Memorie di uno Schiavista - Giulia e Marco

di
genere
bondage

Il contenuto del seguente racconto è da ritenersi di pura fantasia. In alcun modo vuole promuovere atti di violenza non consenzienti su partner o estranei. Il BDSM è un mondo fatto di rispetto e comunicazione, non dimenticatelo.

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Odio le giornate come questa. Piovose ma calde. Come se Dio si stesse prendendo gioco della sua umanità.

L’unico conforto è l’aria condizionata del furgone, ma non sono sicuro stia funzionando a dovere. Quel posto lercio da cui l’ho noleggiato mi ha fornito veramente un pezzo di merda fumante.

Sono due ore che guido fra queste stradine di campagna ungheresi, tra fossi e salite, tra cani che attraversano la strada e stronzi sui loro dannati trattori ad occupare la carreggiata. Sono un tipo da città, ci sta poco da fare.

Ho bisogno di fermarmi, la schiena mi sta uccidendo. Accostare sul ciglio della strada non è mai stato nei miei piani, ma è diventato necessità. Tanto chi cazzo verrà mai a ficcare il naso da queste parti.

L’aria è umida, calda, fastidiosa. Sento la mia pelle sudaticcia, la maglia mi si attacca al torso. Sono stanco ed incazzato. Un’altra persona fumerebbe una sigaretta per rilassarsi, ma io sono un salutista: non fumo, bevo poco. Mi piace avere uno stile di vita sano.

Ho bisogno di altro.

Apro il portellone del furgone e mi avvicino ad una delle due sagome che tremano nell’oscurità. Sì, è di questo che ho bisogno, ora.

Mi avvicino ad una delle due, le slaccio rapidamente la penis gag che le riempie la bocca. Tossisce, sputa un fiume di saliva. Fanno tutti così, se non sono abituati a trattamenti del genere.

«Ti prego, ti prego, lasciaci andare, ti sup-» non le do il tempo di continuare con le sue suppliche. Il mio cazzo aveva bisogno della sua bocca.

Glielo spingo fino infondo, senza esitazione. Lei continua a tossire, sembra quasi vomitare, ma a me non frega niente. Deve succhiarmelo, che le piaccia o no.

Indossa la “divisa” tipica della mia organizzazione: un cappuccio in latex che le impedisce di vedere; un armbinder in pelle che le impedisce di muoversi; un grosso collare nero che le stringe il collo, assicurandolo al pavimento con un guinzaglio; stivali aderenti col tacco che le coprono piedi e gambe, legate poi con dei lacci; un plug ficcatole nel culo.

Una divisa, identica in tutto e per tutto, che non ho risparmiato neanche al suo fidanzato. È seduto di fronte a lei. Può sentire tutto, ma non può farci niente. Non credo vedrà mai più la sua adorata Giulia: lo consegnerò a dei trafficanti di organi lungo il tragitto, i maschi non vendono bene come schiavi.

Giulia, invece. Oh, Giulia. Ci sta mettendo davvero l’anima, in questo bocchino. Si è abituata al mio cazzo, non tossisce più. Magari spera di fare un buon lavoro e addolcire il mio spirito. Piccola ragazza ingenua.

Non sborro neanche, non voglio concederle questo piacere.

«Puoh… Ti prego, ora lib-» zitta, porca puttana. Deve stare zitta. Le rimetto la penis gag, stavolta stringendola molto di più.

Fino a ieri, Marco e Giulia erano una dolce coppietta italiana a spasso per Budapest. Lei studentessa in Erasmus, lui in vacanza per raggiungerla. Si tenevano per mano lungo il Danubio.

Ora sono imbavagliati, immobilizzati, bendati, seduti l’uno di fronte all’altra in questo lercissimo furgone.

E non si vedranno mai più.

Il caldo non mi dà tregua, ma mi sento meglio. A breve sarò pagato, e sarò pagato bene. E poi è tempo di andar via da questo Paese.

Mi sono proprio rotto il cazzo di questo posto.
scritto il
2023-08-22
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