Finalmente dimessa dall'Ospedale
di
Filippa2
genere
prime esperienze
Vi ricordate di me? Sono Filippa, reduce da una cattiva esperienza con quel maledetto vibratore che ancor oggi definisco: “aggeggio infernale”.
Continuo a raccontarvi le mie vicende – tutte veritiere – che, in altro modo o per altro verso non avrei potuto esprimere. Difatti non posso raccontare tutto ciò a mio marito….. e pertanto continuo, proprio nella consapevolezza della verità. Qualcuno troverà il racconto non eccessivamente “piccante” o non adatto ai suoi gusti……si accontenti….e mi scusi….Certamente non posso inventare fatti mai accaduti nè portare alla esasperazione erotica la trama, al solo scopo di soddisfare qualche lettore.
E riprendo il discorso.
In ospedale subii un intervento di oltre sei ore; i chirurghi mi avevano completamente ricostruito il buchetto, preannunciandomi, comunque, una lunga convalescenza.
In ospedale conobbi Donato, infermiere professionale che davvero mi rimase vicino durante la degenza ed al quale davvero con gioia mi concessi. Ritrovai l’amore dopo mesi, se non anni, di incomprensione con mio marito.
Si avvicinava il giorno delle mie dimissioni dall’Ospedale.
Mi informai su come era stata compilata la mia cartella clinica e di ciò che era stato inviato al datore di lavoro. Tutto andò per il meglio grazie a quel sant’uomo del primario e – forse – dei suoi collaboratori. Veniva evidenziato solo un intervento per emorroidi di quarto grado ed altre risoluzioni connesse. Quindi nulla che potesse far pensare all’uso maldestro del vibratore. Avevo evitato la perenne vergogna.
Donato mi accompagnò con la sua macchina a casa e mi portò la valigia fino a dentro la mia cameretta.
Sapevo benissimo che durante la convalescenza la presenza dell’infermiere per le medicazioni sarebbe stata indispensabile. E Donato, ovviamente, mostrò la sua disponibilità.
Alla studentessa universitaria con cui condividevo la stanza presentai Donato come medico e le illustrai le circostanze. Scoprii in questa ragazza un senso di grande solidarietà.
“Non ti preoccupare” – mi disse - “Dimmi quando deve venire il Dottore o l’infermiera in maniera da non essere io presente. Porto con me tutto il materiale di studio e mi fermerò in biblioteca a studiare. E’ proprio il caso di dire: “Pensa alla tua salute innanzi tutto!”.
Si stavano creando, quasi casualmente, tutte le condizioni per poter rimanere sola con quella persona che avrei voluto a me vicino per tutta la vita.
E così iniziammo i nostri incontri. Prima la usuale medicazione, poi il classico rapporto. Chiamatela pure “una bella scopata!”, forse sarà anche il termine giusto, ma quell’uomo era per me particolarmente attraente. Poi le altre applicazioni come calendarizzate. E ogni volta il rapporto in maniera diversa, accattivante, sublime….
Avevo perso la testa.
Grazie ai farmaci ed al bravo infermiere, ero praticamente guarita.
E si avvicinava una grande occasione. La ragazza con cui condividevo la stanza avrebbe dato un esame importante e subito dopo sarebbe partita per qualche giorno di ferie da trascorrere a casa propria.
Volevo organizzare qualcosa di speciale.
Parlai chiaramente a Donato che accettò.
Tuttavia, senza dirgli nulla, telefonai a Aldo, vecchio collega di lavoro, buon amico di un farmacista e gli chiesi la cortesia di inviarmi un paio di confezioni della cosiddetta “Pillola del giorno dopo”.
Per qualche occasione volevo quell’uomo tutto per me.
Per Donato, infatti, non vi era problema di orario. Bastava dire in famiglia: “Ho la notte” ovvero un “cambio turno” per trovare il tempo a disposizione.
E così fu.
La ferrea dieta prescrittami dai medici, seguita prima in ospedale e poi naturalmente a casa mi avevano snellito come una diciottenne. Quella sera mi sentivo strana: ringiovanita, emozionata come al primo appuntamento, felice, in una parola: innamorata.
Donato giunse puntuale. Il piccolo tavolino era stato da me imbandito alla perfezione. Preparai quanto di meglio ero riuscita a reperire in commercio.
Cenammo, parlando del più e del meno, ma in verità non vedevo l’ora di fare l’amore…..
Confidai a Donato di essermi procurata “la pillola del giorno dopo”.
Lui rimase un po’ perplesso: “Non devi fare certe cose. A volte può far male ed io non voglio essere complice. Ma se proprio lo vuoi, per questa sera va bene così.”
Donato ebbe una grande idea: per non forzare le doghe del letto, propose di unire e stendere i due materassi per terra. Così facemmo. Accesi una vecchia stufetta elettrica a due/tre elementi per dare il giusto calore alla stanza ed evitare il più possibile l’uso delle coperte.
Ed iniziò la grande festa!!
Donato mi spogliò completamente. Nei preliminari mi pose a pancia in giù e iniziò a baciarmi ed a solleticarmi la spina dorsale. Iniziai a sentire dei brividi… poi, giunto al culetto disse: “Andiamo avanti, questa è una parte che conosco molto bene…..”
E mi girò come un fuscello.
Non ce la facevo più. Presi l’iniziativa. Dopo tanto tempo e tanti rapporti a volte frugali, a volte occasionali, avevo la possibilità di dimostrare tutto il mio amore ed iniziai con l’azione che a volte è la più discussa: quella di PRENDERLO IN BOCCA.
A tal punto DEVO necessariamente fare una precisazione.
Il rapporto orale può essere considerato in tanti modi: quello della dominazione uomo-donna, nel caso in cui l’uomo IMPONE alla compagna di eseguire quel determinato atto; o anche come diversivo al rapporto naturale, o anche come espediente per far aumentare il godimento nei momenti seguenti. Ed altro, altro ancora, fino alla più alta soddisfazione quando lo si riprende in bocca dopo la naturale penetrazione in vagina e sino alle volgari esperienze di meretricio, consumate da uomini nel timore di evitare contagi o impicci ancora maggiori.
Secondo me il rapporto orale è la massima espressione dell’amore. Ed è per questo motivo che quella sera, in quella occasione, nel donarmi tutta a quell’uomo, presi di mia iniziativa il suo membro tutto nella mia bocca.
Vedevo Donato godere tantissimo ed io ero sua parte.
Poi iniziò a penetrarmi con grande vigore.
Certamente essere al contatto con un corpo ricoperto totalmente e diffusamente di peli, può non sembrare gradevole, ma in quella circostanza ogni particolare passava in second’ordine.
Essere amata da un atleta con un vigore eccezionale era una esperienza mai fatta. A maggior ragione con la persona che senti di amare.
Passò del tempo; provammo varie posizioni e alla fine Donato esclamò: “Basta. Devo concludere!!!”
Sentii il suo organo tutto dentro di me e mi accorsi che stava emettendo il liquido. Sicura di me, lo lasciai fare, poi, sempre uniti ci girammo e rigirammo per almeno due volte.
Quel meraviglioso rapporto era giunto al termine.
Dopo la rituale pulizia, ci addormentammo abbracciati. Erano anni che non dormivo abbracciata con un uomo. Le rarissime volte fu con mio marito, e solo all’inizio del matrimonio. Poi svanì tutto.
La mattina seguente assunsi la “pillola del giorno dopo”. Salutai fraternamente Donato facendomi rilasciare la promessa di un altro incontro.
Guardai il calendario: il lunedì seguente avrei dovuto riprendere il mio lavoro in Ufficio.
Come detto, l’ambiente non era particolare: tutti padri di famiglia con spiccato senso di fedeltà coniugale, con la foto di moglie e figli nel quadretto sulla scrivania ovvero appeso al muro.
Non volevo diventare una “rovinafamiglie” ma il giorno del rientro volevo fare bella figura.
Sabato pomeriggio mi recai dal parrucchiere per il rifacimento della acconciatura: ne avevo bisogno, dopo tanto tempo trascorso tra Ospedale e convalescenza a casa. Poi un breve maquillage al viso.
Per il ritorno in ufficio indossai un bel tailleur con giacca un po’ corta ed una gonna di lunghezza giusta, non troppo aderente ma capace di far intravedere la forma delle mutandine, lievemente scosciate. Scarpe comode ed alla moda. In realtà ero davvero attraente.
Timbrai il cartellino volutamente con cinque minuti di ritardo, Volevo essere certa che tutti fossero già in ufficio. Presi l’ascensore e giunsi nel corridoio principale.
Qui fui subito vista da un collega, immediatamente da un altro, poi ancora da altri. In breve il corridoio si affollò. C’erano tutti; e tutti guardavano la mia gonna segnata dal filo delle mutandine ed il mio culo……..
Chissà quante seghe avrò provocato a questi maialetti che pensavano al mio posteriore barbarizzato dal bisturi.
La vita sembrava essere tornata alla sia pure tetra normalità, ma nel giro di qualche giorno le cattive notizie si accumularono. Mio marito era stato collocato in cassa integrazione a zero ore e una sua zia – sola al mondo e da sempre a noi legata – aveva avuto un ictus e, semiparalizzata, era stata accolta da mio marito a casa nostra. Per lei venne accettata la domanda per l’indennità di accompagnamento ma la modica somma non era sufficiente neanche a coprire le spese vive.
Alla solitudine, alla lontananza, si aggiungevano i problemi di chi mi era distante.
Avevo la necessità di fare parere con qualcuno e spontaneamente mi rivolsi alla mia direttrice, Virginia (nome di fantasia), una donna colta e con tanta esperienza lavorativa.
Virginia mi ascoltò con pazienza ed attenzione. Poi concluse: “La soluzione c’è. Tu hai conservato la residenza nella tua città. Chiedi l’applicazione della Legge 104 per la signora portatrice di handicap che oltretutto risiede a casa tua. Puoi avere diritto al trasferimento.”
Fu per me una bella notizia. Da una parte avrei abbandonato Donato ed il luogo di lavoro, dall’altra sarei tornata a casa mia, colmando quel grande vuoto di solitudine. Iniziai a documentarmi ed inviai agli uffici competenti tutta la relativa documentazione. Virginia mi fu di grande aiuto.
Dopo circa un mese giunse anche la notizia che aspettavo. La domanda di trasferimento era stata accettata. Sarei tornata nella mia città.
Ma Donato era sempre nel mio cuore. Non riuscivo a non pensarlo.
Il pensiero di lasciarlo non mi dava pace. Un chiodo fisso nella mente.
Gli telefonai e lo pregai di chiamarmi per parlare con calma.
Dopo circa venti minuti, ecco lo squillo!
Gli raccontai tutto degli ultimi eventi e, segnatamente, del mio trasferimento. Avrei dovuto lasciarlo e forse per sempre. Con le lacrime agli occhi gli chiesi se fosse stato possibile incontrarci, magari per l’ultima volta.
Sentivo il cuore battermi forte, non mi ero mai spinta tanto nel fare le mie proposte ad un uomo. E non ero neanche sicura di ottenere il classico. “Va bene”. Ma quando si perde la testa è così.
Donato mi capì subito. Acconsentì, ma questa volta in maniera fredda, quasi distaccata. Sembrava quasi mi stesse facendo un favore. Mi chiese il classico “Dove e quando”, pregandomi comunque di aver bisogno di parlare. Gli risposi soltanto. “Sta bene, grazie, ti chiamo domani”.
Sentivo che lo stavo perdendo.
Come impazzita decisi di giocare tutte le mie carte, di sparare tutte le mie cartucce.
Cosa feci?
Il tutto nel prossimo racconto!!
Continuo a raccontarvi le mie vicende – tutte veritiere – che, in altro modo o per altro verso non avrei potuto esprimere. Difatti non posso raccontare tutto ciò a mio marito….. e pertanto continuo, proprio nella consapevolezza della verità. Qualcuno troverà il racconto non eccessivamente “piccante” o non adatto ai suoi gusti……si accontenti….e mi scusi….Certamente non posso inventare fatti mai accaduti nè portare alla esasperazione erotica la trama, al solo scopo di soddisfare qualche lettore.
E riprendo il discorso.
In ospedale subii un intervento di oltre sei ore; i chirurghi mi avevano completamente ricostruito il buchetto, preannunciandomi, comunque, una lunga convalescenza.
In ospedale conobbi Donato, infermiere professionale che davvero mi rimase vicino durante la degenza ed al quale davvero con gioia mi concessi. Ritrovai l’amore dopo mesi, se non anni, di incomprensione con mio marito.
Si avvicinava il giorno delle mie dimissioni dall’Ospedale.
Mi informai su come era stata compilata la mia cartella clinica e di ciò che era stato inviato al datore di lavoro. Tutto andò per il meglio grazie a quel sant’uomo del primario e – forse – dei suoi collaboratori. Veniva evidenziato solo un intervento per emorroidi di quarto grado ed altre risoluzioni connesse. Quindi nulla che potesse far pensare all’uso maldestro del vibratore. Avevo evitato la perenne vergogna.
Donato mi accompagnò con la sua macchina a casa e mi portò la valigia fino a dentro la mia cameretta.
Sapevo benissimo che durante la convalescenza la presenza dell’infermiere per le medicazioni sarebbe stata indispensabile. E Donato, ovviamente, mostrò la sua disponibilità.
Alla studentessa universitaria con cui condividevo la stanza presentai Donato come medico e le illustrai le circostanze. Scoprii in questa ragazza un senso di grande solidarietà.
“Non ti preoccupare” – mi disse - “Dimmi quando deve venire il Dottore o l’infermiera in maniera da non essere io presente. Porto con me tutto il materiale di studio e mi fermerò in biblioteca a studiare. E’ proprio il caso di dire: “Pensa alla tua salute innanzi tutto!”.
Si stavano creando, quasi casualmente, tutte le condizioni per poter rimanere sola con quella persona che avrei voluto a me vicino per tutta la vita.
E così iniziammo i nostri incontri. Prima la usuale medicazione, poi il classico rapporto. Chiamatela pure “una bella scopata!”, forse sarà anche il termine giusto, ma quell’uomo era per me particolarmente attraente. Poi le altre applicazioni come calendarizzate. E ogni volta il rapporto in maniera diversa, accattivante, sublime….
Avevo perso la testa.
Grazie ai farmaci ed al bravo infermiere, ero praticamente guarita.
E si avvicinava una grande occasione. La ragazza con cui condividevo la stanza avrebbe dato un esame importante e subito dopo sarebbe partita per qualche giorno di ferie da trascorrere a casa propria.
Volevo organizzare qualcosa di speciale.
Parlai chiaramente a Donato che accettò.
Tuttavia, senza dirgli nulla, telefonai a Aldo, vecchio collega di lavoro, buon amico di un farmacista e gli chiesi la cortesia di inviarmi un paio di confezioni della cosiddetta “Pillola del giorno dopo”.
Per qualche occasione volevo quell’uomo tutto per me.
Per Donato, infatti, non vi era problema di orario. Bastava dire in famiglia: “Ho la notte” ovvero un “cambio turno” per trovare il tempo a disposizione.
E così fu.
La ferrea dieta prescrittami dai medici, seguita prima in ospedale e poi naturalmente a casa mi avevano snellito come una diciottenne. Quella sera mi sentivo strana: ringiovanita, emozionata come al primo appuntamento, felice, in una parola: innamorata.
Donato giunse puntuale. Il piccolo tavolino era stato da me imbandito alla perfezione. Preparai quanto di meglio ero riuscita a reperire in commercio.
Cenammo, parlando del più e del meno, ma in verità non vedevo l’ora di fare l’amore…..
Confidai a Donato di essermi procurata “la pillola del giorno dopo”.
Lui rimase un po’ perplesso: “Non devi fare certe cose. A volte può far male ed io non voglio essere complice. Ma se proprio lo vuoi, per questa sera va bene così.”
Donato ebbe una grande idea: per non forzare le doghe del letto, propose di unire e stendere i due materassi per terra. Così facemmo. Accesi una vecchia stufetta elettrica a due/tre elementi per dare il giusto calore alla stanza ed evitare il più possibile l’uso delle coperte.
Ed iniziò la grande festa!!
Donato mi spogliò completamente. Nei preliminari mi pose a pancia in giù e iniziò a baciarmi ed a solleticarmi la spina dorsale. Iniziai a sentire dei brividi… poi, giunto al culetto disse: “Andiamo avanti, questa è una parte che conosco molto bene…..”
E mi girò come un fuscello.
Non ce la facevo più. Presi l’iniziativa. Dopo tanto tempo e tanti rapporti a volte frugali, a volte occasionali, avevo la possibilità di dimostrare tutto il mio amore ed iniziai con l’azione che a volte è la più discussa: quella di PRENDERLO IN BOCCA.
A tal punto DEVO necessariamente fare una precisazione.
Il rapporto orale può essere considerato in tanti modi: quello della dominazione uomo-donna, nel caso in cui l’uomo IMPONE alla compagna di eseguire quel determinato atto; o anche come diversivo al rapporto naturale, o anche come espediente per far aumentare il godimento nei momenti seguenti. Ed altro, altro ancora, fino alla più alta soddisfazione quando lo si riprende in bocca dopo la naturale penetrazione in vagina e sino alle volgari esperienze di meretricio, consumate da uomini nel timore di evitare contagi o impicci ancora maggiori.
Secondo me il rapporto orale è la massima espressione dell’amore. Ed è per questo motivo che quella sera, in quella occasione, nel donarmi tutta a quell’uomo, presi di mia iniziativa il suo membro tutto nella mia bocca.
Vedevo Donato godere tantissimo ed io ero sua parte.
Poi iniziò a penetrarmi con grande vigore.
Certamente essere al contatto con un corpo ricoperto totalmente e diffusamente di peli, può non sembrare gradevole, ma in quella circostanza ogni particolare passava in second’ordine.
Essere amata da un atleta con un vigore eccezionale era una esperienza mai fatta. A maggior ragione con la persona che senti di amare.
Passò del tempo; provammo varie posizioni e alla fine Donato esclamò: “Basta. Devo concludere!!!”
Sentii il suo organo tutto dentro di me e mi accorsi che stava emettendo il liquido. Sicura di me, lo lasciai fare, poi, sempre uniti ci girammo e rigirammo per almeno due volte.
Quel meraviglioso rapporto era giunto al termine.
Dopo la rituale pulizia, ci addormentammo abbracciati. Erano anni che non dormivo abbracciata con un uomo. Le rarissime volte fu con mio marito, e solo all’inizio del matrimonio. Poi svanì tutto.
La mattina seguente assunsi la “pillola del giorno dopo”. Salutai fraternamente Donato facendomi rilasciare la promessa di un altro incontro.
Guardai il calendario: il lunedì seguente avrei dovuto riprendere il mio lavoro in Ufficio.
Come detto, l’ambiente non era particolare: tutti padri di famiglia con spiccato senso di fedeltà coniugale, con la foto di moglie e figli nel quadretto sulla scrivania ovvero appeso al muro.
Non volevo diventare una “rovinafamiglie” ma il giorno del rientro volevo fare bella figura.
Sabato pomeriggio mi recai dal parrucchiere per il rifacimento della acconciatura: ne avevo bisogno, dopo tanto tempo trascorso tra Ospedale e convalescenza a casa. Poi un breve maquillage al viso.
Per il ritorno in ufficio indossai un bel tailleur con giacca un po’ corta ed una gonna di lunghezza giusta, non troppo aderente ma capace di far intravedere la forma delle mutandine, lievemente scosciate. Scarpe comode ed alla moda. In realtà ero davvero attraente.
Timbrai il cartellino volutamente con cinque minuti di ritardo, Volevo essere certa che tutti fossero già in ufficio. Presi l’ascensore e giunsi nel corridoio principale.
Qui fui subito vista da un collega, immediatamente da un altro, poi ancora da altri. In breve il corridoio si affollò. C’erano tutti; e tutti guardavano la mia gonna segnata dal filo delle mutandine ed il mio culo……..
Chissà quante seghe avrò provocato a questi maialetti che pensavano al mio posteriore barbarizzato dal bisturi.
La vita sembrava essere tornata alla sia pure tetra normalità, ma nel giro di qualche giorno le cattive notizie si accumularono. Mio marito era stato collocato in cassa integrazione a zero ore e una sua zia – sola al mondo e da sempre a noi legata – aveva avuto un ictus e, semiparalizzata, era stata accolta da mio marito a casa nostra. Per lei venne accettata la domanda per l’indennità di accompagnamento ma la modica somma non era sufficiente neanche a coprire le spese vive.
Alla solitudine, alla lontananza, si aggiungevano i problemi di chi mi era distante.
Avevo la necessità di fare parere con qualcuno e spontaneamente mi rivolsi alla mia direttrice, Virginia (nome di fantasia), una donna colta e con tanta esperienza lavorativa.
Virginia mi ascoltò con pazienza ed attenzione. Poi concluse: “La soluzione c’è. Tu hai conservato la residenza nella tua città. Chiedi l’applicazione della Legge 104 per la signora portatrice di handicap che oltretutto risiede a casa tua. Puoi avere diritto al trasferimento.”
Fu per me una bella notizia. Da una parte avrei abbandonato Donato ed il luogo di lavoro, dall’altra sarei tornata a casa mia, colmando quel grande vuoto di solitudine. Iniziai a documentarmi ed inviai agli uffici competenti tutta la relativa documentazione. Virginia mi fu di grande aiuto.
Dopo circa un mese giunse anche la notizia che aspettavo. La domanda di trasferimento era stata accettata. Sarei tornata nella mia città.
Ma Donato era sempre nel mio cuore. Non riuscivo a non pensarlo.
Il pensiero di lasciarlo non mi dava pace. Un chiodo fisso nella mente.
Gli telefonai e lo pregai di chiamarmi per parlare con calma.
Dopo circa venti minuti, ecco lo squillo!
Gli raccontai tutto degli ultimi eventi e, segnatamente, del mio trasferimento. Avrei dovuto lasciarlo e forse per sempre. Con le lacrime agli occhi gli chiesi se fosse stato possibile incontrarci, magari per l’ultima volta.
Sentivo il cuore battermi forte, non mi ero mai spinta tanto nel fare le mie proposte ad un uomo. E non ero neanche sicura di ottenere il classico. “Va bene”. Ma quando si perde la testa è così.
Donato mi capì subito. Acconsentì, ma questa volta in maniera fredda, quasi distaccata. Sembrava quasi mi stesse facendo un favore. Mi chiese il classico “Dove e quando”, pregandomi comunque di aver bisogno di parlare. Gli risposi soltanto. “Sta bene, grazie, ti chiamo domani”.
Sentivo che lo stavo perdendo.
Come impazzita decisi di giocare tutte le mie carte, di sparare tutte le mie cartucce.
Cosa feci?
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