La Tenda (terza parte)
di
sensualmentetuo
genere
voyeur
Oh Donna!
Vogliosa.
Libidinosa.
Peccatrice.
Pensavo ad alta voce.
Oramai ti eri spenta ai miei occhi.
Lo spiraglio che, solo qualche attimo fa, fu testimone muto del tuo piacere adesso mi lascia intravedere solo un lenzuolo stropicciato a pendere dal letto vedovo di te.
Ho ancora voglia di te!
Di me!
L'inferno fra le mie cosce era acceso.
Ancora.
Più che mai.
Scostai ancora un po' la tenda; i miei occhi ti cercavano consapevoli di non trovarti.
Le mie dita, ancora, per l'ennesima volta, imbrattano il bordo della tenda che, all'altezza dei miei occhi, già da mesi, è leggermente ingiallita.
La osservo, come per distogliermi dal permanente pensiero di vederti ancora giocare con te stessa e col piacere che ti regali.
Quella che vedo è, da qualche mese, un insieme di macchie di piacere.
Avidi e violenti orgasmi si sono spenti dietro d'essa.
Il vento tiepido e dolce di questo tardo pomeriggio di metà agosto lascia gonfiare la tenda.
Mi accarezza impercettibilmente il membro solleticandolo alla cappella.
Temo di chiudere gli occhi.
Ogni volta che lo faccio ti rivivo.
Sempre più giocosa.
Inavvertitamente, a mano aperta, mi accarezzo il ventre.
Gioco coi miei peli pubici.
Li intreccio e poi, ancora, li pettino con le le dita slittando fra di essi.
Il telefono squilla.
Non me ne curo, lascio che squilli senza rispondere, ma mi ha distolto dal pensarti in quelle oscene d indecenti pose mentre godi.
Chino il capo ed osservo la mia mano accarezzarmi il sesso.
Buffo.
Buffo e dolcemente ridicolo.
Ecco come mi trovo; col pantalone steso fra una coscia e l'altra.
Con la camicia rotolata fin oltre il ventre.
Torno ad accarezzarmi il cazzo.
Una perla di sperma è rimasta ancora aggrappata al buchino della cappella.
Ci poso su un polpastrello.
Avverto la perla appiccicosa.
Stacco il dito e un filo l'accompagna per qualche centimentro.
Porto il dito alla ma bocca.
Lo lascio sfiorarmi le labbra che lecco avidamente.
Sei di certo sotto la doccia adesso; penso.
Immagino l'aqua pioverti sulla pelle e lo afferro.
Lo stringo forte.
Voglio sentirmelo vibrare in mano.
È stupendo allentare qual tanto la presa fino a sentire pulsare le vene che si arrampicano sull'asta.
Stringerlo alla base così forte da far sorgere la cappella e, quando allento la presa, vederlo tramontarmi in pugno.
Aumentare, accellerare e poi rallentare solo per destabilizzare il ritmo.
Scappellarlo facendo apparire la cappella gonfia di desiderio, lucida e leggermente umida.
Sono in trance.
Il mondo finisce di esistere.
Sono solo.
Solo, con insieme il desiderio di piacere.
Mi chino un tantino in avanti per far colare un filo di saliva sulla cappella, così, per meglio lubrificarla.
Risucchio la saliva e, con manate decise, aumento sempre più il ritmo fino a quando mi si sballa il polso.
Fino a quando non riesco più a gestire i movimenti.
Leggermente curvo, in avanti, per via dell'eccitazione e dell'orgasmo prossimo, osserervo la mano che slitta sull'asta di proprio dinamismo.
Avverto come uno sparo al cervello; una scossa che scorre dal cervello alle palle e viceversa.
Mi sento come in un ascensore dai freni rotti.
Il ventre comincia a tremare forte.
Le cosce non reggono; mi sento di mancare.
Vorrei tanto fare come fai con maestria tu: rallentare, rimandare il piacere, prolungarlo fino all'eternità.
Non ci riesco.
La mano scorre sul cazzo.
Con la stessa velocità; senza freni.
La sborra, quella la sento scorrere dentro l'asta.
Il polso sfasa.
La cappella formicolia intensamente.
Scappello il cazzo in modo violento, selvatico.
Quasi lo squarcio.
Un fiotto, un altro e poi ancora uno abbandona la cappella.
Gemo.
Barcollo.
Ancora un insignificante schizzo.
Cerco di rimanere in piedi.
E, ancora, mi afferro alla tenda.
A quell'altezza.
Alla mia solita salvezza.
Mi stacco dalla tenda, indietreggio di qualche passo, accoppo la cappella col palmo della mano e, con la mano inzuppata di piacere liquido e vischioso,
lascio roteare il palmo della mano per prolungare quello stupendo formicolio fino ad inebriarmi di ulteriore piacere.
Mi porto, infine, le mani giunte al naso e le odoro.
L'odore impregnante del mio cazzo mi ubriaca di piacere.
Mi riavvicino alla finestra.
La luce non illumna più la tua stanza.
Sorrido.
Compiaciuto ti spengo e t'allontano dalla mia mente.
Per oggi.
E, almeno, fino a domani, alla stessa ora.
Non tardare!
Vogliosa.
Libidinosa.
Peccatrice.
Pensavo ad alta voce.
Oramai ti eri spenta ai miei occhi.
Lo spiraglio che, solo qualche attimo fa, fu testimone muto del tuo piacere adesso mi lascia intravedere solo un lenzuolo stropicciato a pendere dal letto vedovo di te.
Ho ancora voglia di te!
Di me!
L'inferno fra le mie cosce era acceso.
Ancora.
Più che mai.
Scostai ancora un po' la tenda; i miei occhi ti cercavano consapevoli di non trovarti.
Le mie dita, ancora, per l'ennesima volta, imbrattano il bordo della tenda che, all'altezza dei miei occhi, già da mesi, è leggermente ingiallita.
La osservo, come per distogliermi dal permanente pensiero di vederti ancora giocare con te stessa e col piacere che ti regali.
Quella che vedo è, da qualche mese, un insieme di macchie di piacere.
Avidi e violenti orgasmi si sono spenti dietro d'essa.
Il vento tiepido e dolce di questo tardo pomeriggio di metà agosto lascia gonfiare la tenda.
Mi accarezza impercettibilmente il membro solleticandolo alla cappella.
Temo di chiudere gli occhi.
Ogni volta che lo faccio ti rivivo.
Sempre più giocosa.
Inavvertitamente, a mano aperta, mi accarezzo il ventre.
Gioco coi miei peli pubici.
Li intreccio e poi, ancora, li pettino con le le dita slittando fra di essi.
Il telefono squilla.
Non me ne curo, lascio che squilli senza rispondere, ma mi ha distolto dal pensarti in quelle oscene d indecenti pose mentre godi.
Chino il capo ed osservo la mia mano accarezzarmi il sesso.
Buffo.
Buffo e dolcemente ridicolo.
Ecco come mi trovo; col pantalone steso fra una coscia e l'altra.
Con la camicia rotolata fin oltre il ventre.
Torno ad accarezzarmi il cazzo.
Una perla di sperma è rimasta ancora aggrappata al buchino della cappella.
Ci poso su un polpastrello.
Avverto la perla appiccicosa.
Stacco il dito e un filo l'accompagna per qualche centimentro.
Porto il dito alla ma bocca.
Lo lascio sfiorarmi le labbra che lecco avidamente.
Sei di certo sotto la doccia adesso; penso.
Immagino l'aqua pioverti sulla pelle e lo afferro.
Lo stringo forte.
Voglio sentirmelo vibrare in mano.
È stupendo allentare qual tanto la presa fino a sentire pulsare le vene che si arrampicano sull'asta.
Stringerlo alla base così forte da far sorgere la cappella e, quando allento la presa, vederlo tramontarmi in pugno.
Aumentare, accellerare e poi rallentare solo per destabilizzare il ritmo.
Scappellarlo facendo apparire la cappella gonfia di desiderio, lucida e leggermente umida.
Sono in trance.
Il mondo finisce di esistere.
Sono solo.
Solo, con insieme il desiderio di piacere.
Mi chino un tantino in avanti per far colare un filo di saliva sulla cappella, così, per meglio lubrificarla.
Risucchio la saliva e, con manate decise, aumento sempre più il ritmo fino a quando mi si sballa il polso.
Fino a quando non riesco più a gestire i movimenti.
Leggermente curvo, in avanti, per via dell'eccitazione e dell'orgasmo prossimo, osserervo la mano che slitta sull'asta di proprio dinamismo.
Avverto come uno sparo al cervello; una scossa che scorre dal cervello alle palle e viceversa.
Mi sento come in un ascensore dai freni rotti.
Il ventre comincia a tremare forte.
Le cosce non reggono; mi sento di mancare.
Vorrei tanto fare come fai con maestria tu: rallentare, rimandare il piacere, prolungarlo fino all'eternità.
Non ci riesco.
La mano scorre sul cazzo.
Con la stessa velocità; senza freni.
La sborra, quella la sento scorrere dentro l'asta.
Il polso sfasa.
La cappella formicolia intensamente.
Scappello il cazzo in modo violento, selvatico.
Quasi lo squarcio.
Un fiotto, un altro e poi ancora uno abbandona la cappella.
Gemo.
Barcollo.
Ancora un insignificante schizzo.
Cerco di rimanere in piedi.
E, ancora, mi afferro alla tenda.
A quell'altezza.
Alla mia solita salvezza.
Mi stacco dalla tenda, indietreggio di qualche passo, accoppo la cappella col palmo della mano e, con la mano inzuppata di piacere liquido e vischioso,
lascio roteare il palmo della mano per prolungare quello stupendo formicolio fino ad inebriarmi di ulteriore piacere.
Mi porto, infine, le mani giunte al naso e le odoro.
L'odore impregnante del mio cazzo mi ubriaca di piacere.
Mi riavvicino alla finestra.
La luce non illumna più la tua stanza.
Sorrido.
Compiaciuto ti spengo e t'allontano dalla mia mente.
Per oggi.
E, almeno, fino a domani, alla stessa ora.
Non tardare!
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