Loro
di
Cle
genere
etero
Il sole di luglio si specchiava fiero sull’asfalto bollente. Scese dall’automobile, stringendo un fazzoletto di stoffa tra le dita. Il caldo lo colpì in viso come un nemico pigro. Una carezza insistente che fece imperlare la sua fronte di minuscole goccioline trasparenti che s’incastrarono tra i suoi ricci, rendendoli un ammasso disordinato e informe.
Una fila di palazzi disposti a semicerchio, le finestre convesse, le pareti esterne rivestite di marmo di Carrara. Ai lati, lungo le colonne, piante di edera e hibiscus coprivano tutto lo spazio in un abbraccio scomposto.
Qualche passo dal parcheggio e si ritrovò davanti alle pulsantiere di una fila di citofoni ordinati per lettera alfabetica. Il palazzo di Ludovica era L. Sfiorò la superficie lucida alla ricerca del cognome giusto. Il riflesso del sole rendeva tutto più complicato. L’indice scorreva veloce, fece il giro un paio di volte, finché si fermò alla lettera giusta. Mo… computò mentalmente le sillabe e suonò.
“Amore!” Comparve un messaggio su whatsapp nel momento esatto in cui il dito si staccò dalla tastiera del citofono. Guardò lo schermo, “sono io, mi apri?”
Entrò nel giardino comune, attraversò un vialetto di beola, scese una piccola rampa di scale e si ritrovò nell’atrio del palazzo. Il portone era in ottone con i vetri bruniti, all’interno si sentiva un fastidioso odore di cera. Si guardò intorno, l’ascensore era già al piano. Vide il suo riflesso sugli specchi che ricoprivano tutte le pareti e, istintivamente, passò una mano tra i ricci. “Sono proprio figo!” Pensò tra sé e sé mentre s’infilava nell’ascensore.
Quarto piano.
Il silenzioso movimento degli ingranaggi e la sua immagine, davanti allo specchio della cabina, scandirono il minuto e mezzo che lo condusse su.
La porta era socchiusa, la spinse e se la richiuse alle spalle.
“Amore, vieni!”
Le sue labbra lo strinsero in un bacio avvolgente. I capelli biondi sapevano di uno shampoo al muschio. Le unghie, laccate di rosso, correvano lungo la schiena, sotto la camicia umida di sudore.
“Piano… non lasciarmi segni!”
I vestiti scivolarono facilmente. Sul divano di pelle morbida i corpi affondavano ad ogni movimento.
Lei lo guardò.
“Fermati!”
Le mani strinsero le guance e, lentamente accarezzando il collo, scesero giù sul petto. Le labbra voraci ne seguivano i movimenti fino ad arrivare ai confini del cotone dei boxer aderenti che lambivano la sua pancia. La lingua indugiò un attimo lungo l’elastico fino a quando le dita fecero scivolare giù la stoffa.
La lingua lo sfiorò appena. Piccoli colpetti mentre i suoi occhi cercavano lo sguardo di lui.
Un colpetto, due… tre.
Le mani lo accarezzavano lentamente.
Le labbra morbide si aprirono in un bacio voluttuoso che accolse il suo sesso tutto dentro la bocca. Giù, fin dove poteva. I movimenti si fecero sempre più veloci, convulsi. Il suo cazzo eccitato la riempiva completamente. Su e giù, mentre una mano lo stringeva decisa.
Succhiava e alzava lo sguardo. Nella stanza si sentiva solo il battito cadenzato di una vecchia pendola e il sommesso rumore emesso dalle sue labbra. Lui, in silenzio, le accarezzava la testa e la spingeva a restare giù.
Quei baci voraci arrivavano come lampi nella sua testa e, all’improvviso, senza riuscire a resistere le riempì la bocca del suo piacere. Schizzi densi e caldi di lattiginoso amore.
Suonò il citofono. Lei si staccò. Aveva le labbra, le guance e il collo completamente pieni di lui. Raccolse i vestiti, li indossò velocemente e, guardandolo, ingoiò tutto. Ripulendosi le guance e il collo con il fazzoletto che gli aveva rubato da una tasca dei jeans.
Lui si rivestì, andò in bagno, mentre sentiva la sua voce all’ingresso.
“Buongiorno, signora Turrin. Oggi è un po’ in anticipo, mi aspetti in sala d’attesa.”
Lei si chiuse la porta alle spalle. Tornò da lui ma la stanza era vuota. La luce del bagno era accesa. Lo raggiunse. Gli accarezzò la schiena. “Ora aspetta che la paziente entri nel mio studio ed esci” Lo baciò voracemente sul collo e andò fuori.
“Ti voglio”
Un messaggio illuminò lo schermo del cellulare mentre lui scendeva di corsa le scale fresche e buie. Un attimo prima di essere colpito di nuovo in volto dalla canicola di luglio.
Una fila di palazzi disposti a semicerchio, le finestre convesse, le pareti esterne rivestite di marmo di Carrara. Ai lati, lungo le colonne, piante di edera e hibiscus coprivano tutto lo spazio in un abbraccio scomposto.
Qualche passo dal parcheggio e si ritrovò davanti alle pulsantiere di una fila di citofoni ordinati per lettera alfabetica. Il palazzo di Ludovica era L. Sfiorò la superficie lucida alla ricerca del cognome giusto. Il riflesso del sole rendeva tutto più complicato. L’indice scorreva veloce, fece il giro un paio di volte, finché si fermò alla lettera giusta. Mo… computò mentalmente le sillabe e suonò.
“Amore!” Comparve un messaggio su whatsapp nel momento esatto in cui il dito si staccò dalla tastiera del citofono. Guardò lo schermo, “sono io, mi apri?”
Entrò nel giardino comune, attraversò un vialetto di beola, scese una piccola rampa di scale e si ritrovò nell’atrio del palazzo. Il portone era in ottone con i vetri bruniti, all’interno si sentiva un fastidioso odore di cera. Si guardò intorno, l’ascensore era già al piano. Vide il suo riflesso sugli specchi che ricoprivano tutte le pareti e, istintivamente, passò una mano tra i ricci. “Sono proprio figo!” Pensò tra sé e sé mentre s’infilava nell’ascensore.
Quarto piano.
Il silenzioso movimento degli ingranaggi e la sua immagine, davanti allo specchio della cabina, scandirono il minuto e mezzo che lo condusse su.
La porta era socchiusa, la spinse e se la richiuse alle spalle.
“Amore, vieni!”
Le sue labbra lo strinsero in un bacio avvolgente. I capelli biondi sapevano di uno shampoo al muschio. Le unghie, laccate di rosso, correvano lungo la schiena, sotto la camicia umida di sudore.
“Piano… non lasciarmi segni!”
I vestiti scivolarono facilmente. Sul divano di pelle morbida i corpi affondavano ad ogni movimento.
Lei lo guardò.
“Fermati!”
Le mani strinsero le guance e, lentamente accarezzando il collo, scesero giù sul petto. Le labbra voraci ne seguivano i movimenti fino ad arrivare ai confini del cotone dei boxer aderenti che lambivano la sua pancia. La lingua indugiò un attimo lungo l’elastico fino a quando le dita fecero scivolare giù la stoffa.
La lingua lo sfiorò appena. Piccoli colpetti mentre i suoi occhi cercavano lo sguardo di lui.
Un colpetto, due… tre.
Le mani lo accarezzavano lentamente.
Le labbra morbide si aprirono in un bacio voluttuoso che accolse il suo sesso tutto dentro la bocca. Giù, fin dove poteva. I movimenti si fecero sempre più veloci, convulsi. Il suo cazzo eccitato la riempiva completamente. Su e giù, mentre una mano lo stringeva decisa.
Succhiava e alzava lo sguardo. Nella stanza si sentiva solo il battito cadenzato di una vecchia pendola e il sommesso rumore emesso dalle sue labbra. Lui, in silenzio, le accarezzava la testa e la spingeva a restare giù.
Quei baci voraci arrivavano come lampi nella sua testa e, all’improvviso, senza riuscire a resistere le riempì la bocca del suo piacere. Schizzi densi e caldi di lattiginoso amore.
Suonò il citofono. Lei si staccò. Aveva le labbra, le guance e il collo completamente pieni di lui. Raccolse i vestiti, li indossò velocemente e, guardandolo, ingoiò tutto. Ripulendosi le guance e il collo con il fazzoletto che gli aveva rubato da una tasca dei jeans.
Lui si rivestì, andò in bagno, mentre sentiva la sua voce all’ingresso.
“Buongiorno, signora Turrin. Oggi è un po’ in anticipo, mi aspetti in sala d’attesa.”
Lei si chiuse la porta alle spalle. Tornò da lui ma la stanza era vuota. La luce del bagno era accesa. Lo raggiunse. Gli accarezzò la schiena. “Ora aspetta che la paziente entri nel mio studio ed esci” Lo baciò voracemente sul collo e andò fuori.
“Ti voglio”
Un messaggio illuminò lo schermo del cellulare mentre lui scendeva di corsa le scale fresche e buie. Un attimo prima di essere colpito di nuovo in volto dalla canicola di luglio.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto sucessivo
Il non compleanno
Commenti dei lettori al racconto erotico