In camerino (Parte 1)
di
Meg
genere
saffico
Il racconto che segue è di fantasia, ma ispirato a un incontro avvenuto realmente con una ragazza che ho frequentato per un breve periodo e che ultimamente mi è capitato di reincontrare, senza però risvolti sessuali. Questo racconto contiene ciò che avrei voluto succedesse in questo nostro ultimo incontro. Spero che anche per voi sia una lettura piacevole. Grazie.
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«Tieni», mi porgi la borsa tra le mani, facendo di me un appendino ambulante, e ti dirigi in camerino con i tuoi tre maglioni. Sono sul punto di sistemarti la tenda perché credo che tu non ti sia accorta di non averla chiusa bene, ma invece mi precedi. Allora resto in piedi in un angolo, col mio giubbotto e la tua borsa pesantissima tra le braccia.
Mi guardo intorno: davanti a me e proprio accanto al camerino che hai scelto c'è uno specchio grande quanto tutta la parete. La tua tenda si muove leggermente man mano che ti spogli e, mentre ascolto il rumore neutro delle grucce, mi accorgo che da un angolo dello specchio posso intravederti in una strisciolina verticale. Per un attimo mi balza in mente il pensiero che tu mi abbia portata qui apposta per provocarmi. Se solo la tenda si spostasse un po' di più...
Mi sveglio dall'ipnosi nel momento in cui una signora esce dall'altro camerino. Pare che la sua apparizione spezzi sul nascere l'afrodisiaco delle mie segrete fantasie, ma so che mi sbaglierò non appena ritornerà il silenzio e l'immobilismo di questo corridoio. Dopo qualche istante esci anche tu.
«Questo ti sta benissimo!»
«Davvero?»
«Sì, mi piacciono molto quelle sfumature e secondo me ti calza perfettamente, ma ovviamente l'importante è che piaccia anche a te» replico io con convinzione.
«Mh...»
Ti scruti allo specchio.
Ti guardo.
Infine, ammetti:
«È vero».
Rientri in camerino per provarti il resto. Io aspetto, in un angolo - quasi quasi sparisco tra la tua borsa che pesa una tonnellata e il mio giubbotto mastodontico. Mi avvicino di nuovo per cercare il punto perfetto da dove spiarti meglio. Grazie al riflesso dello specchio riesco a vedere solo anteprime della tua pelle, scandite da una bretella del reggiseno nero. Resto imbambolata e inebetita, i miei muscoli cominciano a irrigidirsi per l'ansia mista all'adorazione e l'eccitazione che le tue forme hanno risvegliato in me.
Intorno vige una tale calma che pare che il mondo si sia fermato apposta per darmi la possibilità di scegliere: un piccolo margine temporale irripetibile nel quale scegliere con cura come far proseguire questa mattinata. D'un tratto sento il peso della responsabilità, il timore di perderti se mi lasciassi andare; ma, al tempo stesso, la pressione dei minuti che passano mi riempie di audacia. In preda a un’ondata di desiderio incontrollabile, avanzo lentamente verso la tenda. La afferro con una mano per spalancarla e ti colgo rivolta verso lo specchio a srotolarti lungo i fianchi la lana sintetica del secondo maglione. In un istante le tue sopracciglia si sollevano, allargandosi in archi perfettamente delineati, mentre mi osservi immobile attraverso lo specchio, con le dita ancora poggiate sui tuoi fianchi. Ti fisso, il tempo necessario ad assicurarmi che non ti sia spaventata. Il mio sguardo - oramai dominato più dall’eccitazione che dall’ansia - saltella brevemente dal tuo viso a un punto generico del tuo busto, per poi ritornare su, come se volesse provare l’ultimo, estremo tentativo di riflessione e ancoraggio al mondo reale, prima di farsi catturare definitivamente dalla tua magnetica femminilità.
Naturalmente è troppo tardi.
Mi intrufolo, chiudendoci dentro, e mentre accade questo semplice e frettoloso gesto la mia mente scollega qualsiasi azzardo di suggerimento razionale.
Mi libero lasciando a terra tutti i pesi e senza pensarci due volte ti stringo a me da dietro, scaricando in una sola volta tutti i respiri che ho trattenuto negli ultimi secondi. Il mio naso affonda nella nudità dell’incavo tra la spalla e il tuo viso. In questi gesti automatici c'è una familiarità che non mi aspettavo. C'è una chimica che sembra unirci dal doppio dei nostri anni.
Cerco istintivamente le tue labbra che, ancora tese dalla sorpresa, iniziano a sciogliersi in un leggero e malizioso sorriso. Ti spingo alla parete legnosa di questa mini cella che ci isola appena da probabili passanti e comincio a baciarti; il tuo ricambiare con quel fare determinato ed esperto col quale mi rendi completamente tua… questo tuo ricambiare così mi accende. Accompagno le mie mani curiose sotto il maglione, toccandoti come se le mie dita potessero urlare al posto della bocca. I miei occhi, seppur chiusi, riescono a ripercorrere a memoria ogni tuo singolo lineamento e a ogni bacio che mi dai, la lingua freme insieme all’intero corpo. Riesco a percepire quanto ti piaccia. Starei ore a farmi invadere dal tuo sapore.
Continuo con lo sbottonare il reggiseno che poco prima, a tua insaputa, dava inizio alla mia smania. Appoggio i palmi sui tuoi seni, avendo cura di spalancare le dita quanto basta per poter godere appieno delle loro forme. Le stringo fra le dita mentre non smetto di baciarti. All’improvviso, vengo presa dalla voglia di leccarli. Così, mi fermo un momento ad appena un centimetro dalla tua bocca per poterti sussurrare con gli occhi chiusi e la voce tremante:
«Ho voglia di te».
Quindi sollevo il maglione e abbasso la testa in segno quasi di una sottomissione rispettosa. Lecco le punte dei tuoi seni in un fidato abbandono. La tua mano permissiva sulla mia nuca ha lo straordinario potere di annientarmi e vivificarmi contemporaneamente. Mi perdo nei solchi della tua bellezza finché non mi fai rialzare afferrandomi con decisione. Le nostre labbra si incrociano nuovamente e nuovamente sento che tutto il mio corpo potrebbe cedere da un momento all'altro.
Poi, finalmente, mi prendi per il busto e di scatto scambi le nostre posizioni. Sei tornata dove stai meglio: al comando. Mi guardi dritto negli occhi mentre rapidamente le tue mani abbassano la cerniera dei miei pantaloni. È adesso che mi accorgo di essermi bagnata così tanto che potresti scoparmi adesso seduta stante e farmi venire nel giro di poco. Ma non voglio. Non adesso, non qui, non in questo modo. Ti voglio, ma in un modo diverso. E arrivo appena in tempo a bloccarti per il polso.
«No… Aspetta…»
Ti fermi con uno sguardo indagatore.
Recupero il respiro, che si era fatto ansimante. Vorrei dirti ad alta voce che voglio invertire il gioco, ma non ci riesco. Così decido di far parlare direttamente il mio corpo e mi posiziono dietro di te. Ti sbottono i jeans e ti faccio chinare in avanti in modo che ti poggi alla parete. Mi assecondi. Allora, dopo un breve momento di esitazione durante il quale mi chiedo se quello che sto per farti ti piacerà, mi abbasso leggermente i pantaloni, trascinando anche gli slip per far fuoriuscire il mio sesso, quanto basta per strofinarmi su di te. Mi assecondi. E io ne approfitto.
Mi muovo ritmicamente strofinando il mio pube peloso sui tuoi glutei, cercando di stimolare il mio clitoride indirettamente. Sono così in estasi che mi scappa un gemito. Mi mordo le labbra come se potessi riportarlo indietro e non farmelo scappare, ma mi rendo conto che è proprio il rischio di farsi sentire a rendere questa nostra unione ancora più intima ed eccitante. Allora proseguo, imperterrita, spingendoti al muro con delle leggere spinte, cercando di godere al massimo che si può in uno spazio così piccolo ma evitando di fare troppo rumore. Tu continui ad assecondare questo mio sporco desiderio al punto che riesco a carpire, di sfuggita, qualche respiro particolarmente profondo. Metto una mano sotto la tua felpa e ti scopo così, da vestita, con solo i jeans abbassati giusto il necessario. Ansimo. E spingo.
«Ahh…» ansimo.
«Ah!» e spingo.
Il tuo corpo assorbe ogni mio colpo vibrando nella luce e nel calore di questa mini cella. Possiamo guardare nei minimi dettagli come il nostro desiderio si riflette sullo specchio. Dai rossori e le smorfie delle nostre facce complici alle posture improvvisate per non uscire fuori dalla linea immaginaria della tenda, confine vietato e temuto.
«Mmm» è il verso che precede l'apice della passione, insieme ai più silenziosi e sottili gesti come inumidirmi le labbra o palparti il seno con una mano e il sedere con l'altra.
Le ultime spinte sono più delle altre senza controllo. Anche se sento dei passi che dovrebbero preoccuparmi, le ultime spinte non hanno più un ritmo previsto e calcolato. Le ultime spinte sono quelle nelle quali mi annienti e mi vivifichi ancora. E ancora. E ancora. Ancora.
Mi abbandono a degli spasmi e dei versi soffocati… Ho caldo, mi sembra di morire. Tu tieni ancora i palmi alla parete, con gli avambracci sollevati. Osservo la tua posa, così maledettamente seducente nel suo chinarsi tra me e i riflessi dello specchio, testimone dell'atto osceno che si è appena svolto in un luogo pubblico, segretamente.
«Possiamo andare a casa tua?» una domanda a bassa voce, la cui risposta avrà il potere di cambiare la sorte di questo nostro incontro; una domanda nostalgica di ciò che tra noi fu due anni prima di oggi. Nel portela, una serie di flashback mi scorrono davanti: il tuo abbraccio inaspettato, il nostro primo bacio, la nostra prima e ultima volta in quel tuo letto cigolante; quando ti guardai toglierti il reggiseno nella penombra della cameretta, completamente incantata alla vista dei tuoi bellissimi seni: piccoli, a punta, con dei capezzoli scuri e squisiti. Mi viene in mente il forte desiderio che mi pervase a seguito del semplicissimo gesto di far calare le coppe per scoprirli dinnanzi a me. Mi ricordo bene, tutto. Ah, come ricordo bene. Mi ricordo anche della capacità che avevi di annullare la mia ansia.
Ti giri, mi fai un cenno col capo e in un sorriso complice accetti la mia richiesta.
«Questo lo prendo» dici, afferrando uno dei maglioni. Gli altri li lasci appesi. Ci riabbottoniamo e, mentre io cerco invano di ritornare almeno fisicamente al mondo reale, tu sei la prima a uscire. Con nonchalance, come se non fosse successo nulla, con il tuo solito modo di fare da persona indipendente e sicura di sé - almeno all'esterno. Ti seguo, imbarazzata per la presenza di una donna seduta che sembra aspettare qualcuno dal camerino di fianco; nel momento in cui i nostri occhi si incrociano mi viene il dubbio che ci abbia sentite, ma fingo di ignorare questo timore continuando a seguirti come se… Come se non fosse successo nulla. Magari la musica è stata sufficiente a coprire i rumori più sospetti...
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«Tieni», mi porgi la borsa tra le mani, facendo di me un appendino ambulante, e ti dirigi in camerino con i tuoi tre maglioni. Sono sul punto di sistemarti la tenda perché credo che tu non ti sia accorta di non averla chiusa bene, ma invece mi precedi. Allora resto in piedi in un angolo, col mio giubbotto e la tua borsa pesantissima tra le braccia.
Mi guardo intorno: davanti a me e proprio accanto al camerino che hai scelto c'è uno specchio grande quanto tutta la parete. La tua tenda si muove leggermente man mano che ti spogli e, mentre ascolto il rumore neutro delle grucce, mi accorgo che da un angolo dello specchio posso intravederti in una strisciolina verticale. Per un attimo mi balza in mente il pensiero che tu mi abbia portata qui apposta per provocarmi. Se solo la tenda si spostasse un po' di più...
Mi sveglio dall'ipnosi nel momento in cui una signora esce dall'altro camerino. Pare che la sua apparizione spezzi sul nascere l'afrodisiaco delle mie segrete fantasie, ma so che mi sbaglierò non appena ritornerà il silenzio e l'immobilismo di questo corridoio. Dopo qualche istante esci anche tu.
«Questo ti sta benissimo!»
«Davvero?»
«Sì, mi piacciono molto quelle sfumature e secondo me ti calza perfettamente, ma ovviamente l'importante è che piaccia anche a te» replico io con convinzione.
«Mh...»
Ti scruti allo specchio.
Ti guardo.
Infine, ammetti:
«È vero».
Rientri in camerino per provarti il resto. Io aspetto, in un angolo - quasi quasi sparisco tra la tua borsa che pesa una tonnellata e il mio giubbotto mastodontico. Mi avvicino di nuovo per cercare il punto perfetto da dove spiarti meglio. Grazie al riflesso dello specchio riesco a vedere solo anteprime della tua pelle, scandite da una bretella del reggiseno nero. Resto imbambolata e inebetita, i miei muscoli cominciano a irrigidirsi per l'ansia mista all'adorazione e l'eccitazione che le tue forme hanno risvegliato in me.
Intorno vige una tale calma che pare che il mondo si sia fermato apposta per darmi la possibilità di scegliere: un piccolo margine temporale irripetibile nel quale scegliere con cura come far proseguire questa mattinata. D'un tratto sento il peso della responsabilità, il timore di perderti se mi lasciassi andare; ma, al tempo stesso, la pressione dei minuti che passano mi riempie di audacia. In preda a un’ondata di desiderio incontrollabile, avanzo lentamente verso la tenda. La afferro con una mano per spalancarla e ti colgo rivolta verso lo specchio a srotolarti lungo i fianchi la lana sintetica del secondo maglione. In un istante le tue sopracciglia si sollevano, allargandosi in archi perfettamente delineati, mentre mi osservi immobile attraverso lo specchio, con le dita ancora poggiate sui tuoi fianchi. Ti fisso, il tempo necessario ad assicurarmi che non ti sia spaventata. Il mio sguardo - oramai dominato più dall’eccitazione che dall’ansia - saltella brevemente dal tuo viso a un punto generico del tuo busto, per poi ritornare su, come se volesse provare l’ultimo, estremo tentativo di riflessione e ancoraggio al mondo reale, prima di farsi catturare definitivamente dalla tua magnetica femminilità.
Naturalmente è troppo tardi.
Mi intrufolo, chiudendoci dentro, e mentre accade questo semplice e frettoloso gesto la mia mente scollega qualsiasi azzardo di suggerimento razionale.
Mi libero lasciando a terra tutti i pesi e senza pensarci due volte ti stringo a me da dietro, scaricando in una sola volta tutti i respiri che ho trattenuto negli ultimi secondi. Il mio naso affonda nella nudità dell’incavo tra la spalla e il tuo viso. In questi gesti automatici c'è una familiarità che non mi aspettavo. C'è una chimica che sembra unirci dal doppio dei nostri anni.
Cerco istintivamente le tue labbra che, ancora tese dalla sorpresa, iniziano a sciogliersi in un leggero e malizioso sorriso. Ti spingo alla parete legnosa di questa mini cella che ci isola appena da probabili passanti e comincio a baciarti; il tuo ricambiare con quel fare determinato ed esperto col quale mi rendi completamente tua… questo tuo ricambiare così mi accende. Accompagno le mie mani curiose sotto il maglione, toccandoti come se le mie dita potessero urlare al posto della bocca. I miei occhi, seppur chiusi, riescono a ripercorrere a memoria ogni tuo singolo lineamento e a ogni bacio che mi dai, la lingua freme insieme all’intero corpo. Riesco a percepire quanto ti piaccia. Starei ore a farmi invadere dal tuo sapore.
Continuo con lo sbottonare il reggiseno che poco prima, a tua insaputa, dava inizio alla mia smania. Appoggio i palmi sui tuoi seni, avendo cura di spalancare le dita quanto basta per poter godere appieno delle loro forme. Le stringo fra le dita mentre non smetto di baciarti. All’improvviso, vengo presa dalla voglia di leccarli. Così, mi fermo un momento ad appena un centimetro dalla tua bocca per poterti sussurrare con gli occhi chiusi e la voce tremante:
«Ho voglia di te».
Quindi sollevo il maglione e abbasso la testa in segno quasi di una sottomissione rispettosa. Lecco le punte dei tuoi seni in un fidato abbandono. La tua mano permissiva sulla mia nuca ha lo straordinario potere di annientarmi e vivificarmi contemporaneamente. Mi perdo nei solchi della tua bellezza finché non mi fai rialzare afferrandomi con decisione. Le nostre labbra si incrociano nuovamente e nuovamente sento che tutto il mio corpo potrebbe cedere da un momento all'altro.
Poi, finalmente, mi prendi per il busto e di scatto scambi le nostre posizioni. Sei tornata dove stai meglio: al comando. Mi guardi dritto negli occhi mentre rapidamente le tue mani abbassano la cerniera dei miei pantaloni. È adesso che mi accorgo di essermi bagnata così tanto che potresti scoparmi adesso seduta stante e farmi venire nel giro di poco. Ma non voglio. Non adesso, non qui, non in questo modo. Ti voglio, ma in un modo diverso. E arrivo appena in tempo a bloccarti per il polso.
«No… Aspetta…»
Ti fermi con uno sguardo indagatore.
Recupero il respiro, che si era fatto ansimante. Vorrei dirti ad alta voce che voglio invertire il gioco, ma non ci riesco. Così decido di far parlare direttamente il mio corpo e mi posiziono dietro di te. Ti sbottono i jeans e ti faccio chinare in avanti in modo che ti poggi alla parete. Mi assecondi. Allora, dopo un breve momento di esitazione durante il quale mi chiedo se quello che sto per farti ti piacerà, mi abbasso leggermente i pantaloni, trascinando anche gli slip per far fuoriuscire il mio sesso, quanto basta per strofinarmi su di te. Mi assecondi. E io ne approfitto.
Mi muovo ritmicamente strofinando il mio pube peloso sui tuoi glutei, cercando di stimolare il mio clitoride indirettamente. Sono così in estasi che mi scappa un gemito. Mi mordo le labbra come se potessi riportarlo indietro e non farmelo scappare, ma mi rendo conto che è proprio il rischio di farsi sentire a rendere questa nostra unione ancora più intima ed eccitante. Allora proseguo, imperterrita, spingendoti al muro con delle leggere spinte, cercando di godere al massimo che si può in uno spazio così piccolo ma evitando di fare troppo rumore. Tu continui ad assecondare questo mio sporco desiderio al punto che riesco a carpire, di sfuggita, qualche respiro particolarmente profondo. Metto una mano sotto la tua felpa e ti scopo così, da vestita, con solo i jeans abbassati giusto il necessario. Ansimo. E spingo.
«Ahh…» ansimo.
«Ah!» e spingo.
Il tuo corpo assorbe ogni mio colpo vibrando nella luce e nel calore di questa mini cella. Possiamo guardare nei minimi dettagli come il nostro desiderio si riflette sullo specchio. Dai rossori e le smorfie delle nostre facce complici alle posture improvvisate per non uscire fuori dalla linea immaginaria della tenda, confine vietato e temuto.
«Mmm» è il verso che precede l'apice della passione, insieme ai più silenziosi e sottili gesti come inumidirmi le labbra o palparti il seno con una mano e il sedere con l'altra.
Le ultime spinte sono più delle altre senza controllo. Anche se sento dei passi che dovrebbero preoccuparmi, le ultime spinte non hanno più un ritmo previsto e calcolato. Le ultime spinte sono quelle nelle quali mi annienti e mi vivifichi ancora. E ancora. E ancora. Ancora.
Mi abbandono a degli spasmi e dei versi soffocati… Ho caldo, mi sembra di morire. Tu tieni ancora i palmi alla parete, con gli avambracci sollevati. Osservo la tua posa, così maledettamente seducente nel suo chinarsi tra me e i riflessi dello specchio, testimone dell'atto osceno che si è appena svolto in un luogo pubblico, segretamente.
«Possiamo andare a casa tua?» una domanda a bassa voce, la cui risposta avrà il potere di cambiare la sorte di questo nostro incontro; una domanda nostalgica di ciò che tra noi fu due anni prima di oggi. Nel portela, una serie di flashback mi scorrono davanti: il tuo abbraccio inaspettato, il nostro primo bacio, la nostra prima e ultima volta in quel tuo letto cigolante; quando ti guardai toglierti il reggiseno nella penombra della cameretta, completamente incantata alla vista dei tuoi bellissimi seni: piccoli, a punta, con dei capezzoli scuri e squisiti. Mi viene in mente il forte desiderio che mi pervase a seguito del semplicissimo gesto di far calare le coppe per scoprirli dinnanzi a me. Mi ricordo bene, tutto. Ah, come ricordo bene. Mi ricordo anche della capacità che avevi di annullare la mia ansia.
Ti giri, mi fai un cenno col capo e in un sorriso complice accetti la mia richiesta.
«Questo lo prendo» dici, afferrando uno dei maglioni. Gli altri li lasci appesi. Ci riabbottoniamo e, mentre io cerco invano di ritornare almeno fisicamente al mondo reale, tu sei la prima a uscire. Con nonchalance, come se non fosse successo nulla, con il tuo solito modo di fare da persona indipendente e sicura di sé - almeno all'esterno. Ti seguo, imbarazzata per la presenza di una donna seduta che sembra aspettare qualcuno dal camerino di fianco; nel momento in cui i nostri occhi si incrociano mi viene il dubbio che ci abbia sentite, ma fingo di ignorare questo timore continuando a seguirti come se… Come se non fosse successo nulla. Magari la musica è stata sufficiente a coprire i rumori più sospetti...
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