Memorie dal grand'hotel VII°

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MEMORIE DAL GRAND’HOTEL VII°

NEL FRATTEMPO, Anabel Blanco si sentiva sopra una graticola sotto la quale il fuoco andava gradatamente alimentandosi. Alfred Brengot, allo scopo di tacitare sospetti e malumori nati dal suo agire piuttosto contraddittorio, aveva promesso che un “alto ufficiale”, del quale per il momento non poteva fare il nome –per il SOE era ormai un segreto di Pulcinella-, lo avrebbe chiamato per telefono. Di lì a qualche giorno, infatti, c’era stata una telefonata, ma dello stesso Brengot, per spiegare che una “spiegazione” telefonica non era ritenuta abbastanza sicura, al momento, e doveva essere rinviata di un paio di giorni, per motivi “tecnici”, che avrebbe spiegato meglio. Andava comunque tutto bene, solo questione di prudenza ... e sicurezza. Bastava spiegarsi, no?! Non andava invece niente bene. Anabel doveva parlare con Juan, assolutamente, ma il suo Gil non era attivo. Non le restava che rivolgersi a chi probabilmente era in comunicazione con lui, in qualche altro modo: Karen, per prima, Juan non era capace di restare più di ventiquattrore senza parlare con Jane o avere sue notizie, salvo cause di forza maggiore. Irraggiungibile anche Karen ... però, in Libano la situazione si stava facendo sempre più critica ... quindi. Anabel si faceva ancora una colpa che, al suo arrivo, Karen aveva lasciato il SOE, complicando i contatti, e soprattutto le visite di Juan a Jane. Bojana Tralijc del GDS, e Moses Lehman della PETRAC stavano soffiandole a suon di bigliettoni il progetto “the Dome”. Chi altri, che conoscesse entrambi, e entrambi ritenessero fidato poteva aiutarla? Non si era mai sentita così sola, e non ne vedeva il motivo. Aveva accelerato i tempi, aveva sveltito le procedure, e tutto stava andando storto. Il senso di solitudine le provocava ansia; anzi, era l'origine di ogni sua ansia. Essere sola significava essere indifesa, incapace di penetrare attivamente nel mondo che la circondava. Che era già di per sé un mondo difficile, complicato e infido. Forse a spingerla verso Juan, e Juan verso di lei, era stato solo questo profondo bisogno di superare l'isolamento, di evadere dalla prigione della propria solitudine. L'impossibilità di raggiungere questo scopo era sembrato poterla portare alla pazzia, poiché il panico della completa separazione poteva essere vinto solo da un isolamento dal mondo esterno così totale da cancellarlo, quel mondo esterno dal quale si sentiva separata, e far scomparire il senso di separazione. Un po’ come per Irina, ma al contrario. Messi di fronte alla soluzione, all’eterno problema di come superare la solitudine e raggiungere l'unione, avevano risposto con l’esercizio della sessualità. La soluzione sessuale, entro certi limiti, era stata un modo naturale e normale di superare la separazione, ed era una soluzione parziale al problema dell'isolamento. Ma Juan si era rivelato un individuo per il quale la solitudine non poteva essere superata in nessun modo. L’esercizio dell'attività sessuale aveva, per lui, la funzione di dipendenza e assuefazione. Coazione a ripetere sempre di più, e in “dosi” maggiori, con maggior frequenza. Era un tentativo disperato di sfuggire all'ansia suscitata dalla separazione, e il suo risultato era, invece, un sempre crescente senso d'isolamento, poiché l'atto sessuale, senza amore, non riempiva mai il baratro che divideva due creature umane, se non in modo assolutamente momentaneo. L’illuminazione, finalmente: Sandoval! Sandoval Tenorio de Urtago y Villena y Salamanca, fratello di Juan sia per padre che per madre. Oltre al legame familiare, Sandoval lavorava spesso per loro. Gestiva una società di aviotrasporto a medio raggio, la cui proprietà era detenuta, in quote pari, dallo stesso Sandoval, da Juan, e dal SOE, di cui lei era l’A.D. Era indecisa se rivolgersi a lui affrontando direttamente il problema, o accampando, come pretesto, la necessità di incontrarsi per gli affari della società.
Non riuscendo a prendere una decisone, gli aveva telefonato: “Houston ... abbiamo un problema ...”.
Era la più banale delle frasi, neppure tanto in codice, per segnalare un’emergenza grave, ma, se volete ... provateci a far di meglio ...

C’È CHI SI DIVERTE E CHI INVECE ... Ancora non si conoscevano, Maria e René, Cindy e Simon, e già si erano incrociati al Grand’ Hotel. Anche se Maria e René stavano finendo una vacanza, mentre Renée Cindy Volk e Simon Danser, del SOE, stavano iniziando un nuovo lavoro. Alfred Brengot era scomparso. Non si era presentato all’appuntamento prefissato con Anabel Blanco, e il suo cellulare risultava irraggiungibile o spento. Nemmeno la segreteria telefonica. Ultimamente, le discrepanze tra ciò che diceva e ciò che faceva erano cominciate a cumularsi in modo allarmante. Tuttavia non potevano fare a meno di lui: era l’unico contatto che avevano, anzi, l’uomo chiave. Quello col quale si era già incontrato Juan Tenorio, arrivando ad abbozzare un piano e un contratto di massima. Questo, almeno, era quanto a loro risultava. Anabel Blanco aveva incaricato delle ricerche i suoi “uomini migliori”, Renée Cindy Volk e Simon Danser. Seguendo il buon vecchio metodo del lavoro di gambe, o di scarpe, secondo le versioni, avevano iniziato da casa sua. Dopo aver parlato con la portiera del palazzo, e con quegli inquilini che si erano dimostrati disponibili, i due avevano raccolto la vaga voce che il signor Brengot era partito insieme con una sua vecchia amicizia –vecchia solo per lunga data- probabilmente per una vacanza romantica, cui i due non erano nuovi.
“Sa, lei avrà più di vent’anni meno di lui ... ed è stata lei ad accalappiarlo”, aveva rivelato la portinaia, guardandosi attorno di sottecchi per assicurarsi che nessuno ascoltasse, e poi guardando Cindy dritto negli occhi, con un’espressione che diceva: “proprio così, guarda cosa ci tocca di vedere in questo mondo impazzito!”
La traccia era, più che debole ... evanescente.
“Forse, dopo medi di attività così intensa, frenetica, ha sentito il bisogno di una pausa, di un piccolo break”. La voce di Cindy era caustica, incazzosa.
“Oh ...”, ne aveva preso le difese la portinaia, “il signor Alfred ... mi ha chiesto lui di chiamarlo signor Alfred”, c’era una nota di orgoglio, e di complicità nella sua voce, “è capace di lavorare molto sodo quando è necessario, non distingue più il giorno dalla notte ... se non glielo rammento io”, altro scatto d’orgoglio, e sospettoso sguardo circolare di controllo, “poi si assenta per periodi anche lungi ... sempre per lavoro, sa”, non avesse a equivocare Cindy, “ma gli piace anche vivere nel lusso. Scende sempre nei migliori hotel ... roba di lusso, da nababbi”.
Cindy aveva finto un interesse stupito, misto a un certo rancore invidioso, che era ben lungi dal provare. Era solo un invito a continuare, per la portinaia.
“Sa, mi porta sempre quelle piccole confezioni ... sapone, shampoo, cuffiette ... anche lucido da scarpe quando capita, quelli che danno negli hotel. Ha sempre così tanto riguardo per me”. Era molto compiaciuta, e falsamente modesta. Cindy aveva sbarrato gli occhi incredula.
“Venga, venga ch le mostro ...”, l’aveva invitata la portiera. Simon era rimasto a fare da palo, fuori: ‘robe da donne!’.
“Glieli mostro ... non riesco mai a convincermi a usarli ... li tengo tra le mani, li guardo, li annuso ... e basta. So che se lo facessi me ne porterebbe altri ... ma diventerebbe un’abitudine, normale. Così, invece, restano pezzi unici, speciali. Sa, annuso, chiudo gli occhi, e immagino di essere in quell’hotel di lusso. Ormai dal profumo riconosco la provenienza”. Si schermiva, ma era orgogliosa. Aveva preso Cindy per un braccio, guidandola all’interno del piccolo appartamento annesso alla portineria. Era intonato al lusso del palazzo, nell’architettura. La penombra con sentore di umidità e di vecchio, l’arredamento fuori moda e scompagnato, l’ambiente impregnato dell’odore di tutte le pietanze, erano quelli di tutte le portinerie. In camera, il locale più buio e freddo, la portinaia aveva dovuto accendere la luce. Su un cassettone di ragguardevoli dimensioni, erano allineati, come schiere ben inquadrate di soldatini di piombo, tutte le piccole confezioni. “Non mi decido mai se dividerle per tipo o per hotel di provenienza, così faccio un po’ e un po’”. Sorriso birichino nascosto dietro una mano.
“Posso?”, aveva osato chiedere Cindy, fingendo non poca titubanza ed esitazione.
“Ma prego ... anzi. Mica me li sciupa!”, altro sorrisetto sciocco dietro la mano, sguardo compiaciuto.
Mostrando di ammirare, con la più grande attenzione e delicatezza quei piccolo oggetti, Cindy, inspirandone il profumo, estasiata, aveva impresso nella sua memoria, nome e località dell’hotel d provenienza. Ancora qualche scambio di ringraziamenti, complimenti, torni a trovarmi, ne stia certa, i tre si erano separati. Non prima che Cindy riuscisse a farsi promettere dalla portiera di telefonarle, al numero che le aveva lasciato, appena il signor Brengot –lei non era autorizzata a chiamarlo semplicemente signor Alfred, e la portinaia aveva apprezzato- fosse tornato. “Sa, se non se ne ha a male, sono ansiosa di vedere i suoi nuovi doni per lei”.
‘Intese donnesche’, aveva malignato Simon Danser, muto.
Cindy gli si era rivolta ad alta voce, “Il lusso offre molti vantaggi pratici: più alta è la classe dell’hotel, maggiore è la tranquillità e più riservato e fidato il personale. La sicurezza è un comodità dispendiosa ... molto, a volte”.
S., “Credevo fosse uno capace di tener fede alla parola ... così cominciamo male”.
C., “Forse sono sorte difficoltà improvvise, probabilmente anche gravi e pericolose. Non si tratta di una delle solite operazioni ... ha molti risvolti e implicazioni internazionali ...”.
S., “Io sono più sospettoso”.
C., “No, tu sei sempre pessimista”.
S., “E un pessimista è un ottimista che ha rifatto bene i conti!”.
C., “E’ vecchia, riservala a chi non l’hai ancora detta”.
S., “Comunque”, la sua voce era una sfida, “mi chiedo come possiamo fare per ripescarlo, e arrivare a Mazhar Saleh ... o almeno a Nazim Kilo, senza di lui. E’ l’unico contatto, e il cuoio capelluto che mi prude...”.
C., “Una traccia ora l’abbiamo ...”.
S., “E quale?”.
C., “Chiacchiere tra donne”, touché caro Simon, “credo sia sceso in uno degli hotel dai quali riporta i ricordini alla portinaia. Perlomeno è l’unica ipotesi che possiamo fare. Scartando quelli più improbabili per distanza o clima stagionale ... direi limitandoci al bacino del Mediterraneo ...”.
S., “Ci facciamo una crociera nel Mediterraneo a mostrare la sua foto?”, Simon stava diventando sgarbato, scorbutico come una vecchia zitella”. Aveva incassato male la stoccata di Cindy, come sempre. Con chiunque.
Cindy aveva parcheggiato l’auto fuori da un parco: “Andiamo a farci due passi ... e magari un gelato, qui ne fanno da sogno ... e nessuno può intercettare quello che diciamo”. Simon l’aveva seguita senza dismettere la sua maschera di perplessa contrarietà.
C., “Potremmo ricorrere alle solite telefonare alle reception, dando credenziali ineccepibili di una società bancaria o altro che deve mettersi in contatto con lui d’urgenza ... però gli sarebbe riferita la telefonata, e scoprirebbe il trucco”.
S., “E allora, genio della lampada?”.
C., “Se è un approccio per strofinarmi ... scordatelo. Prima vediamo di restringere l’area. Credo che sul posto abbiano noleggiato un’auto. E non si saranno disturbati a ricorrere a patenti false, non per così poco. Probabilmente scopriremo che anche all’hotel dove sono alloggiati hanno mantenuto i loro nomi. Così, se telefoniamo alla AVIS, dicendo di essere dell’assicurazione della Hertz, e che i nostri clienti si sono bocciati, nulla di grave, hanno fatto la constatazione amichevole, con il nostro assistito che si è assunto ogni responsabilità, ma vogliamo controllare i dati del signor Brengot, Alfred Brengot ...”.
S., ”Brava! E se sono clienti della AVIS!”.
C., “Dovevi prenderti un bel gelato, come il mio, è proprio da sogno ... e ti avrebbe schiarito le idee. La telefonata non la fa la AVIS, la fa la sua società assicuratrice ... quindi, a maggior ragione ... tante scuse, l’addetto ha combinato un casino, per fortuna abbiamo trovato lei e possiamo sistemare tutto senza far incazzare i clienti”.
S., “Parli così sboccato sempre ... o è il gelato?”.
C., “No, sei tu, quando vuoi essere tu a trovare la soluzione, e ti metti di traverso a tutte le altre ... soprattutto le mie”.
S., “La tua è una mania di persecuzione ... sei la mia partner, e ti adoro”.
C., “No, non lo fai con me perché sono io la tua partner, ma lo fai perché sono una donna, come del resto fai sempre con ogni donna”.
“Mi stai dando del maschilista, per caso?”.
“Non per caso ... sei il più ottuso maschilista che esista sulla terra”.
In ogni caso Cindy aveva avuto la sua rivincita, con tanto di interessi, perché il suo piano aveva funzionato. Avevano fatto rapporto alla base, e preso il primo volo per raggiungere Mazhar Saleh & Co. Durante il volo avevano discusso se fosse più utile e vantaggioso alloggiare presso le stesso hotel, o in uno vicino. Avevano convenuto, una volta tanto d’accordo tra loro, che allo stesso albergo sarebbe stato più proficuo. Non conoscevano le loro facce, solo quelle di Anabel e Juan, incrociarli, ospiti dello stesso hotel, turisti nella stessa Città e isola, li avrebbe abituati a considerarli parte dello sfondo. Altri come loro, e, in verità, sarebbe capitato probabilmente anche con altri ospiti dell’hotel. Alloggiare altrove era meno pratico, più scomodo, e le loro facce sarebbero apparse subito come estranee. Incontri troppo frequenti non sarebbero più stati casuali. Così, avevano affittato una camera insieme.
CONFESSIONE. Sull’argomento i due si erano già spiegati, cioè Simon aveva rivelato a Cindy di essere sterile. Se ne era accorto dopo sposato. Dopo aver sposato quella che, fin da bambina era la donna della sua vita, e viceversa. Consumate le nozze, cui avevano saputo arrivare illibati, una gravidanza aveva iniziato a tardare un po’ troppo a lungo. Loro desideravano dei figli, lo desideravano tanto, sarebbero stati il coronamento del loro amore. Il loro amore incarnato in una persona cui avrebbero dato la vita per amore gratuito, senza nulla pretendere. Si erano sottoposti a tutti gli esami e analisi del caso.
“Sembrava tutto a posto, gli specialisti non avevano individuato alcun problema. Potevamo stare tranquilli. Un po’ meno se pensavamo alle cifre che stavamo spendendo ... A quelli era meglio non pensare, e nemmeno che al di là della parete dello stanzino dove mi avevano infilato, c’erano altri tizi che se lo stavano menando. Dovevo solo badare a non far cigolare la sedia, a non far rumori o versi strani, e a fare centro nel barattolo. Fatto, avvitare il coperchio per bene, scrivere nome e cognome di marito e moglie sull’etichetta ... meglio prima di applicarla, poi è un po’ complicato, mettere tutto in un sacchetto a chiusura ermetica, e suonare il campanello che avverte l’infermiera. Che arriva, seria come a un funerale, osserva ben bene in controluce il sacchetto, astenendosi dal far battute. Sta nei moduli che firmi, è un loro obbligo. La cosa peggiore è la mancata produzione. Nonostante tutti gli avvertimenti e inviti alla discrezione, c’era qualche sedia sottoposta a test da sforzo. Uno era uscito piangendo con le braccia anchilosate, com’era il pene non lo so, doveva essere lì da ore ... Ma sulle scartoffie sta scritto anche che un’infermiera non può metterci mano. Ti forniscono filmini e riviste porno, come ispirazione. Non so, non ho mai chiesto se uno potesse portarsi una aiutante ... Dovrebbero dimostrare un po’ di comprensione per un uomo che fatica a produrre. Invece no. E anche le mogli e le compagne, in sala d’aspetto, impazienti e di pessimo umore. Non parlo delle forti dosi di medicinali, di sostanze chimiche che dovevano favorire l’ovulazione, e che dovevo iniettare per via intramuscolare a mia moglie. Era diventata come l’omino della Michelin, gonfia di ormoni. Per non dire dei momenti, rarissimi, di intimità, che erano diventati meccanici e imbarazzanti. Occhio al termometro, un controllo all’apposito calendario sul computer, e via a inseminare. Per stupidità ne avevamo parlato con l’amico e l’amica del cuore. Non ti dico quante cose prive di tatto ci hanno detto pensando di fare gli spiritosi: ma siete sicuri che funziona? Però dev’essere divertente! Era umiliante, come lo era vedere il dottore, in ambulatorio, iniettare con una siringa di plastica il mio seme purificato e potenziato dentro mia moglie, là con le gambe all’aria. Per lei doveva essere ancora più tremendo. Fosse stata almeno una dottoressa ... fossi stato io la donna, avrei preteso una dottoressa. Non solo per pudore, è che solo una donna sa cosa si prova, e capisce, e può aiutare a non sentirsi disperati, quasi anormali, mano a mano che non succede nulla. Avevo perso peso. Più di una donna, nelle più diverse occasioni, mi toccava un ginocchio col suo, mi metteva la mano sulla coscia, sorridendomi. Dovevano aver deciso che ero io ad essere sterile, e ai loro occhi ero una preda ambita. Però, anche qualche lesbica mi aveva confidato che stava tentando di concepire, e che, insomma, che potevamo trovare un ragionevole compromesso. Loro dovevano aver deciso che era mia moglie ad essere sterile, o impossibilitata. Mi ero anche chiesto se non era il caso di intrufolarmi nelle loro vite ... delle lesbiche intendo ... per una controprova. Non so come mi venissero certi pensieri. Va da sé che non ne ho fatto nulla, a furia di produrre avrei avuto bisogno di qualche trasfusione di materia prima per avere altri rapporti che non con la mia mano. Mia moglie aveva rinunciato, ormai la vedeva a gambe aperte solo quando il dottore le esplorava l’utero con la sonda dell’ecografo. Quando iniettava io ero stravaccato, distrutto, su una poltrona in sala d’attesa, sotto sguardi di compassione e di solidarietà, recapito di sorrisi invitanti o di condoglianze. Risultati sempre negativi. Allora hanno deciso di passare al gioco duro: fecondazione in vitro. Ci eravamo giurati di non arrivare a questo punto. Di gettare la spugna. Palavamo, parlavamo, esausti. Intanto, così, senza impegno, per prendere tempo, siamo andati all’istituto dove ci avevano indirizzato. Nuovi esami, ed è scoppiata la bomba. Le analisi che avevo fatto fino ad allora non erano state accurate. Certo, non per negligenza, non era richiesto, in quel caso, arrivare ad indagini così approfondite. Un esito era stato un falso positivo. Il mio, e il verdetto era stato impietoso: ero sterile”. Quando l’aveva raccontato, le parole gli erano uscite come gliele stesse strappando un dentista, e le lacrime non avevano mai smesso di scendere dai suoi occhi, senza magoni o singhiozzi, si erano aperti i rubinetti”. “Mia moglie era l’unico amore della mia vita, avrei provato di tutto per avere un figlio con lei. Ero disponibile a qualsiasi soluzione ... anche una fecondazione naturale: si facesse scopare da chi meglio preferiva purché rimanesse incinta ... E, poiché desideravamo più di un figlio, avrebbe potuto rifarlo. Avremmo detto a tutti che, alla fine, i medici avevano trovato la soluzione. Niente. Aveva detto che la mia proposta era orripilante, in buona sostanza le stavo chiedendo di fare la puttana solo perché io ero sterile. Era un caso da annullamento dalla Sacra Rota, con un buon avvocato. E così lei aveva fatto. Ci erano andati giù pesante: sterile e impotente. Con tanto di manifesti e annunci sui giornali ... metaforicamente, ma non meno crudelmente. In fondo non l’ho mai biasimata, se non per questi eccessi ... che poi dovevano essere frutto dell’esasperazione. Sì, sono stato un bruto, nel farle quella proposta di fecondazione eterologa naturale, ma ero ridotto alla canna del gas, lei era esausta, probabilmente isterica per il bombardamento di ormoni ... Il magone era comparso. Due mesi e si è risposata, dopo essere rimasta incinta. Non ha voluto più correre rischi. Poveretta, quanto ha sofferto! Sono felice che alla fine ci sia riuscita”.
Cindy era sconvolta, incredula a quelle parole, “Non hai pensato che quello non poteva essere amore già dall’inizio? Amore, l’hai detto tu per i figli che volevate avere, è dono gratuito. Sembra semplice, ma in realtà è un’affermazione che può essere riempita di ambiguità e di complicazioni. Il malinteso più comune è che dare significhi cedere qualcosa, essere privati, sacrificare. La gente arida sente il dare come un impoverimento. La maggior parte degli individui di questo tipo, come mi pare fosse tua moglie, di solito si rifiuta di dare. Tu, invece, nello stesso atto di dare, hai provato la tua forza, la tua ricchezza. Questa sensazione di vitalità avrebbe dovuto riempirti di gioia. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell'atto ti senti vivo. Se l'amore per se stessi non è disgiunto dall'amore per gli altri, come ci spieghiamo l'egoismo, che ovviamente esclude qualsiasi interesse genuino per gli altri? L'egoista s'interessa solo di se stesso, vuole tutto per sé, non prova gioia nel dare, ma solo nel ricevere. Vede il mondo esterno solo dal punto di vista di ciò che può ricavarne; non ha interesse per le necessità degli altri, né rispetto per la loro dignità e integrità. Non può vedere altro che se stesso; giudica tutto e tutti dall'utilità che gliene deriva; è fondamentalmente incapace d'amare. Tua moglie era incapace d’amare, e fin dall’inizio, o non sarebbe finita così”.
“Sì, sì, dì quello che vuoi, ma queste sono tutte filosofie, non me ne faccio nulla, e non mi servono a nulla. Con le donne ho chiuso ... è stato troppo umiliante, una mazzata da stroncare un toro. Non voglio più passare per nulla di simile, neppure lontanamente”.

“Credi che non esistano donne capaci di amarti per come sei? Di adottare dei bambini? Di ricorrere alla fivet?”.

“Oh sì, è di un romanticismo da amor cortese: cara ti amo, ma fatti scopare da uno che ti fecondi ... per me è lo stesso ... Dopo quello che ho già passato mi viene la nausea solo a pensarci”.

“Non esagerare ... ti fai solo del male. Non fare di ogni era un fascio. Se vi spiegate prima ... le dici tutto ...”.

“Sì, apro una trattativa ... facciamo un contratto per la monta del toro e su come si dividono i prodotti ... e il toro non sono neppure io ... Ma fammi il piacere. Apprezzo il tentativo, ma non sai nemmeno di cosa stiamo parlando”.

Cindy non aveva saputo più che dire. L’astio e il livore di Simon andavano oltre ogni ragione. Se qualcosa avrebbe potuto fargli cambiare opinione, avrebbe potuto essere solo l’imbattersi in un avvenimento che gli dimostrasse il contrario. E per questo lei nulla poteva.

INDOVINA CHI VIENE A CENA. Tutto era passato in secondo piano quando erano scesi a cena. Nella grande sala, con il ritardo che si addice alle grandi entrée, era comparso proprio Alfred Brengot, accompagnato da Mazhar Saleh. Erano in compagnia di altre due persone. Non poteva passare inosservato. Era alto almeno un metro e ottanta, forse e novanta. Il viso segnato dalle intemperie, l’espressione dura, la bocca serrata, il portamento eretto ma eccentrico. Avessero potuto sentirlo, avrebbero colto un accento francese ammorbidito dal lungo viaggiare. Quella sera, però, anche se non inosservato, appunto, non era lui in primo piano. Gli rubava la scena una donna molto più giovane dei tre, un visino lucente e superbamente, supremamente irresistibile. Una donna che emanava sesso. Aveva una carica erotica indiscutibile. Indossava una gonna nera che era un tubino, e una giacca bianca maliziosamente aperta, mettendo in mostra una maglia aderente, leggera come una seconda pelle, che poco lasciava all'immaginazione: niente reggiseno e capezzoli al vento che, passando dal caldo esterno all’aria condizionata molto più fresca, sporgevano induriti. Va da sé, catturava su di sé gli sguardi e l’attenzione concupiscente degli uomini, invidiosa e assassina delle donne. Si sprecavano i darsi di gomito, i piedini sotto i tavoli, il chinarsi per spettegolare. Tutto sembrava gravitare attorno a lei. I maschietti, soprattutto quelli fantasiosi e libidinosi, stavano sbavando attenendosi, quando si sarebbe seduta, una scena alla Basic Instinct. Non Cindy e Simon, che consideravano quell’esposizione, l’accavallamento alla Catherine Tramell, come un’esibizione sconsiderata e imprudente. Soprattutto quanto al passare inosservati, o, almeno, tenendo un basso profilo. Quando si era seduta, accavallando le gambe in modo intrigante, era stato evidente che niente biancheria intima. E aveva concesso il bis. Va da sé, foto dei tre con lo smartphone-Android, subito trasmesse alla base. L’identificazione del terzo personaggio era stata quasi immediata, lasciando di stucco i due agenti: Laurant D'Arvieux, aiutante del generale Armand Le Guillermin, membro del Joint Chiefs of Staff della NATO, e capo dello SDECE. La femme fatale altri non era che Daniella Hernandez. Seguivano istruzioni: non mollare, in nessun caso. Se si separano, dividetevi e chiedete rinforzi. Puzza di bruciato, Anabel sui carboni ardenti.
“Pare che abbiamo fatto il colpo del secolo! Dovremmo festeggiare”.
“Io direi che dobbiamo raddoppiare l’impegno e l’attenzione”.
“Anche di notte?”.
“Cindy, come devo dirtelo. Per te il fatto che io sia sterile può essere considerato un ... valore aggiunto. Molte mi hanno fatto capire che lo era. Ma il sesso per se stesso non mi interessa ...”.
“Veramente non pensavo a me ...”, occhiata stupita e interrogativa di Simon.
“Pensavo alla fascinosa Anne ... non credo che il suo sia un rapporto d’amore ... e tu sei un bel fusto, te lo garantisco. Potresti sacrificarti per la causa, è lavoro in fondo ...”.
“Dovresti spiegarlo al mio cazzo, che non si drizzerebbe neppure tirato da un argano”.
“Sempre fine, eh? Era un’idea ... non posso farlo io!”.
“E perché no?”, Cindy era costernata, scandalizzata. “Scommetto che con un maschio non rischierebbe, ma con una donna ... ci metto cinquecento sterline”.
“Cioè me le dai se io ci tento ...”.
“No, me le dai tu se ci riesci”.
“Non se ne parla nemmeno”.
“Dai, non siamo sciocchi, sai che ho più ragioni io per la mia ipotesi, che tu per la tua certezza”.
“Quindi io dovrei giocare alla lesbica, e in più darti cinquecento sterline se ci riesco bene. Non dovrebbe essere il contrario?”.
“Ho rispetto di te, perché dovrei trattarti come una ... una escort?”.
“Tu sei tutto scemo, non saprei neppure da dove cominciare”.
“Io sì, credo proprio che mentre i due uomini parleranno di affari, la bella Anne andrà per negozi a fare shopping. Io la seguirò e farò la parte del tombeur de femmes locale. Ci andrò pesante ... e tu arriverai in suo soccorso come un cavaliere senza macchia e senza paura. Essendo due donne che si sono trovate in una situazione spiacevole leghereste subito, e ti presenterà anche al marito e al generale. Magari diventate solo buone amiche”.
“Sì, come no. Se però la cosa va oltre il marito e il generale li intrattieni tu”.
“Sarà fatto ... non come malignamente intendevi tu, ma sarà fatto”.
“Senti, ma giusto per darmi la carica, per fare un po’ di riscaldamento, stanotte potremmo fare una notte lesbica. Tu non vuoi scopare a nessun costo, farai la parte dell’altra donna”.
“Cindy! Te l’ho detto e ripetuto, non ci provare!”.
“Tu hai solo paura che ti si rizzi, e di doverti comportare da uomo”.
“Proprio no, assolutamente no”.
“E allora, per la causa, interpreta la parte della donna. E’ un addestramento, in fondo. Non lo troverai piacevole, ma come si dice: prima il dovere ...”.
“Solo su ordine scritto e firmato da Anabel! Quindi scodatelo”.
Mai sottovalutare una donna che si fissa in obiettivo che vuol raggiungere a tutti i costi. Cindy si era scusata con Simon: “Vado a rifarmi il trucco”. Occhi al cielo di Simon.
Occhi increduli, sbarrati, capelli rizzati sul capo, sgomento: prima del ritorno di Cindy, che se la stava prendendo molto comoda, il suo iPhone 5 aveva vibrato. Un sms: l’ordine scritto e firmato da Anabel Blanco. ‘Chissà se nelle pratiche erotiche tra donne usa lo strangolamento? Letale’. Dopo essersi rifatta il trucco, Cindy aveva scambiato quattro chiacchiere alla reception, riuscendo a sapere che il Generale e la moglie sarebbero ripartiti l’indomani, mentre Brengot e Daniella sarebbero rimasti ancora qualche giorno ... non aveva precisato. Saleh era pure lui in partenza l’indomani, sul volo successivo a quello del Generale, stessa destinazione. Aveva passato l’informazione alla base, così che altri due colleghi fossero ad accogliere la coppia che rientrava. Cindy e Simon sarebbero rimasti incollati a Brengot, e lui, Simon, doveva conquistarsi le grazie di Daniella, invece che quelle di Anne. Gli altri due membri del SOE in arrivo, avrebbero francobollato Saleh.
L’INDOMANI E’ UN ALTRO GIORNO. L’indomani, Alfred Brengot e Daniella Hernandez, avevano cominciato il loro lavoro, qualunque fosse, dalla costa, trovando un alberghetto di quart’ordine vicino ad una baia accogliente. L’albergo era probabilmente del tutto inoccupato, nessun veicolo all’eterno, tranne quello del gestore. A occhio e croce non aveva più di una dozzina di stanze. Quando i due se n’erano andati, Cindy era a sua volta scesa, chiedendo al proprietario quali disponibilità avesse. Per un paio di settimane tutto libero, poi tutto esaurito per cinque giorni. Una complicata storia di un gruppo di sommozzatori, impegnati in esplorazioni del fondale al largo della costa. Un lavoro pericoloso, c’è sempre da tener presente l’eventualità che qualcosa vada storto, qualche apparecchio che funzioni male, un uomo che resta ferito, il gestore stava evidentemente ripetendo come sue le spiegazioni dategli da Alfred e fidanzata, in caso di guai la rada si prestava ottimamente per portare a terra eventuali feriti o bisognosi di soccorsi, e c’era un ospedale abbastanza vicino. Un racconto perfettamente credibile. Inoltre, avevano verificato, era possibile ripararsi tra le dune sopra la spiaggia, per fare segnalazioni riguardo al punto di ormeggio. Il giorno seguente, la coppia si erano recati al porto, dove avevano valutato diverse possibilità di prendere a nolo un battello. Ma presto si erano presentati loro dei problemi. Molto, troppo ottimisticamente, avevano pensato di poter prendere in affitto una nave senza ciurma né provviste. Avevano dovuto, invece, subito scoprire che non si procedeva così con i contratti a breve termine. Affittare un battello per un mese circa, significava prenderlo con capitano ed equipaggio già a bordo. E ciò non era rassicurante, né sicuro. Condizioni simili significavano che il controllo di un elemento fondamentale sarebbe stato nelle mani di un terzo sconosciuto. Era una minaccia per la sicurezza. L’operazione era però intralciata da difficoltà ben più gravi che la faticosa scelta delle imbarcazioni. Anche se Alfred aveva assicurato che la ragazza non sapeva nulla dei loro piani, tuttavia, dal gran parlare che faceva con armatori e capitani, era evidente che non solo sapeva tutto, ma aveva anche un ruolo non secondario nel piano.
Nel tardo pomeriggio erano rientrati al Grand’Hotel, e Cindy aveva voluto subito mettere in chiaro che l’ordine di servizio di sedurre Daniella Hernandez era di grande importanza, era l’anello più debole della catena, secondo l’analisi di René, che era, poi, l’unica che fosse anche operativa che avessero. Simon Danser si era ammutolito e chiuso in sé più del solito. Quando aveva deciso di parlare aveva sorpreso Cindy, che ormai si aspettava un lungo silenzio fino al cambio della guardia. Sorpresa di ben poco-nessun conto, a confronto di ciò che aveva detto.
“Non so se hai visto un film, italiano, Caruso Pascoski di padre polacco, è un film del 1988, di Francesco Nuti. Un comico che mi piaceva molto, poi è stato soppiantato da uno più piacione, ma, a mio avviso più banale ... Pieraccioni, mi sembra ...”.
Cindy, “No, anche a me piace vedere i film in lingua originale, anche italiani, ma questo ... no. Però non capisco cosa ...”.
Simon aveva alzato una mano per interromperla, e lei si era messa pazientemente in ascolto, “Caruso Pascoski è un giovane fiorentino, è eternamente fidanzato con Giulia, conosciuta da bambino in spiaggia e mai più abbandonata. Gli anni passano, i due si sposano. e sembrano vivere felici. Caruso diventa psicoanalista e si trova ad affrontare i casi più strampalati che ci siano. Un brutto giorno, però, senza un motivo apparente, Giulia scompare e si rifà viva dopo qualche tempo, solo per chiedere il divorzio. In tribunale, a Caruso che le chiede le cause, la donna dirà che non l'ama più. Caruso viene quindi a scoprire che Giulia s'è fidanzata con un suo paziente, Edoardo, che egli aveva diagnosticato come omosessuale, senza ancora avergli rivelato la diagnosi. Ovviamente il paziente “guarito” non si presenta più dal suo psicanalista. Passa circa un anno, durante il quale Caruso passa di storia in storia, finché un giorno in tribunale, durante la ratifica del divorzio, Giulia ritorna e gli confessa di amarlo ancora. Edoardo non se ne capacita, e torna da Caruso, dall’uomo più che dallo psicanalista. Anzi, solo dall’uomo. Caruso vuol “accomodare” chiudere la sua “diagnosi” documentata e custodita nel suo pc, e che non rivelerà a Edoardo, va da sé. Caruso ... non ricordo per quale motivo, è costretto ad allontanarsi per un attimo. L’attimo che basta ad Edoardo per leggere la diagnosi. Quando Caruso torna capisce subito. Edoardo si spiega, così, perché il suo amore per Giulia era molto platonico: in un anno avevano fatto l’amore solo due volte. Poi se ne esce con un ricatto in piena regola: lui accetta sia di lasciare Giulia che di non nascondersi più la propria omosessualità e viverla ... però con l’aiuto di Caruso, che deve essere il suo primo partner maschile. Caruso, molto praticamente, fa due righe due conto: o stanotte lo prendo in culo io, o questo si tromba mia moglie tutta la vita. E il patto viene concluso ...”.
Cindy, “Sembra divertente ... appena ho tempo me lo cerco ... ma perché me ne hai parlato ... e proprio ora? Non capisco ...”.
Simon, “Ho voluto parlare per metafora. Se proprio devo farlo ... la prima volta sia con te ...”.

CARUSO PASCOSKI (di padre polacco). Cindy aveva riso divertita, non per prendersi gioco di lui, ma perché quella confessione l’aveva veramente rallegrata. Per lui o per sé? Facciamo per tutti e due, e non se ne parli più. Per lui perché era sicura che gli sarebbe bastato rompere in ghiaccio ... per sé, perché ridonare serenità e ... normalità a Simon era diventata una missione per lei, o una questione di puntillo, dipende dai punti di vista, e quando una donna si pone un obiettivo come questo ... si sente in missione per conto di Dio.
“Sai ... “, si era come giustificata, “sono cresciuta in una famiglia in cui del corpo non ci si vergogna perché non é proibito, non é sbagliato, non è da nascondere. Piuttosto, mi e’ stato insegnato che col corpo si conosce, attraverso il corpo si costruisce l’idea di spazio, di limite, di altro, di emozione, di pensiero e di parola, di gioco, di dare e di prendere, cioè di amare ed essere amata, e soprattutto di libertà. Il corpo e ciò che diamo piu’ facilmente per scontato, quando in realtà si tratta del luogo che custodisce la molteplicità, la pluralità dell’io, il mistero della nostra unicità ed universalità, l’enigma della bellezza ...”, non sapeva come proseguire, ora era lei a sentirsi imbarazzata.
Simon aveva seguito il suo discorso, “Quando guardo una donna, questo lo faccio ancora ... ma anche prima era così, non guardo occhi, mani, seno, sedere … mi interessano ben poco queste cose. Io parlo con loro ... beh, parlavo, è più giusto dire che parlavo, cercando di capire chi erano, come erano e cosa potevamo darci nella vita, uno all’altra. E soprattutto mi interessava che avessero, ebbene sì, carattere e personalità. Anche se poi ... questa qualità mi si è ritorta contro. Forse è per questo che non so biasimare la mia ex-moglie più di tanto. Aveva quella qualità, che continuo ad apprezzare ancora. E sono convinto che non si possono avere dei principi o dei valori ... chiamali come vuoi, buoni solo quando ci tornano comodi o a favore; poi, quando ci tocca stare a quelle ... regole ... no, non regole, diciamo che dobbiamo dimostrare coerenza e fermezza verso noi stessi ... eh! allora non vale più. Come si faceva da bambini: non gioco più, e mi porto via la palla che è mia, così neppure voi giocate più!”.
Cindy, “Hai un senso morale molto severo ... ma molto leale, profondo e sincero”.
Probabilmente sarebbero andati avanti così tutta la notte, perché dopo l’ora delle decisioni irrevocabili ... insomma, passare alla mobilitazione e al corpo a corpo era un po’ più complicato. Oppure ... oppure avevano capito, e temevano, entrambi, che a quel punto non si trattava più né di missione di recupero da parte di Cindy, né di ordine di servizio per Simon ... Stava forse accadendo altro, e non era quello il modo migliore per cominciarlo. Poi, una banale osservazione di Cindy, fatta tanto per dire qualcosa, aveva fatto girare il vento. “Fai pure con calma ... nessuno ci può disturbare. Abbiano tutto il tempo a disposizione”.
Simon, “Come ... cioè, chi ci dovrebbe disturbare?!”.
Cindy, “Il 7° cavalleria ... i rinforzi”.
Simon, “Ah! sì, non ci avevo pensato. Però possiamo metterci comodi ... con un caftano magari ..”.
Era andata, si erano spogliati non osando guardarsi a viso aperto, infilato il caftano, e si erano seduti, uno accanto all’altra, su un letto, appoggiati alla testiera. Non senza un paio di contorsioni di Simon per tenere abbastanza chiuso l’indumento. Cindy aveva accavallato le gambe, in modo che si scoprissero. C’era qualcosa che non riusciva ancora a capire: lui non prendeva nessuna iniziativa. Allora aveva scavallato le gambe, piegandone una, al ginocchio, verso l’alto, tenendola un po’ discosta dall’altra. Ora era scoperta fino alla vita. FINALMENTE! Simon le aveva appoggiato una mano sulla gamba, con un tocco leggero, voltandosi a guardarla: qualcosa di più di un’allusione. Quando aveva parlato aveva fatto esplodere una bomba. “Mostrami come fai quando ... quando fai da sola ...”.
Panico di Cindy, “Cosa ... cosa vuoi dire?”, sembrava imbarazzata ... e lo era.
Simon le aveva accarezzato una guancia, “Lo sai ... quando ti stimoli da sola ...”.
Cindy, “Ma io ... veramente ...”.
Simon, “Cindy, io sono quello che sono, ma, almeno da ragazzini ... tutti l’abbiamo fatto, maschietti e femminucce ...”.
Cindy, cominciava a sentirsi più calma, “Vuoi che mi stimoli mentre mi stai a guardare?!”.
Simon aveva annuito senza malizia.
Era stata sul punto di rifiutare, poi le era sembrato eccitante, “Vuoi che vada ... fino in fondo?”.
Simon, “Esattamente, finché vieni”.
Cindy, la sua voce aveva tradito il desiderio, “Ma perché?”.
Simon, “Perché così saprò cosa ti piace e come devo fare io ...”. Aveva sentito la mano di Simon prendere la sua e guidarla in mezzo alle gambe, all’interno delle cosce, l’aveva baciata mordicchiandole dolcemente le labbra, e fatta stendere sul letto. Aveva sentito le proprie dita posarsi sul suo sesso, aprirsi un varco sottile, ed era rabbrividita di piacere.
“No ... non è così che doveva andare ... ”, aveva sussurrato, ma aveva iniziato a farlo. La mano di Simon aveva lasciato la sua, che era avanzata da sola. Ora si stava toccando senza trattenersi ... riusciva a tenere gli occhi su di lui, che stava guardando i suoi movimenti senza pudore. Aveva trovato il ritmo e la pressione giusta, giocando con le labbra, discostandole, carezzandole, stimolandole, con carezze lente, profonde. Con tutta la mano, aprendole con due dita per lato, mentre il medio penetrava vibrando. Il suo respiro si era affannato, il suo corpo si stava muovendo languido. Quando aveva iniziato a spingersi più a fondo, facendo strisciare un dito a la mano anche sul clitoride aveva iniziato a gemere. Aveva accelerato i movimenti, facendo in modo che anche il clitoride fosse sempre stimolato, e i suo bacino aveva iniziato a sollevarsi e abbassarsi. Aveva sentito l’alito caldo di Simon quando si era fatto più vicino, tra le sue cosce. Quando aveva perso il controllo, Simon le aveva spostato delicatamente la mano, e l’aveva incalzata con le labbra e con la lingua. Le aveva aperto le labbra, muovendo la lingua sempre più in fretta e sempre più a fondo. Era scandalosamente intimo sentire il suo viso tutto premuto sul suo sesso, con la lingua che la carezzava. Si sentiva ipernuda, senza più nulla da nascondergli, ed era una sensazione gioiosa, liberante. Simon si era concentrato sul suo clitoride, stimolandolo in tutti i modi: in punta di lingua, lappando, direttamente, arrivandoci in cerchi concentrici, con guizzi improvvisi. Spasimi, sussulti e ansimi erano tornati, squassanti, ed era venuta ancora, tremando e ansando. Venuto l’orgasmo gli aveva sollevato la testa, l’aveva fatto salire sorridendo per guardarlo negli occhi. Avrebbe voluto dirgli “Ti amo”, ma sia per l’emozione, sia per la paura di rompere quel momento magico, non l’aveva fatto. Si era inginocchiata accanto a Simon, che aveva fatto stendere supino, gli si era avvicinata per appoggiare la propria testa sulla sua spalla, con un gesto naturale, come fossero amanti da anni. Si era accovacciata e lo baciava, tenendogli una mano dietro la nuca, mentre l’altra era scivolata verso il suo pube, trovando il pene di Simon e iniziando a carezzarlo, e a maneggiarlo con cura. L’aveva sentito dimenarsi a disagio, e gli si era fatta più vicina, “Tu sei diverso da ogni altro uomo che io abbia conosciuto ... sei un ... non so come dire, un uomo con la “u” maiuscola ...”.
“E come lo sai?”. Simon sapeva essere molto piacevole, ma ora la stava facendo sentire meravigliosamente, aveva creato un’atmosfera di intimità e, soprattutto, di attenzione donata tutta a lei, senza riserve, senza aspettarsi contraccambi. Un’atmosfera nella quale lei stava nuotando felice.
“Lo sento ... lo so”, e aveva portato entrambe le mano sul suo membro, provocando in Simon un improvviso fremito.
Simon stava pensando di non aver mai visto Cindy cos’ bella, così sexy. La vedeva sorridere, gli occhi luccicanti come specchi. L’aveva attirata a sé in un bacio appassionato, socchiudendo le labbra, cercando la sua lingua. Cindy era rimasta titubante, incerta su come reagire, su come continuare ... Simon le aveva messo un braccio intorno alle spalle, attirandola con estrema delicatezza a stendersi supina accanto a lui. Lei aveva sorriso incantata. Lui aveva fatto scivolare la mano sul suo seno caldo, palpandolo ... impastandolo si potrebbe dire. Cindy aveva ricevuto una scossa. Si erano guardati per un lungo momento, prima che lui si stendesse sopra di lei. Le aveva bi i seni tra le mani continuato a stringerli dolcemente, facendole sfuggire un gemito di piacere. Cindy gli aveva sussurrato, “Sei tanto carino, io invece ti ho provocato in modo disgustoso ...”. Lui le aveva baciato la punta dei seni, poi la bocca, e gli occhi di lei si erano fatti umidi umidi. Vedendo quelle lacrime affacciarsi, Simon si era chiesto cosa fosse meglio fare, aveva iniziato a ritrarsi. Cindy l’aveva afferrato, trattenendolo.
“Io penso che tu sei molto bella ... bella fuori e bella dentro, soprattutto”, le aveva sussurrato Simon, con voce un po’ roca, “...No, no ... sei meravigliosa”.
Erano entrambi impacciati, disorientati, ma si sentivano sereni, felici. Lui non si era mai sentito così vicino a una donna, pieno di tenerezza e amore, da quando era iniziato il tour de force riproduttivo, così catastrofico.
“Vuoi andar fino in fondo?”, le aveva chiesto Cindy, prendendogli il pene e guidandolo verso il proprio sesso.
“E tu?”, il suo pene stava cambiando dimensioni e consistenza.
“Sì, se vuoi tu ... sei stata molto perseverante, da quando ci siamo conosciuti credo tu abbia sempre desiderato questo momento”.
Si era accorto che la sua non era stata una grande uscita, sembrava però fosse quello che lei si aspettava di sentirsi dire. In ogni caso aveva voluto metterci una pezza, “Voglio dire ... io sono una frana ... un disastro, e mi sono costruito attorno dighe molto alte. Ciò non vuol dire che non mi accorga ... o che non provi io ... qualcosa. Ma le dighe sono sempre lì, troppo alte per essere superate. O crollare. Ora è come se si fosse aperto quel piccolo buchino, come nel racconto dove il ragazzino ci mette il dito se no tutto finirà per crollare e l’acqua sommergerà tutti i Paesi Bassi ...”.
Cindy, “Sei così ... poetico. A costo di essere volgare, ma un ripassino della realtà non f mai male: il buchino c’è, il bravo ragazzo che sei tu deve infilarci il suo ... tappo, e non solo impedire all’acqua di entrare, deve essere lui a pomparla nel buchino. Ti ho scandalizzato?”.
Simon, con una risatina, “No, lo so anch’io che stavo cincischiando e divagando ... ma, capisci ...”.
“Caro, c’è un solo modo per riuscire a farlo, che lo facciamo ... e subito”.
“Va bene, però ... almeno questa volta ... mi guidi tu? Non vorrei farti male ...”.
Era commovente, “Aspetta, hai un profi...”, si sarebbe morsa la lingua, se fosse stata un uomo avrebbe messo i suoi gemelli su un incidine e le avrebbe martellati. Gaffe grossolana, con assoluta mancanza di delicatezza ... si erano entrambi ingessati, rimanendo bloccati ognuno in un universo tutto suo, sdraiandosi sul letto, incuranti che la loro pelle calda, umida, era a contatto. Che sentivano no il respiro dell’altra. Cindy si sentiva il cuore in gola, lo stomaco stretto in un crampo di nausea che non voleva abbandonarla. Con coraggio aveva voluto girarsi verso di lui, allungare la mano sul suo pene, afflosciato e reclinato sulla coscia. Si era arditamente e disperatamente spinta a baciarlo, a prenderlo in bocca, succhiarlo e leccarlo. E lui, meglio loro, Simon e il di lui pene, non avevano avuto la minima reazione.
‘Beh, neppure di fastidio ... non mi ha allontanata, né si è sottratto lui. Però sembra morto. E io che pretendevo di farlo morire di piacere! Devo avergli dato il colpo di grazia!’.
Aveva ripreso l’operazione cercando di renderla ancora più sexy ed eccitante. Niente.
“Non ci riesco”, la sua voce, mentre si alzava e se ne andava in bagno, era senza calore, senza colore, senza forma. Più non umana di un annuncio dato in aeroporto o in stazione.
A Cindy non era rimasto che piangere.
L’AFFARE SI COMPLICA... Nel frattempo erano arrivati i complementi: Kenelm Digby e Livia Rundgren, , senza che fosse fornita spiegazione, era normale, per la sicurezza di tutti, va da sé. L’indomani mattina, quando Simon e Cindy erano scesi per la colazione, Alfred Brengot era già in attesa seduto a un tavolino. Dopo un minuto o due, era entrato un africano muscoloso, sulla quarantina, che indossava un pullover dolcevita sotto un giaccone di pelle nero, assolutamente incongrui, e altrettanto appariscenti. O erano dei dilettanti, quanto al passare inosservati, o tanto sicuri di sé da non sentirne la necessità. In effetti, il nuovo arrivato aveva la calma sicurezza e le spontanee maniere cortesi dell’uomo veramente forte, non sentiva il bisogno di imporsi parlando rapidamente, o di ostentare la propria energia fisica. Alfred si era alzato, accogliendolo al suo tavolo. Solita foto con l’iPhone 5 e inviata alla base. Dopo i preliminari della presentazione, i due si erano studiati a vicenda mentre svuotavano tazze di caffè, con un paio di croissant caldi. Il nuovo arrivato aveva espresso alcune sue pregiudiziali ideologiche: lealtà, timori, inibizioni derivanti dal paese di origine. Alfred, inchinandosi a questo fatto, e per mettere in pace la coscienza dell’interlocutore, pur senza entrare in troppi particolari di quel genere, aveva assicurato che ciò che gli proponeva non era contrario agli interessi dei loro Paesi, in nessuna parte del mondo. In secondo luogo, non aveva nulla a che fare con il conflitto arabo-israeliano e le altre situazioni esplosive in Medio Oriente. Terzo ragguaglio: l’operazione progettata non era contro gli interessi della Russia che, anzi, non era sfavorevole. La Cina sarebbe rimasta a guardare. Nessuno dei due aveva fatto accenno all’Iran, o all’Arabia Saudita. Come prova della propria serietà, e come tangibile dimostrazione di gratitudine per l’uomo che era venuto da lui, al momento dei saluti, Alfred gli aveva porto la copia di un giornale ben ripiegata. L’altro l’aveva presa curandosi di tenerla così com’era, aveva sorriso e fatto un cenno di soddisfazione, o di intesa, e se n’era andato. Il giornale conteneva venticinque banconote da cinquecento Euro, ma questo i due agenti della SOE non potevano saperlo. Avevano invece ricevuto i dati di riconoscimento di Owell Brown, ivoriano, già capo dei ribelli del nord del Paese nel colpo di stato del 2002. Sicuramente un mercenario.
COME FRANCESCO FERRUCCI. Appena rientrato dal viaggio di ricognizione, Juan Tenorio aveva voluto accompagnare di persona Nikolett Pòsàn dal grande maestro di fama mondiale Heinrich Schiller, detto Rich. Da Juan anche zio Rich, o semplicemente Zio. Era stata una tappa molto veloce, Juan doveva precipitarsi da Bojana Tralijc per capire che stesse succedendo al “suo” SOE. Rich l’aveva, però, costretto ad allungare, di qualche ora, e di due voli, la sua permanenza. Aveva qualcosa da dirgli.
Dai contenuti e dal tono, si sarebbe potuto dire che si trattava di una discussione molto animata, un bisticciare, un litigare violento. Si trattava, invece, di un’impulsività di sentimento, che agitava profondamente l'animo di entrambi. La vicenda, la situazione, erano estremamente dolorose e angosciose, però Juan e Rich erano legati da così grande affetto, che ognuno dei due poteva dire: pur sì aspre vie né sì selvagge | cercar non so, ch' amor non venga sempre | ragionando meco, e io con lui. Così, non toni esasperati, da sfida all’OK Corrall, ma un confronto duro, seppur con attenzione e rispetto, senza neppure la pretesa di averla vinta solo perché si aveva ragione. Erano esperienze di vita differenti, l’uno non capiva quelle dell’altro, e ciò non permetteva loro di capirsi tout court. Avevano sempre sforzato di capirsi, e, forse, un giorno ci sarebbero riusciti.
Dopo essersi combattuti per almeno venti anni su tutto. In disaccordo su tutto, a volte per partito preso, al di là della materia del contendere. Nulla dell’uno aveva un briciolo di giusto o di vero per l’altro. A volte neppure di reale. Si riconoscevano, però, una bontà d’animo e di azioni che, da avversari, li aveva portati ad essere due duellanti, che continuavano a battersi in singolar tenzone, come due cavalieri di ventura, solo per dimostrare chi era il migliore. Alla fine, proprio come due cavalieri esausti per infiniti tornei nei quali nessuno dei due era mai riuscito ad essere vincitore ultimo, a dimostrarsi migliore, avevano deposto le armi, si erano liberati dalle armature, ed avevano cominciato a conoscersi. O a riconoscersi. A volte con una punta di amarezza per essere arrivati a farlo così tardi. Più spesso con una soddisfazione serena per essere giunti a farlo. Un sentimento come risarcitorio.
R. “Ma non volevi sposare Anabel? E ora hai sposato Niki? … e prima c’era Dvòra, o sbaglio?”, era deluso più che adirato. Abituato alle intemperanze e ai colpi di teatro di Juan, aveva sperato sinceramente che Anabel fosse “quella giusta”.
J. “Beh, sì ... cioè, no. Sto … ho solo messo una regina sul trono ... che altro?! Quanto pensi che valga quel pezzo di carta in qualsiasi Paese, compreso quello che l’ha rilasciato!?”.
R. “Sei uno grandissimo stronzo!”.
J. “Può essere, sì può essere. Ma questo non cambia nulla ...! Io devo stare in movimento continuo, ripetere continuamente la stessa cosa. Lo sai, sono perseguitato dalla paura di essere abbandonato dalle donne amate, e mi sono costruito queste difese contro grandi sofferenze …”.
R. “E lo fai con l’infedeltà? Senza curarti dei sentimenti e delle sofferenze altrui? Eppoi, com’è che l’ultima è sempre l’unica … solo fino alla seguente?”.
J. “Devi convincerti che l’oggetto “unico” tanto amato, dopotutto non è indispensabile … posso sempre trovare un’altra donna per la quale provare sentimenti appassionati. E’ così da quando ero bambino: non c’era una madre, ma nutrici, bambinaie, governanti, istitutrici, sempre diverse … tante. Non sono mai stato lasciato solo, così. Via una ne arrivava, ancor prima, un’altra. Perciò …”.
R. “Allora non dire che alle donne dai piacere e amore. Non giurare a ognuna che è l’unica … per la vita. Tu vuoi solo godere delle donne, infischiandotene affettivamente di loro. Vuoi solo potere … Anche con Anabel … la tua è una questione di potere e basta”.
J. “Eh, la psiche umana è complessa e misteriosa … è musicale, una polifonia. Dare alle donne questo godimento è un’arte … una musicalità … Nikolett imparerà che ha il genio musicale … e non lo farò usando il potere, ma di nuovo la seduzione”.
R. “Nonononno!, la tua è solo una fuga dai temi profondi della vita: il sentimento, il dolore, la morte. La tua capacità di colpire e di sedurre é solo segno della tua … potenza. Tu sfidi tutto e tutti, lanciandoti a corpo morto nella ricerca affannosa del piacere, sviluppandone le potenzialità … non usi né riflessione né riserbo”.
J. “Oh, piantala! Il mio amore è di una serena e luminosa bellezza , che incanta tutte le donne che può illuminare”.
R. “La tua pericolosità consiste proprio nella tua capacità di far apparire la realtà diversa da quello che è”.
J. “Pericolosità?! Sarei pericoloso io … io che sono solo, io che sono stato tradito e abbandonato da quando avevo meno di tre anni? Disgustato dal mondo e dalla mia scomparsa famiglia, per la quale sono sempre stato solo un nanetto mostruoso … tutto vuoto moralismo, sessualità repressa, culto dell’apparenza, rispetto dell’etichetta. Ridicolo, patetico! Viva la libertà!, dico io”.
R. “Sì Juan, solo la tua libertà, però”.
J. “E che altro? Ognuno se la conquisti e la difenda. Non è una cosa che ti devono regalare gli altri, se no non è più libertà, è octroyée … per gentile concessione di un Sovrano, che è poi l’unico a disporne liberamente. Zio! Non parlarmi di libertà tu … sei stato mercenario contro i movimenti di liberazione di mezzo mondo! Non darmi lezioni, che non è dal tuo pulpito che può venirmi una predica!”.
R. “Ok, Ok … sei sempre incazzoso su questo! Per me resti un anarchico … comunque … un breve chiarimento per quel che riguarda il particolare il fattore sessuale: il suo predominio risulta solo dallo spirito del tempo, che, purtroppo, accentua sempre più il legame della sfera sessuale con la sfera spirituale. Predominio risultato del fatto che il suo ruolo nella vita supera le più audaci fantasie. Tu non sei libero, sei succube di questo legame innaturale”.
J. “Che modo ingenuo di autoingannarti! Ma se tutti si adattano ogni istante a ciò che gli altri si aspettano da lui, si conformano al proprio ruolo … Si creano gli uni con gli altri, non esistono per loro stessi. La vera individualità è inattuabile, l’uomo non è più libero. Senti qualcun altro gridare come me: VIVA LA LIBERTA’??! Ti racconto in sintesi la trama di un’opera teatrale: Iwona principessa di Borgogna, è di Witold Gombrowicz, un polacco. C’è una famiglia reale, e il principe ereditario Filip si innamora di Iwona. E’ brutta, stupida, noiosa e astenica. Questa infelice giovane donna, suscita repulsione in Filip, ma anche un così forte fastidio per questo suo sentimento di repulsione. Il re, la regina, gli altri principi, i consiglieri e i ciambellani, in assurdi contorcimenti e grottesche trame, opprimono Filip, perché facile, spontanea e naturale dovrebbe essere proprio e solo la repulsione. Filip, però, e deciso ad amarla. Iwona, una volta a corte, sconvolge, con un ostinato silenzio, il fragile e scricchiolante castello formale della famiglia regnante. Alla fine la famiglia reale la sopprime, sconvolta fino alla pazzia, dalla sua diversità. Eppure era un suo diritto di natura essere così, come lo era per Filip amarla, anche se per altri era repellente. Ora, dimmi, ho forse io amato solo donne belle e affascinanti? O sono stato, diciamo … democratico nell’amarle?”.
R. “Democratico? Anche troppo … anarchico piuttosto, te lo ripeto. E individualista. Sembri fatto apposta per far perdere l’equilibrio al prossimo, per eccitare, per irritare … per condurre alla follia. Conosciamo entrambi il Don Giovanni di Mozart, dopo il catalogo numerico, 2064 belle, segue quello qualitativo: V’han fra queste contadine, / Cameriere, cittadine, / V’han contesse, baronesse, / Marchesine, principesse / E v’han donne d’ogni grado, / d’ogni forma, d’ogni età. / Nella bionda egli ha l’usanza / Di lodar la gentilezza,/ Nella bruna la costanza,/ Nella bianca la dolcezza./ Vuol d’inverno la grassotta,/ Vuol d’estate la magrotta;/ E’ la grande maestosa, / La piccina è ogn’or vezzosa./ Delle vecchie fa conquista / Pel piacer di porle in lista;/ Sua passion predominante / E’ la giovin principiante./ Non si picca se sia ricca,/ Se sia brutta, se sia bella;/ Purché porti la gonnella / Voi sapete quel che fa”.
J. “Sarebbe la mia Iwona, ne trovassi una … sarebbe il prodotto della zona impervia del mio “io”, mi starebbe sempre dentro, e io dentro di lei. Non mi direbbe mai: cerca di essere come io vorrei che tu fossi. E dovrebbe tornare tutte le notti tra le mie braccia perché non avrebbe altri posti”.
R. “Non sarò democratico, dì quel che vuoi, ma io le preferisco giovani, belle, e … spregiudicate. Come Lolita …”.
J. “Quella di Nabokov? Sai che si è ispirato a Lillita McMurray, in arte Lita Gray, che a quindici anni ha interpretato La febbre dell’oro, a diciotto Il Monello, e che poi ha sposato Charlie Chaplin?”.
R. “Echissenefrega?! E’ d’altro che stiamo parlando!!!”.
J. “Vedi, il tuo moralismo?, il tuo conformismo? Ti stanno rubando la realtà, e i sogni. Le Lolite sono fanciulle la cui età sta al confine dei quattordici anni, e la loro vera natura non è umana, ma di ninfe. Sono ninfette diaboliche. Hanno una doppia natura, ambigua: infantile, tenera e sognante, e una raccapricciante volgarità che discende dalle stucchevoli top model, stelline, attricette”.
R. “Boh! Io vedo i movimenti sensuali, il languore, le smorfie, i toni decisi e intensi dei loro corpi, sento il loro profumo, la loro passione, provo tutta la tenerezza dell’umano”.
J. “Ti mostrerò l’immagine di un quadro del pittore Balthus, a proposito di Lolite. Si intitola Lezione di chitarra: rappresenta una giovane donna che ha appena dato una lezione di chitarra a una ragazzina, e continua a suonare sulla ragazzina stessa. Dopo aver fatto vibrare uno strumento, fa vibrare un corpo, “poiché, dice lui, “Lesbo mi ha scelto tra tutti sulla terra / per cantare il segreto delle sue vergini in fiore”. E’ di una evidenza sfolgorante, il ventre chiarissimo dell’adolescente, marcato, sulla sua gonna scura, che pende come una bandiera ammainata sotto il sesso scoperto, appare offerto alla piccola e delicata mano di una maestra esigente e sapiente, nulla è celato. Il bianco latteo del sesso glabro dell’adolescente e la luminosità di quel seno che letteralmente erompe dalla scollatura della maestra, esplodono nella chiarezza delle carni. I seno è tondo e compatto, ma allo stesso appuntito e provocante, come un’interrogazione: forse è il seno della maestra che ora si tratta di imparare a suonare. Di primo acchito sembra trattarsi di una violenza, la presa ferrea dei capelli della ragazza appare inequivocabile, ma poi alcuni dettagli perturbano l’immagine. L’abbandono totale dell’adolescente è l’effetto di un’estrema accettazione. Gli occhi socchiusi sono il frutto della del piacere. La mano che si solleva verso il seno denudato della maestra è il segno della premura di restituire il godimento. Queste sono le tue … Lolite”.
R. “Ah sì?! Sai chi mi ricordi tu? Faccio anch’io il saputo. Un personaggio del racconto “Il mio amico, un poeta dell’amore”, da “Gli anni meravigliosi”, di Rainer Kunze. Un funzionario del P.C. cecoslovacco, promosso e trasferito a Praga, aveva detto alla moglie di aver avuto una piccola stanza per lui, ma non il permesso di stabilircisi con lei. Invece, tutte le notti se la spassava con una ragazza sempre nuova, anche con più di una contemporaneamente. Insomma, un bunga-bunga da sballo. Ogni tanto la moglie lo raggiungeva a Praga, e stava con lui due giorni, ma una notte. In quell’occasione lui passava parola che nessuna andasse a trovarlo. Una di quelle notti sentono bussare ripetutamente, sempre con maggior insistenza e impeto alla porta. Lui, convinto che a qualcuna delle sue belle non fosse stata passata parola, ignorava, fingendo di dormire del sonno dei giusti. Ma la moglie, alla fine, incuriosita, e anche allarmata, va ad aprire. In nostro funzionario, vedendo la catastrofe arrivare inevitabile, si è rinchiuso nel bagno. La moglie rientrata, pallida, sconvolta, trafelata, grida: “Praga è occupata! In piazza Venceslao ci sono i carri armati russi!”. Sai cos’era successo dentro il fedifrago? Era indicibilmente contento che fossero arrivati soltanto i carri armati russi. Ecco come sei tu!”.
J. “Da morir dal ridere … facendosi il solletico. Per renderti la stoccata ti dico a chi assomigli tu. Hai presente Milan Kundera?”.
R. “E chi non lo conosce? L’insostenibile leggerezza dell’essere”.
J. “Questa, però, non la conosci. E’ un racconto, e anche qui siamo in Cecoslovacchia nell’agosto 1968. Una donna, che si era invaghita di un farmacista, a Praga, l’aveva invitato a cogliere pere nel suo giardino. Lei, va da sé, si era preparata per essere la pera più succosa e godibile. Scollatura vertiginosa, gonna ampia e vaporosa, niente mutandine. Più di così! Il pomeriggio stabilito il farmacista non si era presentato, scusandosi, a causa de “l’ingresso di carri armati di alcuni paesi stranieri”. La donna si era offesa a morte, non aveva perdonato il farmacista, né più invitato. Era fermamente convinta della sua prospettiva esistenziale: in primo piano c’era la pera, la sua grossa e succulenta pera; mentre un carro armato, da qualche parte sullo sfondo, era non più grosso di una coccinella destinata a volarsene via da un momento all’altro”.
R. “… E per te il carro armato è perituro, mentre la pera, quella pera è eterna”.
J. “More solito non hai capito un zero. Le pere, soprattutto quelle pere, vanno colte appena mature. Non stanno lì ad aspettare in eterno. E il carro armato afferma, invece, che la vita, fuori dalla sua dimensione sessuale, è sempre meno autentica, triste, malinconica. Provoca un gran senso di frustrazione per tanti desideri e speranze rimasti schiacciati sotto i suoi cingoli”.
R. “E tu lotti per la libertà … invece … contro i carrarmati! Con il tuo panzerfaust, un bel tubo lungo, con una grossa carica in punta, estremamente letale per il suo sistema di perforamento, che produce un getto incandescente in grado di perforare la corazza di ogni tipo di corazza … figurarsi poi le pere! Eppure io sento qualcosa che ringhia in fondo alla tua anima, una forza ribelle e oscura, capace di ogni sconvolgimento”.
J. “Zio, cazzo! la sai anche tu la storia della mia vita! come avrei dovuto essere? Amore? Fedeltà? E cosa sono? Mai saputo!”.
R. “Lo so ... lo so, ma pensa un attimo alle condizioni di allora, io le ho vissute e...”.
J. “E hai trovato l’amore con zia Ina. Mai lasciati, sempre fedeli, innamorati come il primo giorno! Altro che Lolite … non le degni di uno sguardo, e non perché zia ti castrerebbe all’istante … per te proprio non esistono. Zio, hai avuto un culo tremendo, io una tremenda sfiga, lo capisci o no!? Porcaccia ladra!”.
R. “Allora qualcosa sai!”.
J. “So ... so, lo vedo ... lo guardo, ma non lo vivo, non l’ho mai vissuto! Ero solo ... sì, con la zia sorella di mamma, non avevo ancora finito di essere bambino e non ero già più ragazzo. Sì, hai ragione, credo, forse, non so, di aver trovato l’amore una volta ... e sai come è finita no? Paparino l’ha fatta trasferire alle sue dipendenze ... come non vedevo lui e mamma, così non ho visto mai più lei. E poi ho saputo che era diventata l’amante di papà”.
R. “Hai mai pensato che, se è finita così, lei non ti amava poi molto?”.
J. “Cazzo zio! Lo sai anche tu com’era papà. Un dittatore ... letteralmente. E mamma ... Lo sai a chi mi hanno sempre fatto pensare? A Hitler, e a Goebbels!”.
R. “Ah, Hitler ... penso ti riferisca a papà, ma Goebbels?!”.
J. “Mamma! Va da sé. Nel lavaggio del cervello superava il maestro. Si dice che gutta cavat lapidem, ma lei non era una goccia ... era ... era il tormento della goccia d’acqua che cade sulla testa ... anzi, nel cervello di chi è sottoposto al supplizio e non può sottrarsi, immobilizzato sotto la fonte di quella goccia”.
R. “Non ti sembra di esagerare? Di essere un po’ melodrammatico e di autocommiserarti troppo?”.
J. “Zio ... vaffanculo! Sai benissimo che ho ragione. Io non contavo nulla, devo essere stato frutto di una disattenzione ... meglio non mi avessero fatto nascere!”.
R. “Juan, non dovrei dirtelo io, ma stai bestemmiando”.
J. “Da quando mi hanno insegnato a pregare, non i miei, figurati, una catechista, sempre affidato ad altri ... insomma, da quando ho imparato, io ho iniziato a pregare Nostro Signore perché venisse a prendermi, mi portasse via. Perché il dolore dell’abbandono, dell’incuria, dell’essere nulla era straziante, inesprimibile. Tutte le mattine Lo pregavo, e tutte le sere Lo pregavo di nuovo, piangendo perché non era venuto quel giorno. Ho pianto finché ho finito tutte le mie lacrime. E il mio cuore si è indurito, rinsecchito, come una spugna nel deserto. Allora Gli ho detto che se non fosse venuto voleva dire che non esisteva ... o che non era buono e misericordioso come avevo creduto. Non aveva detto: lasciate che i fanciulli vengano a me? E chi dava scandalo a un innocente ... era meglio si legasse al collo una macina da mulino e si buttasse in mare?”.
R. “Sì, la sostanza è questa ... ma non vedo ...”.
J. “Sostanza? Quale sostanza!? Io cercavo le Sue ginocchia perché mi prendesse in grembo, e Lui ... niente! Di cose scandalose me ne hanno fatte! E qualcuno si è buttato a mare? No! Lei, o, peggio, lui era innocente ... E io!?”.
R. “Juan !!!”.
J. “No, non dirmi che penso solo a me. Era giusto che pensassi a me. Chi doveva pensarsi, da quando ero in fasce perché non l’ha fatto? Dov’era? E ora è giusto lo faccia l’unico che può e vuole: io stesso. E che gli altri si fottano! … anche le altre, Dvòra, Anabel, Nikolett, ne faccio un bel pacchetto regalo di tutte e tre e lo mando al diavolo”.
R. “Juan!!! Lo sai che allora ...”.
J. “E allora non dovevano pensare a far figli, evitarlo ... potevano eliminarmi come un foruncolo fastidioso.”
R. “Stai ancora bestemmiando!”.
J. “Ho pregato fino all’esaurimento. A casa, nel mio letto, in Chiesa, dappertutto, e Lui, anche Lui ... dov’era? Invocavo il Suo aiuto, ero un bambino disperato, solo ... Così ho cominciato a odiarLo. Poi non so, mi hanno anche detto che è normale vedere una cosa cattiva nell’assenza di una cosa buona. Solo che ... sempre e solo cose cattive, dove cazzo erano quelle buone?”.
R. “Juan, so, o almeno posso avvicinami a sentire quanto soffri. No, scusa, non lo so e non posso. So solo che è una vita che stai soffrendo ... ma questo non ti da il diritto di far soffrire altri. Di usarli a piacer tuo ... sono persone, con una dignità ...”.
J. “Dignità?! Dignità!? Ma quale dignità! Io, lo so, lo ammetto, sono uno scellerato. E che altro potrei essere se ho avuto da subito, appena partorito, un’esistenza scellerata? Che ne so dell’amore? Della carità? della fede? Della speranza? Dico bene? sono queste le virtù più importanti, no?”.
R. “Lo dici perché lo sai ...”.
J. “NO! io non so un beato cazzo di niente. Sapere, nella vita, vuol dire aver conosciuto ... aver provato. Non solo il bene, no. Anche il male. E così potrei anche farmi un giudizio. Sarei libero di scegliere, qualsiasi fosse la mia scelta. Ma io non ho avuto scelta, so cos’è l’amore ... e tutto il resto, come so cos’è stata la seconda guerra mondiale, Hitler, i Lager ... Lo so, e non penso di poter neppure avere la più lontana, pallida ombra di un embrione di idea su cosa sia stato tutto ciò per chi l’ha vissuto. Ti è chiaro ora? Io faccio quello che so ... e se ho ricevuto scelleratezze e burle ... queste rendo”.
R. “Ma non puoi ragionare così, in fondo a te c’è un’anima. C’è del buono, dell’amore ...”.
J. “Ho provato a cercare, e non lo sto dicendo per burla, ho provato veramente, e lo sai ...”.
R. “Sì, non posso dire il contrario. Sei stato in terapia da psicanalisti, da psichiatri, sei stato in ritiro in convento e in eremi, da solo o con una guida. Hai fatto il Cammino di Santiago ... per intero ...”.
J. “Non si può dire che non ci abbia provato no? Eppure è sempre stato come quando da bambino pregavo perché Gesù venisse a portarmi via. Zio! Ma ci pensi? No, non pensare a me, pensa a un piccolo bambino innocente che prega il Cielo perché lo liberi dall’inferno della sua esistenza, dallo strazio che gli dilania l’anima, dall’orrore di vivere quella non-vita. E che ha cominciato a pregare a quell’età perché a quell’età ha imparato, a pregare, ma nel suo cuore questo desiderio l’ha sempre avuto. Ci pensi? So che nessuno può capire, e ti dico che non auguro a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico, di trovarsi anche per un solo istante con questo dolore dentro, con un vuoto d’anima, con un dio nero e cieco, intangibile, che ti tiene schiavo! Quindi non stare a darmi lezioni”.
R. “Io ti ho voluto e ti voglio bene ... e anche zia Ina. E Jaime, ricordi?”.
J. “Porca malora! Allora non vuoi capire! Un bambino, io, ma non solo io, ogni bambino, da appena nasce fino a ... non so dirlo, ma se non per sempre, almeno fino a una certa età, ha bisogno ... bisogno vitale, esigenza naturale, di essere amato dalla madre e dal padre. Amato e tutto il resto. Poi, a una data età, non tutti sono d’accordo su quale, comunque già prima dell’adolescenza, se il danno è stato fatto è per sempre. Se tutto è andato come doveva, per il meglio, poi il bambino, cresciuto, può rovinare tutto. Se gli hanno rovinato tutto dall’inizio ... negandogli una cosa importante altrettanto quanto l’aria che respira, lui non raddrizza più nulla. Hanno mandato tutto a puttane. E io che posso fare? Vado a puttane, che hanno la pretesa di non esserlo, e non si fanno neppure pagare … basta far loro annusare un fiore d’arancio! Ci vorrebbe un miracolo. Ma per un miracolo ci vorrebbe un Dio, e mi sembra che siamo alquanto a corto”.
R. “Bestemmi ancora ... Non voglio più controbattere ... accetto tutto, però, perché usare le persone così? Soprattutto i loro sentimenti ... e sentimenti d’amore!”.
J. “E’ storia, zio! È vita ... la mia vita. La mia vita senza vita. Sono un dead man walking, è solo il mio corpo che non l’ha ancora capito. Dentro, di me però, c’è solo morte”.
La rabbia era sfumata dalla sua voce, era tornato il dolore duro e crudo a investirlo. Gli era venuto da lontano, come il rombo di un treno che si stesse avvicinando in una galleria. Si era sentito scuotere dalla forte emozione, aveva chiuso gli occhi e ascoltato il rombo crescergli nella testa, vedendo rosso, rosso, rosso a palpebre serrate. ‘Resisti’, gli urlava una vocina nella testa rombante, ‘Non lasciarti andare, resisti, resisti, resisti come hai imparato a fare’. E si era aggrappato come un naufrago all’ultima pagliuzza di sanità mentale, mentre tutt’intorno impazzava il rombo intollerabile. Che poi si era allontanato come un tuono, smorzato come un sussurro: passato. Il gelo gli era venuto addosso, un gelo più pervasivo della piena di poco prima.
J. “Sono uno spettatore disgustato di una cattiva commedia. Io non provo niente, così non rischio più niente. Non possono disgustarmi, non possono farmi star male, e non possono più farmi del male”.
R. “Di errori ne hai commessi anche troppi, e ti ci ritrovo incasinato fin sopra i capelli”.
J. ‘Vecchio stronzo, cosa gli era saltato in testa?’. “All’inizio ne avrei voluto parlare, ma non si sciacqua via il dolore con le parole. Niente più amore ... forse neppure desiderio, per me queste cose sono finite. E’ tutto finito. Nessuna può più farmi del male”.
R. “E va bene, te lo dico, visto che vuoi proprio saperlo te lo dico. Niente di tutto ciò importa niente, per quello che mi riguarda. Non mi interessa più. Tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una sapienza che, il cielo sia lodato!, non è la nostra”.
J. “Ah! E come colmarlo, quest’abisso delle vita? Perché è sempre lì, più forte che mai, più folle che mai”.
R. “Si può benissimo amare, senza aver subito voglia di uccidere il proprio amore”.
J. “Io non ho ucciso il mio amore. E’ stato ucciso ... e io con lui. Elena Fretz … mi ha lasciato! Non è mai stata mia. Elena era una menzogna, e io ho amato una menzogna, ma non è mai stata mia. Come ha potuto? ... come hanno potuto farmi questo? Perché mi hanno fatto questo? Era l’unica cosa che avevo e poi era diventata il mio inferno. Avrei voluto morisse ... a avrei voluto morire con lei. Non per lei, per me, solo per me stesso. Era mia, ma tutto quello che possedevo era il suo corpo ... il corpo di una sgualdrina ... e io ho creduto a una sgualdrina. Una fottutissima sgualdrina! Avrei voluto andare da lei, e prenderla fra le braccia ... ma ero morto. Eppoi con chi stava? Con mio padre! No, mai! Era finita, era tutto finito. Cosa avrei dovuto fare? Restare lì ad ascoltare le menzogne? Sapevano quello che stavano facendo. Traditori ... sgualdrina. Ilo mio unico amore perduto. Il mio amore era morto, e io sono stato pazzo a sopravvivergli. Ero come un animale ferito che si trascinava nell’agonia. Magari qualcuno avesse messo fine al mio dolore ... anche con una pallottola nel cuore! Per me era morta, e con lei era morta una parte di me. Una gran bella parte di me. Mi sono lasciato trasportare da quei giorni terribili, come un animale morto che viene trascinato via. I sogni svaniscono all’ alba. Forse la vita non è sogno, come sostiene il buon William, ma l’ amore spesso lo è. E svanisce all’ alba. Con Anabel è un déjà vu, anche se l’amante non è mio padre, ma la mia creatura. A me sono state sempre date persone in uso, che mi stavano vicine perché pagate, o perché a loro andava. In quest’ultimo caso, anche io ero usato. Cosa pretendi ne venisse fuori? L’arcangelo Gabriele? Credo che se il Maligno esiste, da lui ho preso. Nel Male sono cresciuto. Il Male lo conosco benissimo, provato sulla mia pelle ... ci è passato e ripassato con scarponi chiodati. Lui mi ha insegnato, mi ha dato la forza di tirare avanti. E’ l’unico appiglio che ho, vuoi che lo lasci? Credi che non ci abbia pensato? Basta che invece che fare il consigliere vada io in prima linea. Non dovrebbero nemmeno impegnarcisi molto, tanto sono arrugginito”.
R. “Juan, per l’amor del Cielo ... non dirlo nemmeno, non ci pensare nemmeno?!”.
J. “Zio, dicono che eri un duro, ma ... sai quante cicatrici mi porto addosso? Almeno quattro non me le hanno fatte, me le sono lasciate fare ... Sono state le più brutte ... eppure ... neppure un nemico capace di uccidermi sono riuscito a trovare ... o Qualcuno c’ha rimesso ancora lo zampino”.
R. “Juan, Juan ... ma cosa ... oh mio Dio! Ma come ... non penserai ...”.
J. “Tranquillo zio, ci ho rinunciato. Anche se sono convinto che la prossima sarebbe la volta buona. O mi fanno secco, o muoio dal ridere ...”.
R. “Juan, non scherzare! Non così ... non avrei mai creduto di arrivare proprio io, a pregare, ma lo farò ...”.
J. “Almeno abbiamo fatto la felicità di zia Ina. Non ho bisogno di raccomandarti Niki, ma trattala bene ... anzi, di più”.
R. “Ripensaci Juan, non è mai troppo tardi ...”.
J. “Questa l’ho già sentita ... potresti fare di meglio ... sei un grande maestro, dico bene? Adieu … o au révoir! … peut-étre, c’est la vie!”.
R. “Juan, ti supplico … anche per zia Ina, non fare colpi di testa … non disperare …!”.
J. “Zio, tu William lo conosci bene: la vita è solo un’ombra che cammina: un povero attore
che incede e si agita sul palcoscenico, e poi non lo si sente più:una storia raccontata da un idiota, piena di rumori e di rabbia, che non significa niente. Fin qui è Macbeth, ora traduco liberamente io: Sarei dovuto morire prima: non ci sarebbe stato tempo per la parola “morte”.
Domani, e domani, e domani, ho trascinato il mio lento passo di giorno in giorno
fino all’ultima sillaba del tempo registrato, e tutti i miei ieri hanno illuminato stupidi
la via verso una morte di polvere. Spegniti, spegniti breve candela di nome Juan! Poi te la scrivo, potrebbe tornarti utile”. Aveva girato sui tacchi ed era uscito, andandosene da dove sapeva non avrebbe incontrato nessuno.
Rich era uscito in giardino stravolto, disperato, senza avere una vera idea su che fare: seguirlo? Tentare di fermarlo? Sapeva che era inutile, quando partiva così era un bulldozer, travolgeva tutto e tutti. Si era subito fermato, agghiacciato, ancora più sconvolto: Ina e Niki avevano sentito tutto. Stavano per raggiungerli, quando si erano fermate, arrestate dal tono e dal registro della discussione, del diverbio. Ina era in lacrime, e stava rianimando Nikolett, che aveva perso i sensi.
dal vostrosempredevoto, brunodantecrespi
(CONTINUA …)

scritto il
2012-08-31
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