L'infermiera del collegio - Seconda parte
di
Margaret
genere
prime esperienze
E così la vita in collegio proseguì nel migliore dei modi.
Con i miei già compiuti venti anni ero la più anziana della classe. Mi fu assegnata – per la mia età – la qualifica di “fiduciaria”, una specie di “capoclasse” per le incombenze più disparate. Le compagne mi consideravano tutte la loro sorella maggiore.
Ma ogni tanto mi tornava in mente quella mattinata nella infermeria. Giurai a me stessa che non avrei mai più sopportato una simile angheria. Non voglio usare il termine “violenza” perché a rigor di logica la dottoressa e l’infermiera svolgevano l’una e l’altra il proprio compito, ma l’ “angheria” ci stava tutta!
Ma purtroppo capitò che dovetti varcare di nuovo quella soglia.
Un giorno in classe una ragazza di nome Anna si sentì poco bene. Nulla di grave: i soliti dolori mestruali che hanno sempre afflitto ogni donna.
L’insegnante se ne accorse e subito disse:
“Margaret, come fiduciaria provveda ad accompagnare Anna in infermeria.”
Il ritornare in quel luogo iniziava già a procurarmi angoscia.
Ivi giunti, trovai l’ambiente totalmente modificato. Erano state create due stanze per la eventuale degenza, ogni stanza aveva due letti ed un bagno dedicato. Vi era una sala di attesa, il locale farmacia e ben due sale viste. Una porta conduceva all’accesso ad altri tre bagni distinti. Questi erano alla insegna della praticità: le porte, senza serratura, erano scoperte nella parte inferiore e si aprivano e si chiudevano con delle semplici spinte: sembravano i gabinetti degli autogrill autostradali. Tutti gli ambienti profumavano di fresco e di pulito. Incontrammo la dottoressa Paula la quale, molto orgogliosamente disse:
“Avete visto che bella ristrutturazione? L’ho pretesa io dalla Presidenza. Ho sottoscritto un contratto di consulenza ed assistenza per tre ore al giorno e sarò qui la mattina oppure il pomeriggio o anche tutta la giornata in caso di bisogno.
Cosa è successo?”
“Anna ha dolori dovuti al ciclo”.
La Dottoressa: “Sicuro? Null’altro?”
Ed Anna rispose: “Sì, null’altro. In genere ho sempre questo fastidio, ma questa volta in maniera più decisa”.
“Sta bene” disse la dottoressa, “Due pillole dovrebbero bastare. Nel caso non facciano effetto, torni pure da me. Mi seguano.”
Entrammo nel locale adibito a farmacia. Vidi una serie di armadietti tutti nuovi e tutti uguali contenenti vari apparecchi medicali. Spiccavano tante confezioni di aghi sterili di tutte le misure, tutti ordinati con teutonica precisione e, nonostante fossero in commercio da diversi anni le siringhe sterili, vidi tante e tante siringhe in vetro già riposte nei bollitori di acciaio inox e, nell’ultimo armadietto vidi, riposta in basso, quella maledetta pera color rosso scuro con la cannula nera di infausta memoria ed ancora tre perette più piccole, nuove ed ancora scatolate.
La mia compagna Anna prese la prima pillola con un po’ di acqua.
La dottoressa disse nuovamente: Nel caso non faccia effetto neanche con la seconda compressa, torni pure da me.”
Dovevamo andar via. Per sola convenienza, educazione e rispetto che mi hanno sempre contraddistinto, dissi alla dottoressa:
“La ringrazio per quello che ha fatto per me. Grazie anche alla dieta personalizzata, sto veramente bene. Credo di aver risolto definitivamente quel mio problemino.”
E la dottoressa, ancora una volta: “Se ha qualche problema o per qualsiasi altra cosa, torni pure da me.”
……..Ed il diavolo volle che dopo circa un mese fui, anzi fummo costrette in cinque, a ricorrere alle cure mediche.
In pieno inverno, la Direzione del Collegio organizzò per un fine settimana la visita ad un Luna Park che aveva posto le tende nel Cantone.
L’iniziativa riscosse ampia approvazione fra le ragazze che non volevano tornare a casa per il fine settimana. La permanenza in Collegio nel gelido inverno ci garantiva riposo, tranquillità, svago e, questa volta, anche il Luna Park.
Ci recammo con i due pulmini scuolabus di proprietà del Collegio, ma, all’ingresso, iniziò a piovere molto forte. Molte ragazze dopo una decina di minuti decisero di ritornare in Collegio, noialtre, coraggiose (??) decidemmo di rimanere. Ma non fu una scelta felice. Rimanemmo per tanto tempo con i vestiti bagnati e, per ultimo, salimmo sull’otto volante esposte al vento ed al freddo. Risultato: iniziammo a sentirci male.
Il gruppo delle “coraggiose” si componeva di otto ragazze. Di queste, tre se la cavarono con un bel raffreddore che non richiedeva trattamenti specifici, ma le altre cinque, (tre dell’ultimo anno, me compresa, e due del penultimo anno), dopo poco più di due giorni, eravamo febbricitanti.
In aula resistemmo il più possibile, ma nel pomeriggio la situazione si aggravò.
Venne convocata da dottoressa Paula che si precipitò immediatamente.
Appena ci vide, capì subito che qualcosa non andava per il verso giusto.
Quindi tutti in sala di attesa, poi ad una ad una in sala per vista medica dettagliata, dalla misurazione delle temperatura fino all’esame dei polmoni.
A visite terminate, la dottoressa: “Non potete ritornare in comunità. Rimarrete qui. Vi faccio consegnare i vostri effetti personali per la degenza. Farò aggiungere un letto nella seconda stanza.”
Addio mondo! Eravamo “degenti”, quindi ricoverate in infermeria, sotto le grinfie di quella iena.
Nella stanza eravamo in due. Il letto vicino era occupato da Paulette, mia compagna di classe, mingherlina, timida, di poche parole, figlia di un noto medico, che proveniva dalla zona ovest della Confederazione Elvetica, di origine neolatina (Francia e Italia), zona che “ideologicamente” si scontrava con quella teutonica (Austria e Germania), di cui io, orgogliosamente, rivendico le origini. Ma una ragazza tanto cara.
La dottoressa ci fece bere un medicinale in bustina per far ridurre la febbre.
Era giunta la sera. E ricomparve la dottoressa.
“Siete tutte mal combinate. Alcune di voi sono in condizioni critiche e rischiano il ricovero in ospedale. In ogni caso prescrivo per tutte degli antibiotici, un complesso vitaminico e quanto altro sarà opportuno. Vi dico subito che farete delle iniezioni.”
Per cena solo un tè caldo e qualche biscotto. Ma il non cenare, in quella occasione, era l’ultimo dei problemi.
Paulette, intanto, chiese che fosse informato il padre,
Verso le 20,30 di nuovo la dottoressa. Nuovo rilievo della temperatura (alta per tutte). Poi la sentenza: “Iniziamo la terapia.”
Dopo qualche minuto intravediamo un piccolo carrello usato negli ospedali fermarsi dinanzi alla nostra stanza. E ricompare la dottoressa con una siringa in mano.
“Margaret, iniziamo da lei. E’ un antibiotico.”
Prima iniezione, dolorosa. Mentre continuo a strofinarmi, di nuovo la dottoressa con altra siringa. “E’ il complesso vitaminico”. Due iniezioni in una volta sola! Il mio culetto inizia a risentirne.
Poi la stessa procedura per Paulette che frena a stento le lacrime.
“Per il momento va bene. Ci vediamo tra poco.”
E infatti, poco dopo ricompare con quella maledetta pera rossa scuro con quella cannula nera pronta a trafiggermi il culo. Questa volta indossa i guanti.
“Margaret è per lei, si metta comoda”.
E stende sopra il lenzuolo una striscia di uno strofinaccio di doppio cotone e pone un piccolo asciugamano tra la mia farfallina ed il mio buchetto.
“Ferma!”” e mi penetra con decisione. Rivivo con angoscia la prima esperienza. La cannula tutta dentro, i bordi della pera attaccati al mio culo e quel liquido molto caldo che divora le mie budella. Dopo un po’: “Finito. Trattenga il liquido per quanto le sia possibile, poi vada in bagno.”
Ed ancora, rivolta a Paulette: “Per lei tornerò fra meno di un’ora. Il tempo di visitare le altre ragazze e di far utilizzare a Margaret il bagno.”
E così fu. Paulette su sottoposta alla tortura, tuttavia con una pera più piccola della mia (forse in funzione della corporatura) di colore arancione con la cannula bianca. Io ero girata di spalle ma sentivo i suoi pianti, i suoi singhiozzi. Dalla dottoressa, impassibile, neanche una parola di conforto. Ci lasciò dei bicchieri di plastica ove depositare “le prime urine del giorno dopo, non quelle della notte”. Che pensiero gentile…..
Quelle operazioni furono ripetute per tutte le ragazze in degenza, una per una. Non certo una cosa piacevole.
E la nottata passò in quella triste maniera, con la febbre ancora alta.
Il giorno dopo, di prima mattina ricompare la dottoressa con delle siringhe in mano. Analisi del sangue! Non avevo mai subito un prelievo in vena. Grande turbamento per me e Paulette vedere il sangue venir via….
Finalmente arriva il padre di Paulette. La dottoressa Paula, alla vista di tale persona pare genuflettersi. Poi dà il consenso a vedere la figlia e si ferma a lungo a parlare con il genitore. Sento soltanto alcune frasi: “Le ragazze hanno avuto una batosta. Sto facendo il possibile per evitare loro la polmonite ed il conseguente ricovero. Con questa terapia dovrei riuscirci”. Seguono altre frasi.
Prima di andar via il padre di Paulette, nell’accomiatarsi, dice:” Siete state fortunate a trovarvi una dottoressa così in gamba. Io non avrei potuto far di meglio. Seguite ed eseguite ogni suo ordine”.
…. E che ordini!! Due iniezioni ogni sera ed una la mattina per quattro giorni. I nostri culetti erano diventati un po’ duri e perennemente dolorosi. Dal quinto giorno fino al decimo, una sola iniezione. Poi, finalmente, qualche buona notizia.
“Non c’è più febbre. In tale situazione vediamo domani. Se tutto va bene, dopodomani potrete tornare in classe. Per il rientro occorre mio certificato medico attestante la guarigione.” Disse testualmente la dottoressa.
E così, due giorni dopo, in quattro in sala di attesa, poi in sala visite per le agognate dimissioni. Solo una ragazza rimase in degenza.
Le due ragazze del penultimo anno chiesero di essere visitate per prima: nella loro classe quel giorno vi era una prova di verifica. Giusto cedere loro la priorità. Paulette sarebbe stata la terza ed io l’ultima.
La due visite per le dimissioni durarono circa venti minuti l’una. Iniziai a preoccuparmi….
Terza chiamata: Paulette. Subito dopo sento delle voci. Riconosco quella concitata di Paulette che dice: “No, no, la prego…” e poi ascolto il pianto di Paulette.
Dopo circa venti minuti si apre la porta: “Margaret, si accomodi.”
“Grazie, mi sento bene. Sono qui per ricevere il certificato medico di guarigione.”
E la dottoressa: “Sì, un attimo. Andiamo per gradi. Deve fare prima l’enteroclisma.”
“Cosa? Ma io sto bene. Ho risolto il mio problema di stitichezza.”
“Margaret, la stitichezza non c’entra nulla. Devo praticarle un clistere di pulizia per eliminare dall’intestino i residui tossici dei medicinali assunti in questi giorni. Forza, sul lettino a pancia in giù.”
E la vidi comparire con un grande apparecchio di vetro pieno di un liquido che emetteva un odore sgradevole. Guanti sterili ed una cannula nera pronta a sfondarmi il culo.
“Ferma, stia ferma!!” e… dentro!!
Ancora una volta, per la terza volta, fui costretta a subire quel maledetto trattamento.
Mentre il liquido mi penetrava dissi alla dottoressa: “Anche a Paulette è stato praticato questo?”
“Certo, ed è stata bravissima, come anche le altre due ragazze del penultimo anno.”
Dopo aver introdotto una certa quantità di liquido, certamente superiore ad un litro, la solita raccomandazione: “Lo trattenga finchè può. Poi vada in bagno; uno dei tre bagni sarà certamente libero. Il certificato medico è lì sulla scrivania. Può prenderlo.”
Mi precipitai in bagno per liberarmi. E ci riuscii facilmente. Ma quelle esperienze mi avevano decisamente sconvolta.
Rientrai in classe e fui accolta con gioia da tutte le altre ragazze.
La sera, nella nostra camera, non avrei potuto nascondere nulla della esperienza vissuta nei vari giorni in infermeria. Le altre ex degenti avrebbero certamente parlato. E così raccontai per filo e per segno tutto quanto mi era accaduto. Non ce la facevo più. Avevo una maledetta voglia di provare qualcosa di diverso. E senza pudore dissi alla mia vicina di letto: “Ti chiedo troppo se mi ripeti quel tuo trattamento?”
E lei, sorridendo: “Certamente mia cara, dopo tutto quello che hai passato una bella notte ti spetta di diritto!”
Si spogliò velocemente lasciando solo la sua maglietta intima per essere più sex. Poi fu sopra di me ed iniziò a palparmi, massaggiarmi, mordermi tutta. Altro che palpazione del seno fatta in ambulatorio!
“Brava” – disse, “Vediamo se i tuoi polmoni respirano bene!”
E, girandosi, si posizionò con le gambe aperte dinanzi alla mia bocca, mentre il mio viso era a pochi centimetri dalla sua vagina. Un “69” perfetto, in altri termini.
“Su Margaret, inspira ed espira gli odori ed i sapori che provengono dalla mia farfallina. Respiri bene? Se sicura? Bene! Allora sei guarita!”
E poi con la sua lingua iniziò a leccare il mio clitoride, poi a baciarlo, poi ancora a ciucciarlo. Come succhiava bene quella mia amica. Quella esperienza rimase per me unica.
Poi per concludere, su di me per un bacio saffico. Non avevo mai baciato una donna, ma fu per me una gran bella esperienza.
Incontri come questo ci furono per altre tre volte. L’ultima fu spettacolare ed avvenne di domenica mattina, proprio per evitare i controlli notturni delle sorveglianti.
Ci abbracciammo e ci baciammo ripetutamente; ci strofinammo reciprocamente le parti intime fino allo sfinimento. I nostri umori, i nostri liquidi, i nostri sudori, quelli che in chimica studiavamo come “acidi butirrici” erano in noi decisamente fusi.
Per eliminare ciò, una calda doccia insieme stretti nel quadrato del bagno-doccia, saponate, felici e contente fino al settimo cielo.
L’anno scolastico finì lietamente: tutte promosse e degne di varcare le soglie universitarie.
L’addio alla struttura riempì di enorme dolore tutte le ragazze.
L’ambulatorio, dopo la nostra degenza, rimane inutilizzato. Nessuna frequentante dopo di noi ci mise più piede.
Avrei gradito che fosse impiantata una lapide con su scritto: “A perenne ricordo di
Margaret,
Paulette,
A.N.,
J.G.
e K. T.,
che con il sacrificio dei loro culetti salvarono la dignità di tante altre ragazze”.
Ma……. eravamo partiti dal discorso delle punizioni in collegio?
Quali punizioni? MAI VISTE O SENTITE!!!
Con i miei già compiuti venti anni ero la più anziana della classe. Mi fu assegnata – per la mia età – la qualifica di “fiduciaria”, una specie di “capoclasse” per le incombenze più disparate. Le compagne mi consideravano tutte la loro sorella maggiore.
Ma ogni tanto mi tornava in mente quella mattinata nella infermeria. Giurai a me stessa che non avrei mai più sopportato una simile angheria. Non voglio usare il termine “violenza” perché a rigor di logica la dottoressa e l’infermiera svolgevano l’una e l’altra il proprio compito, ma l’ “angheria” ci stava tutta!
Ma purtroppo capitò che dovetti varcare di nuovo quella soglia.
Un giorno in classe una ragazza di nome Anna si sentì poco bene. Nulla di grave: i soliti dolori mestruali che hanno sempre afflitto ogni donna.
L’insegnante se ne accorse e subito disse:
“Margaret, come fiduciaria provveda ad accompagnare Anna in infermeria.”
Il ritornare in quel luogo iniziava già a procurarmi angoscia.
Ivi giunti, trovai l’ambiente totalmente modificato. Erano state create due stanze per la eventuale degenza, ogni stanza aveva due letti ed un bagno dedicato. Vi era una sala di attesa, il locale farmacia e ben due sale viste. Una porta conduceva all’accesso ad altri tre bagni distinti. Questi erano alla insegna della praticità: le porte, senza serratura, erano scoperte nella parte inferiore e si aprivano e si chiudevano con delle semplici spinte: sembravano i gabinetti degli autogrill autostradali. Tutti gli ambienti profumavano di fresco e di pulito. Incontrammo la dottoressa Paula la quale, molto orgogliosamente disse:
“Avete visto che bella ristrutturazione? L’ho pretesa io dalla Presidenza. Ho sottoscritto un contratto di consulenza ed assistenza per tre ore al giorno e sarò qui la mattina oppure il pomeriggio o anche tutta la giornata in caso di bisogno.
Cosa è successo?”
“Anna ha dolori dovuti al ciclo”.
La Dottoressa: “Sicuro? Null’altro?”
Ed Anna rispose: “Sì, null’altro. In genere ho sempre questo fastidio, ma questa volta in maniera più decisa”.
“Sta bene” disse la dottoressa, “Due pillole dovrebbero bastare. Nel caso non facciano effetto, torni pure da me. Mi seguano.”
Entrammo nel locale adibito a farmacia. Vidi una serie di armadietti tutti nuovi e tutti uguali contenenti vari apparecchi medicali. Spiccavano tante confezioni di aghi sterili di tutte le misure, tutti ordinati con teutonica precisione e, nonostante fossero in commercio da diversi anni le siringhe sterili, vidi tante e tante siringhe in vetro già riposte nei bollitori di acciaio inox e, nell’ultimo armadietto vidi, riposta in basso, quella maledetta pera color rosso scuro con la cannula nera di infausta memoria ed ancora tre perette più piccole, nuove ed ancora scatolate.
La mia compagna Anna prese la prima pillola con un po’ di acqua.
La dottoressa disse nuovamente: Nel caso non faccia effetto neanche con la seconda compressa, torni pure da me.”
Dovevamo andar via. Per sola convenienza, educazione e rispetto che mi hanno sempre contraddistinto, dissi alla dottoressa:
“La ringrazio per quello che ha fatto per me. Grazie anche alla dieta personalizzata, sto veramente bene. Credo di aver risolto definitivamente quel mio problemino.”
E la dottoressa, ancora una volta: “Se ha qualche problema o per qualsiasi altra cosa, torni pure da me.”
……..Ed il diavolo volle che dopo circa un mese fui, anzi fummo costrette in cinque, a ricorrere alle cure mediche.
In pieno inverno, la Direzione del Collegio organizzò per un fine settimana la visita ad un Luna Park che aveva posto le tende nel Cantone.
L’iniziativa riscosse ampia approvazione fra le ragazze che non volevano tornare a casa per il fine settimana. La permanenza in Collegio nel gelido inverno ci garantiva riposo, tranquillità, svago e, questa volta, anche il Luna Park.
Ci recammo con i due pulmini scuolabus di proprietà del Collegio, ma, all’ingresso, iniziò a piovere molto forte. Molte ragazze dopo una decina di minuti decisero di ritornare in Collegio, noialtre, coraggiose (??) decidemmo di rimanere. Ma non fu una scelta felice. Rimanemmo per tanto tempo con i vestiti bagnati e, per ultimo, salimmo sull’otto volante esposte al vento ed al freddo. Risultato: iniziammo a sentirci male.
Il gruppo delle “coraggiose” si componeva di otto ragazze. Di queste, tre se la cavarono con un bel raffreddore che non richiedeva trattamenti specifici, ma le altre cinque, (tre dell’ultimo anno, me compresa, e due del penultimo anno), dopo poco più di due giorni, eravamo febbricitanti.
In aula resistemmo il più possibile, ma nel pomeriggio la situazione si aggravò.
Venne convocata da dottoressa Paula che si precipitò immediatamente.
Appena ci vide, capì subito che qualcosa non andava per il verso giusto.
Quindi tutti in sala di attesa, poi ad una ad una in sala per vista medica dettagliata, dalla misurazione delle temperatura fino all’esame dei polmoni.
A visite terminate, la dottoressa: “Non potete ritornare in comunità. Rimarrete qui. Vi faccio consegnare i vostri effetti personali per la degenza. Farò aggiungere un letto nella seconda stanza.”
Addio mondo! Eravamo “degenti”, quindi ricoverate in infermeria, sotto le grinfie di quella iena.
Nella stanza eravamo in due. Il letto vicino era occupato da Paulette, mia compagna di classe, mingherlina, timida, di poche parole, figlia di un noto medico, che proveniva dalla zona ovest della Confederazione Elvetica, di origine neolatina (Francia e Italia), zona che “ideologicamente” si scontrava con quella teutonica (Austria e Germania), di cui io, orgogliosamente, rivendico le origini. Ma una ragazza tanto cara.
La dottoressa ci fece bere un medicinale in bustina per far ridurre la febbre.
Era giunta la sera. E ricomparve la dottoressa.
“Siete tutte mal combinate. Alcune di voi sono in condizioni critiche e rischiano il ricovero in ospedale. In ogni caso prescrivo per tutte degli antibiotici, un complesso vitaminico e quanto altro sarà opportuno. Vi dico subito che farete delle iniezioni.”
Per cena solo un tè caldo e qualche biscotto. Ma il non cenare, in quella occasione, era l’ultimo dei problemi.
Paulette, intanto, chiese che fosse informato il padre,
Verso le 20,30 di nuovo la dottoressa. Nuovo rilievo della temperatura (alta per tutte). Poi la sentenza: “Iniziamo la terapia.”
Dopo qualche minuto intravediamo un piccolo carrello usato negli ospedali fermarsi dinanzi alla nostra stanza. E ricompare la dottoressa con una siringa in mano.
“Margaret, iniziamo da lei. E’ un antibiotico.”
Prima iniezione, dolorosa. Mentre continuo a strofinarmi, di nuovo la dottoressa con altra siringa. “E’ il complesso vitaminico”. Due iniezioni in una volta sola! Il mio culetto inizia a risentirne.
Poi la stessa procedura per Paulette che frena a stento le lacrime.
“Per il momento va bene. Ci vediamo tra poco.”
E infatti, poco dopo ricompare con quella maledetta pera rossa scuro con quella cannula nera pronta a trafiggermi il culo. Questa volta indossa i guanti.
“Margaret è per lei, si metta comoda”.
E stende sopra il lenzuolo una striscia di uno strofinaccio di doppio cotone e pone un piccolo asciugamano tra la mia farfallina ed il mio buchetto.
“Ferma!”” e mi penetra con decisione. Rivivo con angoscia la prima esperienza. La cannula tutta dentro, i bordi della pera attaccati al mio culo e quel liquido molto caldo che divora le mie budella. Dopo un po’: “Finito. Trattenga il liquido per quanto le sia possibile, poi vada in bagno.”
Ed ancora, rivolta a Paulette: “Per lei tornerò fra meno di un’ora. Il tempo di visitare le altre ragazze e di far utilizzare a Margaret il bagno.”
E così fu. Paulette su sottoposta alla tortura, tuttavia con una pera più piccola della mia (forse in funzione della corporatura) di colore arancione con la cannula bianca. Io ero girata di spalle ma sentivo i suoi pianti, i suoi singhiozzi. Dalla dottoressa, impassibile, neanche una parola di conforto. Ci lasciò dei bicchieri di plastica ove depositare “le prime urine del giorno dopo, non quelle della notte”. Che pensiero gentile…..
Quelle operazioni furono ripetute per tutte le ragazze in degenza, una per una. Non certo una cosa piacevole.
E la nottata passò in quella triste maniera, con la febbre ancora alta.
Il giorno dopo, di prima mattina ricompare la dottoressa con delle siringhe in mano. Analisi del sangue! Non avevo mai subito un prelievo in vena. Grande turbamento per me e Paulette vedere il sangue venir via….
Finalmente arriva il padre di Paulette. La dottoressa Paula, alla vista di tale persona pare genuflettersi. Poi dà il consenso a vedere la figlia e si ferma a lungo a parlare con il genitore. Sento soltanto alcune frasi: “Le ragazze hanno avuto una batosta. Sto facendo il possibile per evitare loro la polmonite ed il conseguente ricovero. Con questa terapia dovrei riuscirci”. Seguono altre frasi.
Prima di andar via il padre di Paulette, nell’accomiatarsi, dice:” Siete state fortunate a trovarvi una dottoressa così in gamba. Io non avrei potuto far di meglio. Seguite ed eseguite ogni suo ordine”.
…. E che ordini!! Due iniezioni ogni sera ed una la mattina per quattro giorni. I nostri culetti erano diventati un po’ duri e perennemente dolorosi. Dal quinto giorno fino al decimo, una sola iniezione. Poi, finalmente, qualche buona notizia.
“Non c’è più febbre. In tale situazione vediamo domani. Se tutto va bene, dopodomani potrete tornare in classe. Per il rientro occorre mio certificato medico attestante la guarigione.” Disse testualmente la dottoressa.
E così, due giorni dopo, in quattro in sala di attesa, poi in sala visite per le agognate dimissioni. Solo una ragazza rimase in degenza.
Le due ragazze del penultimo anno chiesero di essere visitate per prima: nella loro classe quel giorno vi era una prova di verifica. Giusto cedere loro la priorità. Paulette sarebbe stata la terza ed io l’ultima.
La due visite per le dimissioni durarono circa venti minuti l’una. Iniziai a preoccuparmi….
Terza chiamata: Paulette. Subito dopo sento delle voci. Riconosco quella concitata di Paulette che dice: “No, no, la prego…” e poi ascolto il pianto di Paulette.
Dopo circa venti minuti si apre la porta: “Margaret, si accomodi.”
“Grazie, mi sento bene. Sono qui per ricevere il certificato medico di guarigione.”
E la dottoressa: “Sì, un attimo. Andiamo per gradi. Deve fare prima l’enteroclisma.”
“Cosa? Ma io sto bene. Ho risolto il mio problema di stitichezza.”
“Margaret, la stitichezza non c’entra nulla. Devo praticarle un clistere di pulizia per eliminare dall’intestino i residui tossici dei medicinali assunti in questi giorni. Forza, sul lettino a pancia in giù.”
E la vidi comparire con un grande apparecchio di vetro pieno di un liquido che emetteva un odore sgradevole. Guanti sterili ed una cannula nera pronta a sfondarmi il culo.
“Ferma, stia ferma!!” e… dentro!!
Ancora una volta, per la terza volta, fui costretta a subire quel maledetto trattamento.
Mentre il liquido mi penetrava dissi alla dottoressa: “Anche a Paulette è stato praticato questo?”
“Certo, ed è stata bravissima, come anche le altre due ragazze del penultimo anno.”
Dopo aver introdotto una certa quantità di liquido, certamente superiore ad un litro, la solita raccomandazione: “Lo trattenga finchè può. Poi vada in bagno; uno dei tre bagni sarà certamente libero. Il certificato medico è lì sulla scrivania. Può prenderlo.”
Mi precipitai in bagno per liberarmi. E ci riuscii facilmente. Ma quelle esperienze mi avevano decisamente sconvolta.
Rientrai in classe e fui accolta con gioia da tutte le altre ragazze.
La sera, nella nostra camera, non avrei potuto nascondere nulla della esperienza vissuta nei vari giorni in infermeria. Le altre ex degenti avrebbero certamente parlato. E così raccontai per filo e per segno tutto quanto mi era accaduto. Non ce la facevo più. Avevo una maledetta voglia di provare qualcosa di diverso. E senza pudore dissi alla mia vicina di letto: “Ti chiedo troppo se mi ripeti quel tuo trattamento?”
E lei, sorridendo: “Certamente mia cara, dopo tutto quello che hai passato una bella notte ti spetta di diritto!”
Si spogliò velocemente lasciando solo la sua maglietta intima per essere più sex. Poi fu sopra di me ed iniziò a palparmi, massaggiarmi, mordermi tutta. Altro che palpazione del seno fatta in ambulatorio!
“Brava” – disse, “Vediamo se i tuoi polmoni respirano bene!”
E, girandosi, si posizionò con le gambe aperte dinanzi alla mia bocca, mentre il mio viso era a pochi centimetri dalla sua vagina. Un “69” perfetto, in altri termini.
“Su Margaret, inspira ed espira gli odori ed i sapori che provengono dalla mia farfallina. Respiri bene? Se sicura? Bene! Allora sei guarita!”
E poi con la sua lingua iniziò a leccare il mio clitoride, poi a baciarlo, poi ancora a ciucciarlo. Come succhiava bene quella mia amica. Quella esperienza rimase per me unica.
Poi per concludere, su di me per un bacio saffico. Non avevo mai baciato una donna, ma fu per me una gran bella esperienza.
Incontri come questo ci furono per altre tre volte. L’ultima fu spettacolare ed avvenne di domenica mattina, proprio per evitare i controlli notturni delle sorveglianti.
Ci abbracciammo e ci baciammo ripetutamente; ci strofinammo reciprocamente le parti intime fino allo sfinimento. I nostri umori, i nostri liquidi, i nostri sudori, quelli che in chimica studiavamo come “acidi butirrici” erano in noi decisamente fusi.
Per eliminare ciò, una calda doccia insieme stretti nel quadrato del bagno-doccia, saponate, felici e contente fino al settimo cielo.
L’anno scolastico finì lietamente: tutte promosse e degne di varcare le soglie universitarie.
L’addio alla struttura riempì di enorme dolore tutte le ragazze.
L’ambulatorio, dopo la nostra degenza, rimane inutilizzato. Nessuna frequentante dopo di noi ci mise più piede.
Avrei gradito che fosse impiantata una lapide con su scritto: “A perenne ricordo di
Margaret,
Paulette,
A.N.,
J.G.
e K. T.,
che con il sacrificio dei loro culetti salvarono la dignità di tante altre ragazze”.
Ma……. eravamo partiti dal discorso delle punizioni in collegio?
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