Matilde 01 - 03 L'incontro
di
Alex46
genere
saffico
3) L’incontro
Il citofono suona verso le due, come d’accordo.
- Sono Debra. A che piano?
- Ciao Debra, sali al quarto.
Mi sento pronta, tra poco la rivedrò a tu per tu. Forse riesco a trovarle qualcosa addosso di antipatico, per ridurre l’immagine che mi sono fatta. Ma so anche che è bella e fascinosa, in questa giornata d’agosto che è del tutto speciale.
Quando le apro la porta mi trovo davanti qualcosa di davvero diverso da quello che mi ero immaginata al mattino, o da quello che avevo visto due sere fa. Ho davanti una ragazza normale, bella, appariscente, soprattutto per la cascata di capelli scuri, ma senza più aria da donna fatale. Se non fosse per le scarpe, a tacco alto e di resina trasparente.
Mi sorride e m’accorgo di quanto il suo sorriso sia luminoso, la faccio sedere e la osservo mentre accavalla le gambe, coperte da un pantalone bianco appena attillato. In basso risaltano i piedi, generosamente in vista sotto la resina. Un collo del piede nobile, alto, porta a cinque dita piccole e affusolate.
- Ti va un prosecco che ho in fresco?
Alla sua risposta affermativa la lascio da sola a guardarsi in giro, poi torno dalla cucina con un vassoio e due bicchieri di vino bianco frizzante. Mi siedo anch’io e cominciamo a chiacchierare.
- Sai – mi dice guardandomi diritta negli occhi – la prima cosa che volevo chiederti è se tu di Franco sei innamorata o se...
- Non posso dire di esserne innamorata. Lui non mi ha fatto scattare quell’emozione che invece ho provato per altri. Però ho passato con lui qualche mese divertente, senza pensieri. Perché Franco è pieno di attenzioni.
- Questo è vero, è attento a ogni piccola cosa...
- Però ogni qual volta scavi anche per poco, sotto la scorza c’è poco. O forse lui non permette che si vada in profondità. Ma perché mi chiedi se ne sono innamorata?
- Perché quando ti ho vista con lui l’altra sera e ho deciso di autoinvitarmi al vostro tavolo, pur non sapendo bene perché lo facevo, ho sentito che in qualche modo dovevo «inserirmi».
- Ah, per quello ci sei riuscita benissimo! – esclamo sorridendo, senza dare l’aria di esserne contrariata – Lo sai che dopo avermi riaccompagnata in albergo abbiamo litigato per te e lui se ne è andato?
- Certo che lo so, l’ho rivisto nell’unica discoteca decente. Lui è venuto apposta per cercarmi. Saranno state le due, io avevo uno o due cascamorti che mi ronzavano attorno, con uno avevo anche bevuto qualcosa. Ma non riuscivo a interessarmi a niente, la musica mi dava un po’ fastidio, continuavo a pensare a voi.
- E allora lui è arrivato, immagino che t’abbia vista subito. E cosa ti ha detto?
- Ha detto che era venuto per me, che mi aveva ancora negli occhi da quando mi aveva salutato, che aveva anche litigato con te.
- Brutto bastardo, ti avrà detto anche che sono una stronza...
- Beh, non così chiaramente; ma io ho preso subito le tue difese... poi abbiamo bevuto un gin-tonic, abbiamo ballato due o tre pezzi, quando si sono messi a fare una musica decente. Certo che Franco si muove bene...
- La discoteca non è l’unico posto dove si muove bene. Tu, ci hai fatto sesso, dopo? – chiedo con una punta di ansietà.
- Sì, verso le quattro siamo usciti, un po’ bevuti. Lui mi teneva sottobraccio e siamo andati al mio albergo. Non ci sono volute molte parole, siamo saliti e dopo poco eravamo già a rotolarci sul mio letto. Ti dispiace molto?
- No, non mi dispiace, e poi lo immaginavo.
- Non è stata una grande scopata, lui è andato subito al sodo, forse eravamo un po’ stanchi. Mentre stavo lì con lui ero sicura che in realtà non era lui quello che volevo. Poi ci siamo addormentati e al mattino dopo, quando mi sono svegliata per prima, ho capito: di Franco non mi interessava assolutamente niente.
A quelle parole, trasalgo. Possibile che quello che sento, che ho appena sentito, abbia il significato che spero? Possibile che lei mi voglia dire, in modo obliquo, quello che anch’io vorrei dirle? Non sto interpretando a modo mio, fraintendendo? Perché Franco dev’essere ancora tra noi?
- Poi si è svegliato anche lui, ci siamo alzati, siamo scesi in strada a comprare la focaccia. Mi ha offerto un bicchiere di vino bianco... Erano solo le undici, ma a suo dire non si può mangiare la focaccia senza un bicchiere di vino bianco.
Mi sono lasciata convincere facilmente, poi ho cominciato a sentire un languore dove sai bene anche tu; allora ho deciso che forse era bene dargli un’altra possibilità. Così gli ho fatto capire che mi sarebbe piaciuto, siamo risaliti in camera e questa volta le cose sono andate molto meglio.
Mi sono spogliata davanti a lui, l’ho trascinato sul letto con me e ho cominciato a baciarlo; lui mi rispondeva, dicendomi quanto ero bella e quanto avesse voglia di fare l’amore con me. Era dolce e deciso, io praticamente mi offrivo senza più alcuna remora né pudore.
- Ma cosa hai fatto di preciso?
- Gli ho messo la figa in faccia, ecco cosa ho fatto, e gli ho chiesto di leccarmela. Lui è stato meraviglioso, io sono venuta quasi subito; poi a un certo punto mi sono come congelata per un momento...
- Perché?
- Perché mi sono accorta che non era lui a leccarmi...
- Come non era lui...
- Sì, era lui. Però... io pensavo fossi tu, volevo fossi tu.
- E perché ti sei congelata? – continuo io, volutamente senza dare, in apparenza, importanza a questa rivelazione pazzesca, ma in realtà impietrita.
- Beh, congelata no, anzi. È stato solo un momento, per la sorpresa. Non avevo mai avuto di queste fantasie. Nella testa ero gelata, per il resto mi scioglievo. Poi, quando lui ha deciso di prendermi, mi sono data con tutta me stessa, ma continuavo a immaginare che tu fossi presente, che tu ci guardassi, che tu attendessi il tuo turno per farti prendere da noi due.
Mentre Debra dice queste cose non ha il coraggio di guardarmi più in faccia. Si vede che è venuta qui per liberarsi, per sapere la mia opinione, conoscere la mia reazione. Disinibita lo è, non è così terribile dire certe cose, basta aprirsi. Ma se è venuta fin qui per affrontarmi, è perché non può fare a meno di me, adesso lo so.
Le offro prosciutto e melone, mangiamo di gusto, ormai come vecchie amiche. Sono contenta che sia qui, perché la sento complice.
Per il momento il discorso non torna più sull’amore e sulle fantasie. Parliamo per conoscerci meglio, per capire da dove viene l’altra, cosa potremmo avere in comune oltre a un uomo e al sesso tra di noi forse futuro.
Me ne guardo bene dal confessare a mia volta le mie fantasie mattutine: lei mi ha fatto un torto, o crede, quindi io voglio conservare il mio punto di vantaggio. Però a metà pomeriggio le mie curiosità, piano piano, si rivolgono all’intimo, comincio a porle domande che potrebbero essere imbarazzanti, se la situazione non fosse stata spianata in precedenza dalle sue ammissioni.
Mi è simpatica, non sembra raccontare bugie, non vuole farsi più bella di quello che è. È semplice, genuina. Probabilmente segue solo il suo cuore, un po’ come me: e questa mattina il cuore le ha suggerito di fare questo passo.
- Tu ti masturbi? – le chiedo con innocenza, ma un po’ a bruciapelo, come a chiedere se le piace il caffè. Una domanda che seguiva decine di altre curiosità su di lei, come a che età avesse avuto il primo uomo o se si era mai innamorata seriamente, cui lei aveva risposto con precisione ma senza scendere mai nei particolari.
- Sì, molto – è la risposta decisa, quasi liberatoria, come se anche lei avvertisse che il discorso ha raggiunto un punto dal quale non si può tornare indietro – moltissimo, in ogni modo. E mi piace anche che mi guardino, ma questo non sempre è possibile. Con Franco, per esempio, non lo sarebbe.
- Lo faresti anche davanti a me? – incalzo io d’impulso, con voce appena un po’ soffocata.
Mi guarda con quegli occhi azzurri che ti frugano dentro, senza dare possibilità a nessuno di resistere.
- Se me lo chiedi è perché sai che lo farei. Ho capito dal primo momento che ti ho vista che tra noi non sarebbe stata un’amicizia normale. Ti ho desiderata fin da subito, non so perché e non me lo domando per paura che la magia di questa sensazione svanisca. È per te che mi sono seduta al tavolo, è per te che ho fatto l’amore con Franco. Volevo rivederti a tutti i costi, non sapevo come fare per avvicinarti, per scoprirti.
Come tecnica di seduzione è un po’ strana, mi dico. Certo, ci vuole decisione. Se voleva riuscire a comunicare il suo interesse per me, rubarmi l’uomo per poi dirmi che non era per lui, la trovo abbastanza ardita. Ma non è una vera domanda quella che mi sfiora appena, perché ora mi va di risponderle con segni inequivocabili.
Mi tolgo le scarpe, mi siedo sul divano accanto a lei e mi avvicino al suo volto, un po’ accoccolata. Il profumo attorno a lei è lieve, ma quasi mi stordisce. La bacio su una guancia, quasi a voler più che altro sentire la sua fragranza, ma poi lei mi porge la bocca e allora ci baciamo, senza esitare, come farebbero un uomo e una donna.
Baciare una donna come Debra è speciale, e infatti mi sembra di baciare me stessa, o meglio un’altra me stessa. È un bacio lungo, dolce, affettuoso ma anche lascivo, pieno di promesse e di complicità. Lo so cosa vuoi da me, perché sono donna come te, non ci sono e non ci possono essere sotterfugi o cose fraintese. Non ti do smancerie e romanticismo quando vuoi sesso e il sesso te lo do solo con carezze e dolcezze. Ti capisco, ti leggo negli occhi. Forse siamo due viziose? Così depravate da esserci stufate dell’insipienza dei maschi? E anche se qualcuno potrebbe non tollerare le nostre tendenze, a noi che importa? Ci amiamo alla nostra maniera, e il desiderio che ho provato e provo per lei non l’ho mai provato così forte per nessun uomo.
Forse era lei l’anello mancante alla felicità, m’illudo. E intanto sento la sua pelle, le sue mani che mi accarezzano e mi frugano sotto la camicetta, sentono il seno mio tanto simile al suo, con i capezzoli duri, eccitati da morire. Faremo l’amore, Debra, questo è certo e lo faremo fino in fondo, sarà vero amore con te.
Ti dirò ogni cosa e lo farò tra poco, e allora berrai le mie parole con gioia: perché anch’io so dare gioia.
Il citofono suona verso le due, come d’accordo.
- Sono Debra. A che piano?
- Ciao Debra, sali al quarto.
Mi sento pronta, tra poco la rivedrò a tu per tu. Forse riesco a trovarle qualcosa addosso di antipatico, per ridurre l’immagine che mi sono fatta. Ma so anche che è bella e fascinosa, in questa giornata d’agosto che è del tutto speciale.
Quando le apro la porta mi trovo davanti qualcosa di davvero diverso da quello che mi ero immaginata al mattino, o da quello che avevo visto due sere fa. Ho davanti una ragazza normale, bella, appariscente, soprattutto per la cascata di capelli scuri, ma senza più aria da donna fatale. Se non fosse per le scarpe, a tacco alto e di resina trasparente.
Mi sorride e m’accorgo di quanto il suo sorriso sia luminoso, la faccio sedere e la osservo mentre accavalla le gambe, coperte da un pantalone bianco appena attillato. In basso risaltano i piedi, generosamente in vista sotto la resina. Un collo del piede nobile, alto, porta a cinque dita piccole e affusolate.
- Ti va un prosecco che ho in fresco?
Alla sua risposta affermativa la lascio da sola a guardarsi in giro, poi torno dalla cucina con un vassoio e due bicchieri di vino bianco frizzante. Mi siedo anch’io e cominciamo a chiacchierare.
- Sai – mi dice guardandomi diritta negli occhi – la prima cosa che volevo chiederti è se tu di Franco sei innamorata o se...
- Non posso dire di esserne innamorata. Lui non mi ha fatto scattare quell’emozione che invece ho provato per altri. Però ho passato con lui qualche mese divertente, senza pensieri. Perché Franco è pieno di attenzioni.
- Questo è vero, è attento a ogni piccola cosa...
- Però ogni qual volta scavi anche per poco, sotto la scorza c’è poco. O forse lui non permette che si vada in profondità. Ma perché mi chiedi se ne sono innamorata?
- Perché quando ti ho vista con lui l’altra sera e ho deciso di autoinvitarmi al vostro tavolo, pur non sapendo bene perché lo facevo, ho sentito che in qualche modo dovevo «inserirmi».
- Ah, per quello ci sei riuscita benissimo! – esclamo sorridendo, senza dare l’aria di esserne contrariata – Lo sai che dopo avermi riaccompagnata in albergo abbiamo litigato per te e lui se ne è andato?
- Certo che lo so, l’ho rivisto nell’unica discoteca decente. Lui è venuto apposta per cercarmi. Saranno state le due, io avevo uno o due cascamorti che mi ronzavano attorno, con uno avevo anche bevuto qualcosa. Ma non riuscivo a interessarmi a niente, la musica mi dava un po’ fastidio, continuavo a pensare a voi.
- E allora lui è arrivato, immagino che t’abbia vista subito. E cosa ti ha detto?
- Ha detto che era venuto per me, che mi aveva ancora negli occhi da quando mi aveva salutato, che aveva anche litigato con te.
- Brutto bastardo, ti avrà detto anche che sono una stronza...
- Beh, non così chiaramente; ma io ho preso subito le tue difese... poi abbiamo bevuto un gin-tonic, abbiamo ballato due o tre pezzi, quando si sono messi a fare una musica decente. Certo che Franco si muove bene...
- La discoteca non è l’unico posto dove si muove bene. Tu, ci hai fatto sesso, dopo? – chiedo con una punta di ansietà.
- Sì, verso le quattro siamo usciti, un po’ bevuti. Lui mi teneva sottobraccio e siamo andati al mio albergo. Non ci sono volute molte parole, siamo saliti e dopo poco eravamo già a rotolarci sul mio letto. Ti dispiace molto?
- No, non mi dispiace, e poi lo immaginavo.
- Non è stata una grande scopata, lui è andato subito al sodo, forse eravamo un po’ stanchi. Mentre stavo lì con lui ero sicura che in realtà non era lui quello che volevo. Poi ci siamo addormentati e al mattino dopo, quando mi sono svegliata per prima, ho capito: di Franco non mi interessava assolutamente niente.
A quelle parole, trasalgo. Possibile che quello che sento, che ho appena sentito, abbia il significato che spero? Possibile che lei mi voglia dire, in modo obliquo, quello che anch’io vorrei dirle? Non sto interpretando a modo mio, fraintendendo? Perché Franco dev’essere ancora tra noi?
- Poi si è svegliato anche lui, ci siamo alzati, siamo scesi in strada a comprare la focaccia. Mi ha offerto un bicchiere di vino bianco... Erano solo le undici, ma a suo dire non si può mangiare la focaccia senza un bicchiere di vino bianco.
Mi sono lasciata convincere facilmente, poi ho cominciato a sentire un languore dove sai bene anche tu; allora ho deciso che forse era bene dargli un’altra possibilità. Così gli ho fatto capire che mi sarebbe piaciuto, siamo risaliti in camera e questa volta le cose sono andate molto meglio.
Mi sono spogliata davanti a lui, l’ho trascinato sul letto con me e ho cominciato a baciarlo; lui mi rispondeva, dicendomi quanto ero bella e quanto avesse voglia di fare l’amore con me. Era dolce e deciso, io praticamente mi offrivo senza più alcuna remora né pudore.
- Ma cosa hai fatto di preciso?
- Gli ho messo la figa in faccia, ecco cosa ho fatto, e gli ho chiesto di leccarmela. Lui è stato meraviglioso, io sono venuta quasi subito; poi a un certo punto mi sono come congelata per un momento...
- Perché?
- Perché mi sono accorta che non era lui a leccarmi...
- Come non era lui...
- Sì, era lui. Però... io pensavo fossi tu, volevo fossi tu.
- E perché ti sei congelata? – continuo io, volutamente senza dare, in apparenza, importanza a questa rivelazione pazzesca, ma in realtà impietrita.
- Beh, congelata no, anzi. È stato solo un momento, per la sorpresa. Non avevo mai avuto di queste fantasie. Nella testa ero gelata, per il resto mi scioglievo. Poi, quando lui ha deciso di prendermi, mi sono data con tutta me stessa, ma continuavo a immaginare che tu fossi presente, che tu ci guardassi, che tu attendessi il tuo turno per farti prendere da noi due.
Mentre Debra dice queste cose non ha il coraggio di guardarmi più in faccia. Si vede che è venuta qui per liberarsi, per sapere la mia opinione, conoscere la mia reazione. Disinibita lo è, non è così terribile dire certe cose, basta aprirsi. Ma se è venuta fin qui per affrontarmi, è perché non può fare a meno di me, adesso lo so.
Le offro prosciutto e melone, mangiamo di gusto, ormai come vecchie amiche. Sono contenta che sia qui, perché la sento complice.
Per il momento il discorso non torna più sull’amore e sulle fantasie. Parliamo per conoscerci meglio, per capire da dove viene l’altra, cosa potremmo avere in comune oltre a un uomo e al sesso tra di noi forse futuro.
Me ne guardo bene dal confessare a mia volta le mie fantasie mattutine: lei mi ha fatto un torto, o crede, quindi io voglio conservare il mio punto di vantaggio. Però a metà pomeriggio le mie curiosità, piano piano, si rivolgono all’intimo, comincio a porle domande che potrebbero essere imbarazzanti, se la situazione non fosse stata spianata in precedenza dalle sue ammissioni.
Mi è simpatica, non sembra raccontare bugie, non vuole farsi più bella di quello che è. È semplice, genuina. Probabilmente segue solo il suo cuore, un po’ come me: e questa mattina il cuore le ha suggerito di fare questo passo.
- Tu ti masturbi? – le chiedo con innocenza, ma un po’ a bruciapelo, come a chiedere se le piace il caffè. Una domanda che seguiva decine di altre curiosità su di lei, come a che età avesse avuto il primo uomo o se si era mai innamorata seriamente, cui lei aveva risposto con precisione ma senza scendere mai nei particolari.
- Sì, molto – è la risposta decisa, quasi liberatoria, come se anche lei avvertisse che il discorso ha raggiunto un punto dal quale non si può tornare indietro – moltissimo, in ogni modo. E mi piace anche che mi guardino, ma questo non sempre è possibile. Con Franco, per esempio, non lo sarebbe.
- Lo faresti anche davanti a me? – incalzo io d’impulso, con voce appena un po’ soffocata.
Mi guarda con quegli occhi azzurri che ti frugano dentro, senza dare possibilità a nessuno di resistere.
- Se me lo chiedi è perché sai che lo farei. Ho capito dal primo momento che ti ho vista che tra noi non sarebbe stata un’amicizia normale. Ti ho desiderata fin da subito, non so perché e non me lo domando per paura che la magia di questa sensazione svanisca. È per te che mi sono seduta al tavolo, è per te che ho fatto l’amore con Franco. Volevo rivederti a tutti i costi, non sapevo come fare per avvicinarti, per scoprirti.
Come tecnica di seduzione è un po’ strana, mi dico. Certo, ci vuole decisione. Se voleva riuscire a comunicare il suo interesse per me, rubarmi l’uomo per poi dirmi che non era per lui, la trovo abbastanza ardita. Ma non è una vera domanda quella che mi sfiora appena, perché ora mi va di risponderle con segni inequivocabili.
Mi tolgo le scarpe, mi siedo sul divano accanto a lei e mi avvicino al suo volto, un po’ accoccolata. Il profumo attorno a lei è lieve, ma quasi mi stordisce. La bacio su una guancia, quasi a voler più che altro sentire la sua fragranza, ma poi lei mi porge la bocca e allora ci baciamo, senza esitare, come farebbero un uomo e una donna.
Baciare una donna come Debra è speciale, e infatti mi sembra di baciare me stessa, o meglio un’altra me stessa. È un bacio lungo, dolce, affettuoso ma anche lascivo, pieno di promesse e di complicità. Lo so cosa vuoi da me, perché sono donna come te, non ci sono e non ci possono essere sotterfugi o cose fraintese. Non ti do smancerie e romanticismo quando vuoi sesso e il sesso te lo do solo con carezze e dolcezze. Ti capisco, ti leggo negli occhi. Forse siamo due viziose? Così depravate da esserci stufate dell’insipienza dei maschi? E anche se qualcuno potrebbe non tollerare le nostre tendenze, a noi che importa? Ci amiamo alla nostra maniera, e il desiderio che ho provato e provo per lei non l’ho mai provato così forte per nessun uomo.
Forse era lei l’anello mancante alla felicità, m’illudo. E intanto sento la sua pelle, le sue mani che mi accarezzano e mi frugano sotto la camicetta, sentono il seno mio tanto simile al suo, con i capezzoli duri, eccitati da morire. Faremo l’amore, Debra, questo è certo e lo faremo fino in fondo, sarà vero amore con te.
Ti dirò ogni cosa e lo farò tra poco, e allora berrai le mie parole con gioia: perché anch’io so dare gioia.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Matilde 01 - 02 La telefonata inattesaracconto sucessivo
Matilde 01 - 04 Amanti
Commenti dei lettori al racconto erotico