La cosa (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
Ada si stava vestendo.
Aveva già cambiato tre vestiti, mai contenta di sé stessa.
L’incertezza era dovuta alla tensione, all’ansia, al timore.
Era la prima volta che andava da loro come schiava anche se li aveva già incontrati.
Si erano visti per conoscersi e lei aveva chiesto di essere ricevuta a casa loro. L’arredamento racconta molto delle persone.
Alfredo e Giulia avevano scelto mobili classici, di legno e poltrone in pelle, quella scura, che ricorda il cuoio. I suppellettili erano raffinati nella loro semplicità. C’erano fotografie della loro vita assieme nei diversi anni, e tutte rappresentavano due persone che sorridevano. In alcune c’era anche quella che con ogni probabilità era la loro figlia che, nella foto più recente, avrà avuto circa 30 anni, forse qualcuno meno.
Sorrise nel pensare che avrebbe potuto essere quasi sua coetanea poiché, rispetto ai 30, ne aveva solo pochi in più.
Le avevano dato, nel complesso, una sensazione di solidità e serietà.
Era stata colpita anche dal loro atteggiamento e dagli sguardi su di lei, durante la conoscenza preliminare.
L’avevano osservata, per tutto il tempo, esattamente come lei voleva essere vista, per come si era presentata.
Sin dai primi contatti lei aveva detto che la sua fantasia era quella di essere trattata come una cosa, un oggetto da usare o non usare, da tenere lì, in attesa di essere utile.
Non sarebbe stata un'amica sottomessa o qualcuna con la quale avere un rapporto che andasse oltre al dominio, ma nemmeno una schiava da educare. Solo una donna alla quale dedicare la stessa considerazione di un oggetto.
Ada si era sentita tale e, pertanto, eccitata tutto il tempo, con quel ben noto formicolio alla bocca dello stomaco che la portava ad abbassare lo sguardo, non tanto perchè riconosceva l'autorità altrui, ma per il timore che in esso si leggesse così tanto di lei, facendola sentire nuda.
Una sensazione che, a sua volta, la eccitava, perché la faceva sentire esposta, vulnerabile, debole, quasi una cosa da prendere, senza difese.
Non erano stati sgarbati o arroganti. Semplicemente la guardavano senza considerazione, vedendo una “cosa”, un “oggetto”.
Mentre le parlavano lei era in piedi, dinanzi a loro comodamente seduti nelle due ampie poltrone, alle cui spalle vi era un quadro ritraente un bosco nel quale entrava una lama di luce.
Lei si vide in quel bosco, scaldata da quei raggi che foravano il fogliame, legata ad un albero, bendata, a loro disposizione.
Prima di loro era stata usata da un’altra coppia che, però, non era andata oltre il primo incontro.
L’aveva usata in un dungeon e non le era piaciuto. Troppo freddo l’ambiente, con tutti quegli strumenti di tortura che poco lasciavano spazio alla fantasia del dominio.
Non che le dispiacesse il dolore, anzi, la eccitava, le piaceva, la faceva sentire in mani altrui.
Era stata l’ambientazione ad aver tolto al rapporto quel qualcosa che lei cercava.
Un oggetto viene tenuto in casa, utile, collocato nell’ambiente domestico. Se viene creato un ambiente per l’oggetto, allora esso si snatura.
Per questo aveva voluto conoscerli a casa loro, la prima volta.
Benché il primo incontro avesse solo lo scopo di “annusarsi”, al termine, evidentemente soddisfatti da ciò che avevano visto, le dissero che la volevano provare.
La circostanza, non prevista, che le diede il senso di quanto già fossero calati nei rispettivi ruoli, sentiti come vivi.
Non le chiesero nemmeno se anche lei fosse stata soddisfatta di loro. Dal loro punto di vista lei era lì per farsi valutare non per valutare a sua volta.
Alfredo, che aveva le gambe accavallate, le allargò.
Ada si inginocchiò e, carponi, raggiunse quello che sarebbe stato il suo Padrone.
Lei indossava una gonna molto corta ed un top aderente e scollato.
Voleva fare colpo con la sua bellezza in quanto questo era quello che voleva offrire, in quanto “cosa”.
Non la fecero nemmeno spogliare. D’altro canto era solo una prova.
Cercò comunque di essere sensuale nei movimenti e di avvicinarsi in maniera eccitante.
Spettò a lei abbassare la cerniera e tirare fuori il cazzo. Lo trovò già semirigido, quale testimone della sua sensualità.
Le piaceva eccitare e, poi, essere usata.
Più il cazzo si induriva nella sua bocca, più l’umido tra le cosce le dava il senso della sua stessa eccitazione.
Si concentrò completamente sul suo lavoro, presa non solo dal desiderio di appagare, ma anche dal proprio piacere.
Alfredo non la agevolava per niente.
Gli piaceva moltissimo il lavoro di bocca e di lingua della schiava, al punto che, se non fosse stata all’altezza, avrebbero rinunciato cercando altrove.
Ada si impegnò molto, cercando di capire le reazioni dell'uomo e di lavorare meglio quando sentiva che una determinata modalità produceva risultati in termini di irrigidimento.
Non si offrì mai di cambiare posizione pensando che, se il Padrone fosse stato stufo di quella, glielo avrebbe fatto capire.
Quando il Padrone volle godere, senza riguardi, la prese per i capelli e la fece girare.
Non le disse nulla, ma a lei fu evidente che avrebbe dovuto restare a 4 zampe, offerta.
Allargò appena le cosce per agevolare la penetrazione e abbassò la testa, quasi in segno di resa.
Non fu una postura ragionata ma istintiva.
Alfredo la trovò bagnata e stretta, eccitata ed eccitante.
Ada si aspettava di essere presa ancora per i capelli, avendo capito che a lui questo gesto piaceva.
Invece vide Giulia alzarsi e, posizionata davanti a lei, le pose una scarpa sulla testa spingendola a terra, simbolo del “viaggio” verso il basso che avrebbe dovuto fare con loro.
Ada appoggiò la guancia sul pavimento. Sapeva che per tenere quella postura avrebbe dovuto arcuare meglio la schiena e, così, offrire il sesso al piacere di colui che la stava penetrando.
La Padrona le pose il piede sulla guancia, appoggiando sopra tutto il peso della gamba.
Il tacco era sulla tempia e non faceva nulla per alleggerire il peso.
Ada capì che non voleva procurare dolore, semplicemente non si poneva il problema se la “cosa” ai suoi piedi stesse o meno soffrendo.
In quel momento era posseduta, schiacciata, usata e tale si sentiva, sottomessa in quanto prostrata e, in quella posizione umiliante, offerta al piacere altrui che doveva subire facendola, paradossalmente, sentire parte attiva nella sua passività.
Sentiva che l’uomo stava traendo piacere dal suo sesso e dalla sua sottomissione, confermata dal piede della moglie sulla sua faccia, schiacciata sul pavimento, sotto la scarpa, ignara di ciò che sarebbe accaduto dopo, interessata alla sensazione più che ai fatti.
Alfredo la scopò, inizialmente in maniera controllata, per assaporare il suo sesso bagnato, per sentire il cazzo che entrava e sfregava sui lati della figa stretta, che a lui tanto piaceva. Il ritmo prese ad essere incalzante in maniera proporzionale all’approssimarsi dell’orgasmo, procurato dalla scopata ma anche dal possesso di quel corpo, che sentiva già suo.
Gli ultimi colpi vennero dati mentre i fianchi della “cosa” erano tenuti stretti, con forza, volendo anche farle male mentre la faceva sentire tenuta, bloccata, usata.
Le godette dentro, in maniera liberatoria, per andare poi a sedersi, appagato.
Senza bisogno di ordine, la schiava andò a pulire il cazzo del Padrone dopo che Giulia ebbe tolto il piede dalla sua faccia.
Giulia, rimasta alle sua spalle, iniziò a giocare con la sua figa bagnata e piena dello sperma dell’uomo. Con la punta della scarpa le passava sulla fessura e, a volte, gliela infilava dentro.
Le faceva male in quanto non usava alcuna cura, pensando, evidentemente, solo al proprio divertimento.
“Puliscimi la scarpa”.
L’ordine le giunse quando, dopo avere pulito bene il cazzo, non sapendo come comportarsi, aveva appoggiato la fronte a terra, ai piedi di Alfredo, mentre la donna era tornata a sedersi.
Ada era eccitata e pulì la scarpa sulla gamba accavallata, quasi come se stesse facendo un pompino, infilando anche in bocca la punta tutta sporca dallo sperma.
Giulia era una donna di mezza età, probabilmente molto bella da giovane ma ora leggermente appesantita.
Aveva cosce piene, matronali.
La schiava si chiese il motivo per il quale non le ordinò di leccarle la figa. Le impose, invece, di toglierle la scarpa e di leccarle il piede, che pretese di infilarglielo in bocca, spingendo il più possibile.
Anche il piede aveva perso la magrezza della gioventù. Era pieno ma non tanto da non penetrare bene la bocca fino ad arrivare fino alla gola.
Se avesse alzato gli occhi avrebbe visto lo sguardo della Padrona divertito per i suoi sforzi e la sua umiliazione.
Ripensando a quei momenti, mentre si preparava per andare da loro, si eccitò nuovamente, provando ancora la sensazione avvertita quel giorno. Erano riusciti a farla sentire una cosa, un oggetto, con tutte le conseguenze del caso, che sapeva sarebbero arrivate, dopo l’iniziale eccitazione.
Aveva già cambiato tre vestiti, mai contenta di sé stessa.
L’incertezza era dovuta alla tensione, all’ansia, al timore.
Era la prima volta che andava da loro come schiava anche se li aveva già incontrati.
Si erano visti per conoscersi e lei aveva chiesto di essere ricevuta a casa loro. L’arredamento racconta molto delle persone.
Alfredo e Giulia avevano scelto mobili classici, di legno e poltrone in pelle, quella scura, che ricorda il cuoio. I suppellettili erano raffinati nella loro semplicità. C’erano fotografie della loro vita assieme nei diversi anni, e tutte rappresentavano due persone che sorridevano. In alcune c’era anche quella che con ogni probabilità era la loro figlia che, nella foto più recente, avrà avuto circa 30 anni, forse qualcuno meno.
Sorrise nel pensare che avrebbe potuto essere quasi sua coetanea poiché, rispetto ai 30, ne aveva solo pochi in più.
Le avevano dato, nel complesso, una sensazione di solidità e serietà.
Era stata colpita anche dal loro atteggiamento e dagli sguardi su di lei, durante la conoscenza preliminare.
L’avevano osservata, per tutto il tempo, esattamente come lei voleva essere vista, per come si era presentata.
Sin dai primi contatti lei aveva detto che la sua fantasia era quella di essere trattata come una cosa, un oggetto da usare o non usare, da tenere lì, in attesa di essere utile.
Non sarebbe stata un'amica sottomessa o qualcuna con la quale avere un rapporto che andasse oltre al dominio, ma nemmeno una schiava da educare. Solo una donna alla quale dedicare la stessa considerazione di un oggetto.
Ada si era sentita tale e, pertanto, eccitata tutto il tempo, con quel ben noto formicolio alla bocca dello stomaco che la portava ad abbassare lo sguardo, non tanto perchè riconosceva l'autorità altrui, ma per il timore che in esso si leggesse così tanto di lei, facendola sentire nuda.
Una sensazione che, a sua volta, la eccitava, perché la faceva sentire esposta, vulnerabile, debole, quasi una cosa da prendere, senza difese.
Non erano stati sgarbati o arroganti. Semplicemente la guardavano senza considerazione, vedendo una “cosa”, un “oggetto”.
Mentre le parlavano lei era in piedi, dinanzi a loro comodamente seduti nelle due ampie poltrone, alle cui spalle vi era un quadro ritraente un bosco nel quale entrava una lama di luce.
Lei si vide in quel bosco, scaldata da quei raggi che foravano il fogliame, legata ad un albero, bendata, a loro disposizione.
Prima di loro era stata usata da un’altra coppia che, però, non era andata oltre il primo incontro.
L’aveva usata in un dungeon e non le era piaciuto. Troppo freddo l’ambiente, con tutti quegli strumenti di tortura che poco lasciavano spazio alla fantasia del dominio.
Non che le dispiacesse il dolore, anzi, la eccitava, le piaceva, la faceva sentire in mani altrui.
Era stata l’ambientazione ad aver tolto al rapporto quel qualcosa che lei cercava.
Un oggetto viene tenuto in casa, utile, collocato nell’ambiente domestico. Se viene creato un ambiente per l’oggetto, allora esso si snatura.
Per questo aveva voluto conoscerli a casa loro, la prima volta.
Benché il primo incontro avesse solo lo scopo di “annusarsi”, al termine, evidentemente soddisfatti da ciò che avevano visto, le dissero che la volevano provare.
La circostanza, non prevista, che le diede il senso di quanto già fossero calati nei rispettivi ruoli, sentiti come vivi.
Non le chiesero nemmeno se anche lei fosse stata soddisfatta di loro. Dal loro punto di vista lei era lì per farsi valutare non per valutare a sua volta.
Alfredo, che aveva le gambe accavallate, le allargò.
Ada si inginocchiò e, carponi, raggiunse quello che sarebbe stato il suo Padrone.
Lei indossava una gonna molto corta ed un top aderente e scollato.
Voleva fare colpo con la sua bellezza in quanto questo era quello che voleva offrire, in quanto “cosa”.
Non la fecero nemmeno spogliare. D’altro canto era solo una prova.
Cercò comunque di essere sensuale nei movimenti e di avvicinarsi in maniera eccitante.
Spettò a lei abbassare la cerniera e tirare fuori il cazzo. Lo trovò già semirigido, quale testimone della sua sensualità.
Le piaceva eccitare e, poi, essere usata.
Più il cazzo si induriva nella sua bocca, più l’umido tra le cosce le dava il senso della sua stessa eccitazione.
Si concentrò completamente sul suo lavoro, presa non solo dal desiderio di appagare, ma anche dal proprio piacere.
Alfredo non la agevolava per niente.
Gli piaceva moltissimo il lavoro di bocca e di lingua della schiava, al punto che, se non fosse stata all’altezza, avrebbero rinunciato cercando altrove.
Ada si impegnò molto, cercando di capire le reazioni dell'uomo e di lavorare meglio quando sentiva che una determinata modalità produceva risultati in termini di irrigidimento.
Non si offrì mai di cambiare posizione pensando che, se il Padrone fosse stato stufo di quella, glielo avrebbe fatto capire.
Quando il Padrone volle godere, senza riguardi, la prese per i capelli e la fece girare.
Non le disse nulla, ma a lei fu evidente che avrebbe dovuto restare a 4 zampe, offerta.
Allargò appena le cosce per agevolare la penetrazione e abbassò la testa, quasi in segno di resa.
Non fu una postura ragionata ma istintiva.
Alfredo la trovò bagnata e stretta, eccitata ed eccitante.
Ada si aspettava di essere presa ancora per i capelli, avendo capito che a lui questo gesto piaceva.
Invece vide Giulia alzarsi e, posizionata davanti a lei, le pose una scarpa sulla testa spingendola a terra, simbolo del “viaggio” verso il basso che avrebbe dovuto fare con loro.
Ada appoggiò la guancia sul pavimento. Sapeva che per tenere quella postura avrebbe dovuto arcuare meglio la schiena e, così, offrire il sesso al piacere di colui che la stava penetrando.
La Padrona le pose il piede sulla guancia, appoggiando sopra tutto il peso della gamba.
Il tacco era sulla tempia e non faceva nulla per alleggerire il peso.
Ada capì che non voleva procurare dolore, semplicemente non si poneva il problema se la “cosa” ai suoi piedi stesse o meno soffrendo.
In quel momento era posseduta, schiacciata, usata e tale si sentiva, sottomessa in quanto prostrata e, in quella posizione umiliante, offerta al piacere altrui che doveva subire facendola, paradossalmente, sentire parte attiva nella sua passività.
Sentiva che l’uomo stava traendo piacere dal suo sesso e dalla sua sottomissione, confermata dal piede della moglie sulla sua faccia, schiacciata sul pavimento, sotto la scarpa, ignara di ciò che sarebbe accaduto dopo, interessata alla sensazione più che ai fatti.
Alfredo la scopò, inizialmente in maniera controllata, per assaporare il suo sesso bagnato, per sentire il cazzo che entrava e sfregava sui lati della figa stretta, che a lui tanto piaceva. Il ritmo prese ad essere incalzante in maniera proporzionale all’approssimarsi dell’orgasmo, procurato dalla scopata ma anche dal possesso di quel corpo, che sentiva già suo.
Gli ultimi colpi vennero dati mentre i fianchi della “cosa” erano tenuti stretti, con forza, volendo anche farle male mentre la faceva sentire tenuta, bloccata, usata.
Le godette dentro, in maniera liberatoria, per andare poi a sedersi, appagato.
Senza bisogno di ordine, la schiava andò a pulire il cazzo del Padrone dopo che Giulia ebbe tolto il piede dalla sua faccia.
Giulia, rimasta alle sua spalle, iniziò a giocare con la sua figa bagnata e piena dello sperma dell’uomo. Con la punta della scarpa le passava sulla fessura e, a volte, gliela infilava dentro.
Le faceva male in quanto non usava alcuna cura, pensando, evidentemente, solo al proprio divertimento.
“Puliscimi la scarpa”.
L’ordine le giunse quando, dopo avere pulito bene il cazzo, non sapendo come comportarsi, aveva appoggiato la fronte a terra, ai piedi di Alfredo, mentre la donna era tornata a sedersi.
Ada era eccitata e pulì la scarpa sulla gamba accavallata, quasi come se stesse facendo un pompino, infilando anche in bocca la punta tutta sporca dallo sperma.
Giulia era una donna di mezza età, probabilmente molto bella da giovane ma ora leggermente appesantita.
Aveva cosce piene, matronali.
La schiava si chiese il motivo per il quale non le ordinò di leccarle la figa. Le impose, invece, di toglierle la scarpa e di leccarle il piede, che pretese di infilarglielo in bocca, spingendo il più possibile.
Anche il piede aveva perso la magrezza della gioventù. Era pieno ma non tanto da non penetrare bene la bocca fino ad arrivare fino alla gola.
Se avesse alzato gli occhi avrebbe visto lo sguardo della Padrona divertito per i suoi sforzi e la sua umiliazione.
Ripensando a quei momenti, mentre si preparava per andare da loro, si eccitò nuovamente, provando ancora la sensazione avvertita quel giorno. Erano riusciti a farla sentire una cosa, un oggetto, con tutte le conseguenze del caso, che sapeva sarebbero arrivate, dopo l’iniziale eccitazione.
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