Domata
di
La sua bambola
genere
etero
Apparentemente non mancava nulla nella mia vita: un fidanzato bello e ricco, la famiglia, i valori cristiani. Tutto quello che c’è di comune in una esistenza gioiosa in grazia di Dio.
L’apparenza è un triste inganno, mi sentivo sola ed incompresa, circondata da sorrisi a volte meschini, altre volte bramosi e persino invidiosi.
Il mio bel fidanzato era un egocentrico manesco bastardo. La mia famiglia? Con mia madre avevo un rapporto asettico, mio padre e mio fratello spesso alzavano le mani. Mi spingevano verso l’altare a 22 anni, dovevo rimanere gravida ed incastrare il mio fidanzato. Io cercavo rifugio nella chiesa, nelle attività, nello studio, nella palestra, in qualunque cosa mi facesse restare viva… Il dolore.
Frequentavo assiduamente la palestra, insieme al mio fidanzato. Era un luogo dove sembrava che socializzare fosse necessario, che lo fosse o no, era un distrazione importante. Quattro chiacchiere mi facevano stare bene.
L’istruttore quando era indaffarato, spesso ci diceva di chiedere gli esercizi nuovi, o eventuali dubbi ad un ragazzo, un tizio che spesso lo aiutava.
Venni ipnotizzata da quel giovane adulto, non per le spalle possenti o la V che si formava sotto il suo addome ma, per l’oscurità che sprigionava, potrebbe sembrare una sciocchezza tuttavia, vedevo un aura maledetta attorno la sua figura… Mi attirava. Una sorta di fascino tipico dei cattivi individui.
Il mio ragazzo aveva troppo da fare per accorgersi che ogni scusa per me era buona per parlare con quel tipo. Era gentile, anche quando lo interrompevo. Mi comportavo come una stupida e frivola ragazzina, quasi un incapace. Tutto questo sotto gli occhi del mio fidanzato. Lui era troppo indaffarato con i suoi esercizi o a guardare i culi delle altre ragazze, come se non avesse nulla di meglio… Povero idiota.
Stavo con quel ragazzo per inerzia, ogni volta che provavo a lasciarlo si scatenava il putiferio, ero stanca e pregavo solo Dio che mi portasse via, lontano.
E Dio che fece? Invece di inviarmi un angelo, di salvarmi…
Il tempo, i mesi passarono. Nulla sembrava cambiare, il sesso monotono – il mio fida credeva di essere un attore porno -, i miei magnifici finti orgasmi, uscite con gli amici, i suoi tutte le volte.
Quel tipo in palestra sembrava non considerarmi ma io indagai. Venni a sapere che frequentò le scuole superiori con un caro amico di mia cugina, poi che questo tizio misterioso si scopò mia cugina. Quest’ultima mi disse “togliti lo sfizio e lascialo stare” e quando chiesi “perché?” “Se giochi con il fuoco ti brucerai”.
Quella frase creò un ossessione in me, mia cugina mi disse abbastanza o meglio, io fui così insistente da oltrepassare il limite del pudore. Volevo quel giovane adulto.
Lunedì, mercoledì e venerdì, questi erano gli unici giorni in cui lo beccavo, la sera dopo le 18.00 tutta via, io frequentavo anche la mattina e un sabato – il sabato il mio fidanzato lavorava, o meglio faceva finta, vantaggi di lavorare per il papà - , lo trovai ad allenarsi. Parlava allegramente con Valentina. Si potrebbe riassumere il carattere di Valentina con una sola parola: puttana.
Gelosia, invidia ma anche rabbia secernerò in me. Appena ebbi l’occasione, sfacciata come non mai in tutta la mia vita, gli chiesi un aperitivo, “Hei, mi chiedo se vorresti un aperitivo, qualcosa fa bere con me!”
Mi sorrise, quel sorriso mi dilaniò perché ancor prima della risposta sapevo che sarebbe stato un no secco, acido e maledettamente orgoglioso. Mi aspettavo qualche frase, mi aspettavo una risposta, mi liquidò con silenzio ed io rimasi nell’atrio delle scale come una stupida, sciocca, illusa e tremendamente abbattuta ragazzina. Faceva più male delle percorse del mio fidanzato o delle botte di mio padre quando insinuava che io fossi una puttana… Io? Se fossi stata una puttana avrei avuto i soldi per andarmene da quel cesso di casa.
Ingoiai la delusione come lo sperma dopo un pompino al mio fidanzato.
Dopo la delusione continuavo a vederlo, era inevitabile avendo gli stessi orari. Evitai di chiedergli qualunque cosa, evitai il suo sguardo, ma non potevo far meno di guardarlo quando si alzava la maglietta per asciugarsi il sudore. Quella V mi eccitava. Pensandoci bene, a parte il fisico cosa aveva di così bello? La mia mente iniziò a cancellarlo provando a screditarlo. Ma quello che mi aveva confessato mia cugina Erika, rimbombava come un tuono durante quelle notti di tempesta, rimase solo un pensiero, un desiderio. Insomma non avevo più scuse in palestra. Ritornò monotona.
Succede che perdi le speranze o forse ancora ci speri e fai bene… Era un sabato, credo fosse trascorso un mese dal mio invito, quasi le 12:00. Avevo l’asciugamano intorno al collo, ero sudata a e stanca, stavo scambiando quattro chiacchiere con l’istruttore che non perdeva mai il vizio di adulare le sue clienti. Poi il tizio mi passò di fianco con il telefonino in mano, andò fuori, io invece andai a prendere la bottiglietta d’acqua e poi doccia. E quando uscii, se ne era andato.
Lo trovai sotto, seduto con il borsone a tracollo, ingurgitai la timidezza o qualsiasi cosa provavo, scesi le scale accennando un sorriso cortese.
“Quell’aperitivo ti andrebbe?”
Avevo capito bene? Nemmeno pensai, il cervello mi si fermò, non so come ma risposi di si in automatico. “Lasci la macchina qui o a Fu… Credo dovremmo allontanarci, sopratutto da occhi indiscreti”.
Avevo capito cosa intendesse, per me andava bene qualsiasi cosa, ero libera e senza impegni. Dissi di si e salì in macchina con lui. Andammo verso nord, oltre il mio paese, a venti minuti dalla palestra. Ci fermammo in bar accanto un lungomare deserto e soleggiato. Oltre a noi in quel bar due coppie e degli anziani. Io ordinai un cocktail San Pellegrino lui una birra Tennent’s. Le prime chiacchiere furono di imbarazzo, insomma come due conoscenti. Rimasi stupita da quando lui fosse timido, cioè sembrava timido a tratti e parlava poco. Le sue domande lasciavano condurre a me la conversazione. Non mi sentivo a disagio, lo sembrava lui.
Quando meno te lo aspetti invece, il lupo mostra i denti. “Allora… io sono fidanzato, tu sei fidanzata, siamo lontani da occhi indiscreti, sai come andrà a finire?”
“Forse…” Sinceramente non sapevo che aspettarmi. Il suo sguardo cambiò, vidi nuovamente intorno a lui l’aura di oscurità. Mi sentivo attratta.
“Vogliamo fare qualcosa?” Più che una domanda sembrava una affermazione. Non sapevo cosa volesse fare, cioè non ci pensavo, mi stava bene qualunque cosa.
Domandare “Cosa?” mi sembrò lecito. Nuovamente quel sorriso tra il bene e il male.
Quando lui si alzò per andare a pagare rimasi come una stupida a pensare su cosa avremmo fatto… Più di una limonata di bocca cosa mai avremmo potuto fare alle 13:00?
Andammo in macchina, mi toccò la coscia e che bella sensazione. Guidò in fondo al lungo mare. La zona si fece quasi abbandonata, oltre una rotatoria c’era uno spiazzo circondato da case vuote. Non era una zona abbandonata come pensavo, si trattava delle case dei villeggianti. Quella zona d’estate e piena di gente.
Fermò la macchina, mi guardò, spinse indietro il suo sedile, abbassò lo schienale leggermente. “Allora?”
Dopo la domanda si abbassò leggermente il pantalone della tuta, intravidi i folti peli del pube e poi il cazzo moscio ed i testicoli enormi. Rimasi immobilizzata, forse con un poco di paura ma, mi ricordai che stavo giocando con il fuoco…
Presi dalla punta il cazzo moscio per alzarlo e iniziai a leccargli le palle gonfie. Giusto qualche secondo e la mano si riempì, il membro divenne grosso, duro. Iniziai a segarlo senza distogliere la lingua dalle palle. Nella mia piccola mano divenne immenso. Lentamente con labbra e lingua assaporai la pelle intorno a cazzo ormai in erezione. Dovevo dimostrare di essere brava e porca. Non poteva essere un pompino come quelli che facevo al mio fidanzato. Ci misi passione, lingua e tanta saliva anche perché mi diceva “Sputa sul cazzo… brava!”
Non avevo mai sputato sulla glande, e non credevo di aver così tanta saliva. Stranamente mi appassionai, diventai vorace. Mi deliziai io stessa di quel pompino. La vista del glande lucido era affascinante. La situazione eccitante e lui… in quel momento mi sarei fatta fare di tutto. Non avevo voglia di far sesso, ero concentrata nel dargli piacere - continuavo a spompinare, ed ogni tanto sputavo sulla punta, inumidivo il tutto e ripartivo - , anche se quel movimento sopra e sotto era ripetitivo, ogni secondo mi eccitava. Udire lui che gemeva era musica per le mie orecchie. Mi sentivo brava, appagata… abbastanza troia.
Dopo circa cinque minuti, mi mise una mano sulla testa, afferrò i mie capelli biondi. Mi spinse, mi trattenne qualche secondo, il glande sbatté contro la gola e poi mosse il bacino. Mi tirò su. Io tossii forte, mi accorsi che la saliva colava dalla mia bocca, dal naso ed avevo le lacrime. Di nuovo giù, ed il cazzo affondò nella gola come se fosse la mia vagina. Il ritmo era cambiato… non giocavo più con il fuoco, era il diavolo che giocava con me perché… per quanto potesse essere violento quel pompino, dentro di me, mi eccitava.
Resistetti.
Il ritmo incalzante e frenetico diminuì di colpo, un mugolo. Il primo schizzo di sperma dritto nella mia gola, ingoiai senza consapevolezza, i seguenti tre schizzi in bocca. Il tempo di realizzare e mandai giù. Il resto colò dal suo cazzo come una fontanella e tramite la lingua portai tutto il suo sperma nella mia bocca e ancora una volta ingoiai tutto senza lasciar cadere una goccia. Si toccò il cazzo, lo spremette e dall’orifizio della cappella uscirono due gocce di liquido trasparente e denso. Senza esitazione leccai, ripulii, ingoiai. Mi guardai allo specchietto dell’eletta parasole. Avevo la faccia lucida, e la fronte umida.
“Fammi vedere le tette!” Mi girai verso di lui, con quello sguardo insano e maledetto. Poteva chiedermi di tutto. Anche se non c’era nulla da vedere, abbassai la zip della felpa, tolsi il top, slacciai il reggiseno. Allungò la mano verso i miei piccoli seni. Li testò entrambi. Si alzò dalla sua posizione per leccare i capezzoli e subito dopo li strinse provocando in me un urlo di dolore. L’eccitazione rimase bloccata nella mia gola.
“Sei una bella chiavata senza dubbio ma non cerco una puttana da scopare!”
Non capivo cosa volesse dire, io mi sentivo una puttana in quel momento, mi sentivo la sua puttana.
“Cioè?” risposi incuriosita e confusa.
“Questa notte vogliamo vederci?”
Risposi con una serie di domande logorroiche, impazienti e del tipo: “Dove, quando?”
“É un gioco quello che voglio fare con te. Un gioco perverso. Voglio sapere se ne vali la pena… di rischiare tanto!”
Ero eccitata da quelle parole, anche confusa. Mi aspettavo una gran scopata, ne avevo voglia. Ero sicuramente bagnata e anzi, mi chiedevo perché non mi toccasse. Credevo ci scambiassimo i contatti ed invece. Mi disse che non mi avrebbe dato nessun contatto, che non l’avrebbe mai fatto. Solo appuntamenti in determinati luoghi. Mi stava bene, intrigante. Anche se dovetti spiegare i miei problemi. Trovammo una soluzione.
Quella notte ci saremmo dovuti vedere all’autolavaggio, il piano iniziale era quello e poi avrei saputo il resto. Mi disse anche come vestirmi. Combaciava perfettamente con il mio stile. Elegante, cosce in mostra e tacchi.
In pratica come mi vestiva il mio fidanzato. Non era difficile sbarazzarmi di lui. Dopo la scopata tipica del sabato saremmo andati nei ritrovi comuni. Li, sarei stata poco e per sua gioia mi sarei fatta accompagnare a casa. Qui iniziavano tanti dubbi. A quell’ora non potevo prendere la macchina. Sarei stata beccata. Dunque, appena il mio ragazzo mi lasciò, invece di andare verso casa, nel momento in cui lui si allontanò presi la stradina opposta. Quella che usciva sulla strada, le scalette della discesa e mi feci trovare in un altra via, in un parchetto per bimbi. Appena lo vidi d’istinto cercai le sua lebbra, le evitò come se io avessi la lebbra.
Mi squadrò per bene. “Ti piace?” Lui accennò con la testa. La sua approvazione mi eccitò leggermente. “Dove andiamo?” Chiesi in seguito.
“In un posto sicuro, dove non possono beccarci e dove posso farti quello che voglio… dunque dove mi porti?”
“Io?” Chiesi spalancando gli occhi, pensando a quel – posso farti quello che voglio -. Risi pensando forse uno scherzo. Era serio. Dunque ragionai con calma. “Ok, c’è un posto. Si trova sopra casa mia. Sarebbe lo spiazzo dove mio padre tiene l’orto e gli animali. Posto tranquillo, ci vado spesso con il mio ragazzo.”
“Ok, fammi da navigatore!”
Arrivammo in cinque minuti. Arrestò la macchina. Scese senza dirmi nulla e aprì la portiera. Mi aiutò a scendere e portò davanti al cofano tenendomi la mano da gentiluomo. La mia ombra proiettata dai fari della macchina divenne immensa. Mi girò, mi mise una mano sul culo, abbassò le calze. “Te le ricomprerò, non preoccuparti!”. Nello stesso istante si sbottonò e tirò fuori il cazzo che molte ore prime avevo avidamente spompinato e poi…
Non ebbi il tempo di dire “cosa?” che mi strappò le calze per dividerle a due.
“Ora cammina in avanti, chinati a 90 e fammi vedere il culo!”
Feci esattamente quello che mi chiese. Lui si smanettò seduto sul cofano della macchina. Non so se mi eccitava ma era molto strano. “Toccati il culo!” ed io, come una brava soldatessa eseguii l’ordine. “Allarga le chiappe, fammi vedere il buco… brava… ancora… sculetta…toccati la figa…”
Dopo qualche minuto, forse perché mi stavo toccando, ero stranamente eccitata. Non ho idea di quando tempo passò, ma quando si avvicinò pensai che fosse giunto il momento, la mia figa era pronta e invece. Il mio culo fu inondato di sperma. La mia pelle ne percepì il calore. Rimasi chinata fino a nuovo ordine continuando a masturbarmi. Mi prese dai capelli, mi portò in maniera alquanto rude verso la macchina. Mi voltò e mi sbatté con una certa forza sul cofano, un attimo dopo arrivò uno schiaffo, una sculacciata. Il rumore, lo schioppo del colpo generò un eco seguito dal silenzio. Al secondo schiaffo rimasi soffocante di dolore ma, il piacere sembrava all’apice.
Terzo schiaffo, forte, veloce. Il dolore schizzò dalla mia bocca. Urlai tra dolore e piacere. Gemetti quasi come se fossi stata soddisfatta mentre la mia guancia infreddoliva sul metallo freddo del cofano. Arrivò un’altra batteria di schiaffi. Dieci per la precisione. Il mio culo era rosso e pulsante. Mi aspettavo altri schiaffi. La sua mano afferrò la mia chiappa sinistra, la strinse e il pollice andò a stuzzicare il mio ano. Gridai. Gridai ancora quando il pollice si conficcò dentro e… Entrò anche il pollice della mano destra in un solo movimento. Iniziai a dimenarmi, gemere incurante. Chi poteva sentirci?
Con i pollici tentava di allargare il mio ano, come se fosse la tenda di un palco. Il mio culo il sipario Faceva male? Si.
Mi piaceva? Se non mi fosse piaciuto avrei infierito contro, mi sarei ribellata. Avrei fatto qualunque cosa ed invece rimasi su quel cofano a farmi allargare l’ano. Ero arrabbiata, confusa ed eccitata. Quando levò i pollici mi diede qualche altro schiaffo. Non sentivo più nulla se non quello strano piacere di adrenalina immischiato nel sangue nelle vene.
“Va bene… rivestiti!”
Quando mi girai notai che il suo cazzo era nuovamente in tiro, duro, enorme. Ero tentata da spompinarlo ma, percepivo che potevo fare solo quello che desiderava.
“Cerchi una schiava? Fai quelle cose? Vuoi che io lo sia?” Chiesi pensando a quello che diceva Erika. Mentre ne parlava comunque sembrava eccitata dai ricordi. Iniziavo a comprendere in cosa mi stavo immischiando.
“No, voglio che tu sia la mia bambolina con cui divertirmi!”
“Va bene!” Risposi di rigetto senza pensare mentre mi ricomponevo.
“Se, come e quando godrai lo decido io!”
“Va bene!” Dissi sorridendo. Quel “se” però mi preoccupava.
Sedetti nuovamente in macchina, dolorante. Come se qualcosa fosse entrato dentro di me.
Quella sera finì così. Continuammo a vederci in palestra ma, ci incontrammo solo una decina di giorni dopo, un Venerdì. Il caso volle che ero sola, motorizzata. Organizzò qualcosa a volo dopo la palestra.
L’apparenza è un triste inganno, mi sentivo sola ed incompresa, circondata da sorrisi a volte meschini, altre volte bramosi e persino invidiosi.
Il mio bel fidanzato era un egocentrico manesco bastardo. La mia famiglia? Con mia madre avevo un rapporto asettico, mio padre e mio fratello spesso alzavano le mani. Mi spingevano verso l’altare a 22 anni, dovevo rimanere gravida ed incastrare il mio fidanzato. Io cercavo rifugio nella chiesa, nelle attività, nello studio, nella palestra, in qualunque cosa mi facesse restare viva… Il dolore.
Frequentavo assiduamente la palestra, insieme al mio fidanzato. Era un luogo dove sembrava che socializzare fosse necessario, che lo fosse o no, era un distrazione importante. Quattro chiacchiere mi facevano stare bene.
L’istruttore quando era indaffarato, spesso ci diceva di chiedere gli esercizi nuovi, o eventuali dubbi ad un ragazzo, un tizio che spesso lo aiutava.
Venni ipnotizzata da quel giovane adulto, non per le spalle possenti o la V che si formava sotto il suo addome ma, per l’oscurità che sprigionava, potrebbe sembrare una sciocchezza tuttavia, vedevo un aura maledetta attorno la sua figura… Mi attirava. Una sorta di fascino tipico dei cattivi individui.
Il mio ragazzo aveva troppo da fare per accorgersi che ogni scusa per me era buona per parlare con quel tipo. Era gentile, anche quando lo interrompevo. Mi comportavo come una stupida e frivola ragazzina, quasi un incapace. Tutto questo sotto gli occhi del mio fidanzato. Lui era troppo indaffarato con i suoi esercizi o a guardare i culi delle altre ragazze, come se non avesse nulla di meglio… Povero idiota.
Stavo con quel ragazzo per inerzia, ogni volta che provavo a lasciarlo si scatenava il putiferio, ero stanca e pregavo solo Dio che mi portasse via, lontano.
E Dio che fece? Invece di inviarmi un angelo, di salvarmi…
Il tempo, i mesi passarono. Nulla sembrava cambiare, il sesso monotono – il mio fida credeva di essere un attore porno -, i miei magnifici finti orgasmi, uscite con gli amici, i suoi tutte le volte.
Quel tipo in palestra sembrava non considerarmi ma io indagai. Venni a sapere che frequentò le scuole superiori con un caro amico di mia cugina, poi che questo tizio misterioso si scopò mia cugina. Quest’ultima mi disse “togliti lo sfizio e lascialo stare” e quando chiesi “perché?” “Se giochi con il fuoco ti brucerai”.
Quella frase creò un ossessione in me, mia cugina mi disse abbastanza o meglio, io fui così insistente da oltrepassare il limite del pudore. Volevo quel giovane adulto.
Lunedì, mercoledì e venerdì, questi erano gli unici giorni in cui lo beccavo, la sera dopo le 18.00 tutta via, io frequentavo anche la mattina e un sabato – il sabato il mio fidanzato lavorava, o meglio faceva finta, vantaggi di lavorare per il papà - , lo trovai ad allenarsi. Parlava allegramente con Valentina. Si potrebbe riassumere il carattere di Valentina con una sola parola: puttana.
Gelosia, invidia ma anche rabbia secernerò in me. Appena ebbi l’occasione, sfacciata come non mai in tutta la mia vita, gli chiesi un aperitivo, “Hei, mi chiedo se vorresti un aperitivo, qualcosa fa bere con me!”
Mi sorrise, quel sorriso mi dilaniò perché ancor prima della risposta sapevo che sarebbe stato un no secco, acido e maledettamente orgoglioso. Mi aspettavo qualche frase, mi aspettavo una risposta, mi liquidò con silenzio ed io rimasi nell’atrio delle scale come una stupida, sciocca, illusa e tremendamente abbattuta ragazzina. Faceva più male delle percorse del mio fidanzato o delle botte di mio padre quando insinuava che io fossi una puttana… Io? Se fossi stata una puttana avrei avuto i soldi per andarmene da quel cesso di casa.
Ingoiai la delusione come lo sperma dopo un pompino al mio fidanzato.
Dopo la delusione continuavo a vederlo, era inevitabile avendo gli stessi orari. Evitai di chiedergli qualunque cosa, evitai il suo sguardo, ma non potevo far meno di guardarlo quando si alzava la maglietta per asciugarsi il sudore. Quella V mi eccitava. Pensandoci bene, a parte il fisico cosa aveva di così bello? La mia mente iniziò a cancellarlo provando a screditarlo. Ma quello che mi aveva confessato mia cugina Erika, rimbombava come un tuono durante quelle notti di tempesta, rimase solo un pensiero, un desiderio. Insomma non avevo più scuse in palestra. Ritornò monotona.
Succede che perdi le speranze o forse ancora ci speri e fai bene… Era un sabato, credo fosse trascorso un mese dal mio invito, quasi le 12:00. Avevo l’asciugamano intorno al collo, ero sudata a e stanca, stavo scambiando quattro chiacchiere con l’istruttore che non perdeva mai il vizio di adulare le sue clienti. Poi il tizio mi passò di fianco con il telefonino in mano, andò fuori, io invece andai a prendere la bottiglietta d’acqua e poi doccia. E quando uscii, se ne era andato.
Lo trovai sotto, seduto con il borsone a tracollo, ingurgitai la timidezza o qualsiasi cosa provavo, scesi le scale accennando un sorriso cortese.
“Quell’aperitivo ti andrebbe?”
Avevo capito bene? Nemmeno pensai, il cervello mi si fermò, non so come ma risposi di si in automatico. “Lasci la macchina qui o a Fu… Credo dovremmo allontanarci, sopratutto da occhi indiscreti”.
Avevo capito cosa intendesse, per me andava bene qualsiasi cosa, ero libera e senza impegni. Dissi di si e salì in macchina con lui. Andammo verso nord, oltre il mio paese, a venti minuti dalla palestra. Ci fermammo in bar accanto un lungomare deserto e soleggiato. Oltre a noi in quel bar due coppie e degli anziani. Io ordinai un cocktail San Pellegrino lui una birra Tennent’s. Le prime chiacchiere furono di imbarazzo, insomma come due conoscenti. Rimasi stupita da quando lui fosse timido, cioè sembrava timido a tratti e parlava poco. Le sue domande lasciavano condurre a me la conversazione. Non mi sentivo a disagio, lo sembrava lui.
Quando meno te lo aspetti invece, il lupo mostra i denti. “Allora… io sono fidanzato, tu sei fidanzata, siamo lontani da occhi indiscreti, sai come andrà a finire?”
“Forse…” Sinceramente non sapevo che aspettarmi. Il suo sguardo cambiò, vidi nuovamente intorno a lui l’aura di oscurità. Mi sentivo attratta.
“Vogliamo fare qualcosa?” Più che una domanda sembrava una affermazione. Non sapevo cosa volesse fare, cioè non ci pensavo, mi stava bene qualunque cosa.
Domandare “Cosa?” mi sembrò lecito. Nuovamente quel sorriso tra il bene e il male.
Quando lui si alzò per andare a pagare rimasi come una stupida a pensare su cosa avremmo fatto… Più di una limonata di bocca cosa mai avremmo potuto fare alle 13:00?
Andammo in macchina, mi toccò la coscia e che bella sensazione. Guidò in fondo al lungo mare. La zona si fece quasi abbandonata, oltre una rotatoria c’era uno spiazzo circondato da case vuote. Non era una zona abbandonata come pensavo, si trattava delle case dei villeggianti. Quella zona d’estate e piena di gente.
Fermò la macchina, mi guardò, spinse indietro il suo sedile, abbassò lo schienale leggermente. “Allora?”
Dopo la domanda si abbassò leggermente il pantalone della tuta, intravidi i folti peli del pube e poi il cazzo moscio ed i testicoli enormi. Rimasi immobilizzata, forse con un poco di paura ma, mi ricordai che stavo giocando con il fuoco…
Presi dalla punta il cazzo moscio per alzarlo e iniziai a leccargli le palle gonfie. Giusto qualche secondo e la mano si riempì, il membro divenne grosso, duro. Iniziai a segarlo senza distogliere la lingua dalle palle. Nella mia piccola mano divenne immenso. Lentamente con labbra e lingua assaporai la pelle intorno a cazzo ormai in erezione. Dovevo dimostrare di essere brava e porca. Non poteva essere un pompino come quelli che facevo al mio fidanzato. Ci misi passione, lingua e tanta saliva anche perché mi diceva “Sputa sul cazzo… brava!”
Non avevo mai sputato sulla glande, e non credevo di aver così tanta saliva. Stranamente mi appassionai, diventai vorace. Mi deliziai io stessa di quel pompino. La vista del glande lucido era affascinante. La situazione eccitante e lui… in quel momento mi sarei fatta fare di tutto. Non avevo voglia di far sesso, ero concentrata nel dargli piacere - continuavo a spompinare, ed ogni tanto sputavo sulla punta, inumidivo il tutto e ripartivo - , anche se quel movimento sopra e sotto era ripetitivo, ogni secondo mi eccitava. Udire lui che gemeva era musica per le mie orecchie. Mi sentivo brava, appagata… abbastanza troia.
Dopo circa cinque minuti, mi mise una mano sulla testa, afferrò i mie capelli biondi. Mi spinse, mi trattenne qualche secondo, il glande sbatté contro la gola e poi mosse il bacino. Mi tirò su. Io tossii forte, mi accorsi che la saliva colava dalla mia bocca, dal naso ed avevo le lacrime. Di nuovo giù, ed il cazzo affondò nella gola come se fosse la mia vagina. Il ritmo era cambiato… non giocavo più con il fuoco, era il diavolo che giocava con me perché… per quanto potesse essere violento quel pompino, dentro di me, mi eccitava.
Resistetti.
Il ritmo incalzante e frenetico diminuì di colpo, un mugolo. Il primo schizzo di sperma dritto nella mia gola, ingoiai senza consapevolezza, i seguenti tre schizzi in bocca. Il tempo di realizzare e mandai giù. Il resto colò dal suo cazzo come una fontanella e tramite la lingua portai tutto il suo sperma nella mia bocca e ancora una volta ingoiai tutto senza lasciar cadere una goccia. Si toccò il cazzo, lo spremette e dall’orifizio della cappella uscirono due gocce di liquido trasparente e denso. Senza esitazione leccai, ripulii, ingoiai. Mi guardai allo specchietto dell’eletta parasole. Avevo la faccia lucida, e la fronte umida.
“Fammi vedere le tette!” Mi girai verso di lui, con quello sguardo insano e maledetto. Poteva chiedermi di tutto. Anche se non c’era nulla da vedere, abbassai la zip della felpa, tolsi il top, slacciai il reggiseno. Allungò la mano verso i miei piccoli seni. Li testò entrambi. Si alzò dalla sua posizione per leccare i capezzoli e subito dopo li strinse provocando in me un urlo di dolore. L’eccitazione rimase bloccata nella mia gola.
“Sei una bella chiavata senza dubbio ma non cerco una puttana da scopare!”
Non capivo cosa volesse dire, io mi sentivo una puttana in quel momento, mi sentivo la sua puttana.
“Cioè?” risposi incuriosita e confusa.
“Questa notte vogliamo vederci?”
Risposi con una serie di domande logorroiche, impazienti e del tipo: “Dove, quando?”
“É un gioco quello che voglio fare con te. Un gioco perverso. Voglio sapere se ne vali la pena… di rischiare tanto!”
Ero eccitata da quelle parole, anche confusa. Mi aspettavo una gran scopata, ne avevo voglia. Ero sicuramente bagnata e anzi, mi chiedevo perché non mi toccasse. Credevo ci scambiassimo i contatti ed invece. Mi disse che non mi avrebbe dato nessun contatto, che non l’avrebbe mai fatto. Solo appuntamenti in determinati luoghi. Mi stava bene, intrigante. Anche se dovetti spiegare i miei problemi. Trovammo una soluzione.
Quella notte ci saremmo dovuti vedere all’autolavaggio, il piano iniziale era quello e poi avrei saputo il resto. Mi disse anche come vestirmi. Combaciava perfettamente con il mio stile. Elegante, cosce in mostra e tacchi.
In pratica come mi vestiva il mio fidanzato. Non era difficile sbarazzarmi di lui. Dopo la scopata tipica del sabato saremmo andati nei ritrovi comuni. Li, sarei stata poco e per sua gioia mi sarei fatta accompagnare a casa. Qui iniziavano tanti dubbi. A quell’ora non potevo prendere la macchina. Sarei stata beccata. Dunque, appena il mio ragazzo mi lasciò, invece di andare verso casa, nel momento in cui lui si allontanò presi la stradina opposta. Quella che usciva sulla strada, le scalette della discesa e mi feci trovare in un altra via, in un parchetto per bimbi. Appena lo vidi d’istinto cercai le sua lebbra, le evitò come se io avessi la lebbra.
Mi squadrò per bene. “Ti piace?” Lui accennò con la testa. La sua approvazione mi eccitò leggermente. “Dove andiamo?” Chiesi in seguito.
“In un posto sicuro, dove non possono beccarci e dove posso farti quello che voglio… dunque dove mi porti?”
“Io?” Chiesi spalancando gli occhi, pensando a quel – posso farti quello che voglio -. Risi pensando forse uno scherzo. Era serio. Dunque ragionai con calma. “Ok, c’è un posto. Si trova sopra casa mia. Sarebbe lo spiazzo dove mio padre tiene l’orto e gli animali. Posto tranquillo, ci vado spesso con il mio ragazzo.”
“Ok, fammi da navigatore!”
Arrivammo in cinque minuti. Arrestò la macchina. Scese senza dirmi nulla e aprì la portiera. Mi aiutò a scendere e portò davanti al cofano tenendomi la mano da gentiluomo. La mia ombra proiettata dai fari della macchina divenne immensa. Mi girò, mi mise una mano sul culo, abbassò le calze. “Te le ricomprerò, non preoccuparti!”. Nello stesso istante si sbottonò e tirò fuori il cazzo che molte ore prime avevo avidamente spompinato e poi…
Non ebbi il tempo di dire “cosa?” che mi strappò le calze per dividerle a due.
“Ora cammina in avanti, chinati a 90 e fammi vedere il culo!”
Feci esattamente quello che mi chiese. Lui si smanettò seduto sul cofano della macchina. Non so se mi eccitava ma era molto strano. “Toccati il culo!” ed io, come una brava soldatessa eseguii l’ordine. “Allarga le chiappe, fammi vedere il buco… brava… ancora… sculetta…toccati la figa…”
Dopo qualche minuto, forse perché mi stavo toccando, ero stranamente eccitata. Non ho idea di quando tempo passò, ma quando si avvicinò pensai che fosse giunto il momento, la mia figa era pronta e invece. Il mio culo fu inondato di sperma. La mia pelle ne percepì il calore. Rimasi chinata fino a nuovo ordine continuando a masturbarmi. Mi prese dai capelli, mi portò in maniera alquanto rude verso la macchina. Mi voltò e mi sbatté con una certa forza sul cofano, un attimo dopo arrivò uno schiaffo, una sculacciata. Il rumore, lo schioppo del colpo generò un eco seguito dal silenzio. Al secondo schiaffo rimasi soffocante di dolore ma, il piacere sembrava all’apice.
Terzo schiaffo, forte, veloce. Il dolore schizzò dalla mia bocca. Urlai tra dolore e piacere. Gemetti quasi come se fossi stata soddisfatta mentre la mia guancia infreddoliva sul metallo freddo del cofano. Arrivò un’altra batteria di schiaffi. Dieci per la precisione. Il mio culo era rosso e pulsante. Mi aspettavo altri schiaffi. La sua mano afferrò la mia chiappa sinistra, la strinse e il pollice andò a stuzzicare il mio ano. Gridai. Gridai ancora quando il pollice si conficcò dentro e… Entrò anche il pollice della mano destra in un solo movimento. Iniziai a dimenarmi, gemere incurante. Chi poteva sentirci?
Con i pollici tentava di allargare il mio ano, come se fosse la tenda di un palco. Il mio culo il sipario Faceva male? Si.
Mi piaceva? Se non mi fosse piaciuto avrei infierito contro, mi sarei ribellata. Avrei fatto qualunque cosa ed invece rimasi su quel cofano a farmi allargare l’ano. Ero arrabbiata, confusa ed eccitata. Quando levò i pollici mi diede qualche altro schiaffo. Non sentivo più nulla se non quello strano piacere di adrenalina immischiato nel sangue nelle vene.
“Va bene… rivestiti!”
Quando mi girai notai che il suo cazzo era nuovamente in tiro, duro, enorme. Ero tentata da spompinarlo ma, percepivo che potevo fare solo quello che desiderava.
“Cerchi una schiava? Fai quelle cose? Vuoi che io lo sia?” Chiesi pensando a quello che diceva Erika. Mentre ne parlava comunque sembrava eccitata dai ricordi. Iniziavo a comprendere in cosa mi stavo immischiando.
“No, voglio che tu sia la mia bambolina con cui divertirmi!”
“Va bene!” Risposi di rigetto senza pensare mentre mi ricomponevo.
“Se, come e quando godrai lo decido io!”
“Va bene!” Dissi sorridendo. Quel “se” però mi preoccupava.
Sedetti nuovamente in macchina, dolorante. Come se qualcosa fosse entrato dentro di me.
Quella sera finì così. Continuammo a vederci in palestra ma, ci incontrammo solo una decina di giorni dopo, un Venerdì. Il caso volle che ero sola, motorizzata. Organizzò qualcosa a volo dopo la palestra.
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