Rapito dai nomadi del deserto

di
genere
gay

Avevo lavorato per molti mesi senza prendere ferie e mi sentivo molto stanco. Decisi così di fare una meritata pausa per tre settimane e partii. Volevo rilassarmi e vedere il deserto, che in molti mi avevano detto avere un fascino particolare, misterioso.
Atterrai a Dakar, in Senegal, e dopo i primi giorni in cui pensai solo a mangiare, bere e rilassarmi nella piscina dell’albergo, ammirando tante ragazze formose, senza però prendere alcuna iniziativa, mi recai in un’agenzia di viaggi che organizzava anche escursioni nel deserto.
Il prezzo era conveniente quindi accettai subito. La partenza era per le 5 della mattina del giorno seguente. Ricordo che ero elettrizzato all’idea di vedere finalmente il deserto. Non potevo immaginare cosa mi stava aspettando tra le dune del deserto…
Feci fatica ad addormentarmi. Credo erano le due quando crollai. La sveglia alle 4 fu traumatica, ma mi sforzai di alzarmi. Pensai che avrei dormito sulla corriera che mi avrebbe portato a vedere il deserto, infatti era in programma un viaggio di 5 ore.
Mi recai alla fermata della corriera. C’ero solo io. La corriera fu puntualissima. Salii su quel mezzo scassato mostrando all’autista la mia ricevuta di viaggio. Quello non disse niente e fece chiudere le porte dietro di me. Io mi andai a sedere in fondo dove avrei recuperato le ore di sonno.
Dormii malissimo, ma dormii. Ogni tanto mi svegliavo e vedevo paesaggi meravigliosi nella luce dell’alba africana.
Quando mi svegliai, più tardi, erano quasi le 9, ormai era giorno fatto, e oltre a me sulla corriera c’erano tre o quattro pastori, credo. Uno portava una capretta. Fuori, dai finestrini, vedevo finalmente il deserto. Una luce accecante. Uno spettacolo indescrivibile.
Preso com’ero dallo spettacolo, quando l’autista fermò la corriera e dicendo “ Mister! Mister! Tua fermata ! deserto! “ io come in trance mi alzai di scatto, presi il mio zaino, scesi di corsa, lo ringraziai e mi misi lo zaino sulle spalle, mentre la corriera ripartiva, alzando una nuvola di sabbia.
Quando la nuvola di sabbia si dissolse, la corriera non si vedeva più, sparita dietro una duna, e io nel silenzio del deserto realizzai che ero solo. Ma… non c’è una guida ad aspettarmi? Perché sono sceso così di corsa? O cacchio… e adesso?
Avevo con me quattro litri d’acqua, protezione solare, il cappello… non temevo di morire , ma avevo la netta sensazione di essermi cacciato in un pasticcio. Cacchio… forse è meglio tornare indietro… a piedi! Ma, in quale direzione? La corriera era proseguita, quindi forse dovevo andare nella direzione contraria. Mi misi l’anima in pace e mi incamminai. Anche così avrei potuto ammirare il deserto. E avrei avuto una storia divertente da raccontare.
Cinque ore dopo, non pensavo che la situazione fosse così divertente. Avevo bevuto quasi tutta l’acqua. Credo fosse l’una o le due del pomeriggio, il momento più caldo.
Verso sera, l’acqua era finita, credo di aver camminato una ventina di chilometri. Avevo sete, anche se la temperatura stava rinfrescando. Lungo la strada non era passato nessun veicolo né avevo incrociato anima viva. Il deserto si estendeva a perdita d’occhio, e la strada in alcuni punti neanche si vedeva, coperta dalla sabbia.
Sfinito, mi sdraiai per terra, e crollai in un sonno pesante. Il mio ultimo pensiero fu “spero che domani sarò a Dakar!” mi sbagliavo.
Mi svegliarono delle voci e dei movimenti intorno a me. Aprendo gli occhi vidi che ero circondato da 6 figure. Pastori? Cammellieri? Salvatori! Mi avete salvato! Riportatemi a Dakar vi prego! Niente di tutto questo…
Quelle figure, avvolte in turbanti scuri, da cui si vedevano solo i loro penetranti occhi neri, mi fissavano e parlavano una lingua incomprensibile. Sembravano ridacchiare tra loro.
Mi alzai e cercai di farmi capire da loro, riuscendo solo a farli scoppiare a ridere.
Vidi uno di loro che frugava nel mio zaino. “ehi, fermo!” dissi, ma appena mi mossi due di loro mi bloccarono e mi ributtarono a terra, fermandomi le braccia dietro la schiena. Mi finì la sabbia in bocca.
Immobilizzato, li vidi tirare tutto fuori dal mio zaino. Parlavano nella loro lingua incomprensibile e ogni tanto ridevano. Ormai avevo capito che erano predoni. “Va bè, prendete quello che volete, basta che mi lasciate andare” pensai. Troppo facile…
Uno di loro sfoderò un pugnale. Ecco, è finita, pensai. Ora mi sgozzano. Invece, dopo avermi infilato uno straccio in bocca, per imbavagliarmi, si diede da fare per stracciarmi i vestiti, mentre i suoi compari continuavano a tenermi fermo.
Ora ero nudo come un verme, con uno straccio in bocca, e mi legarono anche i polsi con una corda di canapa. La vista del mio corpo nudo, bianco, li fece scoppiare a ridere.
mi fecero alzare e mi misero sulle spalle una borsa molto pesante, credo solo per umiliarmi ulteriormente, visto che i loro cammelli erano “parcheggiati” poco distante. Mi fissarono a lungo sempre ridacchiando. mi lasciarono le scarpe, credo perché la sabbia sarebbe diventata a breve troppo calda per i miei piedi nudi.
Tirarono fuori un unguento puzzolente ( credo fatto con urina di cammello, a quanto scoprii in seguito) che mi spalmarono su tutta la pelle, per non farmi ustionare sotto quel sole feroce. Me lo spalmarono dappertutto, in faccia, sul petto, le spalle, il pube ( ridevano a crepapelle mentre mi ungevano i genitali!) e anche tra le chiappe. Mi sentii violato e ulteriormente umiliato. Avvampai per la vergogna. Poi mi misero una corda attorno al collo, a mò di guinzaglio, e fui costretto a seguire uno di loro, con la mia borsa pesante, fino al suo cammello.
Lui salì sul cammello, lo fece alzare, e si mossero. Io fui costretto a seguirli. Tutti ridevano, tranne me.
Perfetto, sono loro schiavo adesso.
Iniziò così un lungo cammino tra le dune del deserto.
Dopo diverse ore si fermarono vicino a un grande affioramento roccioso , per riposarsi. Si misero in cerchio intorno a un fuoco per preparare il tè. Io rimasi in disparte, legato e al guinzaglio, come un cane. Li vidi bere il loro tè, e mi fissavano sempre. Avevo sete. Speravo che mi avessero dato del tè anche a me.
Poi uno di loro si alzò e urinò in una tazza. Anche gli altri ci urinarono dentro, ridendo come scemi. si avvicinarono, mi tolsero il bavaglio e mi costrinsero a bere la loro urina.
Umiliato, e assetato, bevvi quella schifezza, mentre ridevano sempre. Avevo le lacrime agli occhi ma non sembravano inteneriti.
Poi mi rimisero il bavaglio. Si misero a cucinare qualcosa.
Dopo aver mangiato, uno di loro mi portò qualcosa da mangiare, sembrava uno spezzatino speziato di carne di capra. Ero affamato e nonostante tutto, riconoscente.
Il sol era ormai tramontato e rinfrescava. >Io ero sempre nudo e tutto unto con quella schifezza. Mi avevano palpato , umiliato, deriso, e fatto bere un cocktail del loro piscio. Peggio di così… o stavo per scoprire.
Mi misero una coperta sulle spalle e mi avvicinarono al fuoco, dove potei scaldarmi. Uno di loro seduto alla mia sinistra prese ad accarezzarmi il pisello e le palle. Cercai di spostarmi, ma non ci fu verso. Avevo un altro di loro alla mia destra, uno dietro e gli altri tre di fronte.
Non potei evitare la mia erezione. Quelli ora si erano tolti i turbanti e vidi che erano neri. Si spogliarono anche , mostrando i loro corpi asciutti, tonici e i loro membri che si andavano inturgidendo.
Capii che stavo per essere scopato da quella massa di barbari.
Così fu. Mi misero a pecora, con i polsi legati davanti. Uno mi prendeva da dietro e un altro mi scopava la bocca. Era la prima volta che facevo queste due esperienze, io etero.
Quando venivano si davano il cambio. Mi massaggiavano anche le palle e mi accarezzavano il cazzo, duro come mai, devo ammettere.
Mi sculacciarono anche, diverse volte. Sentii il sapore forte dei loro membri, dei loro spermi. L’ano non mi doleva troppo, credo l’avessero lubrificato con qualche intruglio, oltre che con i loro sputi.
Uno di loro dopo essermi venuto in bocca, mi sputò in faccia.
Capivo che mi stavano abusando, e non mi spiegavo la mia eccitazione. Venni anche io, prima una volta, poi un’altra.
Credo che ognuno di loro mi abbia scopato, solo quella sera, due volte. Quindi venni sodomizzato sei volte, e fui costretto a prenderlo in bocca altrettante sei volte.
Capii anche che ebbi in bocca i loro cazzi dopo che erano stati nel mio culo.
Questa gang bang durò un paio d’ore. Poi, tutti stanchi, io più di loro, ci assopimmo.
Il mattino dopo, ero tutto dolorante. Le spalle, gli addominali, ma soprattutto, il buco del culo.
I miei rapitori stavano facendo colazione.
Mi fecero bere del tè, stavolta. Non so come, capirono che dovevo evacuare, e uno di loro mi fece accovacciare, tenendomi per le ascelle.
Tutti mi fissavano. Non potei fare altro che liberarmi. Mi fece il bidè con la sabbia. Che umiliazione.
Iniziò così un periodo che non so quantificare, forse durò una settimana, forse dieci giorni. Mi facevano camminare con uno zaino pesante, nudo e impiastricciato di schifezza, poi di notte abusavano di me. Ero costretto a fare i miei bisogni davanti a loto, ero la loro puttana, la loro schiava sessuale.
Finchè un giorno, dopo essersi presi tutto, i miei soldi, i miei beni, la mia verginità anale, la mia dignità, mi lasciarono così com’ero, nudo e impiastricciato, legato e imbavagliato, sul ciglio della strada che tagliava il deserto.
Prima di andarsene ognuno di loro mi sputò addosso.
Poi mi voltarono le spalle e se ne andarono.
Un’ora dopo all’orizzonte apparve la corriera.
Ancora oggi, ripensando a quelle notti, mi viene duro.
scritto il
2021-11-27
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