Sverginata dal Padrone - La prima volta di Nica (Parte 1)
di
Domenica20
genere
dominazione
Era passato molto tempo dall'ultimo incontro. Rivederlo era stata la cosa che più avevo desiderato. Nella stasi apparente, in realtà, mi ero mossa tantissimo. Ero diventata più schiava, più sua, più donna. Mi svegliai presto: volevo del tempo per prepararmi per lui con calma. Avevo pensato molto al momento nel quale ci saremmo rivisti, ma allora tutto venne meno. Non c'era fantasia che tenesse.
Non appena lo vidi, entrando nella sua macchina, la tensione scomparve. La reazione fu istantanea e confermava che tendevo a lui naturalmente. Lo guardai, incapace di muovermi. Me lo ricordavo un po’ diverso, ma non capivo in cosa. Una delle persone che meno avevo visto nella mia vita era l’unica con la quale mi sentivo davvero a mio agio. L’unica con la quale dimenticavo il resto del mondo.
Salendo le scale mi colpì il sedere. La cosa mi piacque molto. In ascensore, dove già stavo per perdere il controllo, ci abbracciammo. Erano state tante le volte nelle quali mi aveva rincuorato. Tante le volte nelle quali avevo agognato un suo abbraccio. Finalmente ero lì, sentivo il suo calore, la sua stretta. Ero in pace con me stessa.
Entrati in casa, una volta vicini, riconobbi il suo sguardo. Era lo stesso che avevo visto ai tempi del primo incontro, quando stava per baciarmi. Ci vedevo molta perversione, ma non solo. Volevo chiamarlo “Signore”. Da quando l’avevo visto non facevo altro che trattenermi, ma non ne potevo più. Era un privilegio poterlo fare, così come era un privilegio la possibilità che stavo avendo di vivere ciò che ero senza filtri, allora perché sprecare quell’occasione?
Ci abbracciammo di nuovo. Faceva per tenermi il volto alzato verso di lui, ma io lo riabbassavo cercando il suo petto. Non facevo che strofinarmici.
Avrei voluto fare tutto e subito, ma avevo un bisogno sconfinato di calma. Volevo godermela.
Mi baciò. Mi era mancato sentire la morbidezza delle labbra. Mi era mancato sentire la sua bocca e la sua lingua sul collo. Mi sfilò il maglioncino, poi la canotta. Stava accadendo davvero: ero emozionata.
Iniziò a torcermi i capezzoli. Il dolore mutava subito in piacere. Le sue mani stavano mettendo alla prova il mio corpo e io non desideravo altro. Volevo che toccasse, torcesse, colpisse. Infilò la mano nel pantalone, sotto la mutandina. Finalmente mi toccò lì. Anche quella era una delle cose che più avevo desiderato. Le sue dita si mossero direttamente verso l’apertura della fichetta. Dopotutto, lo scopo di quell’incontro era uno: sverginarmi.
Mi disse di spogliarmi del tutto, poi mi raggiunse e mi portò davanti allo specchio per farmi guardare. C’ero io, completamente nuda, e lui dietro di me, la sua mano tra le mie gambe.
“Ma quanto sei puttana?” mi sussurrò all’orecchio.
Non risposi. Ero rapita dall’immagine che vedevo allo specchio. Vedevo nei miei occhi l’eccitazione, la gioia, la contentezza di un bambino che gioca con spensieratezza, ma, soprattutto, vedevo lui dietro di me. Vedevo la nostra intesa. Senza di lui nulla avrebbe avuto senso.
“Se non mi rispondi smetto” continuò, togliendo la mano.
Cosa avrei dovuto dire? Non sapevo come classificare la mia mancanza di ritegno quando stavo con lui. Prese a sculacciarmi mentre mi teneva stretta a sé. Colpiva con forza e ripetutamente sempre la stessa pacca. Io mi dimenavo. Non volevo altro. Ad ogni colpo la sensazione era più intensa, più duratura. La sua eccitazione, che premeva sulla pancia, mi spinse a chiedermi come sarebbe stato il momento della penetrazione. Mi disse di guardare allo specchio quanto si fosse arrossata la pelle. Osservai affascinata e sorrisi. Ero decisamente nel mio elemento.
Iniziò a togliersi la camicia, ma volli proseguire io perché ci avevo fantasticato a lungo. Non vedevo l’ora di sentire la sua pelle. Si sedette sul mio lettino. Mi misi tra le sue gambe e appoggiai le mani sulle spalle. Lui mi afferrò per il seno.
“Dovrò pur lasciarti qualche segno” disse, stringendo più forte...
...CONTINUA
Non appena lo vidi, entrando nella sua macchina, la tensione scomparve. La reazione fu istantanea e confermava che tendevo a lui naturalmente. Lo guardai, incapace di muovermi. Me lo ricordavo un po’ diverso, ma non capivo in cosa. Una delle persone che meno avevo visto nella mia vita era l’unica con la quale mi sentivo davvero a mio agio. L’unica con la quale dimenticavo il resto del mondo.
Salendo le scale mi colpì il sedere. La cosa mi piacque molto. In ascensore, dove già stavo per perdere il controllo, ci abbracciammo. Erano state tante le volte nelle quali mi aveva rincuorato. Tante le volte nelle quali avevo agognato un suo abbraccio. Finalmente ero lì, sentivo il suo calore, la sua stretta. Ero in pace con me stessa.
Entrati in casa, una volta vicini, riconobbi il suo sguardo. Era lo stesso che avevo visto ai tempi del primo incontro, quando stava per baciarmi. Ci vedevo molta perversione, ma non solo. Volevo chiamarlo “Signore”. Da quando l’avevo visto non facevo altro che trattenermi, ma non ne potevo più. Era un privilegio poterlo fare, così come era un privilegio la possibilità che stavo avendo di vivere ciò che ero senza filtri, allora perché sprecare quell’occasione?
Ci abbracciammo di nuovo. Faceva per tenermi il volto alzato verso di lui, ma io lo riabbassavo cercando il suo petto. Non facevo che strofinarmici.
Avrei voluto fare tutto e subito, ma avevo un bisogno sconfinato di calma. Volevo godermela.
Mi baciò. Mi era mancato sentire la morbidezza delle labbra. Mi era mancato sentire la sua bocca e la sua lingua sul collo. Mi sfilò il maglioncino, poi la canotta. Stava accadendo davvero: ero emozionata.
Iniziò a torcermi i capezzoli. Il dolore mutava subito in piacere. Le sue mani stavano mettendo alla prova il mio corpo e io non desideravo altro. Volevo che toccasse, torcesse, colpisse. Infilò la mano nel pantalone, sotto la mutandina. Finalmente mi toccò lì. Anche quella era una delle cose che più avevo desiderato. Le sue dita si mossero direttamente verso l’apertura della fichetta. Dopotutto, lo scopo di quell’incontro era uno: sverginarmi.
Mi disse di spogliarmi del tutto, poi mi raggiunse e mi portò davanti allo specchio per farmi guardare. C’ero io, completamente nuda, e lui dietro di me, la sua mano tra le mie gambe.
“Ma quanto sei puttana?” mi sussurrò all’orecchio.
Non risposi. Ero rapita dall’immagine che vedevo allo specchio. Vedevo nei miei occhi l’eccitazione, la gioia, la contentezza di un bambino che gioca con spensieratezza, ma, soprattutto, vedevo lui dietro di me. Vedevo la nostra intesa. Senza di lui nulla avrebbe avuto senso.
“Se non mi rispondi smetto” continuò, togliendo la mano.
Cosa avrei dovuto dire? Non sapevo come classificare la mia mancanza di ritegno quando stavo con lui. Prese a sculacciarmi mentre mi teneva stretta a sé. Colpiva con forza e ripetutamente sempre la stessa pacca. Io mi dimenavo. Non volevo altro. Ad ogni colpo la sensazione era più intensa, più duratura. La sua eccitazione, che premeva sulla pancia, mi spinse a chiedermi come sarebbe stato il momento della penetrazione. Mi disse di guardare allo specchio quanto si fosse arrossata la pelle. Osservai affascinata e sorrisi. Ero decisamente nel mio elemento.
Iniziò a togliersi la camicia, ma volli proseguire io perché ci avevo fantasticato a lungo. Non vedevo l’ora di sentire la sua pelle. Si sedette sul mio lettino. Mi misi tra le sue gambe e appoggiai le mani sulle spalle. Lui mi afferrò per il seno.
“Dovrò pur lasciarti qualche segno” disse, stringendo più forte...
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