In macchina con i miei genitori e il mio Padrone al telefono

di
genere
dominazione

Scrivo questo racconto che pubblicheremo affinché il mondo sappia quanto io sia troia e quanto io sia tua.

I miei genitori diventano vittoriani quando si parla di sesso.

L’ultima cosa che si aspettano da me è una relazione verticale, incredibilmente perversa.

Per loro sono ancora la ragazzina che non è interessata al sesso e che non ama le relazioni… ma la realtà è tutt’altra e la condivido felicemente col mio Padrone.


La dicotomia che è venuta a crearsi da quando ho iniziato ad appartenere mi eccita maledettamente.

L’idea di essere schiava davanti alle persone che mi stanno attorno, senza che queste se ne rendano conto, mi fa bruciare di desiderio.

Il mio Padrone lo sa bene.


L’altra sera ero in auto con i miei genitori e stavo ascoltando la musica con le cuffie. All’improvviso, una notifica del mio Padrone.

Pensai che aveva avuto un gran tempismo perché stavo proprio pensando a lui, ma la verità è che nella monotonia delle mie riflessioni è molto più improbabile beccarmi a pensare ad altro.

Iniziammo a parlare con leggerezza, finché non venne a galla che ero in auto con mamma e papà e che non ero alla guida.


La conversazione, fino a quel momento, era già stata abbastanza eccitante.

Era passato tantissimo tempo dall’ultimo incontro e a me mancava come l’aria sottomettermi a lui.


Iniziammo a parlare della croce di Sant’Andrea.

Mi inviò delle foto di corde per il letto, di ragazze immobilizzate con le gambe spalancate.

Io non facevo altro che pensare a me in quelle posizioni, disponibile e alla sua mercé, e a lui torreggiante su di me, divertito dalla mia piacevolissima insofferenza.


D’un tratto mi chiese da quale lato fossi seduta per assicurarsi che non fossi visibile dallo specchietto.

Capii che il tono della chat stava cambiando e iniziai a cuocere nell’eccitazione.


Mi disse di prendere la giacca e metterla sulle gambe.

Eseguii notando quanto, repentinamente, mi fossi estraniata dal mondo attorno a me.

La macchina e i miei genitori stavano scomparendo.

Ero altrove, sia col corpo che con la mente.


“Appena il passeggero non guarda, infila la mano un secondo. Ti tocchi… controlli quanto sei cagna da quanto sei bagnata e poi tiri subito via la mano”


Sentii il calore raggiungermi le guance, ma non mi persi d’animo.

Insinuai la mano destra sotto la giacca di pelle, poi sotto l’elastico dei leggings e infine nelle mutandine.

Trattenendo il respiro allungai il medio tra le labbra, cercai l’apertura della fichetta e mi accarezzai velocemente, bagnando il dito.

Nel mentre mi assicurai di scrivere al mio Padrone che stavo toccandomi.

Lui, non contento, mi inviò la foto di una sottomessa immobilizzata sul letto, con le gambe spalancate.

Mi scrisse che mi voleva così e io gli risposi che non vedevo l’ora di farlo, con lui e per lui.


Con attenzione sfilai la mano, soddisfatta perché non ero stata scoperta.

Portai il dito al naso e mi resi conto di quanto la mia eccitazione fosse forte.
Lo comunicai al mio Padrone e lui mi disse di assaggiare.


“Pensa che stai facendo la puttana con me, mentre sei in macchina coi tuoi”


Fissai lo schermo con gli occhi carichi di desiderio. Mi tranquillizzai solo quando mi disse che dovevo sbollirmi.


Fu allora che ritornai per davvero nella macchina coi miei genitori. Fu allora che mi resi conto che la musica aveva continuato ad andare e io non me ne ero minimamente accorta.


Pensai al paradosso della situazione: tutto era nato per il divertimento di farmi eccitare davanti ai miei, ma nel mentre ero stata rapita.

Lui, a chilometri di distanza da me, mi aveva risucchiato in un’altra dimensione: la nostra.
Una dimensione in cui poter fare qualsiasi cosa e in cui qualsiasi cosa si faccia possa non avere limiti. Essere improvvisa.
scritto il
2023-05-23
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