La visita alla cagna
di
Kugher
genere
sadomaso
Franco aprì la porta di casa e si vide davanti tre poliziotti in divisa. Il quarto era rimasto sull’auto parcheggiata in cortile con i lampeggianti accesi.
Ne fu sorpreso ma, superato il primo momento, li accolse col sorriso di chi non ha nulla da temere.
Gli agenti, stupiti per la serenità dimostrata dall’uomo, entrarono e, mentre si dirigevano in sala, diedero un’occhiata nei limiti dell’assenza di un mandato. Notarono molti scaffali pieni di libri ed uno, con la copertina rigida, aperto sul tavolino accanto alla poltrona, vicino alla tazzina vuota del caffè.
Franco, pur in abbagliamento casalingo, era vestito bene e curato nell'aspetto.
Le note di Chopin riempivano l’ambiente. Abbassò il volume per poter discorrere tranquillamente.
Gli agenti vollero vedere la carta di identità per identificarlo e ne presero nota sui moduli ministeriali.
“In cosa posso aiutarvi?”
“Ci è arrivata una segnalazione secondo la quale lei tiene una donna in catene”.
“Sì, è vero. E’ la mia cagna”.
Lo fissarono sbalorditi. Si aspettavano una smentita ed erano pronti ad una azione diversa.
“Ci conduca da lei”.
Gli agenti erano tesi e guardinghi perché la segnalazione era grave. Posarono la mano sulla pistola senza estrarla, più per istinto che per temuta reazione dell’uomo che, invece, si era dimostrato molto collaborativo e sereno.
Uscirono nuovamente in cortile e si diressero verso una casetta in legno che era evidentemente una cuccia molto grande.
“Anna, vieni”.
Dalla cuccia uscì, a 4 zampe, una donna alla quale i poliziotti diedero circa 30 anni. Era nuda. Aveva un collare in acciaio al quale era fissata con un lucchetto una catena la cui altra estremità era fissata con altro lucchetto alla parete della casetta di legno.
Non era lunghissima ma le consentiva di avere un minimo di agio per muoversi.
Intimorita dagli agenti si avvicinò alle gambe di Franco guardandolo con lo sguardo di chi si scopre spiata dalla finestra durante un momento che viene considerato afferente alla propria sfera intima, sessuale.
Il Padrone le diede una carezza tranquilla, volta a comunicarle che non avrebbe dovuto sentirsi in colpa di nulla e che la situazione andava affrontata con tranquillità.
“Questi signori sono qui per te e stanno solo facendo il loro lavoro. Qualcuno ha segnalato la tua presenza in catene”.
Anna baciò la mano all’uomo e chinò il viso a terra facendolo strisciare dalle ginocchia fino ai piedi come fosse una carezza.
Il gesto confuse gli uomini dell’Ordine in quanto era incompatibile con un’ipotesi di costrizione, lasciando intendere il consenso.
“Signora si alzi per cortesia. Signore, le tolga la catena”.
Franco, che aveva preso le chiavi del lucchetto prima di uscire da casa, la liberò ma la ragazza rimase ferma.
“Signora si alzi, è libera”.
“Non voglio alzarmi. Lui è il mio Padrone ed io sono la sua cagna”.
Un agente cercò di prenderla per un braccio ma la donna resistette.
“Questo è il posto che ho scelto e qui voglio stare”.
Franco era tranquillo.
“Signori, io mi allontano per lasciarvi liberi di fare ad Anna tutte le domande che ritenete”.
Si allontanò raccomandando alla donna, che era rimasta a terra, di rispondere tranquillamente a tutto ciò che le avessero chiesto.
“Vi aspetto in casa con i documenti di Anna”.
Tornarono mezz’ora dopo e a verbale segnarono gli estremi dei documenti.
“Sembra che la donna sia qui di sua volontà e che tragga piacere dall’essere la sua cagna”.
Gli agenti mostravano, nella loro perplessità, un atteggiamento più rilassato rispetto a quello col quale avevano inizialmente suonato il campanello.
“Le dovremo mandare qualcuno dal reparto di psichiatria. Li abbiamo sentiti al telefono e stanno arrivando. Noi restiamo qui fuori ad attenderli”.
“Va bene, farò trovare Anna in casa, così almeno starà comodo per parlare e non fuori in piedi al sole caldo. Se volete stare qui anche voi non c’è problema”.
Aspettarono fuori per mettersi a tutte le uscite.
Qualche minuto dopo, gli agenti videro Franco dirigersi verso la cuccia. Stettero attenti ai suoi movimenti ma non ce ne fu bisogno avendo percepito in quella strana coppia serenità e tranquillità.
L’uomo legò al collare un guinzaglio di catena e condusse la donna in casa.
La cagna era agitata e, in casa, si accucciò ai piedi del Padrone seduto in poltrona fino all’arrivo della psichiatra.
Era una donna sui 45 anni, abbastanza anonima. I capelli erano ordinatamente raccolti sul capo.
Col pregiudizio del sapere convenzionale che riduce a schemi sociali, la psichiatra squadrò Franco come un criminale, pensando che, oltre alla donna, avrebbe dovuto analizzare anche lui.
Con una certa preoccupazione osservò i poliziotti uscire da casa, quasi la lasciassero con una persona che avrebbe potuto mettere in pericolo la sua incolumità.
Il poliziotto a capo della squadra la tranquillizzò, informandola che Franco era stato collaborativo e non aveva manifestato segni di aggressività.
In ogni caso, per sua tranquillità e sicurezza, sarebbero stati appena fuori dalla porta che non sarebbe stata chiusa a chiave.
La psichiatra trovò quella donna accucciata a terra. Non appena Franco si sedette la cagna appoggiò il viso sui suoi piedi.
Il Padrone si abbassò per dare una carezza sulla testa e si mise a parlare con quella donna di mezza età, vestita in modo scialbo. Non poté non osservare come quegli occhiali con la grossa montatura le stessero male.
Il medico guardava alternativamente l’una e l’altro con la mente proiettata agli studi sui manuali e sulle riviste.
Luisa volle parlare sola con Anna che, come qualche ora prima, si rifiutò di alzarsi.
“Gliel’ha ordinato lei di non alzarsi?”.
“No, dottoressa, è una esigenza sua. Non appena sarò uscito glielo potrà tranquillamente chiedere e, soprattutto, ascoltare per ciò che ha da dire e non per ciò che lei vorrebbe sentirsi dire”.
“E’ molto più giovane di lei”
“Come tante altre coppie”.
Franco si allontanò in modo da lasciare Luisa ed Anna a colloquio.
Passò oltre un’ora quando la dottoressa fece capolino oltre la porta, invitando Franco a rientrare.
“Le ho fatto tutti i test previsti dal protocollo e le risposte hanno confermato che trattasi di donna in pieno possesso delle sue facoltà mentali”.
Approfittando del rilassamento del medico, confortata anche dalla non pericolosità dell’uomo, Franco decise di fare una forzatura.
“Anna, ringrazia la dottoressa per la visita, su, come ti ho insegnato”.
La cagna alzò la testa per guardarlo, perplessa, ma obbedì. Così, a 4 zampe, raggiunse la signora e cominciò a leccarle i piedi.
La donna inizialmente si mostrò contrariata ma non si mosse né allontanò la schiava dai suoi piedi.
Dopo avere manifestato una finta ritrosia dettata dal ruolo, la lasciò fare, senza riuscire a nascondere un certo rossore, segno di imbarazzo ma anche di piacere.
“Dottoressa, si alzi la gonna, si faccia leccare, è molto brava la mia cagna”.
La forza della resistenza mostrata divenne minore via via che la schiava, con la lingua, saliva verso l’interno delle cosce.
La cagna arrivò al limitar delle mutandine assistendo all’istintivo allargamento delle gambe per consentire il lavoro di lingua nella parte sensibile della sua femminilità.
La dottoressa, senza più alcun imbarazzo, stava tenendo lo stesso comportamento per la cui valutazione era stata chiamata dalle forze dell’ordine.
La cagna era davvero brava con la lingua ed in breve la portò all’orgasmo.
“Vieni Anna, ti riporto in cuccia, la dottoressa ha terminato il suo lavoro”.
Ne fu sorpreso ma, superato il primo momento, li accolse col sorriso di chi non ha nulla da temere.
Gli agenti, stupiti per la serenità dimostrata dall’uomo, entrarono e, mentre si dirigevano in sala, diedero un’occhiata nei limiti dell’assenza di un mandato. Notarono molti scaffali pieni di libri ed uno, con la copertina rigida, aperto sul tavolino accanto alla poltrona, vicino alla tazzina vuota del caffè.
Franco, pur in abbagliamento casalingo, era vestito bene e curato nell'aspetto.
Le note di Chopin riempivano l’ambiente. Abbassò il volume per poter discorrere tranquillamente.
Gli agenti vollero vedere la carta di identità per identificarlo e ne presero nota sui moduli ministeriali.
“In cosa posso aiutarvi?”
“Ci è arrivata una segnalazione secondo la quale lei tiene una donna in catene”.
“Sì, è vero. E’ la mia cagna”.
Lo fissarono sbalorditi. Si aspettavano una smentita ed erano pronti ad una azione diversa.
“Ci conduca da lei”.
Gli agenti erano tesi e guardinghi perché la segnalazione era grave. Posarono la mano sulla pistola senza estrarla, più per istinto che per temuta reazione dell’uomo che, invece, si era dimostrato molto collaborativo e sereno.
Uscirono nuovamente in cortile e si diressero verso una casetta in legno che era evidentemente una cuccia molto grande.
“Anna, vieni”.
Dalla cuccia uscì, a 4 zampe, una donna alla quale i poliziotti diedero circa 30 anni. Era nuda. Aveva un collare in acciaio al quale era fissata con un lucchetto una catena la cui altra estremità era fissata con altro lucchetto alla parete della casetta di legno.
Non era lunghissima ma le consentiva di avere un minimo di agio per muoversi.
Intimorita dagli agenti si avvicinò alle gambe di Franco guardandolo con lo sguardo di chi si scopre spiata dalla finestra durante un momento che viene considerato afferente alla propria sfera intima, sessuale.
Il Padrone le diede una carezza tranquilla, volta a comunicarle che non avrebbe dovuto sentirsi in colpa di nulla e che la situazione andava affrontata con tranquillità.
“Questi signori sono qui per te e stanno solo facendo il loro lavoro. Qualcuno ha segnalato la tua presenza in catene”.
Anna baciò la mano all’uomo e chinò il viso a terra facendolo strisciare dalle ginocchia fino ai piedi come fosse una carezza.
Il gesto confuse gli uomini dell’Ordine in quanto era incompatibile con un’ipotesi di costrizione, lasciando intendere il consenso.
“Signora si alzi per cortesia. Signore, le tolga la catena”.
Franco, che aveva preso le chiavi del lucchetto prima di uscire da casa, la liberò ma la ragazza rimase ferma.
“Signora si alzi, è libera”.
“Non voglio alzarmi. Lui è il mio Padrone ed io sono la sua cagna”.
Un agente cercò di prenderla per un braccio ma la donna resistette.
“Questo è il posto che ho scelto e qui voglio stare”.
Franco era tranquillo.
“Signori, io mi allontano per lasciarvi liberi di fare ad Anna tutte le domande che ritenete”.
Si allontanò raccomandando alla donna, che era rimasta a terra, di rispondere tranquillamente a tutto ciò che le avessero chiesto.
“Vi aspetto in casa con i documenti di Anna”.
Tornarono mezz’ora dopo e a verbale segnarono gli estremi dei documenti.
“Sembra che la donna sia qui di sua volontà e che tragga piacere dall’essere la sua cagna”.
Gli agenti mostravano, nella loro perplessità, un atteggiamento più rilassato rispetto a quello col quale avevano inizialmente suonato il campanello.
“Le dovremo mandare qualcuno dal reparto di psichiatria. Li abbiamo sentiti al telefono e stanno arrivando. Noi restiamo qui fuori ad attenderli”.
“Va bene, farò trovare Anna in casa, così almeno starà comodo per parlare e non fuori in piedi al sole caldo. Se volete stare qui anche voi non c’è problema”.
Aspettarono fuori per mettersi a tutte le uscite.
Qualche minuto dopo, gli agenti videro Franco dirigersi verso la cuccia. Stettero attenti ai suoi movimenti ma non ce ne fu bisogno avendo percepito in quella strana coppia serenità e tranquillità.
L’uomo legò al collare un guinzaglio di catena e condusse la donna in casa.
La cagna era agitata e, in casa, si accucciò ai piedi del Padrone seduto in poltrona fino all’arrivo della psichiatra.
Era una donna sui 45 anni, abbastanza anonima. I capelli erano ordinatamente raccolti sul capo.
Col pregiudizio del sapere convenzionale che riduce a schemi sociali, la psichiatra squadrò Franco come un criminale, pensando che, oltre alla donna, avrebbe dovuto analizzare anche lui.
Con una certa preoccupazione osservò i poliziotti uscire da casa, quasi la lasciassero con una persona che avrebbe potuto mettere in pericolo la sua incolumità.
Il poliziotto a capo della squadra la tranquillizzò, informandola che Franco era stato collaborativo e non aveva manifestato segni di aggressività.
In ogni caso, per sua tranquillità e sicurezza, sarebbero stati appena fuori dalla porta che non sarebbe stata chiusa a chiave.
La psichiatra trovò quella donna accucciata a terra. Non appena Franco si sedette la cagna appoggiò il viso sui suoi piedi.
Il Padrone si abbassò per dare una carezza sulla testa e si mise a parlare con quella donna di mezza età, vestita in modo scialbo. Non poté non osservare come quegli occhiali con la grossa montatura le stessero male.
Il medico guardava alternativamente l’una e l’altro con la mente proiettata agli studi sui manuali e sulle riviste.
Luisa volle parlare sola con Anna che, come qualche ora prima, si rifiutò di alzarsi.
“Gliel’ha ordinato lei di non alzarsi?”.
“No, dottoressa, è una esigenza sua. Non appena sarò uscito glielo potrà tranquillamente chiedere e, soprattutto, ascoltare per ciò che ha da dire e non per ciò che lei vorrebbe sentirsi dire”.
“E’ molto più giovane di lei”
“Come tante altre coppie”.
Franco si allontanò in modo da lasciare Luisa ed Anna a colloquio.
Passò oltre un’ora quando la dottoressa fece capolino oltre la porta, invitando Franco a rientrare.
“Le ho fatto tutti i test previsti dal protocollo e le risposte hanno confermato che trattasi di donna in pieno possesso delle sue facoltà mentali”.
Approfittando del rilassamento del medico, confortata anche dalla non pericolosità dell’uomo, Franco decise di fare una forzatura.
“Anna, ringrazia la dottoressa per la visita, su, come ti ho insegnato”.
La cagna alzò la testa per guardarlo, perplessa, ma obbedì. Così, a 4 zampe, raggiunse la signora e cominciò a leccarle i piedi.
La donna inizialmente si mostrò contrariata ma non si mosse né allontanò la schiava dai suoi piedi.
Dopo avere manifestato una finta ritrosia dettata dal ruolo, la lasciò fare, senza riuscire a nascondere un certo rossore, segno di imbarazzo ma anche di piacere.
“Dottoressa, si alzi la gonna, si faccia leccare, è molto brava la mia cagna”.
La forza della resistenza mostrata divenne minore via via che la schiava, con la lingua, saliva verso l’interno delle cosce.
La cagna arrivò al limitar delle mutandine assistendo all’istintivo allargamento delle gambe per consentire il lavoro di lingua nella parte sensibile della sua femminilità.
La dottoressa, senza più alcun imbarazzo, stava tenendo lo stesso comportamento per la cui valutazione era stata chiamata dalle forze dell’ordine.
La cagna era davvero brava con la lingua ed in breve la portò all’orgasmo.
“Vieni Anna, ti riporto in cuccia, la dottoressa ha terminato il suo lavoro”.
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