Elena ed io
di
Laura023
genere
sentimentali
L’acqua fresca sulla pelle mia e di Elena era qualcosa di incredibilmente piacevole durante la calda giornata che stavamo trascorrendo in piscina. Suo papà ci aveva comprato dei buoni proprio in vista di quell’estate torrida ed era sempre stato felice di invitarmi per tenere compagnia alla propria figlia durante le vacanze estive che lui, in ogni caso, avrebbe passato spesso al lavoro. Dopotutto una cosa era l’estate per due ragazze che avevano appena terminato le superiori, un’altra era per una persona adulta che, nonostante i quasi quaranta gradi, era costretto a lavorare.
Elena sarebbe stata molto sola senza di me, si sarebbe annoiata a morte in quella piscina molto distante dal centro e circondata più che altro da campi. Rimanevamo sole per ore con pochi obblighi se non quello di non distruggere qualcosa. Il papà di Elena era abbastanza permissivo e ci lasciava tranquille senza pretendere di ricevere messaggi ogni dieci minuti.
Sole sole, senza nessuno a controllarci. La pelle bagnata dalle gocce veniva accarezzata quando queste scorrevano lungo il nostro corpo. Qualche settimana prima, Elena aveva iniziato un piccolo gioco con me. mi passava un dito sulla pelle umida, raccoglieva un po’ di rugiada e la assaggiava appoggiandola sulla lingua. Poi, dopo qualche verso di apprezzamento, provava a mordicchiarmi come se mi volesse mangiare. Un semplice gioco.
Cominciava sempre dalla spalla, molto leggera per provocarmi una reazione di finta paura. Io mi mettevo a ridere all’inizio. Al secondo morso cominciavo a percepire il suo calore, al terzo la sua lingua toccava per un secondo la mia pelle. Il sapore salato veniva smorzato dall’acqua della piscina. Aveva iniziato con la spalla, ma ogni volta cambiava il punto in cui i denti affondavano. Subito le bastò il braccio, poi venne la mano, poi la schiena. Si avvicinava di volta in volta in zone sempre meno adatte a rendere un morso innocente. Le risate erano sempre più sostituite da lunghi silenzi, borbottii e…
Quel giorno aveva molta fame. Non aveva tolto gli occhi di dosso da me per tutto il tempo. Non vedeva l’ora che suo papà ci lasciasse sole, ogni istante di attesa sembrava torturarla. Ora però non c’era nessuno. Chiuse gli occhi ed ascoltò il silenzio e l’isolamento in cui eravamo abbandonate. Io forse avevo capito qualcosa, ma molto male, perché mi avvicinai per sapere come stava.
Puntò subito al collo stavolta. Aveva impiegato mesi per osare, per vincere la paura di essere respinta. Ma adesso, sapendo che non l’avevo fatta fermare la prima volta, aveva tutto il diritto di prendermi alla gola. Io rimasi bloccata come il mio fiato strozzato in un grido di dolore. Sentiva già il mio sapore sgocciolarmi dalla sua bocca al mio collo bagnato. La spinsi via di colpo. I suoi occhi erano strani, i miei dovevano essere terrorizzati. Non l’avevo mai fermata, ma, sentendo il mio collo segnato dai suoi denti, poteva sicuramente capire il perché: stavolta mi aveva fatto davvero male. Abbassò lo sguardo.
Io, però, forse dispiaciuta per la mia reazione, tornai da lei per abbracciarla. Le rassicurai che non ero arrabbiata, mi ero solo spaventata per un istante. I nostri visi si toccavano. Le sue labbra mi diedero un bacio sulla guancia, troppo vicino alla bocca. Mi strinse, spostai il viso di pochi centimetri e la baciai anch’io percependo quella morbidezza leggermente umida. Non venni respinta.
Continuò a mordermi, con più gentilezza, mentre le mani un po’ accarezzavano ed un po’ aggredivano il mio esile corpo. Inutile passare dalle spalle: scelse subito altre zone molto più pericolose. Aveva gli occhi chiusi, mordeva ed assaggiava il mio corpo, a volte osava baciarlo. Io non respiravo, mi mancava il fiato. Non so chi sia stato, se io o lei, ma il costume mi scivolò velocemente dal corpo. Non era facile capire la differenza tra la pelle del petto e quella del suo seno molto pronunciato, dopotutto a differenza sua, non ero ancora sviluppata per nulla e non avevo un bel corpo nonostante fossi già grande, ma in ogni caso non le sarebbe importato. Mi abbracciò forte mentre mi mordeva, spinse il suo corpo contro il mio quando mi baciò il capezzolo destro.
Io avevo subito fino a quel momento, ma il suo desiderio cresceva tanto da spingermi al mio posto con forza e fermezza che non le riconoscevo, mise le mie mani sul suo costume per toglierlo via in un gesto deciso. Mi prese dalle spalle, spinse il suo petto contro il mio e mi bacio violentemente. Le sue mani accarezzavano decise la mia schiena fino al sedere. Mi cominciò a togliere anche quel pezzo di costume ed io, timidamente, feci lo stesso a lei.
Eravamo completamente nude, sole, immerse nell’acqua fresca ed abbracciate l’una all’altra. I nostri seni premevano l’uno contro l’altro, le nostre gambe si erano quasi intrecciate così che entrambe eravamo a cavalcioni della coscia dell’altra. La sua pelle liscia strusciava contro la mia, il nostro abbraccio non era più innocente, il desiderio verso l’altra cresceva ma non sapevamo come si potesse esprimere, non ancora.
Riprese a baciarmi il corpo, a morderlo. Era difficile ora che eravamo allacciate. I miei versi nascondevano sempre di meno il piacere che provavo, sembrava volermi stringere fino a rompere le mie fragili ossa. Nessuna delle due apriva gli occhi, o almeno credo, non volevamo sentire il profondo imbarazzo che avremmo percepito a far uscire dai sensi ciò che facevamo. Non sapevamo nemmeno dargli un nome o meglio, non volevamo, solo che era qualcosa da nascondere e tenere segreto. Non lo avremmo detto a nessuno.
Il cuore batteva, il corpo fremeva ad entrambe. Non bastava l’innocenza a fermare quell’istinto che ci guidava al piacere, non bastava la vergogna a rendere meno forti i nostri gemiti o a frenare il movimento dei nostri fianchi. Un lungo bacio ad occhi chiusi accompagnava il ritmo sempre più serrato con cui strusciavamo il pube contro la gamba dell’altra. Un piacere familiare diventava sempre più presente nella mia e nella sua mente, il piacere che avevo sperimentato solo nel buio della mia stanzetta o pensando a Davide. Elena no. Elena aveva già più esperienza in questi giochi, almeno credo, da sola, ed era più spaventata ed assieme più violenta di quanto fossi io. Lei accelerò all’improvviso, ansimò più forte. Premetti la gamba contro di lei e la feci trasalire. Lei spinse e si strisciò con più forza ancora. Era bagnata dall’acqua e dagli umori, scivolava facilmente mentre percepivo le sue labbra aprirsi per la prima volta in quel modo particolare e raccogliere sangue e calore. Si bloccò un istante, ebbe uno spasmo in avanti e, staccando le labbra da me fece uscire un grido dal profondo del corpo. Mi strinse. La sentivo provare gli spasmi del suo “primo” indimenticabile orgasmo.
La dolcezza con cui mi stringeva e tentava di formulare scuse per le sue colpe mi fecero dimenticare per i minuti in cui la consolai quanto la desiderassi e quanto fossi ancora bisognosa di venire soddisfatta. Ma nel giro di un’ora, non avrei potuto più lamentarmi.
Elena sarebbe stata molto sola senza di me, si sarebbe annoiata a morte in quella piscina molto distante dal centro e circondata più che altro da campi. Rimanevamo sole per ore con pochi obblighi se non quello di non distruggere qualcosa. Il papà di Elena era abbastanza permissivo e ci lasciava tranquille senza pretendere di ricevere messaggi ogni dieci minuti.
Sole sole, senza nessuno a controllarci. La pelle bagnata dalle gocce veniva accarezzata quando queste scorrevano lungo il nostro corpo. Qualche settimana prima, Elena aveva iniziato un piccolo gioco con me. mi passava un dito sulla pelle umida, raccoglieva un po’ di rugiada e la assaggiava appoggiandola sulla lingua. Poi, dopo qualche verso di apprezzamento, provava a mordicchiarmi come se mi volesse mangiare. Un semplice gioco.
Cominciava sempre dalla spalla, molto leggera per provocarmi una reazione di finta paura. Io mi mettevo a ridere all’inizio. Al secondo morso cominciavo a percepire il suo calore, al terzo la sua lingua toccava per un secondo la mia pelle. Il sapore salato veniva smorzato dall’acqua della piscina. Aveva iniziato con la spalla, ma ogni volta cambiava il punto in cui i denti affondavano. Subito le bastò il braccio, poi venne la mano, poi la schiena. Si avvicinava di volta in volta in zone sempre meno adatte a rendere un morso innocente. Le risate erano sempre più sostituite da lunghi silenzi, borbottii e…
Quel giorno aveva molta fame. Non aveva tolto gli occhi di dosso da me per tutto il tempo. Non vedeva l’ora che suo papà ci lasciasse sole, ogni istante di attesa sembrava torturarla. Ora però non c’era nessuno. Chiuse gli occhi ed ascoltò il silenzio e l’isolamento in cui eravamo abbandonate. Io forse avevo capito qualcosa, ma molto male, perché mi avvicinai per sapere come stava.
Puntò subito al collo stavolta. Aveva impiegato mesi per osare, per vincere la paura di essere respinta. Ma adesso, sapendo che non l’avevo fatta fermare la prima volta, aveva tutto il diritto di prendermi alla gola. Io rimasi bloccata come il mio fiato strozzato in un grido di dolore. Sentiva già il mio sapore sgocciolarmi dalla sua bocca al mio collo bagnato. La spinsi via di colpo. I suoi occhi erano strani, i miei dovevano essere terrorizzati. Non l’avevo mai fermata, ma, sentendo il mio collo segnato dai suoi denti, poteva sicuramente capire il perché: stavolta mi aveva fatto davvero male. Abbassò lo sguardo.
Io, però, forse dispiaciuta per la mia reazione, tornai da lei per abbracciarla. Le rassicurai che non ero arrabbiata, mi ero solo spaventata per un istante. I nostri visi si toccavano. Le sue labbra mi diedero un bacio sulla guancia, troppo vicino alla bocca. Mi strinse, spostai il viso di pochi centimetri e la baciai anch’io percependo quella morbidezza leggermente umida. Non venni respinta.
Continuò a mordermi, con più gentilezza, mentre le mani un po’ accarezzavano ed un po’ aggredivano il mio esile corpo. Inutile passare dalle spalle: scelse subito altre zone molto più pericolose. Aveva gli occhi chiusi, mordeva ed assaggiava il mio corpo, a volte osava baciarlo. Io non respiravo, mi mancava il fiato. Non so chi sia stato, se io o lei, ma il costume mi scivolò velocemente dal corpo. Non era facile capire la differenza tra la pelle del petto e quella del suo seno molto pronunciato, dopotutto a differenza sua, non ero ancora sviluppata per nulla e non avevo un bel corpo nonostante fossi già grande, ma in ogni caso non le sarebbe importato. Mi abbracciò forte mentre mi mordeva, spinse il suo corpo contro il mio quando mi baciò il capezzolo destro.
Io avevo subito fino a quel momento, ma il suo desiderio cresceva tanto da spingermi al mio posto con forza e fermezza che non le riconoscevo, mise le mie mani sul suo costume per toglierlo via in un gesto deciso. Mi prese dalle spalle, spinse il suo petto contro il mio e mi bacio violentemente. Le sue mani accarezzavano decise la mia schiena fino al sedere. Mi cominciò a togliere anche quel pezzo di costume ed io, timidamente, feci lo stesso a lei.
Eravamo completamente nude, sole, immerse nell’acqua fresca ed abbracciate l’una all’altra. I nostri seni premevano l’uno contro l’altro, le nostre gambe si erano quasi intrecciate così che entrambe eravamo a cavalcioni della coscia dell’altra. La sua pelle liscia strusciava contro la mia, il nostro abbraccio non era più innocente, il desiderio verso l’altra cresceva ma non sapevamo come si potesse esprimere, non ancora.
Riprese a baciarmi il corpo, a morderlo. Era difficile ora che eravamo allacciate. I miei versi nascondevano sempre di meno il piacere che provavo, sembrava volermi stringere fino a rompere le mie fragili ossa. Nessuna delle due apriva gli occhi, o almeno credo, non volevamo sentire il profondo imbarazzo che avremmo percepito a far uscire dai sensi ciò che facevamo. Non sapevamo nemmeno dargli un nome o meglio, non volevamo, solo che era qualcosa da nascondere e tenere segreto. Non lo avremmo detto a nessuno.
Il cuore batteva, il corpo fremeva ad entrambe. Non bastava l’innocenza a fermare quell’istinto che ci guidava al piacere, non bastava la vergogna a rendere meno forti i nostri gemiti o a frenare il movimento dei nostri fianchi. Un lungo bacio ad occhi chiusi accompagnava il ritmo sempre più serrato con cui strusciavamo il pube contro la gamba dell’altra. Un piacere familiare diventava sempre più presente nella mia e nella sua mente, il piacere che avevo sperimentato solo nel buio della mia stanzetta o pensando a Davide. Elena no. Elena aveva già più esperienza in questi giochi, almeno credo, da sola, ed era più spaventata ed assieme più violenta di quanto fossi io. Lei accelerò all’improvviso, ansimò più forte. Premetti la gamba contro di lei e la feci trasalire. Lei spinse e si strisciò con più forza ancora. Era bagnata dall’acqua e dagli umori, scivolava facilmente mentre percepivo le sue labbra aprirsi per la prima volta in quel modo particolare e raccogliere sangue e calore. Si bloccò un istante, ebbe uno spasmo in avanti e, staccando le labbra da me fece uscire un grido dal profondo del corpo. Mi strinse. La sentivo provare gli spasmi del suo “primo” indimenticabile orgasmo.
La dolcezza con cui mi stringeva e tentava di formulare scuse per le sue colpe mi fecero dimenticare per i minuti in cui la consolai quanto la desiderassi e quanto fossi ancora bisognosa di venire soddisfatta. Ma nel giro di un’ora, non avrei potuto più lamentarmi.
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