La cosa (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Il sole iniziava a scaldare, sin dal mattino, attraversando la finestra già aperta.
Ada aveva dormito un sonno agitato. Era tesa. Lo era da quando i Padroni le avevano detto che avrebbe dovuto recarsi da loro.
Non pensava nemmeno più a Luigi che, il giorno prima, mentre era nel suo ufficio in banca, le aveva infilato la mano sotto la gonna elegante a tubino per entrare, con le dita, nella sua figa eccitata.
Luigi la eccitava, le piaceva. Ogni tanto, con quel collega proveniente da altra sede, faceva del buon sesso, che la lasciava soddisfatta. Con lui faceva sesso appassionato, deciso, eccitante, ma nulla che avesse a che fare col dominio. Non poteva pensare di essere sottomessa ad una persona con la quale sarebbe poi andata al ristorante.
Il sadomaso, per lei, era un muro: c’era “un di qua” ed “un di là”. Zone ben precise e marcate che non si potevano confondere.
Si frequentavano da quasi un anno o, meglio, da quasi un anno avevano iniziato a fare sesso, entrambi senza reciproco impegno sentimentale.
Si erano accordati per una serata nell’albergo di lui (lei voleva evitare di portarsi a casa amanti occasionali) ma, ricevuta la chiamata dai Padroni, era subentrata in lei quella tensione che la attanagliava, mista ad eccitazione.
Essere usata come una cosa era una esigenza con la quale aveva imparato a scontrarsi.
L’aveva sempre avuta quale necessità della sua anima, ma solo a maturità raggiunta l’aveva riconosciuta, conosciuta ed accettata.
Non è cosa che si possa vivere con la persona amata. Doveva essere un estraneo alla sua vita sentimentale in quanto solo questo avrebbe potuto trattarla come una cosa, un oggetto, un niente.
Un niente, proprio lei, dirigente di banca, bella e ancora giovane.
L’ultimo suo problema era quello di trovare qualcuno (o qualcuna) con il quale fare del buon sesso.
Tuttavia questa esigenza le premeva e, ogni tanto, doveva farla respirare.
Non era facile trovare qualcuno che la trattasse come lei aveva bisogno. Inevitabilmente, prima o poi, sorgeva il lato umano nel rapporto, pur senza sconfinare nel sentimento.
Da tempo era alla ricerca (peraltro non spasmodica) di qualcuno e, finalmente, quella coppia sembrava fare al caso suo.
Da oltre un anno non viveva quelle esperienze di eccitazione estrema e, adesso, era giunto il momento di soddisfarle.
Non le dispiacque, così, rinunciare alla serata di sesso con Luigi.
Si guardava allo specchio e si piaceva.
Metteva cura nella preparazione anche se, sapeva, la sua perfezione (quella che per lei era tale), sarebbe durata poco, il tempo di spogliarsi e sottomettersi.
Tuttavia le piaceva piacere. Anche se per poco, sapeva che i Padroni l’avrebbero ammirata nel suo vestito sexy, da bambolina con la quale giocare.
Loro avrebbero visto una bella cosa e lei, cosa, si sarebbe fatta vedere, sapendo che avrebbe iniziato ad appagare i Padroni seppur sotto l’iniziale aspetto estetico, cosa sempre importantissima.
In ogni caso, piacere agli altri può essere un piacere e, per lei, lo era.
Il sole le scaldava la pelle, quella scoperta dal vestito corto, attillato, che lasciava vedere gran parte delle gambe.
Anche il seno era ampiamente visibile. Non sarebbe mai potuto andare in ufficio in quel modo.
Il trucco non era forte, ma nemmeno quello tenue che avrebbe utilizzato per una sera, ad esempio, con Luigi.
Voleva evidenziare la sua parte da troia, per i Padroni, far loro vedere quella parte di sé anche attraverso quel vestito e quel trucco che, a spasso per il centro città, le avrebbe fatto provare sensazioni contrastanti: eccitazione per essere guardata, un minimo di vergogna per essere vista come una troia. ma anche questo le piaceva in quanto sapeva che chi l’avesse ammirata, avrebbe visto in lei un mero oggetto sessuale, una donna da scopare.
Ogni tanto lo faceva. Passeggiava per il centro, andava al bar da sola, magari scegliendo quei bar frequentati prevalentemente da uomini i cui sguardi, sapeva, erano tutti su di lei.
Si sentiva una cagna da monta, la facevano sentire così e le piaceva.
Non avrebbe mai scopato con uno di loro. Non aveva mai rimorchiato in un bar. Non era nemmeno mai stata in un night club.
La eccitava essere desiderata come un corpo da usare per godere.
Era una cosa che faceva nei periodi in cui non aveva un Padrone che la usasse e, così, usava quella come valvola di sfogo.
Quando tornava a casa si masturbava, eccitata e bagnata tra le cosce, con quel filo di umore che le era colato sulle gambe e che le mutandine, assenti, non avevano potuto assorbire.
Nel letto, al buio, pensava a come quegli uomini del bar l’avrebbero usata e scopata, passandosela tra loro.
Immaginava qualcuno che le godeva in bocca e si puliva il cazzo sui suoi vestiti, ridendo di lei, della sua troiaggine, mandandola via dopo che avevano goduto, perché non più utile.
L’ultima volta era stata tanto tempo addietro. Era andata a Bologna.
Non le piacevano i bar frequentati dai ragazzi. Preferiva quelli con uomini più maturi, con più esperienza e, riteneva, più porci.
Da troppo tempo non faceva sfogare quella parte di sé e quella volta aveva esagerato. Ne aveva provocati un paio e si era anche lasciata toccare.
Aveva il batticuore a mille e l’adrenalina le correva in circolo ad una velocità che la stordiva dal piacere.
Doveva avere la pressione alta sentendosi fischiare le orecchie mentre lo stomaco era in subbuglio.
Due, più coraggiosi e intraprendenti di altri, l’avevano avvicinata e lei non aveva fatto nulla per allontanarli, come faceva di solito.
Da troppo tempo quel suo lato non veniva soddisfatto e si lasciò andare, decidendo di non decidere e, quindi, restando nel locale nonostante avesse capito che la situazione stava degenerando.
Non riusciva nemmeno a smettere di provocare, benché questi, ormai, si fossero fatti troppo vicini.
La sua gonna era eccessivamente corta ed aveva fatto in modo di far notare l’assenza delle mutandine.
La trattavano da troia, quale corpo utile solo per il piacere e questo la eccitava, tanto, troppo.
Non si sottrasse quando la toccarono e, anzi, espose il culo.
La situazione iniziò a degenerare e la parte cosciente e vigile di lei se ne accorse.
Quegli uomini erano andati troppo oltre e, capiva, l’avrebbero stuprata. Erano troppo eccitati e la vedevano solo quale corpo.
Questo le diede un ultimo guizzo di eccitazione e, poi, prese il sopravvento la lucidità.
La stavano portando nel retro e lei riuscì a divincolarsi e a scappare.
Era andata oltre, troppo oltre.
A casa, la paura ormai era svanita ed aveva lasciato il posto all’eccitazione. Si masturbò, più volte tanta era l’adrenalina da scaricare.
Poi capì che la pressione interna era troppa e decise che era giunto il momento di cercare nuovamente un Padrone che la usasse per quello che lei desiderava.
Non durava mai molto un rapporto simile. Non era fatto per durare e, poi, le lasciava nell’anima sempre alcune conseguenze dovute al senso di vuoto causato dall’assenza del rapporto umano. Eppure non riusciva a resistere.
Era così da anni, ormai.
Cercava un Padrona o una Padrona. A lei interessava il lato dominante. Era appartenuta anche a qualche coppia.
Lasciava respirare quella che lei chiamava la sua parte buia fino al momento in cui doveva fermare il rapporto perché le stava scavando troppo dentro, lasciando segni profondi che arrivava a non sopportare.
Il tempo leniva quei segni fino a che, ancora, aveva bisogno di essere una cosa.
Dopo l'esperienza a Bologna cercò chi avrebbe potuto soddisfarla.
Aveva trovato quella coppia, Alfredo e Giulia.
Più anziani di lei di molti anni.
Erano una coppia, all’apparenza, unita. Questa era la sensazione avuta nel poco tempo della conoscenza. Non le importava più di tanto, comunque. A lei interessava che fossero seri ed affidabili, oltre ad avere il dominio quale esigenza speculare alla sua.
Si diede un'ultima occhiata con occhi sempre più critici.
Non riusciva mai ad essere soddisfatta al 100% ma, comunque, si trovò eccitante. Avrebbe cambiato qualcosa, il trucco avrebbe potuto essere diverso, forse le sarebbe servita una gonna ancora più corta.
Uscì per andare ad incontrare quella parte buia di sé, dove la sua storia, la sua esperienza e la sua formazione professionale ed umana sarebbero scomparse per lasciare posto solo al suo corpo, utile per soddisfare qualcun altro, come un oggetto.
Ada aveva dormito un sonno agitato. Era tesa. Lo era da quando i Padroni le avevano detto che avrebbe dovuto recarsi da loro.
Non pensava nemmeno più a Luigi che, il giorno prima, mentre era nel suo ufficio in banca, le aveva infilato la mano sotto la gonna elegante a tubino per entrare, con le dita, nella sua figa eccitata.
Luigi la eccitava, le piaceva. Ogni tanto, con quel collega proveniente da altra sede, faceva del buon sesso, che la lasciava soddisfatta. Con lui faceva sesso appassionato, deciso, eccitante, ma nulla che avesse a che fare col dominio. Non poteva pensare di essere sottomessa ad una persona con la quale sarebbe poi andata al ristorante.
Il sadomaso, per lei, era un muro: c’era “un di qua” ed “un di là”. Zone ben precise e marcate che non si potevano confondere.
Si frequentavano da quasi un anno o, meglio, da quasi un anno avevano iniziato a fare sesso, entrambi senza reciproco impegno sentimentale.
Si erano accordati per una serata nell’albergo di lui (lei voleva evitare di portarsi a casa amanti occasionali) ma, ricevuta la chiamata dai Padroni, era subentrata in lei quella tensione che la attanagliava, mista ad eccitazione.
Essere usata come una cosa era una esigenza con la quale aveva imparato a scontrarsi.
L’aveva sempre avuta quale necessità della sua anima, ma solo a maturità raggiunta l’aveva riconosciuta, conosciuta ed accettata.
Non è cosa che si possa vivere con la persona amata. Doveva essere un estraneo alla sua vita sentimentale in quanto solo questo avrebbe potuto trattarla come una cosa, un oggetto, un niente.
Un niente, proprio lei, dirigente di banca, bella e ancora giovane.
L’ultimo suo problema era quello di trovare qualcuno (o qualcuna) con il quale fare del buon sesso.
Tuttavia questa esigenza le premeva e, ogni tanto, doveva farla respirare.
Non era facile trovare qualcuno che la trattasse come lei aveva bisogno. Inevitabilmente, prima o poi, sorgeva il lato umano nel rapporto, pur senza sconfinare nel sentimento.
Da tempo era alla ricerca (peraltro non spasmodica) di qualcuno e, finalmente, quella coppia sembrava fare al caso suo.
Da oltre un anno non viveva quelle esperienze di eccitazione estrema e, adesso, era giunto il momento di soddisfarle.
Non le dispiacque, così, rinunciare alla serata di sesso con Luigi.
Si guardava allo specchio e si piaceva.
Metteva cura nella preparazione anche se, sapeva, la sua perfezione (quella che per lei era tale), sarebbe durata poco, il tempo di spogliarsi e sottomettersi.
Tuttavia le piaceva piacere. Anche se per poco, sapeva che i Padroni l’avrebbero ammirata nel suo vestito sexy, da bambolina con la quale giocare.
Loro avrebbero visto una bella cosa e lei, cosa, si sarebbe fatta vedere, sapendo che avrebbe iniziato ad appagare i Padroni seppur sotto l’iniziale aspetto estetico, cosa sempre importantissima.
In ogni caso, piacere agli altri può essere un piacere e, per lei, lo era.
Il sole le scaldava la pelle, quella scoperta dal vestito corto, attillato, che lasciava vedere gran parte delle gambe.
Anche il seno era ampiamente visibile. Non sarebbe mai potuto andare in ufficio in quel modo.
Il trucco non era forte, ma nemmeno quello tenue che avrebbe utilizzato per una sera, ad esempio, con Luigi.
Voleva evidenziare la sua parte da troia, per i Padroni, far loro vedere quella parte di sé anche attraverso quel vestito e quel trucco che, a spasso per il centro città, le avrebbe fatto provare sensazioni contrastanti: eccitazione per essere guardata, un minimo di vergogna per essere vista come una troia. ma anche questo le piaceva in quanto sapeva che chi l’avesse ammirata, avrebbe visto in lei un mero oggetto sessuale, una donna da scopare.
Ogni tanto lo faceva. Passeggiava per il centro, andava al bar da sola, magari scegliendo quei bar frequentati prevalentemente da uomini i cui sguardi, sapeva, erano tutti su di lei.
Si sentiva una cagna da monta, la facevano sentire così e le piaceva.
Non avrebbe mai scopato con uno di loro. Non aveva mai rimorchiato in un bar. Non era nemmeno mai stata in un night club.
La eccitava essere desiderata come un corpo da usare per godere.
Era una cosa che faceva nei periodi in cui non aveva un Padrone che la usasse e, così, usava quella come valvola di sfogo.
Quando tornava a casa si masturbava, eccitata e bagnata tra le cosce, con quel filo di umore che le era colato sulle gambe e che le mutandine, assenti, non avevano potuto assorbire.
Nel letto, al buio, pensava a come quegli uomini del bar l’avrebbero usata e scopata, passandosela tra loro.
Immaginava qualcuno che le godeva in bocca e si puliva il cazzo sui suoi vestiti, ridendo di lei, della sua troiaggine, mandandola via dopo che avevano goduto, perché non più utile.
L’ultima volta era stata tanto tempo addietro. Era andata a Bologna.
Non le piacevano i bar frequentati dai ragazzi. Preferiva quelli con uomini più maturi, con più esperienza e, riteneva, più porci.
Da troppo tempo non faceva sfogare quella parte di sé e quella volta aveva esagerato. Ne aveva provocati un paio e si era anche lasciata toccare.
Aveva il batticuore a mille e l’adrenalina le correva in circolo ad una velocità che la stordiva dal piacere.
Doveva avere la pressione alta sentendosi fischiare le orecchie mentre lo stomaco era in subbuglio.
Due, più coraggiosi e intraprendenti di altri, l’avevano avvicinata e lei non aveva fatto nulla per allontanarli, come faceva di solito.
Da troppo tempo quel suo lato non veniva soddisfatto e si lasciò andare, decidendo di non decidere e, quindi, restando nel locale nonostante avesse capito che la situazione stava degenerando.
Non riusciva nemmeno a smettere di provocare, benché questi, ormai, si fossero fatti troppo vicini.
La sua gonna era eccessivamente corta ed aveva fatto in modo di far notare l’assenza delle mutandine.
La trattavano da troia, quale corpo utile solo per il piacere e questo la eccitava, tanto, troppo.
Non si sottrasse quando la toccarono e, anzi, espose il culo.
La situazione iniziò a degenerare e la parte cosciente e vigile di lei se ne accorse.
Quegli uomini erano andati troppo oltre e, capiva, l’avrebbero stuprata. Erano troppo eccitati e la vedevano solo quale corpo.
Questo le diede un ultimo guizzo di eccitazione e, poi, prese il sopravvento la lucidità.
La stavano portando nel retro e lei riuscì a divincolarsi e a scappare.
Era andata oltre, troppo oltre.
A casa, la paura ormai era svanita ed aveva lasciato il posto all’eccitazione. Si masturbò, più volte tanta era l’adrenalina da scaricare.
Poi capì che la pressione interna era troppa e decise che era giunto il momento di cercare nuovamente un Padrone che la usasse per quello che lei desiderava.
Non durava mai molto un rapporto simile. Non era fatto per durare e, poi, le lasciava nell’anima sempre alcune conseguenze dovute al senso di vuoto causato dall’assenza del rapporto umano. Eppure non riusciva a resistere.
Era così da anni, ormai.
Cercava un Padrona o una Padrona. A lei interessava il lato dominante. Era appartenuta anche a qualche coppia.
Lasciava respirare quella che lei chiamava la sua parte buia fino al momento in cui doveva fermare il rapporto perché le stava scavando troppo dentro, lasciando segni profondi che arrivava a non sopportare.
Il tempo leniva quei segni fino a che, ancora, aveva bisogno di essere una cosa.
Dopo l'esperienza a Bologna cercò chi avrebbe potuto soddisfarla.
Aveva trovato quella coppia, Alfredo e Giulia.
Più anziani di lei di molti anni.
Erano una coppia, all’apparenza, unita. Questa era la sensazione avuta nel poco tempo della conoscenza. Non le importava più di tanto, comunque. A lei interessava che fossero seri ed affidabili, oltre ad avere il dominio quale esigenza speculare alla sua.
Si diede un'ultima occhiata con occhi sempre più critici.
Non riusciva mai ad essere soddisfatta al 100% ma, comunque, si trovò eccitante. Avrebbe cambiato qualcosa, il trucco avrebbe potuto essere diverso, forse le sarebbe servita una gonna ancora più corta.
Uscì per andare ad incontrare quella parte buia di sé, dove la sua storia, la sua esperienza e la sua formazione professionale ed umana sarebbero scomparse per lasciare posto solo al suo corpo, utile per soddisfare qualcun altro, come un oggetto.
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