Jazmine, una stella cadente
di
enea
genere
incesti
Note dell'autore: Una storia di pseudo incesto tra fratello e sorella.
N.B. I protagonisti del racconto si intendono maggiorenni e consenzienti
La campanella che suonava e il solito trambusto di ragazzi all'uscita della scuola.
Tra i tanti che si apprestavano ad uscire mia sorella Jazmine e il suo ragazzo John che stavano discutendo. Dopo essere usciti, lui le aveva messo le mani addosso, le aveva stretto con forza un braccio, mentre lei gli urlava di lasciarlo. Questa la scena che mi si era presentata davanti. Non so chi avesse ragione dei due, non so quale fosse l'esatto motivo del contendere, so solo che, per istinto, mi sono lanciato su John assestandogli un pugno in piena faccia. Poi, mentre si portava le mani in faccia per il dolore, gli ho sferrato una potente ginocchiata tra le gambe e infine una forte gomitata sulla schiena per stenderlo definitivamente. Ansimante e intontito dalla troppa adrenalina addosso, ricordo solo il volto terrorizzato di mia sorella Jazmine, il corpo di John a terra che si contorceva per il dolore, le facce sgomente dei ragazzi che avevano assistito e l'arrivo dei bidelli che mi prendevano di peso e mi portavano nella stanza della preside.
Dopo aver atteso l'arrivo dei miei, erano iniziata una sorta di processo con me unico imputato. Nessuno era intervenuto a raccontare come fossero andate veramente le cose se non i bidelli che avevano visto John a tappeto e me davanti a lui ansimante e con i pugni serrati. Mia sorella aveva deciso di tacere così come gli altri ragazzi, in una terra in cui la gente ha l'abitudine di "farsi i fatti propri" tutti avevano preferito chiamarsi fuori e mantenere un atteggiamento omertoso. Anche io ero rimasto in silenzio, deciso a subire passivamente tutto quello che la preside e i miei avessero deciso.
Credevo di aver fatto una cosa giusta, di aver difeso mia sorella. Mi sarei aspettato che lei intervenisse e ricambiasse quel mio gesto difendendomi. Ma la delusione di quel suo comportamento mi aveva svilito e amareggiato così tanto da aver deciso di andare incontro con rassegnazione ad una ingiusta condanna e alla conseguente pena. Dopo aver ricevuto la sospensione da scuola per un mese, i miei avevano deciso di togliermi pc, telefonino, obbligandomi a non uscire da casa fino a quando non fossi rientrato a scuola: era l'inizio di un periodo che mi avrebbe cambiato la vita. A casa continuavo a rifugiarmi in un rassegnato silenzio: il contatto con i miei era diventato una continua ramanzina, quanto a mia sorella Jazmine, non avevo più avuto il coraggio di guardarla negli occhi.
Cinque giorni dopo aveva deciso lei di chiarire: entrata in camera mia, aveva detto "dobbiamo parlare".
"C'hai messo cinque giorni prima di dirmi 'dobbiamo parlare'...complimenti!" - le avevo risposto in tono sarcastico e risentito
"E' che io..." - Jazmine aveva iniziato a dire
"TU COSA!?!?!" - le avevo ruggito, guardandola negli occhi - "...avevo preso le tue difese, ho cercato di proteggerti da quel COGLIONE del tuo ragazzo, e tu? Cosa hai fatto in cambio? Hai taciuto sull'accaduto davanti alla preside, ai professori, ma soprattutto davanti a mamma e papa!".
Jazmine, interrotta da quella mia ondata di parole rabbiose, era rimasta in silenzio. I suoi occhi neri si erano rapidamente gonfiati di lacrime.
"Vai via!" - l'avevo liquidata con tono perentorio, senza darle alcuna possibilità di giustificarsi.
Quelle mie urla avevano attirato l'attenzione di mio padre che, dopo essere piombato in camera mia, alla vista di Jazmine in lacrime, sebbene fosse lontana da me e io non l'avessi nemmeno sfiorata, aveva pensato che stessi per aggredirla. E così, dopo l'ennesima ramanzina, l'ennesimo ingiusto processo al sottoscritto e l'ennesimo silenzio omertoso di Jazmine, i miei avevano reso ancora più rigida la punizione a cui ero sottoposto: mi avevano vietato di uscire da camera mia per una settimana. Mi ero così ritrovato recluso in pochi metri quadri privo di qualsiasi contatto con il mondo esterno. Avevo il bagno in camera, e il cibo mi veniva portato dai miei che evitavano di rivolgermi la parola. Entravano, posavano il vassoio sul letto, attendevano che terminassi e poi andavano via. Il tempo trascorso tra un pasto e l'altro sembrava essere infinito. Fortunatamente una larga collezione di comix, alcuni libri e un paio di giornaletti porno che avevo accuratamente nascosto, riuscivano a lenire un po' quell'isolamento dal mondo.
Passata una settimana i miei avevano deciso di mettermi alla prova per capire se tutte le loro ramanzine su come avrei dovuto comportarmi avessero sortito un qualche effetto: quella sera avevano mandato Jazmine a portarmi il pranzo. Dopo aver bussato era entrata, aveva poggiato il vassoio sul letto, si era accovacciata in un angolino e aveva aspettato che terminassi di mangiare. Infine aveva preso il vassoio ed era andata via. Tutto era accaduto nel più totale silenzio. Credevo che "la prova" fosse andata bene, ma per i miei non era stato sufficiente: sarei rimasto confinato in camera finchè non avrei rivolto la parola a Jazmine, incaricata da quel momento di portarmi il cibo. Passarono un paio di giorni senza che la scena tra me e Jazmine cambiasse. Sebbene con il passare del tempo lei si fosse mostrata più rilassata, il silenzio continuava a regnare sovrano.
Un giorno, a ora di pranzo, Jazmine tardava ad arrivare. Probabilmente per qualche motivo era arrivata da scuola più tardi del solito. Per cercare di ingannare il tempo e i morsi della fame avevo concentrato le mie attenzioni su uno dei giornaletti porno. Sentendo i suoi passi avvicinarsi, mi ero fiondato sul letto in attesa del mio pasto, dimenticandomi del giornaletto sulla scrivania. Lei era entrata, aveva posato il vassoio sul letto e si era andata a sedere alla scrivania. Concentrato sul cibo che avevo davanti, non mi ero accorto che il suo sguardo era caduto sul giornaletto. L'aveva fissato per un po', dopodichè si era girata a fissarmi con un sorriso sornione.
"Tu! Vuoi scoparmi, vero?" - aveva chiesto, rompendo quel silenzio che c'era stato per giorni tra noi e rischiando di mandarmi di traverso boccone che avevo in bocca.
Un camion a 100Km orari sul muso mi avrebbe sicuramente stordito e spiazzato molto meno di quelle sue parole. Alzato lo sguardo, ero rimasto a fissarla basito.
"Vuoi scopare con me?" - era tornata a chiedere
"Jaz...ma...che..." - avevo balbettato, incapace di riuscire a dare un senso a quella sua domanda.
Avevo impiegato qualche secondo per riuscire a fare mente locale: Jazmine, la scrivania, il giornaletto porno. Avrei voluto morire.
"E questo?" - aveva continuato a chiedermi sollevando la pagina della rivista su cui campeggiava a chiare lettere la scritta FRATELLI INCESTUOSI seguita dall'immagine di due ragazzi intenti ad accoppiarsi.
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N.B. I protagonisti del racconto si intendono maggiorenni e consenzienti
La campanella che suonava e il solito trambusto di ragazzi all'uscita della scuola.
Tra i tanti che si apprestavano ad uscire mia sorella Jazmine e il suo ragazzo John che stavano discutendo. Dopo essere usciti, lui le aveva messo le mani addosso, le aveva stretto con forza un braccio, mentre lei gli urlava di lasciarlo. Questa la scena che mi si era presentata davanti. Non so chi avesse ragione dei due, non so quale fosse l'esatto motivo del contendere, so solo che, per istinto, mi sono lanciato su John assestandogli un pugno in piena faccia. Poi, mentre si portava le mani in faccia per il dolore, gli ho sferrato una potente ginocchiata tra le gambe e infine una forte gomitata sulla schiena per stenderlo definitivamente. Ansimante e intontito dalla troppa adrenalina addosso, ricordo solo il volto terrorizzato di mia sorella Jazmine, il corpo di John a terra che si contorceva per il dolore, le facce sgomente dei ragazzi che avevano assistito e l'arrivo dei bidelli che mi prendevano di peso e mi portavano nella stanza della preside.
Dopo aver atteso l'arrivo dei miei, erano iniziata una sorta di processo con me unico imputato. Nessuno era intervenuto a raccontare come fossero andate veramente le cose se non i bidelli che avevano visto John a tappeto e me davanti a lui ansimante e con i pugni serrati. Mia sorella aveva deciso di tacere così come gli altri ragazzi, in una terra in cui la gente ha l'abitudine di "farsi i fatti propri" tutti avevano preferito chiamarsi fuori e mantenere un atteggiamento omertoso. Anche io ero rimasto in silenzio, deciso a subire passivamente tutto quello che la preside e i miei avessero deciso.
Credevo di aver fatto una cosa giusta, di aver difeso mia sorella. Mi sarei aspettato che lei intervenisse e ricambiasse quel mio gesto difendendomi. Ma la delusione di quel suo comportamento mi aveva svilito e amareggiato così tanto da aver deciso di andare incontro con rassegnazione ad una ingiusta condanna e alla conseguente pena. Dopo aver ricevuto la sospensione da scuola per un mese, i miei avevano deciso di togliermi pc, telefonino, obbligandomi a non uscire da casa fino a quando non fossi rientrato a scuola: era l'inizio di un periodo che mi avrebbe cambiato la vita. A casa continuavo a rifugiarmi in un rassegnato silenzio: il contatto con i miei era diventato una continua ramanzina, quanto a mia sorella Jazmine, non avevo più avuto il coraggio di guardarla negli occhi.
Cinque giorni dopo aveva deciso lei di chiarire: entrata in camera mia, aveva detto "dobbiamo parlare".
"C'hai messo cinque giorni prima di dirmi 'dobbiamo parlare'...complimenti!" - le avevo risposto in tono sarcastico e risentito
"E' che io..." - Jazmine aveva iniziato a dire
"TU COSA!?!?!" - le avevo ruggito, guardandola negli occhi - "...avevo preso le tue difese, ho cercato di proteggerti da quel COGLIONE del tuo ragazzo, e tu? Cosa hai fatto in cambio? Hai taciuto sull'accaduto davanti alla preside, ai professori, ma soprattutto davanti a mamma e papa!".
Jazmine, interrotta da quella mia ondata di parole rabbiose, era rimasta in silenzio. I suoi occhi neri si erano rapidamente gonfiati di lacrime.
"Vai via!" - l'avevo liquidata con tono perentorio, senza darle alcuna possibilità di giustificarsi.
Quelle mie urla avevano attirato l'attenzione di mio padre che, dopo essere piombato in camera mia, alla vista di Jazmine in lacrime, sebbene fosse lontana da me e io non l'avessi nemmeno sfiorata, aveva pensato che stessi per aggredirla. E così, dopo l'ennesima ramanzina, l'ennesimo ingiusto processo al sottoscritto e l'ennesimo silenzio omertoso di Jazmine, i miei avevano reso ancora più rigida la punizione a cui ero sottoposto: mi avevano vietato di uscire da camera mia per una settimana. Mi ero così ritrovato recluso in pochi metri quadri privo di qualsiasi contatto con il mondo esterno. Avevo il bagno in camera, e il cibo mi veniva portato dai miei che evitavano di rivolgermi la parola. Entravano, posavano il vassoio sul letto, attendevano che terminassi e poi andavano via. Il tempo trascorso tra un pasto e l'altro sembrava essere infinito. Fortunatamente una larga collezione di comix, alcuni libri e un paio di giornaletti porno che avevo accuratamente nascosto, riuscivano a lenire un po' quell'isolamento dal mondo.
Passata una settimana i miei avevano deciso di mettermi alla prova per capire se tutte le loro ramanzine su come avrei dovuto comportarmi avessero sortito un qualche effetto: quella sera avevano mandato Jazmine a portarmi il pranzo. Dopo aver bussato era entrata, aveva poggiato il vassoio sul letto, si era accovacciata in un angolino e aveva aspettato che terminassi di mangiare. Infine aveva preso il vassoio ed era andata via. Tutto era accaduto nel più totale silenzio. Credevo che "la prova" fosse andata bene, ma per i miei non era stato sufficiente: sarei rimasto confinato in camera finchè non avrei rivolto la parola a Jazmine, incaricata da quel momento di portarmi il cibo. Passarono un paio di giorni senza che la scena tra me e Jazmine cambiasse. Sebbene con il passare del tempo lei si fosse mostrata più rilassata, il silenzio continuava a regnare sovrano.
Un giorno, a ora di pranzo, Jazmine tardava ad arrivare. Probabilmente per qualche motivo era arrivata da scuola più tardi del solito. Per cercare di ingannare il tempo e i morsi della fame avevo concentrato le mie attenzioni su uno dei giornaletti porno. Sentendo i suoi passi avvicinarsi, mi ero fiondato sul letto in attesa del mio pasto, dimenticandomi del giornaletto sulla scrivania. Lei era entrata, aveva posato il vassoio sul letto e si era andata a sedere alla scrivania. Concentrato sul cibo che avevo davanti, non mi ero accorto che il suo sguardo era caduto sul giornaletto. L'aveva fissato per un po', dopodichè si era girata a fissarmi con un sorriso sornione.
"Tu! Vuoi scoparmi, vero?" - aveva chiesto, rompendo quel silenzio che c'era stato per giorni tra noi e rischiando di mandarmi di traverso boccone che avevo in bocca.
Un camion a 100Km orari sul muso mi avrebbe sicuramente stordito e spiazzato molto meno di quelle sue parole. Alzato lo sguardo, ero rimasto a fissarla basito.
"Vuoi scopare con me?" - era tornata a chiedere
"Jaz...ma...che..." - avevo balbettato, incapace di riuscire a dare un senso a quella sua domanda.
Avevo impiegato qualche secondo per riuscire a fare mente locale: Jazmine, la scrivania, il giornaletto porno. Avrei voluto morire.
"E questo?" - aveva continuato a chiedermi sollevando la pagina della rivista su cui campeggiava a chiare lettere la scritta FRATELLI INCESTUOSI seguita dall'immagine di due ragazzi intenti ad accoppiarsi.
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