I supplizi sessuali di un vafabondo (parte 2)

di
genere
sadomaso

CAPITOLO 2
Europa, quindicesimo secolo.
Il Signore, che aveva circa 45 anni, non mi lasciava giornate di riposo. Dopo avermi fatto lavorare sodo tutta la settimana fino al sabato, la domenica mi portava in un signorile e spazioso loft attrezzato al sesso, vicino al maneggio. Invitava 4-5 amici di volta in volta diversi e iniziava il festino. Facevano con me tanti giochi di cui proverò a descriverne alcuni.
LA BENDA - prima di fasciarmi gli occhi in modo da essere privato della vista, gli ospiti del signore mi mostravano il loro membro in erezione, ricordandomi i loro nomi e raccomandandosi di associare ogni nome al corrispettivo membro. Poi venivo bendato. Si disponevano in modo casuale e uno di loro mi obbligava in ginocchio a un pompino. La prima regola del gioco era quella di passarli ben bene lingua, labbra e viso strofinandoli sul membro in tutti i suoi angoli, se andavo con lentezza partivano sonori sberloni dal fruitore. Erano molto violenti. Dopo la sborrata che mi spruzzava addosso o facendomela deglutire era il momento dell’indovinello. Dovevo azzeccare il nome del padrone del cazzo appena spompinato. Se sbagliavo pagavo con una fustigazione di 29 colpi, con una frusta lunga due metri. Mi legavano le braccia al soffitto perché dal contorcimento per il dolore spesso perdevo l’equilibrio e a quel punto sarei caduto a terra.
L’APNEA - A turno, questa volta partecipava anche il padrone, sdraiato su un letto, si sedevano sopra la mia faccio con il loro culo in modo da non essere capace di respirare. Poi iniziava la lunga sessione di rimming che dovevo compiere. Il gioco stava nel trattenere il respiro per un minuto mentre omaggiavo il buco del culo con lingua del giocatore. Dovevo stare immobile altrimenti partivano le bastonate. Piuttosto se stavo per soffocare potevo alzare una mano. Ma in tal caso la punizione era la solita di prima. Poi si riprendeva e la cosa sarebbe andata avanti per un bel pezzo per ogni singolo fruitore.
LA MARATONA - Quando ormai avevano i coglioni svuotati da ore di sesso, dovevo masturbarli a turno, avevo 10 minuti per farli venire. Se ci riuscivo come ricompensa mi davano una moneta d’argento, il valore di un quartino di vino. Ma se non riuscivo la punizione era ben molto più forte della ricompensa. Non la frusta visto che le mie superfici erano ormai scorticate dalla stessa. Mi ponevano altresì in una gogna e mi dileggiavano con sputi, pisciate addosso e quant’altro. Mi lasciavano da solo nella gogna per diverse ore in una terribile posizione. Loro si spostavano per cenare e soprattutto per avere il tempo di ricaricarsi le palle per l’ultima trombata. Io saltavo la cena e ed ero privato dell’acqua.
L’ACCA - Ritemprati tornarono nella loft dopo diverse ore, mentre io ero dolorante dalla posizione del mezzo di tortura e dalle penetrazioni.
Si finiva il festino con la posizione sessuale dell’acca, la quale al meglio si addiceva alla mia costrizione sulla gogna. Si tolsero pantaloni e mutande, avevano già il cazzo in tiro e duro come il marmo. Non vi ho detto che erano stati selezionati dal Signore come prima cosa per la lunghezza e circonferenza del pene, dimensioni maestose quanto quelle del mio padrone.
Iniziarono due suoi dei suoi amici un tipo nerboruto me lo infilo in bocca e l’altro in culo.
Era il colpo di coda finale per me. In bocca non dovevo spompinare ma essere penetrato con colpi fino alla gola. Sbattevano come dei forsennati, entrambi. Ogni volta che si arrivava a questo gioco temevo per la mia salute. Mi trombavano bocca e culo con colpi dati all’unisono, si fermavano per qualche istante e poi insieme impetuosamente riprendevano. Loro per contro godevano tanto. Poi a turno si continuava.
Finivano la loro giornata di sfogo e godimento brindando con boccali di vino.
Tornavo in cella presso il maneggio dolorante da non poter dormire ma il mattino alle 6 dovevo riprendere servizio con i cavalli sotto il severo controllo del capo maneggio, dotato anche lui di cazzo e frusta.
scritto il
2023-10-13
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