Confessioni di una madre frustrata – Capitolo 2
di
Mari1980
genere
incesti
Olio di gomito
In quel periodo dovetti anche risolvere il piccolo problema di fimosi del mio piccolo Angelo, ossia il prepuzio del suo pisellino troppo stretto che non consentiva di scappellarne la punta.
Per questo le sue erezioni erano ancora più buffe, visto che totalmente “coperte” dal suo prepuzio. Il suo pisellino somigliava a un piccolo sigaro di carne penzolante tra le sue gambette magre e, al di là dell’effetto comico, mi preoccupava perché temevo fossero necessarie operazioni chirurgiche fastidiose per risolvere il problema.
Decisi quindi che ad ogni bagno avrei cercato di aiutarlo a scappellare piano piano il pisellino fino in fondo; in effetti non era nemmeno necessario adoperare tutte le dita della mano per l’operazione, però serviva molta delicatezza al fine di non provocargli lesioni.
Non avevo mai toccato in quel modo il suo pisellino e la sensazione fu strana. Era caldissimo e si irrigidiva subito al mio tocco, quasi vibrava.
La prima volta fu piuttosto dolorosa per il piccolo. Si lamentava dicendo “ahia mamma piano, non è meglio se facciamo solo il bagnetto come al solito?” Lo rassicurai e, togliendomi il reggiseno, denudandomi a metà e dicendogli “stai tranquillo angioletto, è solo un gioco, chiudi gli occhi e appoggiati sulle tettine di mamma”.
Cominciò a piangere e a singhiozzare per il dolore mentre cercavo di spingere in basso la pelle del prepuzio, con delicatezza. Avevo le mammelle lucide di lacrime e di sudore mentre lui, a contatto con il calore del mio seno abbondante, sembrava calmarsi.
Dopo qualche minuto di trattamento decidi di smettere, temevo di ferirlo. Mi chiesi cosa avrei dovuto fare se, per sbaglio, gli avessi provocato un’eiaculazione. Non mi sembrava un'ipotesi tragica, lo stavo facendo per il suo bene e dopotutto sarebbe stata una reazione fisiologica. Però lo ammetto, ero curiosissima di vedere se "funzionava" tutto.
La sessione successiva ebbi un’idea: gli avrei bagnato il pisellino con la saliva per aiutarlo a scappellarsi.
Sputai diverse volte sopra il suo pene e usai le dita per bagnare per bene il prepuzio bollente. Angelo inizio a ridere dicendo “stai facendo la gara di tiro? Voglio giocare anche io!” E iniziò tirare dei piccoli sputi addosso alle mie mammelle, strappandomi un sorriso e distraendosi facilitò l’operazione di “su e giù”.
Sentivo i capezzoli bagnati e dritti da farmi male, ma sentivo anche che Angelo stava riacquistando tranquillità, mentre il suo pene raggiungeva l’erezione completa, tanto che dovetti usare l’intero palmo della mano per l’operazione.
Misi da parte quasi subito quella nera parte del mio animo che mi diceva di inumidire direttamente il suo pene con la mia bocca, pensando tra me e me che fosse una voce dettata dalla mera curiosità ma che non fosse necessario per lo scopo.
Proseguimmo quell’intimo rito per parecchi giorni, prima che finalmente dal suo pene eretto facesse delicatamente capolino la sua cappella, di un viola acceso, carinissima e leggermente tozza.
Proprio allora percepii un odore acre di sperma, da veto uomo. Non si trattava di un’eiaculazione, ma solo di alcune tracce bianche di seme, evidentemente rimaste attaccate sul glande a causa della fimosi.
Mi sentivo strana, inebriata da un odore che mi turbava e mi confondeva e non mi accorsi che, ipnotizzata, stavo continuando quasi meccanicamente a proseguire lo scappellamento anche dopo averlo liberato dal prepuzio.
Fu in quel momento che decisi di porre una linea di confine netta tra quello che, come mamma, avrei potuto fare e quello che decisamente non avrei dovuto fare.
Masturbarlo, farlo venire, consentirgli di eiaculare sul mio corpo, sul mio seno e magari assaggiare il suo sperma? Non mi sembrarono attività appropriate a una madre che voleva solo aiutare il proprio figlio.
Eppure, sentii quanto fosse oscura la voce che mi diceva di terminare il lavoro, che non ci fosse nulla di male nel fargli provare, per prima, queste emozioni. E, magari, nel rifarlo.
Decisi invece che lo avrei cresciuto ordinariamente, senza mai cedere a pulsioni incestuose di sorta. E che lo avrei protetto e accudito al meglio delle mie forze da ogni torbido, dentro e fuori casa. Perché questo è quello che fa una brava madre.
Rallentai il ritmo fino a fermare la mano.
Ripulii rapidamente quei residui così odorosi dal suo pene
Angelo mi fissava ridendo, felice per la consapevolezza ed il sollievo di aver terminato quella pena così dolorosa.
Forse, suggestionata dai miei stessi pensieri, vidi nel suo sguardo anche una certa perplessità per il mio graduale rallentamento del ritmo, fino allo stop definitivo.
Come se in qualche modo si fosse domandato perché avessi smesso, proprio quando il dolore era passato e anzi..
Ma se lo pensò, non lo disse: “mammina ce l’abbiamo fatta! Il tiro al bersaglio ha funzionato!”
Ero la mamma più felice del mondo: avevo il suo affetto incondizionato e, soprattutto, avevo resistito a ogni istinto fissando una linea di confine decisa e fuori da ogni rimprovero morale.
D’altro canto, lui era stato coraggioso e per niente intrattabile durante quella difficile prova. Ci meritavamo (entrambi) un premio: “bravo tesoro, stasera dormi nel lettone con mamma!”.
Ma nel frattempo decisi anche che, finché il pisellino non fosse tornato in perfetta forma, pronto per innumerevoli altre “autonome” sessioni, avrei effettuato almeno altre quattro sedute di allenamento.
Per il suo bene, ovviamente.
Non vedevo l’ora di conoscere cosa ci riservasse il futuro, ma non ero pronta alle evoluzioni del nostro legame e a come i fatti lo avrebbero messo a dura prova.
Mari19.80@outlook.it
In quel periodo dovetti anche risolvere il piccolo problema di fimosi del mio piccolo Angelo, ossia il prepuzio del suo pisellino troppo stretto che non consentiva di scappellarne la punta.
Per questo le sue erezioni erano ancora più buffe, visto che totalmente “coperte” dal suo prepuzio. Il suo pisellino somigliava a un piccolo sigaro di carne penzolante tra le sue gambette magre e, al di là dell’effetto comico, mi preoccupava perché temevo fossero necessarie operazioni chirurgiche fastidiose per risolvere il problema.
Decisi quindi che ad ogni bagno avrei cercato di aiutarlo a scappellare piano piano il pisellino fino in fondo; in effetti non era nemmeno necessario adoperare tutte le dita della mano per l’operazione, però serviva molta delicatezza al fine di non provocargli lesioni.
Non avevo mai toccato in quel modo il suo pisellino e la sensazione fu strana. Era caldissimo e si irrigidiva subito al mio tocco, quasi vibrava.
La prima volta fu piuttosto dolorosa per il piccolo. Si lamentava dicendo “ahia mamma piano, non è meglio se facciamo solo il bagnetto come al solito?” Lo rassicurai e, togliendomi il reggiseno, denudandomi a metà e dicendogli “stai tranquillo angioletto, è solo un gioco, chiudi gli occhi e appoggiati sulle tettine di mamma”.
Cominciò a piangere e a singhiozzare per il dolore mentre cercavo di spingere in basso la pelle del prepuzio, con delicatezza. Avevo le mammelle lucide di lacrime e di sudore mentre lui, a contatto con il calore del mio seno abbondante, sembrava calmarsi.
Dopo qualche minuto di trattamento decidi di smettere, temevo di ferirlo. Mi chiesi cosa avrei dovuto fare se, per sbaglio, gli avessi provocato un’eiaculazione. Non mi sembrava un'ipotesi tragica, lo stavo facendo per il suo bene e dopotutto sarebbe stata una reazione fisiologica. Però lo ammetto, ero curiosissima di vedere se "funzionava" tutto.
La sessione successiva ebbi un’idea: gli avrei bagnato il pisellino con la saliva per aiutarlo a scappellarsi.
Sputai diverse volte sopra il suo pene e usai le dita per bagnare per bene il prepuzio bollente. Angelo inizio a ridere dicendo “stai facendo la gara di tiro? Voglio giocare anche io!” E iniziò tirare dei piccoli sputi addosso alle mie mammelle, strappandomi un sorriso e distraendosi facilitò l’operazione di “su e giù”.
Sentivo i capezzoli bagnati e dritti da farmi male, ma sentivo anche che Angelo stava riacquistando tranquillità, mentre il suo pene raggiungeva l’erezione completa, tanto che dovetti usare l’intero palmo della mano per l’operazione.
Misi da parte quasi subito quella nera parte del mio animo che mi diceva di inumidire direttamente il suo pene con la mia bocca, pensando tra me e me che fosse una voce dettata dalla mera curiosità ma che non fosse necessario per lo scopo.
Proseguimmo quell’intimo rito per parecchi giorni, prima che finalmente dal suo pene eretto facesse delicatamente capolino la sua cappella, di un viola acceso, carinissima e leggermente tozza.
Proprio allora percepii un odore acre di sperma, da veto uomo. Non si trattava di un’eiaculazione, ma solo di alcune tracce bianche di seme, evidentemente rimaste attaccate sul glande a causa della fimosi.
Mi sentivo strana, inebriata da un odore che mi turbava e mi confondeva e non mi accorsi che, ipnotizzata, stavo continuando quasi meccanicamente a proseguire lo scappellamento anche dopo averlo liberato dal prepuzio.
Fu in quel momento che decisi di porre una linea di confine netta tra quello che, come mamma, avrei potuto fare e quello che decisamente non avrei dovuto fare.
Masturbarlo, farlo venire, consentirgli di eiaculare sul mio corpo, sul mio seno e magari assaggiare il suo sperma? Non mi sembrarono attività appropriate a una madre che voleva solo aiutare il proprio figlio.
Eppure, sentii quanto fosse oscura la voce che mi diceva di terminare il lavoro, che non ci fosse nulla di male nel fargli provare, per prima, queste emozioni. E, magari, nel rifarlo.
Decisi invece che lo avrei cresciuto ordinariamente, senza mai cedere a pulsioni incestuose di sorta. E che lo avrei protetto e accudito al meglio delle mie forze da ogni torbido, dentro e fuori casa. Perché questo è quello che fa una brava madre.
Rallentai il ritmo fino a fermare la mano.
Ripulii rapidamente quei residui così odorosi dal suo pene
Angelo mi fissava ridendo, felice per la consapevolezza ed il sollievo di aver terminato quella pena così dolorosa.
Forse, suggestionata dai miei stessi pensieri, vidi nel suo sguardo anche una certa perplessità per il mio graduale rallentamento del ritmo, fino allo stop definitivo.
Come se in qualche modo si fosse domandato perché avessi smesso, proprio quando il dolore era passato e anzi..
Ma se lo pensò, non lo disse: “mammina ce l’abbiamo fatta! Il tiro al bersaglio ha funzionato!”
Ero la mamma più felice del mondo: avevo il suo affetto incondizionato e, soprattutto, avevo resistito a ogni istinto fissando una linea di confine decisa e fuori da ogni rimprovero morale.
D’altro canto, lui era stato coraggioso e per niente intrattabile durante quella difficile prova. Ci meritavamo (entrambi) un premio: “bravo tesoro, stasera dormi nel lettone con mamma!”.
Ma nel frattempo decisi anche che, finché il pisellino non fosse tornato in perfetta forma, pronto per innumerevoli altre “autonome” sessioni, avrei effettuato almeno altre quattro sedute di allenamento.
Per il suo bene, ovviamente.
Non vedevo l’ora di conoscere cosa ci riservasse il futuro, ma non ero pronta alle evoluzioni del nostro legame e a come i fatti lo avrebbero messo a dura prova.
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