Inculata

di
genere
sadomaso

Non era il dolore che cercava me... Il dolore era l’unico piacere per raggiungere un orgasmo...

Stavo recuperando quando la sua sagoma con indifferenza si avvicinò a me e senza guardarmi mi disse: “Ci vediamo alle 21:00 all’auto lavaggio, un ora di tolleranza!”
Io non dissi nulla, subito dopo la palestra sarei andata li.
Lui arrivò dopo di me, scese dalla macchina, ci venimmo incontro come sconosciuti in cerca di una qualche vaga informazione per accendere un dialogo.
“Andiamo dalle mie parti però serve la tua macchina, la mia è conosciuta ok?” Mi disse guardandomi negli occhi, così affondo che mi sentii trafitta.
“Ok!” Risposi accomodante nei suoi confronti.
Mi sedetti come passeggera. Guidò lui, fece persino benzina alla mia Panda. Fu terribilmente gentile e autoritario. Iniziavo a capire che non potevo oppormi, non volevo oppormi. In fondo ero remissiva o il suo carattere dominante e tenebroso mi oscurava? In cuor mio sapevo, mi posi tante di quelle domande.
Mi andava di chiacchierare: “Allora… dove mi porti!” anche se avrei voluto chiederli: “Mi scopi?”
“C’è un posticino tranquillo dove possiamo giocare… se ti va?”
Giocare? Interessante.
Avevo scelta, potevo rifiutarmi? Certo che potevo solo che avrei detto sempre “si”.
Si a qualunque cosa pur di passare del tempo con lui. Avrebbe potuto mettermi la mano nell’ano, lo avrei lasciato fare. Magari avrei urlato. Urlare è liberatorio.
Arrivammo in una zona poco illuminata, sembrava campagna. La strada era priva di illuminazione. Eravamo però sopra il livello del mare di poco. Lo vedevo e ne sentivo la brezza. Scese per alzare una sbarra, guidò la Panda attraverso una stradina sterrata, svoltò leggermente a destra. Ci trovammo al fianco di un antico rudere e davanti una grande villa fatiscente e disabitata. Mi spiegò che aveva le chiavi e l’accesso. Dunque immaginai che saremmo entrati.
Spense la macchina. L’aria tra di noi si fece tesa. In realtà era lui che mi incuteva ansia ed eccitazione nello stesso momento.
“Ti sta bene?” mi chiese e io lo guardai, lui continuò a parlare. “Questa è perversione, ricordi il se, come e quando?”
“Certo ma non capisco che vuoi dire!” Non capivo o non mi importava? Ero presa o infatuata? Volevo godere.
“Voglio usarti, sfogarmi su di te… insano ma vero!”
Restai ferma, pensai. Qualcosa l’avevo capita. Mi chiedevo se lui aveva compreso che il dolore che mi infliggeva era eccitante. Se nel mio tempo trascorso nel dolore era una semplice via di fuga, con lui stava diventando una strada da percorre. Dolore uguale piacere...
“Va bene però, vorrei anche scopare!” Lo ammisi, avrei voluto anche farmi scopare. In maniera animalesca. Quelle spalle mi trasmettevano sesso, di quello rude, di quel sesso che avevo visto solo nei porno mentre tentavo di masturbarmi a seguito di un deludente rapporto sessuale.
“Hai cosi tanta voglia di farti scopare… da me?” I suoi occhi si illuminarono di voglia. Vidi ogni singola increspatura della pelle, dalla fronte al mento.
“Si, tanta!” Il tono della mia voce si abbassò per divenire sensuale, mi eccitai subito. Il solo pensiero di essere scopata mi stordiva di piacere.
Lui uscì dalla macchina, aprì la mia portiera e mi fece scendere come una principessa. La luce della luna era l’unica illuminazione, candida. Si intravedeva quasi tutto. Due ciottolati che si diramavano: uno avanti, verso la villa, l’altro sulla destra, verso un enorme gazebo di glicini non fioriti. La struttura era nel mezzo di due piccole costruzioni simili a stanze, delle dependance. Andammo verso quella incompiuta come una cantiere ancora aperto. Il gradino era alto, all’interno sembrava un cucinotto rustico tenuto abbastanza bene. Un caminetto enorme, una vecchia cucina in ghisa. Intonachi caduti, nessuna piastrella. Mobili da cucina di almeno cento anni. Rimasi affascinata da come la luce entrava in quella quattro mura, di come rendeva l’ambiente argenteo.
Mi mise le mani intorno le spalle, mi accarezzò le guance, toccò le braccia e poi premette con le mani sopra le mia spalle, persi la forza. Mi girò e appoggiò a 90 su un tavolo fatto di tavole di legno con sopra una tovaglia impermeabile, proprio davanti il foro della finestra che non c’era. La luna splendeva nei miei occhi.
Mi abbassò la tuta, il perizomino. Gettò una scatola di preservativi su davanzale e poi?
Avevo i gomiti sul tavolo e le mani sul davanzale, freddo e poroso. Le prese e le portò dietro la mia schiena. Mi legò i polsi con del nastro isolante. Le sensazione di essere legata era strana all’inizio, però mi piaceva. Mi accarezzò i capelli e poi...
Avvertì qualcosa di umido sul mio ano, come una goccia cadente. Saliva. E poi la sua lingua intorno l’orifizio. Non credevo potessi avere dei sussulti. Chi lo avrebbe mai detto che mi stavo eccitando? Meglio di una leccata di fica? Ovvio che no tuttavia…
La sensazione era piacevole, addirittura da farmi sobbalzare e gemere. Per cosa?
Non capivo cosa succedeva al mio corpo. Tremavo, vibravo, mi sentivo accaldata mentre la sua lingua roteava intorno l’orifizio. Colpetti, con la punta fino a spalmarci il palato. Baci sulle mie natiche perfette, e poi la lingua di nuovo intorno l’orifizio, all'interno finché possibile. E Poi?
La lingua percorse su e giù il solco tra le chiappe andando oltre il culo, risalendo sulla schiena. Sentivo la punta umida della lingua soffermarsi su ogni osso sporgente della mia colonna vertebrale. Stavo impazzendo. La risalita fu lenta, molto lenta e libidinosa. Balzai, gemetti di piacere. Non avevo idea da cosa trarre piacere, lui me lo stavo facendo scoprire.
Lingua sulla nuca, come un massaggio, dietro le orecchie a stuzzicarle… poi le morse. Morse ancora. Morse fino a quando non mi sentì dolorante. Morse fino a farmi urlare. E Poi?
Il dolore, l’urlo lacera gola, il tremore del corpo, la sensazione di piacere che invade il corpo. Come il fumo che viene respirato nei polmoni. Un tiro intenso dal filtro di una sigarette di godimento.
Discese adagio, soffermandosi sugli stessi punti più pacato di prima. La mia pelle era ancora umida, il mio corpo un inferno. Gemetti quando la lingua passò nuovamente nel solco del culo. Ancora nell’ano. Sapeva come muoverla quella lingua, dove e come leccare. Invece io?
Mi contraevo dal piacere ancora indefinito. Se avessi potuto lo avrei incitato a non smettere, a farmi godere, ad usare quella lingua sulla mia figa invece? Mi contraevo.
Si fermò, gettò la plastica vuota del preservativo sul davanzale, l’istante dopo arrivò un forte schiaffo sulla natica destra, poi su quella sinistra. Così fino a quando non iniziai ad urlare dall’insopportabile dolore-piacere, fino a quando il mio culo divenne rosso vivo. Qualcosa di umido e appiccicoso rimase sulla pelle di una delle chiappe al tocco del suo cazzo. Supposi dovesse essere enorme. Poi?
Avvertii una forte pressione sul mio ano, gemetti, sobbalzai fino ad alzarmi. Urlai. Mi trattenne, mi domò…
“Sta ferma!” Mi prese dai capelli e mi spinse di nuovo giù mentre spingeva il cazzo e tutto il suo corpo dentro di me. Mi contorsi e liberai un urlo profondo. Ero tesa e abbastanza incerta.
“Spingi…” Mi disse. Non capivo. “Spingi come se dovessi andare al cesso. Apri questo buco!”
Il cazzo iniziò ad insidiarsi nel retto. Io senza volerlo lo stavo ostruendo rendendo difficile e dolorosa la penetrazione anale. Speravo sarei stata assuefatta dalle endorfine.
Il dolore aumentò mentre il cazzo allargava l’orifizio penetrando lento e duro.
Mi mise una mano davanti alla bocca per tappare le mie urla fuori controllo.
“Se vuoi che smetta lecca il palmo…”
Cos’era? Gentilezza, pietà? O semplicemente la dose di dolcezza di cui avevo bisogno?
Levò il cazzo dal mio ano, un attimo di sollievo. Lo rimise dentro con un solo colpo andando più in profondità di prima. Lo fece nuovamente. Urlai nel palmo di quella mano sperando che raggiungesse il suo obiettivo al più presto. Ripeté quei movimenti più volte, colpi più violenti e più profondi fino a sentire i testicoli sobbalzare nella parte bassa del mio culo. Prese profondità e velocità come se il mio ano si fosse completamente dilatato. E io?
Immaginai la profondità dell’abisso legata in una posizione scomoda, con il basso ventre schiacciato al bordo del tavolo grezzo. Urlavo come una matta nel palmo della sua mano, le urla condensarono. Dentro di me volevo ancora lo stesso dolore provato con la prima penetrazione anale.
Sentivo il bisogno di strillare, per il cazzo in culo, per la mia vita, per il piacere di quel dolore intenso. PER TUTTO.
Sembrò fermarsi, scostò leggermente il palmo della mano per consentirmi di parlare. “Continua… continua!” La mia fu una disperata supplica, malata e perversa. Davanti i miei occhi al posto della luna, fluttuava lo spettro del bisogno inconscio di soffrire. Masochismo.
Riprese il movimento veloce, senza tregua e violento del suo cazzo dentro il mio ano. Lo conficcava dentro tutto, il suo pube spingeva contro il mio culo ed io traballavo in avanti, ci mancava poco per sbattere la testa. Andò con questo ritmo per un tempo che non seppi quantificare. Minuti e minuti che sembrarono una vita. Dentro fino in profondità, poi fuori, lasciava che il buco si restringesse e di nuovo dentro. Questo a ritmo controllato oppure a quello infuriato. Non mi importava come mi stava scopando il culo. Non capivo nulla, la mente galleggiava come un corpo dentro una piscina. Ero eccitatissima, le gocce tipo rugiada che scendevano lungo l’interno della mie cosce forse ne erano la prova. Mi scopò il culo fino a quando le mie urla cessarono e rimasero piccoli mugoli di fastidio per il cazzo che entrava ed usciva dal mio culo come se nulla fosse. Come se io avessi praticato sesso anale tutta la vita.
Quando finì, si abbandonò ad un sospiro esausto e soddisfatto. Camminò all’indietro si poggiò ad un tavolo più grande dietro di lui, il cazzo andò per ammosciarsi con il preservativo colmo che ciondolava. Io, indolenzita mi voltai. Non mi reggevo sulle gambe. Feci qualche passo e mi inginocchiai sul ruvido massetto di cemento con le mani ancora legate dietro la schiena.
“Sei un portento!” Mi disse accarezzandosi i peli del pube, e il ventre scolpito.
A quelle parole provai soddisfazione, nel vederlo sudato provai euforia.
Si avvicinò con fare minaccioso a me dopo essersi alzato in parte la tuta. Immaginai cosa volesse fare. Pensai che avrebbe riversato il contenuto del preservativo sulla mia faccia… nella mia bocca… che me lo sarei gustato. Invece, fece cadere il preservativo davanti le mie ginocchia, mi trovai il suo pene moscio ma ancora lungo dinnanzi gli occhi, rivolto verso il mare. Ad un tratto si alzò e spruzzò orina oltre la porta. Un getto forte che tenne il pene orizzontale. Pensai il peggio.
Quando finì, mi mise il cazzo in faccia. Leccai quelle due o tre goccioline, e poi lo presi tutto in bocca. Tutto, palle comprese.
Mi alzò e slegò… passò ancora le mani sulle mie natiche, ed un dito si insidiò dentro. Gli piacque guardare cosa cambiava sul mio volto trastullando l’ano. Mi chiese di raccogliere il preservativo. Andammo in macchina, l’autolavaggio e ognuno per la sua strada.

Compresi di avere piacere attraverso il dolore, non è strano, si chiama masochismo.
Avevo una nuova prospettiva della mia vita.

Susseguirono altri incontri simili ai precedenti. Una sera si masturbò mentre mi sculacciava. Tempo dopo mi inculò sul cofano della sua macchina sopra casa mia. Un’altra sera piovosa…

scritto il
2022-11-04
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