Gioco doppio (parte 9)

di
genere
sadomaso

Franco la prese per il guinzaglio e la trascinò in cabina, ove la legò.
I coniugi erano arrabbiati con loro stessi per avere abbassato la soglia di attenzione, rischiando così di essere scoperti.
Luisa si lasciò andare. Sempre più impaurita e convinta che l’avrebbero uccisa.
Continuò a restare docile e servile, più che altro per evitare le dolorose punizioni.
Non venne più liberata. Ogni tanto li vedeva arrivare nella cabina dove era tenuta segregata e la usavano per godere. Smisero anche di frustarla.
Lei pensava che avessero smesso perché comunque stavano ottenendo il piacere sessuale che desideravano.
In realtà loro si eccitavano con frusta, ma si stava avvicinando il momento della vendita e volevano consegnare una merce non rovinata.
Avevano di fatto concordato con l’acquirente la data e l’ora approssimativa di arrivo nel porto, il solito, quello dal quale erano partiti.
Avevano scelto quel posto perché lo conoscevano. Sapevano chi lo frequentava, quali eventuali vie di fuga, chi erano i proprietari degli yacht ormeggiati vicino, le abitudini della capitaneria.
Quel momento era molto rischioso e doveva avvenire in un luogo del quale sapevano il più possibile per limitare tutti i pericoli ai quali stavano andando incontro.
Mentre si avvicinavano sedarono la schiava in modo che non avesse reazioni.
Poco prima che entrassero in porto la rinchiusero in un baule.
Da anni si erano sempre fatti vedere mentre caricavano bagagli e provviste in un baule. In quel modo per chi li avessi visti, non vi sarebbe stato nulla di strano o di nuovo.
La ragazza era leggera. La spinsero dentro.
Appoggiarono vicino all’uscita il suo zainetto rosso, che era rimasto sempre nella cabina con la schiava.
Lo avrebbero bruciato dopo la consegna, in modo che sulla loro barca non restasse nessuna traccia che avrebbe potuto tradire la presenza della rapita. Non lo avevano appositamente gettato in mare perché avrebbe potuto emergere. Doveva sparire, così come sarebbe sparita la ragazza senza lasciare traccia alcuna.
All’arrivo in porto, videro la scena che si aspettavano, con le solite barche, le solite persone che conoscevano di vista, qualche turista che si aggirava incuriosito.
Avevano parcheggiato il grosso SUV lì vicino. Franco era andato a prenderlo. Il baule ci sarebbe stato tranquillamente. Da lì sarebbero andati in un luogo isolato per la consegna all’acquirente. Era il momento più rischioso.
Franco parcheggiò il più possibile vicino alla banchina, lasciando il motore acceso e le gemellate attive.
Un vicino di barca si era avvicinato a parlargli e lui non era riuscito ad evitarlo.
In quei momenti non bisognava destare sospetti in alcun modo, anche perchè lo yacht è associato al tempo libero ed al rilassamento e non voleva far vedere fretta o nervosismo.
Mentre lo salutava vide comparire Luigi, con la sua solita divisa della Guardia di Finanza, accompagnato dall’immancabile cane da droga, Tom.
Luigi lo vide e da lontano lo salutò.
Lo avevano messo in conto. Luigi era spessissimo lì al porto ed altre volte si erano fermati a parlare al loro arrivo. Avevano instaurato un rapporto di confidenza apposta per abbassare in lui la soglia di attenzione verso di loro.
Il finanziere si avvicinò e iniziò a parlare.
Franco non aveva timore del cane in quanto era addestrato a cercare droga, non esseri umani in un baule. Anche un’altra volta, durante una consegna, Luigi e Tom si erano fermati a parlare e nulla era stato rilevato.
Quella volta, però, il cane ebbe una reazione strana.
Si mise a tirare verso la barca sulla quale c’era ancora il baule con la schiava all’interno.
Franco ebbe un campanello di allarme ma non si preoccupò più di tanto, in quanto non avrebbe rilevato di certo la presenza di un corpo.
Luigi, invece, conoscendo il cane, assunse un fare professionale.
Franco invitò Luigi a salire a bordo, mostrandosi tranquillo, assumendo il comportamento tipico di chi non ha nulla da nascondere, sicuro del fatto che, non avendo droga a bordo, sarebbero scesi subito senza dare fastidio.
In ogni caso, alla mal parata, avrebbe cercato di sopraffare il rappresentante della Forza Pubblica ed il suo cane.
Addosso aveva la pistola, dalla quale non si separava mai in quei momenti. Non gli era mai servita ma voleva sempre essere prudente.
In quel caso ringraziò la sua cautela ed il freddo acciaio gli trasmise una sorta di calore rassicurante.
Luigi, però, era attento e preparato.
Si allontanò dall’uomo evitando di salire sulla barca e chiamò i rinforzi.
Non pensava che Franco ed Anna avrebbero potuto essere dei delinquenti e trafficanti di droga, li conosceva da anni e mai aveva avuto con loro un problema. Tuttavia la sua preparazione gli imponeva di pensare sempre al peggio.
Arrivarono altri militari e salirono sulla barca.
Franco ed Anna restarono stupiti quando videro il cane impazzire una volta vicino allo zainetto rosso.
Luigi, con i guanti, lo aprì.
Era pieno di droga!
Tutto balenò nella mente dei coniugi.
Quella puttana li aveva fregati.
Luisa pensava di usarli per trasportare droga da uno stato all’altro.
Probabilmente l’avrebbe nascosta una volta arrivata sulla barca per recuperarla in qualche modo con l’aiuto di un complice quando fossero arrivati in porto, trasferendo il rischio sui proprietari dello yacht.
Loro pensavano di essere stati fortunati nell’essere stati avvicinati da quella bella ragazza che di fatto si era messa nelle loro mani.
Avevano creduto ad un colpo di fortuna e che sarebbe bastato sedarla e rapirla dopo che spontaneamente era salita sulla loro barca.
In realtà voleva solo usarli come inconsapevoli corrieri di droga.
Nello zainetto non c’erano documenti ed i vestiti della ragazza erano stati tolti tutti.
Perquisendo l’imbarcazione i militari trovarono Luisa nel baule, per la quale era finito un incubo.
I coniugi vennero arrestati con l’accusa di traffico di droga e di riduzione in schiavitù.
Vennero sottoposti a frequenti interrogatori.
Un giorno, in carcere, due uomini avvicinarono Franco.
“Stupido coglione, noi siamo amici degli amici di Luisa”.
In quel momento Franco realizzò che Luisa non trafficava per sé stessa ma era all’interno di una organizzazione criminale, della quale, evidentemente, era solo una pedina.
Ebbe paura. Se erano riusciti ad avvicinarlo lì dentro voleva dire che era una organizzazione ramificata, che avrebbe potuto arrivare ovunque.
Al confronto, con il traffico di esseri umani loro erano pesci piccolissimi, senza una organizzazione che potesse assicurare una sorta di protezione.
“Ci avete fatto perdere un carico importante. Lo sai quanto valeva tutta quella roba, brutto bastardo?”.
La domanda venne accompagnata con un pugno nello stomaco e, una volta a terra, con un calcio.
“Alzati stronzo!”
Altro pungo nello stomaco. Franco ora era terrorizzato e gli si stavano aprendo ben altri scenari.
“Naturalmente non ti deve scappare una sola parola sulla nostra amichetta”.
Avevano timore non tanto di perdere il corriere, quanto che, una volta arrestata, Luisa avrebbe potuto raccontare molte cose.
Il rischio per l’organizzazione era abbastanza alto e avrebbero potuto perdere il loro giochetto.
“Non solo non farai nomi, ma vi assumerete la colpa anche della droga”.
Prima che potesse rispondere, gli diedero un altro pungno nello stomaco.
Franco, a terra, fece segno affermativo. Prima di allontanarsi ricevette un altro calcio.
Nell’interrogatorio del pomeriggio, l’uomo si assunse ogni responsabilità anche del traffico di droga e cominciò a fare i nomi delle altre schiave e dei loro acquirenti.
La stessa visita, con il medesimo avvertimento, venne fatta ad Anna.
Anche lei cedette subito e giurò che avrebbe confermato la versione del marito.
Le diedero comunque un paio di schiaffi.
“Brava puttana, adesso inginocchiati e facci un pompino!”.
di
scritto il
2022-04-29
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