fino a raggiungere il punto in cui le cosce si univano. Iniziò a leccarle la fica con grande trasporto, mentre lei si aggrappava sulle lenzuola e contraeva le dita dei piedi, ora in preda a scariche di eccitazione.
Non durò molto. Dopo neanche un minuto, infatti, il ragazzo uscì a prendere aria. A quel punto si sbottonò i pantaloni e calò le mutande, facendo balzare fuori un cazzo già durissimo. Prima di toglierli del tutto, dalla tasca - dopotutto era un ragazzo previdente - tirò fuori un preservativo, che in pochissimi secondi aprì e srotolò sul pene, fino ad avvolgerlo tutto. Infine si arrampicò sul letto, e alzandole la gonna quel tanto che bastava, cercò la posizione migliore per scoparla.
Ilaria sentì il cazzo del suo fidanzato agitarsi tra le sue cosce per cercare il varco giusto, e allungò la mano per aiutarlo a trovare l'ingresso della vagina. A quel punto, finalmente, Federico iniziò a pompare, accompagnando ogni affondo con un grugnito. Intanto le aveva abbassato una spallina, e ora le stringeva con forza il seno destro, torturandole il capezzolo. Lei cercò il suo sguardo, bisognosa di un altro bacio, ma il ragazzo era troppo concentrato sul ritmo delle pompate. A un certo punto intensificò il movimento, e si appoggiò tutto addosso a lei, a peso morto. Gli scatti del bacino si fecero più rapidi, i gemiti più violenti... e dopo qualche secondo tutto si fermò.
Federico rimase sdraiato sopra di lei per diversi secondi. Se non fosse stato per il respiro affannoso, che gli gonfiava il petto a intervalli regolari e ravvicinati, si sarebbe potuto pensare che il sesso lo avesse ucciso.
E invece no, alla fine si rialzò, e nel dare un bacio sul collo alla fidanzata, si sfilò il profilattico zuppo di sperma e annunciò che sarebbe andato a farsi un'altra doccia.
Ilaria invece rimase sdraiata un po' di più, il tempo di fare qualche respiro profondo e di asciugarsi gli occhi. Il bellissimo vestito che aveva contribuito a rendere magica quella serata per le vie di Londra, adesso sembrava quasi uno straccio indossato senza cura.
Mentre si alzava in piedi e lo sfilava del tutto, per poi provare a ripiegarlo senza stropicciarlo ulteriormente, sentì un telefono vibrare. Era arrivato un messaggio. Nell'andare a cercarlo nella borsetta, le venne istintivo chiedersi se potesse essere stato Paolo a scriverle, e per un attimo le batté il cuore più forte. Con delusione, però, vide che non aveva alcuna notifica. Si guardò in giro, incerta, e infine scorse il telefono di Federico appoggiato sul mobile vicino alla porta d'ingresso.
Chi poteva avergli scritto a quell'ora così tarda? Fece un altro respiro profondo, e decise di fare finta di nulla. Dalla propria valigia estrasse un paio di pantaloncini, e se li infilò. Poi si mise anche una T-shirt taglia XXL che ogni tanto usava per dormire, e si risedette sul letto, accendendo la tv. Ma non vide mai ciò che stavano trasmettendo. Il suo sguardo era proiettato verso quel telefono incustodito. «Sei una stupida, dovresti vergognarti ad avere certe tentazioni» ripeté a sé stessa. Poi girò leggermente la testa verso la porta del bagno. Il rumore dell'acqua della doccia si sentiva ancora forte.
Quasi come se il suo corpo non rispondesse più agli ordini della mente, si alzò e a piedi nudi si avvicinò al mobile. Qui, con un gesto all'apparenza sbadato - accortezza inutile, dato che nessuno poteva vederla - sfiorò lo schermo del telefono, fino a far ricomparire la notifica sul display. Era effettivamente arrivato un messaggio, recapitato alle 00.36. L'anteprima del testo recitava: "Is she asleep?".
Ilaria lo lesse e lo rilesse più volte, incredula, quasi alla ricerca di un possibile significato diverso da quello che subito si era fatto spazio nella sua mente. Non riuscì a trovarlo. E mentre era ancora lì in piedi vicino al mobile, arrivò un secondo messaggio: "i miss u".
Non potendo più trattenersi, la ragazza prese in mano il telefono e tolse la schermata di blocco. Conosceva il codice, Federico non l'aveva mai cambiato. Aprì i messaggi, sullo spazio del mittente c'era scritto semplicemente "A.".
Ripercorse velocemente la chat, erano tutti messaggi in inglese scambiati nel corso di pochissimi giorni. A un certo punto, le si parò davanti agli occhi la foto del pene del suo ragazzo. Quello stesso cazzo dritto che poco prima l'aveva penetrata proprio lì, sul letto. E appena più su trovò un'altra foto, in questo caso non inviata bensì ricevuta. La foto ritraeva Ashley, la ragazza tanto carina e gentile dell'ufficio di Federico. Quel giorno, fra le altre cose, Ilaria si era chiesta se il bel rosso acceso dei suoi capelli fosse frutto di una tinta. E invece a quanto pare le doveva delle scuse, perché era evidentemente naturale, considerato che avevano lo stesso identico colore anche i peli della sua fica.
«Dio, che scopata!» disse Federico uscendo dal bagno. Si stava passando l'asciugamano sui capelli, mentre sotto era ancora completamente nudo. Nel vedere la sua ragazza seduta sul bordo del letto, seria, capì subito che qualcosa non andava. «Che c'è?» le chiese, quasi con la paura di sentire la risposta.
Lei lo guardò negli occhi, in silenzio, per diversi secondi. E infine parlò.
«Ti ho tradito».
«Ti ho preso una bottiglietta d'acqua» le disse Paolo, porgendogliela. La finale stava per iniziare, e lì in piazza la tensione era già palpabile. Seppur allestito all'ultimo, il megaschermo fornito dall'amministrazione comunale era stato un regalo graditissimo per i tanti turisti che quella domenica sera si preparavano a tifare per gli Azzurri.
Tra loro non c'erano le famiglie di Paolo e Ilaria. Le due settimane di mare erano ufficialmente finite, in mattinata avevano dovuto liberare l'appartamento. Il padre della ragazza preferì non prolungare il loro soggiorno fino alla partita, per non doversi mettere in viaggio a ora tarda. I due cugini però riuscirono a convincere i rispettivi genitori a partire in cinque con una macchina, e a lasciare l'altra a loro, in modo da potersi fermare fino a sera per seguire la finale in piazza.
L'entusiasmo, la carica che si percepiva in mezzo a quella folla di persone tutte ammassate in piedi, in attesa del concerto dell'orchestra diretta da Roberto Mancini, subì tuttavia un duro colpo non appena la gara iniziò. Praticamente alla prima azione, infatti, l'Inghilterra trovò il gol. Una doccia fredda per tutti, un duro colpo al morale e alle ambizioni. In tutta l'edizione dell'Europeo, era la prima volta che l'Italia si ritrovava in svantaggio.
«Per come giocano queste due squadre, chi segna per primo avrà un grande vantaggio» aveva pronosticato Paolo quel pomeriggio. Nel vederlo così abbattuto dopo appena due minuti di gioco, Ilaria lo abbracciò forte. Lì stretti in mezzo alla folla, con i visi uno di fronte all'altro, gli dedicò un gran sorriso, e poi lo baciò sulle labbra.
Non era il primo che si scambiavano, da quando lei era tornata. La sua esperienza inglese si era conclusa dopo la gran litigata con Federico, nella quale lui le urlò cose orribili. Ilaria, che riuscì con ostinazione a mantenere l'assoluto riserbo su come e con chi lei lo avesse tradito, restò in silenzio ad ascoltarlo mentre lui le vomitava addosso insulti. Ma quando finalmente quel terribile sfogo si concluse, venne il suo turno. Gli rivelò che sapeva di quello che stava accadendo fra lui e Ashley, e il ragazzo accusò il colpo. In un primo momento tentò di negare l'evidenza, ma poi si arrese, e ammise di averla tradita a sua volta. Rendendo quella sequela di cattiverie che lui le aveva appena riservato, quantomeno ipocrita.
Alla fine lei fece le valigie e se ne andò. E se sulle prime Federico provò a ricucire, a chiederle scusa, a pregarla di dare al loro rapporto un'altra chance... nel momento in cui lei varcò la soglia, le urlò un «Vaffanculo, troia» che tradì quanto in fondo Federico fosse un uomo piccolo.
Passò in aeroporto sia la notte che buona parte del giorno successivo, in attesa di riuscire a trovare un biglietto per tornare in Italia. In tutte quelle ore ebbe modo di riflettere su quella surreale estate, su come in un mese fossero cambiate tante cose della sua vita, e si fece pure qualche piantino. Il primo volo disponibile la fece atterrare nella sera tarda del venerdì, praticamente quarantotto ore dopo la partenza. E pur vergognandosene un po', chiese a Paolo di venirla a prendere. Altre soluzioni non ne aveva, altre persone non voleva vederle.
Durante il viaggio in macchina lui non le fece domande. Una discrezione che fu apprezzata, considerato che lei di voglia di parlare non ne aveva poi molta. Men che meno di parlare del suo fidanzato - o ormai ex fidanzato - con il ragazzo che in quelle settimane aveva messo in discussione tutte le sue certezze.
Arrivarono a casa che ormai era notte fonda. Quando furono davanti alla porta d'ingresso, appena prima che lui infilasse le chiavi nella toppa, lei lo bloccò afferrandogli il polso. Solo a quel punto gli rivelò che lei e Federico si erano lasciati, confermando quello che lui in realtà già sospettava. E poi gli chiese scusa per averlo abbandonato così su due piedi, proprio in seguito a quel momento "speciale" che c'era stato fra di loro. Lui la guardò negli occhi per qualche secondo, poi le sorrise. «Devo farti vedere una cosa» le disse semplicemente, prima di aprire la porta.
Prendendola per mano, la guidò all'interno dell'appartamento buio, facendosi luce con lo schermo del telefono. Erano già andati tutti a dormire, e nel salire le scale per raggiungere la loro stanza, cercarono di fare meno rumore possibile. La portò fino al suo letto, che era intonso da due giorni, e si piegò fino ad estrarre da sotto la branda quelli che lei riconobbe subito come i suoi sandali. Quelli abbandonati in spiaggia la sera della partita con la Spagna, prima di darsi alla fuga.
«Non ci credo!» sussurrò, sforzandosi di non eccedere col volume della voce, e poi gli portò le braccia attorno al collo e lo abbracciò forte.
Lui allora le bisbigliò che era tornato sulla spiaggia e li aveva trovati esattamente dove lei li aveva lasciati. E poi aggiunse: «C'era anche il tuo... ehm... perizoma».
Lei sorrise. «Se vuoi lo puoi tenere... te lo sei meritato».
A quel punto, incurante del suo cuginetto Alessandro che dormiva a pochi passi da loro, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò con ardore, lasciando che nuovamente - proprio come era accaduto quella sera nella rimessa degli autobus - le loro lingue si intrecciassero in un ballo carico di passione.
Fu il primo di una serie di baci rubati, in quel weekend. Come corpi celesti attratti da un'irresistibile forza gravitazionale, Paolo e Ilaria si giravano sempre intorno, e ogni qual volta ce n'era l'occasione, le loro labbra si incollavano le une sulle altre.
Non fu semplice trovare il modo di stare da soli, anche perché quel sabato era il compleanno di zio Mauro, e i due ragazzi non poterono isolarsi come erano soliti fare prima della partenza di Ilaria. Anche la sera dovettero partecipare alla sua festa, rinunciando a qualsiasi altro proposito. Non appena c'era la possibilità, tuttavia, l'attrazione dei loro corpi tornava a riavvicinarli. Che fosse in spiaggia, quando con una qualsiasi scusa riuscivano ad allontanarsi per qualche minuto, oppure in un angolo cieco dell'appartamento, o ancora vicino ai bagni del ristorante... ogni volta che non erano visti, Ilaria e Paolo si appiccicavano per limonare come gli adolescenti che erano. Lui le poggiava le mani sui fianchi, lei intorno al collo, e si rubavano baci con la costante apprensione di potere essere scoperti da un momento all'altro. E questo, in qualche modo, rendeva tutto ancora più eccitante.
Anche la domenica mattina, tra le valigie da fare e l'appartamento da liberare prima di pranzo, dovettero far ricorso a tutto il loro autocontrollo per tenere a freno gli impulsi. Solo nel pomeriggio, quando finalmente i genitori partirono accettando di lasciarli lì da soli per vedere la partita in piazza, furono liberi. E chissà come sarebbero state quelle ore, se avessero avuto ancora la casa a disposizione.
Invece no. Non avevano più neppure gli ombrelloni prenotati, quella mattina vi si erano già insediate altre famiglie. Decisero allora di fare un giro per ingannare il tempo in attesa del match, e fu in quell'occasione che Paolo la vide.
«Penso che ti starebbe benissimo, addosso» disse sorridente a sua cugina, mostrandogliela. A lei già si erano illuminati gli occhi, per quella maglia blu della Nazionale col nome "Chiesa" scritto sulla schiena.
«La voglio!» disse con entusiasmo, immaginandosi già di indossarla quella sera per la partita. Ma non le bastava. Si fiondò anche lei su quelle maglie esposte all'esterno del negozio, e le passò tutte velocemente fino a trovare quella che le interessava. «E questa è per te!» disse infine, indicandogli la maglia di Pessina.
Paolo rise, ripensando a quel commento che aveva lasciato sotto a una foto del centrocampista azzurro dopo il gol con l'Austria, e quel doppio regalo gli sembrò un'ottima idea. Nell'acquistarle, si augurò che fossero di buon auspicio per la finale.
«Grazie» gli disse lei stringendolo forte, quando furono fuori dal negozio. Lui reagì in maniera un po' imbarazzata e allo stesso tempo stupita, in fondo si trattava di un regalino da poco. Ma in realtà dietro a quel «Grazie» c'era molto di più. C'era tutta la sua riconoscenza per come in quei due giorni lui aveva saputo distrarla e risollevarle il morale, facendole dimenticare tutta la faccenda di Federico. Per come sapeva farla sentire desiderata, e allo stesso tempo sapeva rispettarla. Sì, Paolo era davvero un ragazzo d'oro... Chissà se poteva davvero continuare a considerarla una sbandata estiva, quella che si era presa.
Se fino all'inizio della partita l'entusiasmo era alle stelle, ora in piazza si respirava un'aria di delusione mista a paura. Il vantaggio inglese dopo neanche due minuti aveva fiaccato gli animi di tutti i tifosi azzurri, e la flebile reazione sul campo dell'Italia aveva fatto crescere il pessimismo. Il primo tempo si era chiuso sul risultato di uno a zero, e anche Paolo sembrava abbattuto. A Ilaria dispiacque vederlo così, e decise che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa.
Non avevano pensato a scommesse, quella sera. Ormai, alla settima partita e considerato come si era evoluto il loro rapporto, non ce n'era davvero più bisogno. Ciò non significava, tuttavia, che non si potesse pensare a qualche spunto per continuare a divertirsi.
«Qui bisogna risollevare gli animi» disse a suo cugino appena prima che ricominciasse il secondo tempo, con una luce negli occhi che lui ormai aveva imparato a riconoscere.
Lanciò per un attimo un'occhiata in giro, nessuno sembrava badare a lei. Così agì. Portò le mani dietro la schiena, e da sopra la maglietta in un attimo sganciò il reggiseno. Poi, con una semplicità disarmante, infilò una mano nella manica, e fece scivolare la bretellina lungo il braccio. Dopodiché ripeté l'operazione anche sull'altro. A quel punto, non le rimase che far salire la mano sotto la maglietta, afferrare il reggiseno e sfilarlo. Un'operazione rapida, pulita, che le richiese non più di 15 secondi. E che lasciò estasiato suo cugino.
Non solo lui, in realtà. Mentre Ilaria infilava quel delicato indumento bianco nel marsupio che aveva legato alla vita, appena sopra gli shorts, si guardò di nuovo intorno e si accorse di avere un piccolo pubblico. Tre ragazzini, forse di età poco più grande rispetto al suo cuginetto Alessandro, la fissavano di sbieco, tra risolini e botte di gomito. Sentì il viso diventare rosso, ma non si lasciò scomporre. In fondo, ciò a cui avevano appena assistito era nulla rispetto a quanto Ilaria stava per fare.
Pochi secondi dopo, facendosi aiutare da un Paolo sempre più incredulo ma allo stesso tempo curioso, gli salì sulle spalle, stringendogli le guance con le cosce e tenendosi con le mani sulla sua testa, per non perdere l'equilibrio mentre lui la alzava. E lì, svettante tra la folla come una groupie a un concerto metal, si alzò di scatto la maglietta e mostrò le tette a chiunque fosse in piazza.
«Forza Azzurriiiiii» urlò a pieni polmoni, tenendo gli occhi chiusi per un'istintiva forma di vergogna. Come se non vedere la reazione della gente la aiutasse a non cedere all'imbarazzo, che in quel momento si mischiava all'adrenalina.
La aiutò a darsi forza il boato dei tifosi, che iniziarono ad applaudire e a dedicarle fischi di apprezzamento. Le tette ballavano libere di fronte a tutte quelle persone, morbide e reattive ad ogni minimo movimento suo o di Paolo. Il quale cercava di mantenere l'equilibrio e contemporaneamente di guardare verso l'alto, sebbene in quella calca lui fosse nella posizione più svantaggiata per godersi la visione. Poco importava, il ragazzo era a sua volta divertito ed eccitato: gli bastava affondare le dita sulle cosce abbronzate, sapere che il pube di sua cugina era praticamente appoggiato alla sua nuca, per godersi quel momento più di chiunque altro.
Un po' di apprezzamento, Ilaria se lo aspettava. Ciò che la colse totalmente di sorpresa, tuttavia, fu la reazione di un'altra tifosa, che la prese ad esempio: salendo sulle spalle di quello che probabilmente era il fidanzato, alzò anche lei la maglietta rimanendo in topless di fronte a tutti. E pochi secondi dopo, ancora un'altra ragazza fece lo stesso. Ilaria rise, e a quel punto l'imbarazzo diventò solo un ricordo. Anche quando ridiscese, pochi minuti più tardi, per dare sollievo alle spalle di Paolo, si sentì fiera per aver riacceso l'entusiasmo in una piazza depressa.
E sebbene non fosse una persona scaramantica, non poté fare a meno di convincersi di avere in qualche modo un po' di merito, nel vedere anche la Nazionale giocare meglio rispetto al primo tempo. Fu ancora più grande, dunque, la gioia nel momento in cui vide la palla entrare finalmente in porta: si era quasi a metà ripresa, e Bonucci in mischia aveva appena afferrato l'agognato pareggio.
Il boato fu incredibile, e la emozionò più di qualunque altro gol. La folla intorno a lei saltava, urlava, si abbracciava. Decine di corpi esultavano all'unisono, creando un mare di entusiasmo azzurro di cui fu orgogliosa di sentirsi parte. Lo stesso valeva per Paolo, che prima saltellò con le braccia al cielo, e poi girandosi verso sua cugina le posò entrambe le mani sul collo, accarezzandole le guance coi pollici. Infine le si avvicinò e le diede un bacio che fece girare la testa a entrambi.
Mentre la gente intorno a loro continuava a festeggiare e ad agitarsi, al grido del «Po-popopo-po» che fin dal 2006 caratterizzava le glorie azzurre, loro due si immersero in una sorta di bolla, come se tutte le persone che avevano a fianco fossero scomparse. E per lunghissimi secondi rimasero lì a baciarsi, in apnea, incuranti di tutto e di tutti.
Quando infine si staccarono, il gioco era già ripreso. Rimasero per qualche altro secondo con le fronti appoggiate l'una sull'altra, a riprendere fiato. Neppure quando Ilaria si girò, per tornare a rivolgere lo sguardo verso il megaschermo, smisero di restare abbracciati. Paolo la cingeva da dietro, con le braccia strette appena sotto al suo seno. E lì, avvinghiati in mezzo a una ressa che rispetto ad inizio partita sembrava essersi fatta ancora più numerosa, sua cugina sentì distintamente il membro duro del ragazzo premerle nel solco fra le natiche.
L'eccitazione si era impossessata di entrambi, ciò che accadeva sul campo improvvisamente sembrava aver perso importanza. Lui le spostò delicatamente i capelli dal collo, e poi da dietro iniziò a baciarglielo. Lei inarcò leggermente il busto, travolta da brividi di piacere, e portando la mano dietro alla schiena - fino a farle trovare un pertugio fra i due corpi - andò a posargliela sulla patta dei pantaloni. Dove con le dita accarezzò la stoffa sopra al cazzo duro.
Paolo sentì crescere la voglia, che presto divenne incontenibile, portandolo a fare ciò che mai avrebbe anche solo osato immaginare. Dopo essersi guardato intorno furtivamente, per accertarsi che nessuno stesse badando a loro, portò anche lui la mano dove già l'aveva Ilaria. E per dare respiro a un pene che sembrava pronto a scoppiargli nei pantaloni, slacciò la patta e abbassò la parte frontale delle mutande, di fatto tirandolo fuori lì in mezzo alla piazza.
A nasconderlo dagli sguardi altrui era proprio il corpo di sua cugina, sul quale lui praticamente si appoggiava. Lei, che gli dava sempre le spalle, si accorse di questa sua sorprendente iniziativa solo col tatto, quando con le dita sfiorò la pelle dell'asta e i testicoli. Per un attimo sentì mancarle il fiato. Ebbe paura che qualcuno potesse vederli, e allora indietreggiò ancora di più, per non lasciare alcuno spiraglio di luce fra i due corpi. Prima, però, pensò bene di nascondere il pene di suo cugino sotto la propria maglietta, che con un gesto rapido sollevò e poi riabbassò. Nel farlo, senza volerlo il cazzo di Paolo andò a infilarsi sotto la cinghia del marsupio che le attorniava la vita, e così i due corpi si legarono ancora più stretti, ora senza più possibilità di distanziarsi.
Sentendo il contatto del pene contro la parte bassa della sua schiena, Ilaria si eccitò enormemente. Se solo non fossero stati in una pubblica piazza, in mezzo a centinaia di persone, si sarebbe infilata una mano nelle mutande, che sapeva già essere bagnate. La situazione in cui si trovava non la frenò tuttavia dal muovere leggermente il culo, in una specie di twerk al rallentatore, con cui andò a stimolare ancora di più suo cugino. Nel frattempo anche lui aveva iniziato a strusciarsi in maniera più decisa: ora i colpi di bacino, per quanto rallentati, sarebbero risultati evidenti a uno spettatore attento.
Per loro fortuna, però, l'attenzione di tutti era rivolta al ledwall dove Italia e Inghilterra si stavano dando battaglia. E così Paolo decise di rischiare ancora di più: nell'accarezzare il corpo di sua cugina, fece scivolare una mano sotto alla maglietta, e poi risalì fino ad aggrapparsi a una tetta. A Ilaria sfuggì un gemito, nel sentire le dita strizzarle il capezzolo. Avvinghiato a lei, con un braccio infilato sotto la parte davanti della maglietta e il cazzo in quella dietro, Paolo capì che non avrebbe potuto trattenersi ancora a lungo. Ne era consapevole anche lei, che piegò la testa all'indietro fino ad appoggiarla sulla sua spalla, e tirando leggermente fuori la lingua andò a cercare un suo bacio. Fu proprio mentre le loro bocche si univano di nuovo, che lui non riuscì più a resistere. Dalla cappella iniziò a sparare una serie di potenti schizzi di sperma, che le imbrattarono tutta la schiena. Ilaria si sentì bagnare sotto la maglietta... e di riflesso anche tra le gambe, dove avvertì una scossa che la fece tremare. Suo cugino aveva appena raggiunto un clamoroso orgasmo, lì in mezzo alla folla, e lei pur senza toccarsi non si sentiva poi così lontana dallo stesso traguardo.
Nel ricomporsi, dopo qualche altro secondo di estasi, si guardarono di nuovo in giro con aria furtiva. Incredibile a dirsi, ma nessuno sembrava essersi accorto di quanto era appena successo. Quando di nuovo tornarono a incrociare lo sguardo, a entrambi scappò quasi da ridere, tanta era l'emozione mista a incredulità.
«Ti va l'ultimo bagno della stagione?» le chiese lui a bruciapelo, sorprendendola.
«Ma... non vuoi vedere la partita?».
Certo che avrebbe voluto vederla. Ma in quel momento Paolo riusciva solo a pensare che quella vacanza stava per finire, e non aveva idea di cosa sarebbe successo una volta tornati alla loro vita normale. L'unica cosa che sapeva, era che non voleva sprecare neanche un secondo del tempo che rimaneva loro.
«Voglio stare insieme a te» le rispose serio, con una semplicità disarmante. Il fatto di dirlo ad alta voce, per riuscire a farsi sentire in mezzo a tutta quella confusione, fu un'emozione per entrambi.
Sorridendo, lei annuì. Si presero dunque per mano e si fecero spazio tra la folla, lasciando la piazza per dirigersi verso la spiaggia.
Fecero lo stesso percorso che seguivano sempre, quello che da anni avevano imparato a memoria, in tutte quelle estati passate al mare insieme. Arrivarono fino agli ombrelloni e ai lettini che avevano ospitato le loro famiglie nelle ultime due settimane. Qui, senza bisogno di dire nulla, si privarono di tutti i loro vestiti. Come era successo già in occasione della semifinale con la Spagna, la spiaggia fu dunque il teatro del loro secondo "striptease", anche se stavolta erano soli, e questo rendeva tutto ancora più intimo e piacevole. Nello spogliarsi continuarono a guardarsi, senza più alcuna vergogna di mostrarsi nudi l'uno all'altra, ma piuttosto con un desiderio crescente.
Quando Paolo tolse le mutande, rimanendo come mamma l'aveva fatto, Ilaria vide per la prima volta il suo pene a riposo. Ma bastò che i suoi occhi si posassero lì, per notarlo sussultare e ricominciare a crescere. Il ragazzo rimase di sale quando lei si avvicinò, e come poco prima gli aveva preso la mano, stavolta lo afferrò proprio per il pisello per camminare insieme verso la riva.
Una volta in acqua, si lasciarono andare nuovamente alla passione, abbracciandosi e baciandosi. Per Ilaria era la prima esperienza del genere, non aveva mai fatto il bagno nuda al mare, se non da piccolissima. Suo cugino invece la sorprese rivelandole che gli era capitato qualche anno prima, dopo una scatenata festa con gli amici. Ora però la situazione era decisamente diversa, molto più eccitante.
Rimasero in acqua per diversi minuti, a parlare, a confessarsi, ad amoreggiare. Ma la temperatura dell'acqua iniziava a farsi un po' rigida, e ben presto si resero conto che non avevano alcuna necessità di nascondersi. La spiaggia era deserta, e tutto quello che volevano fare, lo potevano fare in una situazione più comoda ma non per questo meno erotica.
Non avevano asciugamani, ma non importava. Ritornati ai lettini, Ilaria appoggiò una mano sul petto di suo cugino e lo invitò a distendersi. Dopodiché, con uno sguardo e un atteggiamento che comunicavano una consapevolezza del tutto nuova agli occhi di Paolo, avanzando a carponi gli fu sopra. Si sedette dolcemente all'altezza del suo stomaco, appena più in alto di un pene già barzotto, e gli accarezzò il petto bagnato. Lo schienale del lettino era leggermente tirato su, potevano guardarsi negli occhi. Allora lei si piegò, lentamente, finché i loro visi non furono a un respiro di distanza. E gli diede un bacio sulla guancia.
«E questo per cos'era?» chiese il ragazzo, stupito da quell'affetto così innocente.
«Questo... era per la vittoria sulla Turchia».
A quel punto lei spostò il viso e gli diede un nuovo bacio, stavolta sull'altra guancia. «Questo invece era per la vittoria sulla Svizzera», aggiunse.
Si guardarono negli occhi, appena prima che lei lo baciasse ancora, sulle labbra. «E questo per la vittoria... la vittoria...».
«Sul Galles?» le venne in soccorso.
«Galles, giusto» replicò ridendo. Sarà stato forse per il fatto di non averla vista insieme, che proprio non se lo ricordava. Quella risata donò un'atmosfera ancora più intima a quel momento, e non lo privò assolutamente della sensualità di cui era intriso.
Anche perché un attimo dopo la ragazza portò su il busto, fino a mettergli praticamente le tette in faccia. «E questo... per la vittoria sull'Austria. Dio, quanto ero infoiata quella sera...».
Paolo non poteva credere di ritrovarsi a tu per tu col seno di sua cugina. Lo ammirò ancora una volta, prima di allungare la lingua arrivando a sfiorarle il capezzolo. E vedendo che lei non si ritraeva, sollevò le mani e lo afferrò. Le palpò le tette con passione, restando estasiato da quella morbidezza. Le strinse, e portò alla bocca prima un capezzolo e poi l'altro, baciandoli e succhiandoli in una maniera che le diede una nuova, potente scarica di emozioni.
Lo lasciò fare per qualche secondo, visto che la cosa piaceva tanto anche a lei, ma a un certo punto gli sottrasse quel piacere per provare a regalargliene un altro. Spostandosi in avanti con le ginocchia, si sollevò ancora di più fino a piazzare la propria fica davanti al suo viso. «Questa... è per la vittoria sul Belgio» gli disse quasi tremando. A Paolo girò la testa, dopotutto il sangue che aveva in corpo stava andando in una sola direzione, ben più in basso di dove stava il cervello. Davanti agli occhi aveva un triangolino di pelo castano, corto e curatissimo, che per un attimo gli tolse il respiro. Con la bocca aperta, come a cercare fiato, sollevò lo sguardo per inseguire quello di sua cugina, che si nascondeva dietro a due tette che, da quella posizione, gli sembravano ancora più grandi. La vide ricambiare la stessa voglia che avvertiva lui, e così si decise a sporgere il capo in avanti, per un dolce bacio sul suo monte di venere.
A lei sfuggì un gemito, quando percepì la lingua entrare a contatto con le sue grandi labbra, e le dita di suo cugino affondare nella carne, per afferrarle il culo e tirarla ancora più vicina a sé.
«Non... non abbiamo ancora finito» gli disse ansimante, posando le mani sui suoi capelli per invitarlo a fermarsi. Lui capì che ne valeva la pena nel momento in cui la vide girarsi e rimettersi a carponi, stavolta però in direzione opposta a lui.
«Questo è per la vittoria sulla Spagna» annunciò offrendogli il culo, che ora lui aveva praticamente davanti al naso. Il ragazzo portò di nuovo le dita sui glutei, prima premendoli l'uno contro l'altro, e poi separandoli. Davanti a sé aveva due buchini che sembravano solo invitarlo a tirare fuori la lingua.
«E per quanto riguarda l'Inghilterra...».
«Non abbiamo ancora vinto, con l'Inghilterra...» le rammentò.
«No? Io però sarei pronta a scommettere che vinceremo» sentenziò Ilaria, appena prima di afferrare saldamente il cazzo di suo cugino e infilarselo tutto in bocca.
La decisione con cui lei si lanciò in quella fellatio, per l'ennesima volta lo sorprese. Fu come un tornado di emozioni: sentire le sue labbra avvolgergli la cappella, per poi schiudersi e fare spazio all'asta dura, giù fino alla gola, lo fece trasalire.
Ilaria vi si dedicò con la cura di una professionista, a quel pompino, riservando a quel cazzo tutto l'affetto che nutriva per il ragazzo che vi era attaccato. Lo leccava come fosse un cono gelato, concentrandosi ora sulla cappella, che al palato le ricordava quasi una grossa ciliegia, ora sul tronco, dove faceva scorrere la lingua con ardore. Nel mentre si aiutava con la mano, per far sì che la stimolazione non venisse mai meno.
Il piacere era talmente intenso, che Paolo ci mise diversi secondi prima di realizzare la possibilità che la cugina gli stava offrendo... anzi, ciò che gli stava chiedendo di fare. Come colpito da un'epifania, il ragazzo non volle farla attendere di più, e tenendola per i fianchi affondò il viso nel suo culo. Strofinò le guance contro i glutei, massaggiandole col naso il perineo, tra la vagina e l'ano. Poi tirò fuori la lingua, e iniziò a leccare. Subito la trovò bagnata e avvertì un sapore salato, e non poté fare a meno di chiedersi se la causa fosse da ricercare nel bagno in mare che avevano appena fatto, o negli umori frutto di ciò che stavano vivendo. Ma in realtà non gli importava, sapeva solo che leccare la fica di sua cugina era un privilegio di cui mai si sarebbe sognato di poter godere.
«Oddio... non ti fermare...» lo incitò lei, a cui piaceva moltissimo quella percezione così viva e intensa sui suoi punti più sensibili. Con la mano gli teneva il cazzo mentre la bocca ora era andata più giù, a prendere i testicoli fra le labbra, a succhiargli le palle come se fossero state delle praline di gustoso cioccolato.
Quando capì di non farcela più, staccò il suo viso dal pene e contemporaneamente gli tolse il piacere dalla bocca. Ma solo perché, ancora una volta, si sentiva pronta a donargliene uno ancora più grande.
Tornando a girarsi faccia a faccia, si sedette nuovamente sopra di lui, stavolta un po' più in basso. Con i palmi di entrambe le mani gli massaggiò il membro. Poi, guardandolo negli occhi e dedicandogli un sorriso che gli scaldò il cuore, si portò un po' più avanti col bacino, fino a far toccare i loro sessi. Con la fica si andò a posare proprio sopra al cazzo, adagiandosi dolcemente sull'asta con le grandi labbra. E qui iniziò un lento movimento di bacino, su e giù, quasi a masturbarlo con la vulva.
Appoggiandosi con le mani sul suo torace, si sollevò infine di qualche centimetro, e lasciò che il cazzo scivolasse dentro la sua vagina, facendolo scomparire tra le cosce. Con gli occhi chiusi, e il labbro inferiore stretto fra i denti, Ilaria iniziò a cavalcare come una bellissima amazzone, muovendo il bacino con una sapienza che poteva essere frutto solo di una meravigliosa dote naturale. Paolo la guardava come se fosse una dea, mentre lei si dimenava sopra di lui, illuminata solo dal chiaro di luna che le faceva brillare la pelle, impregnata di acqua di mare mista a sudore. Le tette rimbalzavano armoniose sul suo petto, compiendo quasi un movimento circolare, il culo sbatteva al ritmo di una canzone rock contro le cosce, anche mentre lei si piegava in avanti e, spostandosi i capelli dal viso, lo baciava con passione.
A un tratto lui la cinse con le braccia e la portò a sé, intensificando le pompate. Stretti in quell'abbraccio, si rotolarono su loro stessi fino a ribaltare la situazione, portando lui sopra e lei sotto, e fu quasi un miracolo se non caddero dal lettino. Lì, appoggiandosi sui gomiti, la scopò ancora con più forza, stantuffando come un forsennato a ritmi sempre più sostenuti, mentre lei ormai non faceva più nulla per contenere i gemiti.
«Ila... io sto... per...».
«A... anch'io...».
Paolo ebbe la lucidità per estrarlo, e sentendosi improvvisamente vuota, Ilaria si portò una mano fra le gambe per finirsi. Fu questione di un attimo: bastò sfiorare il clitoride con l'indice e il medio, il tempo di un fugace strofinamento, e la ragazza esplose in uno sconquassante orgasmo, spruzzando copiosi umori che andarono a bagnare proprio il cazzo di suo cugino. Fu anche per lui il colpo di grazia. Senza neppure bisogno di toccarsi, anche Paolo iniziò a sborrare come un idrante, raggiungendola coi propri schizzi sul monte di venere, sulla pancia, fino al seno... mentre lei, ansimante, ancora vibrava dal piacere.
Ilaria non era mai stata una grande appassionata di calcio. Ma quell'estate, la Nazionale Azzurra le aveva sconvolto la vita.
Nudi, abbracciati e in completo silenzio, distesi su uno di quei lettini dove per due settimane si erano abbronzati i loro genitori, i due cugini non pensavano al domani. Si godevano semplicemente quella che era stata forse la serata più bella ed emozionante della loro vita. E per un attimo pensarono che fosse in qualche modo un tributo a loro, quel fragore di clacson che udirono in lontananza. Ben presto arrivarono addirittura i fuochi artificiali, a creare in cielo la coreografia perfetta. Coi visi illuminati dai riflessi di quelle esplosioni, ora di blu, ora di rosso, ora di verde... i due ragazzi si guardarono negli occhi, e sorrisero.
«Mi sa che...».
«Sì, Ila... Mi sa che abbiamo vinto davvero».
«Fratelliii... d'Italiaaa... L'Italiaaa... s'è destaaa... Dell'elmooo... di Scipiooo... S'è cintaaa... la testaaa...».
A Ilaria batteva forte il cuore, mentre cantava a squarciagola - come mai aveva fatto in vita sua - l'Inno di Mameli. Per lei, che fino a un mese prima non avrebbe saputo riconoscere nemmeno un giocatore, era in quel momento un'emozione unica stare lì in mezzo a tutta quella folla, con la maglietta Azzurra addosso e due piccole bandiere tricolore dipinte sulle guance, a fare il tifo per la sua Nazionale nella finale degli Europei contro l'Inghilterra.
«Ho due biglietti a disposizione per la finalissima di Wembley» le aveva detto con un messaggio vocale a dir poco entusiasta Federico, il suo fidanzato, appena cinque giorni prima, subito dopo la semifinale vinta con la Spagna.
«Lo sai che devo andare» era stata la frase che la ragazza aveva rivolto a suo cugino Paolo, la mattina dopo. Erano più o meno le prime parole che si scambiavano, da quando si erano lasciati andare a quel bellissimo momento di intimità, a quell'eccitante masturbazione reciproca, perfetto culmine di settimane fatte di seduzione e provocazioni. Ascoltare subito dopo quel messaggio di Federico li aveva scombussolati entrambi, molto più dell'atto in sé. Lei doveva capire molte cose, e rivedere il suo ragazzo di persona le sembrava l'unica maniera possibile per riuscirci.
Fu proprio Paolo, gentiluomo perfino in una circostanza del genere, ad accompagnarla all'aeroporto quel mercoledì pomeriggio. Il suo ragazzo le aveva prenotato un volo last minute per consentirle di raggiungerlo, e stare qualche giorno insieme prima della finale. Nel salutare suo cugino all'entrata del gate, Ilaria gli prese la mano e la strinse forte, per poi dargli un bacio sulla guancia. E così, dopo essersi guardati negli occhi per dei secondi che parvero interminabili, ma allo stesso tempo troppo brevi, si lasciarono senza aggiungere altre parole.
«Non puoi capire quanto mi sei mancata» le disse Federico in taxi, baciandole la mano che teneva stretta nella sua. Il ragazzo era particolarmente affettuoso, cosa che paradossalmente a Ilaria provocò una leggera sensazione di fastidio. Dov'era stato quell'affetto, nelle ultime settimane? Pur consapevole di non essersi comportata da fidanzata perfetta - anzi, tutt'altro - covava una certa frustrazione per come lui l'aveva trascurata da quando era partito.
Quella sera lei non si concesse, tradendo le aspettative di Federico, che dopo un mese di lontananza aveva dato per scontato di fare l'amore con la sua ragazza alla prima occasione utile. Adducendo come motivazione la stanchezza per il viaggio - peraltro non era una bugia, la notte precedente aveva dormito poco e male - Ilaria si coricò presto, e quando al mattino si svegliò, il suo uomo aveva già lasciato l'appartamento per andare al lavoro. Le fece trovare però un biglietto sul cuscino, nel quale le dava le indicazioni per pranzare insieme.
Passò quindi una mattinata da turista, provando a distrarsi e a deviare la mente da suo cugino, che in qualche modo era sempre presente nei suoi pensieri. Si sentiva in colpa per come lo aveva abbandonato, e non poteva fare a meno di tornare col ricordo alle emozioni di quella serata nella stazione degli autobus, a quell'unica volta in cui si erano davvero lasciati andare a un momento di pura passione.
Londra era bella, bellissima, impossibile affermare il contrario. Essendo pieno luglio, le sembrò che tutte quelle storie sul clima sempre piovoso fossero solo dicerie. Ma l'atmosfera per le strade era calda non solo per via delle condizioni meteo, ma anche e soprattutto per la finale degli Europei che sarebbe andata in scena di lì a tre giorni. Gli inglesi erano carichi a pallettoni, ovunque ci si girasse era pieno di bandiere, cartelloni pubblicitari, tifosi che sembravano già intenti a festeggiare per una partita ancora da giocare. "It's coming home" si cantava nelle piazze e fuori dai pub, con una supponenza che infastidì Ilaria, ormai orgogliosa tifosa azzurra.
Quando verso l'ora di pranzo, dopo una lunga camminata, raggiunse il palazzo dove lavorava Federico, ne rimase colpita. Si trattava di un grattacielo imponente, e nonostante gli uffici dell'azienda presso la quale lui stava facendo lo stage fossero solo una delle tante attività che occupavano l'edificio, capì una volta di più quanto il padre del suo ragazzo fosse un pezzo grosso. Per trovare un'opportunità del genere al figlio, studente di Economia al primo anno, doveva avere davvero conoscenze di una certa rilevanza.
Ad accoglierla fu la receptionist. "Ashley", diceva la targhetta identificativa posta sulla sua elegante camicia di seta. Era una ragazza dai capelli rossi, forse sui venticinque anni, che la invitò ad accomodarsi sui divanetti della hall mentre avvisava Federico del suo arrivo. Nel parlare con lei Ilaria si ritrovò un po' in difficoltà: era convinta di sapere bene l'inglese, ma quell'accento britannico così marcato l'aveva colta in contropiede.
Mentre attendeva e si guardava intorno, ammirando i costosi quadri appesi alle pareti e l'arredamento un po' in stile art nouveau, che lei trovò decisamente british, si accorse dello sguardo diretto verso di lei della stessa receptionist. Chissà se Federico aveva parlato di lei, ai suoi colleghi? Chissà se in quel momento la ragazza dai capelli rossi stava pensando «Allora è questa la famosa Ilaria», o piuttosto «E questa chi sarà?».
Quando lui uscì dall'ascensore, rimase impressionata dal suo aspetto super professionale. Non era abituata a vederlo in giacca e cravatta, fu un'emozione particolare. Si mescolava perfettamente all'ambiente, più che uno stagista le sembrò di vedere un dirigente giovane ma già affermato.
Pranzarono in un bel locale del centro. Federico monopolizzò la conversazione, raccontandole di quanto gli piacesse il lavoro, di come i suoi capi lo apprezzassero, dei possibili risvolti positivi per il suo percorso di studi. Ilaria lo guardava e ascoltava, ma non sempre riusciva a prestare la giusta attenzione a ciò che diceva, distratta dai mille pensieri che le agitavano l'animo. Soprattutto quando iniziò a raccontarle di come era stato bello assistere dal vivo alla semifinale fra Italia e Spagna. Mentre lui ripercorreva le sue emozioni nei vari momenti della partita, negli occhi di lei comparivano altrettante immagini che la vedevano protagonista. In spiaggia con suo cugino e quattro semisconosciuti, a spogliarsi, a eccitarsi, a fare pipì di fronte a tutti.
«E tu? L'hai vista coi tuoi?» le chiese a bruciapelo, risvegliandola da quel sogno a occhi aperti.
«Sì» rispose semplicemente, per poi provare ad aggiungere: «Sai che mio padre è scaramantico».
Lui le prese la mano e gliela baciò. «Non posso credere che tu sia finalmente qui... e che guarderemo la finale insieme a Wembley».
«Sono qui perché finalmente mi hai invitata. Dove sei stato nelle ultime quattro settimane? Perché non mi hai mai proposto di raggiungerti? Perché hai smesso di chiamarmi?». Questo avrebbe voluto dirgli, Ilaria. Invece si morse il labbro, e si limitò a sorridere.
«Per questa sera ho un programma speciale per noi due... Ma oggi pomeriggio dovrai farmi un favore, dovresti andare a ritirare una cosa».
Quel "favore" si rivelò essere una sorpresa dedicata a lei. «Sei matto» gli disse, quando la sera lui rientrò nell'appartamento. Ilaria la indossava già.
Federico rise, poi le si avvicinò, e alzandole un braccio le fece fare una piroetta su sé stessa. «Ti sta d'incanto, non trovi?».
Era vero. Quel vestito blu le calzava davvero alla perfezione. Era un abito elegante ma allo stesso tempo giovanile, retto da due sottilissime spalline che le lasciavano scoperta buona parte della schiena, e con un profondo spacco laterale nella gonna che arrivava praticamente fino a terra. Abbinate, aveva già indossato delle décolleté slingback argentate, dal tacco alto e sottilissimo, prese nello stesso negozio dove era andata a ritirare il vestito.
«Avrai speso un occhio della testa, non dovevi» disse al suo insolitamente generoso fidanzato, genuinamente rammaricata per quella spesa che non riteneva di meritare.
«Sono nostri clienti, mi hanno fatto lo sconto. E poi volevo fare qualcosa di speciale per la mia ragazza» le rispose, prima di darle un bacio sulle labbra. «Con questa abbronzatura ti sta ancora meglio... Ma sei senza reggiseno?».
«Ti sembra un vestito che si possa indossare con il reggiseno?» osservò allora lei, facendogli notare come quel tipo di scollatura non si prestasse all'utilizzo di biancheria.
Lui le appoggiò una mano sul seno, e le diede un altro bacio, stavolta più appassionato. Poi si diresse verso il bagno. «Faccio una doccia in cinque minuti e sono pronto!».
Fu in effetti una serata speciale, come da proclami. La portò in uno dei ristoranti più raffinati e caratteristici di Londra, nel quartiere di South Kensington. E dopo la cena, organizzò un piccolo tour per le strade della città, a bordo di una carrozza trainata da un bellissimo cavallo bianco. Ilaria finì davvero per sentirsi come una principessa, e mentre Federico le descriveva i vari posti e monumenti, ostentando cultura come se abitasse a Londra da tutta la vita, a lei venne quasi l'istinto di piangere. Ma più che di emozione, quelle lacrime ricacciate subito indietro erano dettate dal senso di colpa, per un peso che avvertiva insopportabile nel petto.
Quando rientrarono nel piccolo monolocale di Federico, era quasi mezzanotte. Entrambi ancora elettrizzati da una serata che sarebbe stato ingiusto definire diversamente da "magica", iniziarono a baciarsi in maniera appassionata sin dalla soglia. E rimasero avvinghiati fino al raggiungimento del letto, sul bordo del quale lui la fece prima sedere, e poi distendere. A quel punto, inginocchiandosi davanti a lei, allungò le mani sotto alla gonna, passando per lo spacco laterale. E quando arrivò ad afferrare i suoi slip, glieli tolse di dosso con decisione, quasi strappandoli. E poi sotto la gonna infilò anche la testa, facendosi spazio fino a raggiungere il punto in cui le cosce si univano. Iniziò a leccarle la fica con grande trasporto, mentre lei si aggrappava sulle lenzuola e contraeva le dita dei piedi, ora in preda a scariche di eccitazione.
Non durò molto. Dopo neanche un minuto, infatti, il ragazzo uscì a prendere aria. A quel punto si sbottonò i pantaloni e calò le mutande, facendo balzare fuori un cazzo già durissimo. Prima di toglierli del tutto, dalla tasca - dopotutto era un ragazzo previdente - tirò fuori un preservativo, che in pochissimi secondi aprì e srotolò sul pene, fino ad avvolgerlo tutto. Infine si arrampicò sul letto, e alzandole la gonna quel tanto che bastava, cercò la posizione migliore per scoparla.
Ilaria sentì il cazzo del suo fidanzato agitarsi tra le sue cosce per cercare il varco giusto, e allungò la mano per aiutarlo a trovare l'ingresso della vagina. A quel punto, finalmente, Federico iniziò a pompare, accompagnando ogni affondo con un grugnito. Intanto le aveva abbassato una spallina, e ora le stringeva con forza il seno destro, torturandole il capezzolo. Lei cercò il suo sguardo, bisognosa di un altro bacio, ma il ragazzo era troppo concentrato sul ritmo delle pompate. A un certo punto intensificò il movimento, e si appoggiò tutto addosso a lei, a peso morto. Gli scatti del bacino si fecero più rapidi, i gemiti più violenti... e dopo qualche secondo tutto si fermò.
Federico rimase sdraiato sopra di lei per diversi secondi. Se non fosse stato per il respiro affannoso, che gli gonfiava il petto a intervalli regolari e ravvicinati, si sarebbe potuto pensare che il sesso lo avesse ucciso.
E invece no, alla fine si rialzò, e nel dare un bacio sul collo alla fidanzata, si sfilò il profilattico zuppo di sperma e annunciò che sarebbe andato a farsi un'altra doccia.
Ilaria invece rimase sdraiata un po' di più, il tempo di fare qualche respiro profondo e di asciugarsi gli occhi. Il bellissimo vestito che aveva contribuito a rendere magica quella serata per le vie di Londra, adesso sembrava quasi uno straccio indossato senza cura.
Mentre si alzava in piedi e lo sfilava del tutto, per poi provare a ripiegarlo senza stropicciarlo ulteriormente, sentì un telefono vibrare. Era arrivato un messaggio. Nell'andare a cercarlo nella borsetta, le venne istintivo chiedersi se potesse essere stato Paolo a scriverle, e per un attimo le batté il cuore più forte. Con delusione, però, vide che non aveva alcuna notifica. Si guardò in giro, incerta, e infine scorse il telefono di Federico appoggiato sul mobile vicino alla porta d'ingresso.
Chi poteva avergli scritto a quell'ora così tarda? Fece un altro respiro profondo, e decise di fare finta di nulla. Dalla propria valigia estrasse un paio di pantaloncini, e se li infilò. Poi si mise anche una T-shirt taglia XXL che ogni tanto usava per dormire, e si risedette sul letto, accendendo la tv. Ma non vide mai ciò che stavano trasmettendo. Il suo sguardo era proiettato verso quel telefono incustodito. «Sei una stupida, dovresti vergognarti ad avere certe tentazioni» ripeté a sé stessa. Poi girò leggermente la testa verso la porta del bagno. Il rumore dell'acqua della doccia si sentiva ancora forte.
Quasi come se il suo corpo non rispondesse più agli ordini della mente, si alzò e a piedi nudi si avvicinò al mobile. Qui, con un gesto all'apparenza sbadato - accortezza inutile, dato che nessuno poteva vederla - sfiorò lo schermo del telefono, fino a far ricomparire la notifica sul display. Era effettivamente arrivato un messaggio, recapitato alle 00.36. L'anteprima del testo recitava: "Is she asleep?".
Ilaria lo lesse e lo rilesse più volte, incredula, quasi alla ricerca di un possibile significato diverso da quello che subito si era fatto spazio nella sua mente. Non riuscì a trovarlo. E mentre era ancora lì in piedi vicino al mobile, arrivò un secondo messaggio: "i miss u".
Non potendo più trattenersi, la ragazza prese in mano il telefono e tolse la schermata di blocco. Conosceva il codice, Federico non l'aveva mai cambiato. Aprì i messaggi, sullo spazio del mittente c'era scritto semplicemente "A.".
Ripercorse velocemente la chat, erano tutti messaggi in inglese scambiati nel corso di pochissimi giorni. A un certo punto, le si parò davanti agli occhi la foto del pene del suo ragazzo. Quello stesso cazzo dritto che poco prima l'aveva penetrata proprio lì, sul letto. E appena più su trovò un'altra foto, in questo caso non inviata bensì ricevuta. La foto ritraeva Ashley, la ragazza tanto carina e gentile dell'ufficio di Federico. Quel giorno, fra le altre cose, Ilaria si era chiesta se il bel rosso acceso dei suoi capelli fosse frutto di una tinta. E invece a quanto pare le doveva delle scuse, perché era evidentemente naturale, considerato che avevano lo stesso identico colore anche i peli della sua fica.
«Dio, che scopata!» disse Federico uscendo dal bagno. Si stava passando l'asciugamano sui capelli, mentre sotto era ancora completamente nudo. Nel vedere la sua ragazza seduta sul bordo del letto, seria, capì subito che qualcosa non andava. «Che c'è?» le chiese, quasi con la paura di sentire la risposta.
Lei lo guardò negli occhi, in silenzio, per diversi secondi. E infine parlò.
«Ti ho tradito».
«Ti ho preso una bottiglietta d'acqua» le disse Paolo, porgendogliela. La finale stava per iniziare, e lì in piazza la tensione era già palpabile. Seppur allestito all'ultimo, il megaschermo fornito dall'amministrazione comunale era stato un regalo graditissimo per i tanti turisti che quella domenica sera si preparavano a tifare per gli Azzurri.
Tra loro non c'erano le famiglie di Paolo e Ilaria. Le due settimane di mare erano ufficialmente finite, in mattinata avevano dovuto liberare l'appartamento. Il padre della ragazza preferì non prolungare il loro soggiorno fino alla partita, per non doversi mettere in viaggio a ora tarda. I due cugini però riuscirono a convincere i rispettivi genitori a partire in cinque con una macchina, e a lasciare l'altra a loro, in modo da potersi fermare fino a sera per seguire la finale in piazza.
L'entusiasmo, la carica che si percepiva in mezzo a quella folla di persone tutte ammassate in piedi, in attesa del concerto dell'orchestra diretta da Roberto Mancini, subì tuttavia un duro colpo non appena la gara iniziò. Praticamente alla prima azione, infatti, l'Inghilterra trovò il gol. Una doccia fredda per tutti, un duro colpo al morale e alle ambizioni. In tutta l'edizione dell'Europeo, era la prima volta che l'Italia si ritrovava in svantaggio.
«Per come giocano queste due squadre, chi segna per primo avrà un grande vantaggio» aveva pronosticato Paolo quel pomeriggio. Nel vederlo così abbattuto dopo appena due minuti di gioco, Ilaria lo abbracciò forte. Lì stretti in mezzo alla folla, con i visi uno di fronte all'altro, gli dedicò un gran sorriso, e poi lo baciò sulle labbra.
Non era il primo che si scambiavano, da quando lei era tornata. La sua esperienza inglese si era conclusa dopo la gran litigata con Federico, nella quale lui le urlò cose orribili. Ilaria, che riuscì con ostinazione a mantenere l'assoluto riserbo su come e con chi lei lo avesse tradito, restò in silenzio ad ascoltarlo mentre lui le vomitava addosso insulti. Ma quando finalmente quel terribile sfogo si concluse, venne il suo turno. Gli rivelò che sapeva di quello che stava accadendo fra lui e Ashley, e il ragazzo accusò il colpo. In un primo momento tentò di negare l'evidenza, ma poi si arrese, e ammise di averla tradita a sua volta. Rendendo quella sequela di cattiverie che lui le aveva appena riservato, quantomeno ipocrita.
Alla fine lei fece le valigie e se ne andò. E se sulle prime Federico provò a ricucire, a chiederle scusa, a pregarla di dare al loro rapporto un'altra chance... nel momento in cui lei varcò la soglia, le urlò un «Vaffanculo, troia» che tradì quanto in fondo Federico fosse un uomo piccolo.
Passò in aeroporto sia la notte che buona parte del giorno successivo, in attesa di riuscire a trovare un biglietto per tornare in Italia. In tutte quelle ore ebbe modo di riflettere su quella surreale estate, su come in un mese fossero cambiate tante cose della sua vita, e si fece pure qualche piantino. Il primo volo disponibile la fece atterrare nella sera tarda del venerdì, praticamente quarantotto ore dopo la partenza. E pur vergognandosene un po', chiese a Paolo di venirla a prendere. Altre soluzioni non ne aveva, altre persone non voleva vederle.
Durante il viaggio in macchina lui non le fece domande. Una discrezione che fu apprezzata, considerato che lei di voglia di parlare non ne aveva poi molta. Men che meno di parlare del suo fidanzato - o ormai ex fidanzato - con il ragazzo che in quelle settimane aveva messo in discussione tutte le sue certezze.
Arrivarono a casa che ormai era notte fonda. Quando furono davanti alla porta d'ingresso, appena prima che lui infilasse le chiavi nella toppa, lei lo bloccò afferrandogli il polso. Solo a quel punto gli rivelò che lei e Federico si erano lasciati, confermando quello che lui in realtà già sospettava. E poi gli chiese scusa per averlo abbandonato così su due piedi, proprio in seguito a quel momento "speciale" che c'era stato fra di loro. Lui la guardò negli occhi per qualche secondo, poi le sorrise. «Devo farti vedere una cosa» le disse semplicemente, prima di aprire la porta.
Prendendola per mano, la guidò all'interno dell'appartamento buio, facendosi luce con lo schermo del telefono. Erano già andati tutti a dormire, e nel salire le scale per raggiungere la loro stanza, cercarono di fare meno rumore possibile. La portò fino al suo letto, che era intonso da due giorni, e si piegò fino ad estrarre da sotto la branda quelli che lei riconobbe subito come i suoi sandali. Quelli abbandonati in spiaggia la sera della partita con la Spagna, prima di darsi alla fuga.
«Non ci credo!» sussurrò, sforzandosi di non eccedere col volume della voce, e poi gli portò le braccia attorno al collo e lo abbracciò forte.
Lui allora le bisbigliò che era tornato sulla spiaggia e li aveva trovati esattamente dove lei li aveva lasciati. E poi aggiunse: «C'era anche il tuo... ehm... perizoma».
Lei sorrise. «Se vuoi lo puoi tenere... te lo sei meritato».
A quel punto, incurante del suo cuginetto Alessandro che dormiva a pochi passi da loro, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò con ardore, lasciando che nuovamente - proprio come era accaduto quella sera nella rimessa degli autobus - le loro lingue si intrecciassero in un ballo carico di passione.
Fu il primo di una serie di baci rubati, in quel weekend. Come corpi celesti attratti da un'irresistibile forza gravitazionale, Paolo e Ilaria si giravano sempre intorno, e ogni qual volta ce n'era l'occasione, le loro labbra si incollavano le une sulle altre.
Non fu semplice trovare il modo di stare da soli, anche perché quel sabato era il compleanno di zio Mauro, e i due ragazzi non poterono isolarsi come erano soliti fare prima della partenza di Ilaria. Anche la sera dovettero partecipare alla sua festa, rinunciando a qualsiasi altro proposito. Non appena c'era la possibilità, tuttavia, l'attrazione dei loro corpi tornava a riavvicinarli. Che fosse in spiaggia, quando con una qualsiasi scusa riuscivano ad allontanarsi per qualche minuto, oppure in un angolo cieco dell'appartamento, o ancora vicino ai bagni del ristorante... ogni volta che non erano visti, Ilaria e Paolo si appiccicavano per limonare come gli adolescenti che erano. Lui le poggiava le mani sui fianchi, lei intorno al collo, e si rubavano baci con la costante apprensione di potere essere scoperti da un momento all'altro. E questo, in qualche modo, rendeva tutto ancora più eccitante.
Anche la domenica mattina, tra le valigie da fare e l'appartamento da liberare prima di pranzo, dovettero far ricorso a tutto il loro autocontrollo per tenere a freno gli impulsi. Solo nel pomeriggio, quando finalmente i genitori partirono accettando di lasciarli lì da soli per vedere la partita in piazza, furono liberi. E chissà come sarebbero state quelle ore, se avessero avuto ancora la casa a disposizione.
Invece no. Non avevano più neppure gli ombrelloni prenotati, quella mattina vi si erano già insediate altre famiglie. Decisero allora di fare un giro per ingannare il tempo in attesa del match, e fu in quell'occasione che Paolo la vide.
«Penso che ti starebbe benissimo, addosso» disse sorridente a sua cugina, mostrandogliela. A lei già si erano illuminati gli occhi, per quella maglia blu della Nazionale col nome "Chiesa" scritto sulla schiena.
«La voglio!» disse con entusiasmo, immaginandosi già di indossarla quella sera per la partita. Ma non le bastava. Si fiondò anche lei su quelle maglie esposte all'esterno del negozio, e le passò tutte velocemente fino a trovare quella che le interessava. «E questa è per te!» disse infine, indicandogli la maglia di Pessina.
Paolo rise, ripensando a quel commento che aveva lasciato sotto a una foto del centrocampista azzurro dopo il gol con l'Austria, e quel doppio regalo gli sembrò un'ottima idea. Nell'acquistarle, si augurò che fossero di buon auspicio per la finale.
«Grazie» gli disse lei stringendolo forte, quando furono fuori dal negozio. Lui reagì in maniera un po' imbarazzata e allo stesso tempo stupita, in fondo si trattava di un regalino da poco. Ma in realtà dietro a quel «Grazie» c'era molto di più. C'era tutta la sua riconoscenza per come in quei due giorni lui aveva saputo distrarla e risollevarle il morale, facendole dimenticare tutta la faccenda di Federico. Per come sapeva farla sentire desiderata, e allo stesso tempo sapeva rispettarla. Sì, Paolo era davvero un ragazzo d'oro... Chissà se poteva davvero continuare a considerarla una sbandata estiva, quella che si era presa.
Se fino all'inizio della partita l'entusiasmo era alle stelle, ora in piazza si respirava un'aria di delusione mista a paura. Il vantaggio inglese dopo neanche due minuti aveva fiaccato gli animi di tutti i tifosi azzurri, e la flebile reazione sul campo dell'Italia aveva fatto crescere il pessimismo. Il primo tempo si era chiuso sul risultato di uno a zero, e anche Paolo sembrava abbattuto. A Ilaria dispiacque vederlo così, e decise che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa.
Non avevano pensato a scommesse, quella sera. Ormai, alla settima partita e considerato come si era evoluto il loro rapporto, non ce n'era davvero più bisogno. Ciò non significava, tuttavia, che non si potesse pensare a qualche spunto per continuare a divertirsi.
«Qui bisogna risollevare gli animi» disse a suo cugino appena prima che ricominciasse il secondo tempo, con una luce negli occhi che lui ormai aveva imparato a riconoscere.
Lanciò per un attimo un'occhiata in giro, nessuno sembrava badare a lei. Così agì. Portò le mani dietro la schiena, e da sopra la maglietta in un attimo sganciò il reggiseno. Poi, con una semplicità disarmante, infilò una mano nella manica, e fece scivolare la bretellina lungo il braccio. Dopodiché ripeté l'operazione anche sull'altro. A quel punto, non le rimase che far salire la mano sotto la maglietta, afferrare il reggiseno e sfilarlo. Un'operazione rapida, pulita, che le richiese non più di 15 secondi. E che lasciò estasiato suo cugino.
Non solo lui, in realtà. Mentre Ilaria infilava quel delicato indumento bianco nel marsupio che aveva legato alla vita, appena sopra gli shorts, si guardò di nuovo intorno e si accorse di avere un piccolo pubblico. Tre ragazzini, forse di età poco più grande rispetto al suo cuginetto Alessandro, la fissavano di sbieco, tra risolini e botte di gomito. Sentì il viso diventare rosso, ma non si lasciò scomporre. In fondo, ciò a cui avevano appena assistito era nulla rispetto a quanto Ilaria stava per fare.
Pochi secondi dopo, facendosi aiutare da un Paolo sempre più incredulo ma allo stesso tempo curioso, gli salì sulle spalle, stringendogli le guance con le cosce e tenendosi con le mani sulla sua testa, per non perdere l'equilibrio mentre lui la alzava. E lì, svettante tra la folla come una groupie a un concerto metal, si alzò di scatto la maglietta e mostrò le tette a chiunque fosse in piazza.
«Forza Azzurriiiiii» urlò a pieni polmoni, tenendo gli occhi chiusi per un'istintiva forma di vergogna. Come se non vedere la reazione della gente la aiutasse a non cedere all'imbarazzo, che in quel momento si mischiava all'adrenalina.
La aiutò a darsi forza il boato dei tifosi, che iniziarono ad applaudire e a dedicarle fischi di apprezzamento. Le tette ballavano libere di fronte a tutte quelle persone, morbide e reattive ad ogni minimo movimento suo o di Paolo. Il quale cercava di mantenere l'equilibrio e contemporaneamente di guardare verso l'alto, sebbene in quella calca lui fosse nella posizione più svantaggiata per godersi la visione. Poco importava, il ragazzo era a sua volta divertito ed eccitato: gli bastava affondare le dita sulle cosce abbronzate, sapere che il pube di sua cugina era praticamente appoggiato alla sua nuca, per godersi quel momento più di chiunque altro.
Un po' di apprezzamento, Ilaria se lo aspettava. Ciò che la colse totalmente di sorpresa, tuttavia, fu la reazione di un'altra tifosa, che la prese ad esempio: salendo sulle spalle di quello che probabilmente era il fidanzato, alzò anche lei la maglietta rimanendo in topless di fronte a tutti. E pochi secondi dopo, ancora un'altra ragazza fece lo stesso. Ilaria rise, e a quel punto l'imbarazzo diventò solo un ricordo. Anche quando ridiscese, pochi minuti più tardi, per dare sollievo alle spalle di Paolo, si sentì fiera per aver riacceso l'entusiasmo in una piazza depressa.
E sebbene non fosse una persona scaramantica, non poté fare a meno di convincersi di avere in qualche modo un po' di merito, nel vedere anche la Nazionale giocare meglio rispetto al primo tempo. Fu ancora più grande, dunque, la gioia nel momento in cui vide la palla entrare finalmente in porta: si era quasi a metà ripresa, e Bonucci in mischia aveva appena afferrato l'agognato pareggio.
Il boato fu incredibile, e la emozionò più di qualunque altro gol. La folla intorno a lei saltava, urlava, si abbracciava. Decine di corpi esultavano all'unisono, creando un mare di entusiasmo azzurro di cui fu orgogliosa di sentirsi parte. Lo stesso valeva per Paolo, che prima saltellò con le braccia al cielo, e poi girandosi verso sua cugina le posò entrambe le mani sul collo, accarezzandole le guance coi pollici. Infine le si avvicinò e le diede un bacio che fece girare la testa a entrambi.
Mentre la gente intorno a loro continuava a festeggiare e ad agitarsi, al grido del «Po-popopo-po» che fin dal 2006 caratterizzava le glorie azzurre, loro due si immersero in una sorta di bolla, come se tutte le persone che avevano a fianco fossero scomparse. E per lunghissimi secondi rimasero lì a baciarsi, in apnea, incuranti di tutto e di tutti.
Quando infine si staccarono, il gioco era già ripreso. Rimasero per qualche altro secondo con le fronti appoggiate l'una sull'altra, a riprendere fiato. Neppure quando Ilaria si girò, per tornare a rivolgere lo sguardo verso il megaschermo, smisero di restare abbracciati. Paolo la cingeva da dietro, con le braccia strette appena sotto al suo seno. E lì, avvinghiati in mezzo a una ressa che rispetto ad inizio partita sembrava essersi fatta ancora più numerosa, sua cugina sentì distintamente il membro duro del ragazzo premerle nel solco fra le natiche.
L'eccitazione si era impossessata di entrambi, ciò che accadeva sul campo improvvisamente sembrava aver perso importanza. Lui le spostò delicatamente i capelli dal collo, e poi da dietro iniziò a baciarglielo. Lei inarcò leggermente il busto, travolta da brividi di piacere, e portando la mano dietro alla schiena - fino a farle trovare un pertugio fra i due corpi - andò a posargliela sulla patta dei pantaloni. Dove con le dita accarezzò la stoffa sopra al cazzo duro.
Paolo sentì crescere la voglia, che presto divenne incontenibile, portandolo a fare ciò che mai avrebbe anche solo osato immaginare. Dopo essersi guardato intorno furtivamente, per accertarsi che nessuno stesse badando a loro, portò anche lui la mano dove già l'aveva Ilaria. E per dare respiro a un pene che sembrava pronto a scoppiargli nei pantaloni, slacciò la patta e abbassò la parte frontale delle mutande, di fatto tirandolo fuori lì in mezzo alla piazza.
A nasconderlo dagli sguardi altrui era proprio il corpo di sua cugina, sul quale lui praticamente si appoggiava. Lei, che gli dava sempre le spalle, si accorse di questa sua sorprendente iniziativa solo col tatto, quando con le dita sfiorò la pelle dell'asta e i testicoli. Per un attimo sentì mancarle il fiato. Ebbe paura che qualcuno potesse vederli, e allora indietreggiò ancora di più, per non lasciare alcuno spiraglio di luce fra i due corpi. Prima, però, pensò bene di nascondere il pene di suo cugino sotto la propria maglietta, che con un gesto rapido sollevò e poi riabbassò. Nel farlo, senza volerlo il cazzo di Paolo andò a infilarsi sotto la cinghia del marsupio che le attorniava la vita, e così i due corpi si legarono ancora più stretti, ora senza più possibilità di distanziarsi.
Sentendo il contatto del pene contro la parte bassa della sua schiena, Ilaria si eccitò enormemente. Se solo non fossero stati in una pubblica piazza, in mezzo a centinaia di persone, si sarebbe infilata una mano nelle mutande, che sapeva già essere bagnate. La situazione in cui si trovava non la frenò tuttavia dal muovere leggermente il culo, in una specie di twerk al rallentatore, con cui andò a stimolare ancora di più suo cugino. Nel frattempo anche lui aveva iniziato a strusciarsi in maniera più decisa: ora i colpi di bacino, per quanto rallentati, sarebbero risultati evidenti a uno spettatore attento.
Per loro fortuna, però, l'attenzione di tutti era rivolta al ledwall dove Italia e Inghilterra si stavano dando battaglia. E così Paolo decise di rischiare ancora di più: nell'accarezzare il corpo di sua cugina, fece scivolare una mano sotto alla maglietta, e poi risalì fino ad aggrapparsi a una tetta. A Ilaria sfuggì un gemito, nel sentire le dita strizzarle il capezzolo. Avvinghiato a lei, con un braccio infilato sotto la parte davanti della maglietta e il cazzo in quella dietro, Paolo capì che non avrebbe potuto trattenersi ancora a lungo. Ne era consapevole anche lei, che piegò la testa all'indietro fino ad appoggiarla sulla sua spalla, e tirando leggermente fuori la lingua andò a cercare un suo bacio. Fu proprio mentre le loro bocche si univano di nuovo, che lui non riuscì più a resistere. Dalla cappella iniziò a sparare una serie di potenti schizzi di sperma, che le imbrattarono tutta la schiena. Ilaria si sentì bagnare sotto la maglietta... e di riflesso anche tra le gambe, dove avvertì una scossa che la fece tremare. Suo cugino aveva appena raggiunto un clamoroso orgasmo, lì in mezzo alla folla, e lei pur senza toccarsi non si sentiva poi così lontana dallo stesso traguardo.
Nel ricomporsi, dopo qualche altro secondo di estasi, si guardarono di nuovo in giro con aria furtiva. Incredibile a dirsi, ma nessuno sembrava essersi accorto di quanto era appena successo. Quando di nuovo tornarono a incrociare lo sguardo, a entrambi scappò quasi da ridere, tanta era l'emozione mista a incredulità.
«Ti va l'ultimo bagno della stagione?» le chiese lui a bruciapelo, sorprendendola.
«Ma... non vuoi vedere la partita?».
Certo che avrebbe voluto vederla. Ma in quel momento Paolo riusciva solo a pensare che quella vacanza stava per finire, e non aveva idea di cosa sarebbe successo una volta tornati alla loro vita normale. L'unica cosa che sapeva, era che non voleva sprecare neanche un secondo del tempo che rimaneva loro.
«Voglio stare insieme a te» le rispose serio, con una semplicità disarmante. Il fatto di dirlo ad alta voce, per riuscire a farsi sentire in mezzo a tutta quella confusione, fu un'emozione per entrambi.
Sorridendo, lei annuì. Si presero dunque per mano e si fecero spazio tra la folla, lasciando la piazza per dirigersi verso la spiaggia.
Fecero lo stesso percorso che seguivano sempre, quello che da anni avevano imparato a memoria, in tutte quelle estati passate al mare insieme. Arrivarono fino agli ombrelloni e ai lettini che avevano ospitato le loro famiglie nelle ultime due settimane. Qui, senza bisogno di dire nulla, si privarono di tutti i loro vestiti. Come era successo già in occasione della semifinale con la Spagna, la spiaggia fu dunque il teatro del loro secondo "striptease", anche se stavolta erano soli, e questo rendeva tutto ancora più intimo e piacevole. Nello spogliarsi continuarono a guardarsi, senza più alcuna vergogna di mostrarsi nudi l'uno all'altra, ma piuttosto con un desiderio crescente.
Quando Paolo tolse le mutande, rimanendo come mamma l'aveva fatto, Ilaria vide per la prima volta il suo pene a riposo. Ma bastò che i suoi occhi si posassero lì, per notarlo sussultare e ricominciare a crescere. Il ragazzo rimase di sale quando lei si avvicinò, e come poco prima gli aveva preso la mano, stavolta lo afferrò proprio per il pisello per camminare insieme verso la riva.
Una volta in acqua, si lasciarono andare nuovamente alla passione, abbracciandosi e baciandosi. Per Ilaria era la prima esperienza del genere, non aveva mai fatto il bagno nuda al mare, se non da piccolissima. Suo cugino invece la sorprese rivelandole che gli era capitato qualche anno prima, dopo una scatenata festa con gli amici. Ora però la situazione era decisamente diversa, molto più eccitante.
Rimasero in acqua per diversi minuti, a parlare, a confessarsi, ad amoreggiare. Ma la temperatura dell'acqua iniziava a farsi un po' rigida, e ben presto si resero conto che non avevano alcuna necessità di nascondersi. La spiaggia era deserta, e tutto quello che volevano fare, lo potevano fare in una situazione più comoda ma non per questo meno erotica.
Non avevano asciugamani, ma non importava. Ritornati ai lettini, Ilaria appoggiò una mano sul petto di suo cugino e lo invitò a distendersi. Dopodiché, con uno sguardo e un atteggiamento che comunicavano una consapevolezza del tutto nuova agli occhi di Paolo, avanzando a carponi gli fu sopra. Si sedette dolcemente all'altezza del suo stomaco, appena più in alto di un pene già barzotto, e gli accarezzò il petto bagnato. Lo schienale del lettino era leggermente tirato su, potevano guardarsi negli occhi. Allora lei si piegò, lentamente, finché i loro visi non furono a un respiro di distanza. E gli diede un bacio sulla guancia.
«E questo per cos'era?» chiese il ragazzo, stupito da quell'affetto così innocente.
«Questo... era per la vittoria sulla Turchia».
A quel punto lei spostò il viso e gli diede un nuovo bacio, stavolta sull'altra guancia. «Questo invece era per la vittoria sulla Svizzera», aggiunse.
Si guardarono negli occhi, appena prima che lei lo baciasse ancora, sulle labbra. «E questo per la vittoria... la vittoria...».
«Sul Galles?» le venne in soccorso.
«Galles, giusto» replicò ridendo. Sarà stato forse per il fatto di non averla vista insieme, che proprio non se lo ricordava. Quella risata donò un'atmosfera ancora più intima a quel momento, e non lo privò assolutamente della sensualità di cui era intriso.
Anche perché un attimo dopo la ragazza portò su il busto, fino a mettergli praticamente le tette in faccia. «E questo... per la vittoria sull'Austria. Dio, quanto ero infoiata quella sera...».
Paolo non poteva credere di ritrovarsi a tu per tu col seno di sua cugina. Lo ammirò ancora una volta, prima di allungare la lingua arrivando a sfiorarle il capezzolo. E vedendo che lei non si ritraeva, sollevò le mani e lo afferrò. Le palpò le tette con passione, restando estasiato da quella morbidezza. Le strinse, e portò alla bocca prima un capezzolo e poi l'altro, baciandoli e succhiandoli in una maniera che le diede una nuova, potente scarica di emozioni.
Lo lasciò fare per qualche secondo, visto che la cosa piaceva tanto anche a lei, ma a un certo punto gli sottrasse quel piacere per provare a regalargliene un altro. Spostandosi in avanti con le ginocchia, si sollevò ancora di più fino a piazzare la propria fica davanti al suo viso. «Questa... è per la vittoria sul Belgio» gli disse quasi tremando. A Paolo girò la testa, dopotutto il sangue che aveva in corpo stava andando in una sola direzione, ben più in basso di dove stava il cervello. Davanti agli occhi aveva un triangolino di pelo castano, corto e curatissimo, che per un attimo gli tolse il respiro. Con la bocca aperta, come a cercare fiato, sollevò lo sguardo per inseguire quello di sua cugina, che si nascondeva dietro a due tette che, da quella posizione, gli sembravano ancora più grandi. La vide ricambiare la stessa voglia che avvertiva lui, e così si decise a sporgere il capo in avanti, per un dolce bacio sul suo monte di venere.
A lei sfuggì un gemito, quando percepì la lingua entrare a contatto con le sue grandi labbra, e le dita di suo cugino affondare nella carne, per afferrarle il culo e tirarla ancora più vicina a sé.
«Non... non abbiamo ancora finito» gli disse ansimante, posando le mani sui suoi capelli per invitarlo a fermarsi. Lui capì che ne valeva la pena nel momento in cui la vide girarsi e rimettersi a carponi, stavolta però in direzione opposta a lui.
«Questo è per la vittoria sulla Spagna» annunciò offrendogli il culo, che ora lui aveva praticamente davanti al naso. Il ragazzo portò di nuovo le dita sui glutei, prima premendoli l'uno contro l'altro, e poi separandoli. Davanti a sé aveva due buchini che sembravano solo invitarlo a tirare fuori la lingua.
«E per quanto riguarda l'Inghilterra...».
«Non abbiamo ancora vinto, con l'Inghilterra...» le rammentò.
«No? Io però sarei pronta a scommettere che vinceremo» sentenziò Ilaria, appena prima di afferrare saldamente il cazzo di suo cugino e infilarselo tutto in bocca.
La decisione con cui lei si lanciò in quella fellatio, per l'ennesima volta lo sorprese. Fu come un tornado di emozioni: sentire le sue labbra avvolgergli la cappella, per poi schiudersi e fare spazio all'asta dura, giù fino alla gola, lo fece trasalire.
Ilaria vi si dedicò con la cura di una professionista, a quel pompino, riservando a quel cazzo tutto l'affetto che nutriva per il ragazzo che vi era attaccato. Lo leccava come fosse un cono gelato, concentrandosi ora sulla cappella, che al palato le ricordava quasi una grossa ciliegia, ora sul tronco, dove faceva scorrere la lingua con ardore. Nel mentre si aiutava con la mano, per far sì che la stimolazione non venisse mai meno.
Il piacere era talmente intenso, che Paolo ci mise diversi secondi prima di realizzare la possibilità che la cugina gli stava offrendo... anzi, ciò che gli stava chiedendo di fare. Come colpito da un'epifania, il ragazzo non volle farla attendere di più, e tenendola per i fianchi affondò il viso nel suo culo. Strofinò le guance contro i glutei, massaggiandole col naso il perineo, tra la vagina e l'ano. Poi tirò fuori la lingua, e iniziò a leccare. Subito la trovò bagnata e avvertì un sapore salato, e non poté fare a meno di chiedersi se la causa fosse da ricercare nel bagno in mare che avevano appena fatto, o negli umori frutto di ciò che stavano vivendo. Ma in realtà non gli importava, sapeva solo che leccare la fica di sua cugina era un privilegio di cui mai si sarebbe sognato di poter godere.
«Oddio... non ti fermare...» lo incitò lei, a cui piaceva moltissimo quella percezione così viva e intensa sui suoi punti più sensibili. Con la mano gli teneva il cazzo mentre la bocca ora era andata più giù, a prendere i testicoli fra le labbra, a succhiargli le palle come se fossero state delle praline di gustoso cioccolato.
Quando capì di non farcela più, staccò il suo viso dal pene e contemporaneamente gli tolse il piacere dalla bocca. Ma solo perché, ancora una volta, si sentiva pronta a donargliene uno ancora più grande.
Tornando a girarsi faccia a faccia, si sedette nuovamente sopra di lui, stavolta un po' più in basso. Con i palmi di entrambe le mani gli massaggiò il membro. Poi, guardandolo negli occhi e dedicandogli un sorriso che gli scaldò il cuore, si portò un po' più avanti col bacino, fino a far toccare i loro sessi. Con la fica si andò a posare proprio sopra al cazzo, adagiandosi dolcemente sull'asta con le grandi labbra. E qui iniziò un lento movimento di bacino, su e giù, quasi a masturbarlo con la vulva.
Appoggiandosi con le mani sul suo torace, si sollevò infine di qualche centimetro, e lasciò che il cazzo scivolasse dentro la sua vagina, facendolo scomparire tra le cosce. Con gli occhi chiusi, e il labbro inferiore stretto fra i denti, Ilaria iniziò a cavalcare come una bellissima amazzone, muovendo il bacino con una sapienza che poteva essere frutto solo di una meravigliosa dote naturale. Paolo la guardava come se fosse una dea, mentre lei si dimenava sopra di lui, illuminata solo dal chiaro di luna che le faceva brillare la pelle, impregnata di acqua di mare mista a sudore. Le tette rimbalzavano armoniose sul suo petto, compiendo quasi un movimento circolare, il culo sbatteva al ritmo di una canzone rock contro le cosce, anche mentre lei si piegava in avanti e, spostandosi i capelli dal viso, lo baciava con passione.
A un tratto lui la cinse con le braccia e la portò a sé, intensificando le pompate. Stretti in quell'abbraccio, si rotolarono su loro stessi fino a ribaltare la situazione, portando lui sopra e lei sotto, e fu quasi un miracolo se non caddero dal lettino. Lì, appoggiandosi sui gomiti, la scopò ancora con più forza, stantuffando come un forsennato a ritmi sempre più sostenuti, mentre lei ormai non faceva più nulla per contenere i gemiti.
«Ila... io sto... per...».
«A... anch'io...».
Paolo ebbe la lucidità per estrarlo, e sentendosi improvvisamente vuota, Ilaria si portò una mano fra le gambe per finirsi. Fu questione di un attimo: bastò sfiorare il clitoride con l'indice e il medio, il tempo di un fugace strofinamento, e la ragazza esplose in uno sconquassante orgasmo, spruzzando copiosi umori che andarono a bagnare proprio il cazzo di suo cugino. Fu anche per lui il colpo di grazia. Senza neppure bisogno di toccarsi, anche Paolo iniziò a sborrare come un idrante, raggiungendola coi propri schizzi sul monte di venere, sulla pancia, fino al seno... mentre lei, ansimante, ancora vibrava dal piacere.
Ilaria non era mai stata una grande appassionata di calcio. Ma quell'estate, la Nazionale Azzurra le aveva sconvolto la vita.
Nudi, abbracciati e in completo silenzio, distesi su uno di quei lettini dove per due settimane si erano abbronzati i loro genitori, i due cugini non pensavano al domani. Si godevano semplicemente quella che era stata forse la serata più bella ed emozionante della loro vita. E per un attimo pensarono che fosse in qualche modo un tributo a loro, quel fragore di clacson che udirono in lontananza. Ben presto arrivarono addirittura i fuochi artificiali, a creare in cielo la coreografia perfetta. Coi visi illuminati dai riflessi di quelle esplosioni, ora di blu, ora di rosso, ora di verde... i due ragazzi si guardarono negli occhi, e sorrisero.
«Mi sa che...».
«Sì, Ila... Mi sa che abbiamo vinto davvero».
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