Lo Simatore - 02
di
J.M. Ricusteu
genere
dominazione
Lo Stimatore - 02
Fin da piccola, ne avevi sentito parlare con orrore, delle serre.
Una delle "mamme" c'era stata da giovane, nelle serre, per più di dieci anni e solo con un colpo di fortuna era riuscita a venire via. Raccontava che in quella fattoria di schiave ce n’era qualche dozzina, a faticare dall’alba al tramonto, sette giorni su sette. Nelle ore centrali della giornata, il caldo era così soffocante e l’umidità così alta da togliere le forze, ma non per questo i ritmi di lavoro rallentavano. In pieno campo, dove i guardiani passavano a cavallo tra gli schiavi a staffilare senza pietà chi non lavorava al ritmo imposto, almeno si soffriva all'aria aperta. No, peggio della serra c'è solo la miniera: su questo tutte le "mamme" erano d'accordo, quando parlavano tra loro, e voi bambine le stavate ad ascoltare di nascosto.
Diceva quella "mamma" che, al di sotto quelle immense costruzioni trasparenti, ogni filare era affidato a una coppia di schiave, poste l'una di fronte all’altra, svestite dalla cintola in su e costrette al silenzio; e in mezzo, a separarle, piante tutte uguali, in solchi rilevati, lunghi centinaia di metri. E, raggiunta la fine del filare, un altro ce n’era da attaccare senza perdere tempo, procedendo in senso contrario. Ai guardiani bastava cambiare di binario la catena che scendeva dall’alto e che finiva nell’anello del collare. Intanto che la carrucola sul binario scorreva inesorabile: ogni volta, uno strappo di cinquanta centimetri, a segnare il tempo di avanzamento del lavoro.
E guai a lasciare indietro qualcosa di non fatto o di fatto male! La frusta dei guardiani, che tutto il tempo erano in giro tra i filari a controllare, si abbatteva con ferocia sulle schiene grondanti delle schiave, ma più spesso era con il pungolo elettrico che punivano la coppia che aveva sbagliato.
Proprio così: mai che si indagasse chi delle due aveva trascurato di raccogliere, sfrondare, legare pampini… Però, di fermare la catena sì, il tempo lo trovavano sempre, i guardiani! La scossa poteva arrivare ovunque sul corpo e ogni volta faceva sobbalzare, ma di solito era l'inguine delle schiave che i guardiani cercavano, e il piacere che procurava loro vederle tremare e supplicare. Si eccitavano a vederle in piedi e a capo chino, con i pantaloni di tela grezza abbassati, e le mani timorosamente incrociate dietro le natiche…
Così le coppie di schiave arrivavano a odiarsi in silenzio, perché la sbadataggine dell'una era motivo di identica sofferenza per l'altra. E così il rumore di fondo in cui si svolge il lavoro - nessun brusio mai, solo lo sbattimento continuo delle catene - veniva alterato ogni tanto dal sibilo della frusta, dal crepitio dei pungoli e dagli strilli disperati di quelle poverine.
Eri cresciuta insieme a quell’incubo e ora la presenza di quell'uomo orribile lo materializzava.
Ti eri allontanata da lui, di scatto incapace di resistere oltre.
*
“Ma che fai? Sei impazzita? Io ti parlo del paradiso dove stai per trasferirti e tu ti scansi? Sei fortunata che una non ce l’ha più fatta, e qualche giorno fa è stramazzata tra i filari. Mi tocca rimpiazzarla con te, capisci?”. Si era di nuovo proteso verso il tuo orecchio, come se fosse lì a confidarti un privilegio che stavi per ricevere, e intanto con la mano ti stringeva il collo perché non ti potessi di nuovo sottrarre. E con il palmo dell’altra soppesava un seno e poi l’altro, con la stessa attenzione di prima, quando saggiava la forza dei tuoi muscoli. Era come se inseguisse chissà quali pensieri e calcoli: per quanto tempo saresti rimasta tonica come adesso, una volta costretta alle fatiche della serra.
“Spiace sempre perdere una schiava, anche quando l’investimento che hai fatto te lo sei ripagato un sacco di volte. Capirai, era nelle mie serre da più di trent’anni…” Un sorriso osceno, e aveva aggiunto: “Vedrai che tu la superi però, perché ti faccio iniziare che sei più giovane di lei! E poi, rispetto a un tempo, adesso fate due pause: mi hanno convinto che così funziona meglio e che vivete più a lungo.”
Sempre con quel ghigno in viso, aveva spiegato che da poco più di un anno aveva introdotto due pause di mezz'ora nella giornata e che era uno spasso venire a guardare le schiave che, appena staccate dalla catena, si precipitavano all'aperto e si avventavano sulle ciotole del cibo e dell'acqua.
"Frazionare l'alimentazione evita che vi ingozzate. Di acqua, invece, ve ne diamo quanta ne volete, anche mentre lavorate!" Aveva accompagnato quella spiegazione con una zaffata di fumo del sigaro, proiettato in faccia alla ragazza che tratteneva per il collo.
Anche nella fattoria della “mamma” - a quel che lei raccontava - c’erano guardiani che comparivano con i nebulizzatori dell’acqua fredda in mano e cominciavano a spruzzare: un brivido, e subito al lavoro sotto le centine arroventate!
"Bagnarvi ogni tanto: ci tengo io al benessere di chi lavora per me!".
Oh sì, il benessere… Nella serra della “mamma” usavano addirittura lo stesso impianto destinato all'irrigazione delle piante e quando lo aprivano non c'era modo sfuggire a quelle goccioline gelide che si pesavano sulla pelle accaldata e sulle foglie. Solo che queste ultime non rabbrividivano…
Ormai eri abbastanza grande per capire cosa fanno i maschi alle schiave, e la sera in cui aveva raccontato di quanto si rabbrividiva sotto il getto dell’acqua, la "mamma" non t’aveva più taciuto quel capitava nelle baracche dopo il tramonto.
Dopo un pasto misero quanto gli altri, le schiave cadevano senza più forze sui pagliericci, ma per qualcuna di loro non era ancora venuto il momento di dormire, perché le aspettava un ultimo soppruso da parte dei guardiani. E qualche volta gli stupri andavano avanti per tutta la notte.
*
"Fa' vedere il bacino, adesso…" e ti aveva cinta con le mani, all'altezza delle anche.
Tu avevi trattenuto il respiro, atterrita. Un altro ricordo ti straziava, più vivido ancora, perché c'entrava proprio con la schiava anziana che ti aveva fatto da “mamma”.
Ti eri mestruata da poco e avevi cercato di tenerglielo nascosto, perché sapevi che, da quel momento in poi, non avresti più potuto restare lì, dove lei ti aveva cresciuta con affetto. Ma a “mamma” non potevano sfuggire i segni della maturità sessuale. Eppure, lei stessa, nel denunciarti, aveva supplicato che ti lasciassero ancora rimanere, anche solo per poco. Era contrario alle regole però, e meno di quarantott’ore dopo erano venuti a portarti via, per consegnarti a un Centro dove ti avrebbero addestrata a servire. Allora "mamma" aveva chiesto di poterti almeno salutare, un'ultima volta: eri la sua bambina, e sapeva che forse non gliene avrebbero più assegnate altre da allevare. E ora anche tu saresti volata via per sempre, come tutte le altre che aveva cresciuto negli anni. Le era stato concesso, perché era vecchia e aveva sempre servito bene.
Stava seduta sul suo sgabello, immensa e dolce, e tu eri in piedi davanti a lei, esitante, nella tua tunichetta da novizia e con il tuo primo collare, allacciato stretto dietro la nuca. La “mamma” aveva aperto le braccia e ti aveva accolta in seno. Eravate rimaste così, abbracciate a lungo e lei ti consolava, e ti diceva che la vita di una schiava, alla fin fine, non è troppo diversa da quella delle persone libere, perché felicità e dolore si alternano per tutti.
Avevi preso coraggio e le avevi chiesto di non nasconderti più nulla degli orrori che riservava la schiavitù e lei, si era schermita, dicendo che tanto, nel Centro di Addestramento di lī a poco avresti saputo e provato tutto quanto. Ma tu continuavi a insistere e allora "mamma" aveva compiuto lo stesso gesto: aveva cinto il tuo bacino con le mani e ti aveva rivelato che sì, la tua struttura esile non era adatta per fare i figli, ma che questo non ti avrebbe salvata, quando il padrone avesse deciso di farti partorire. “È il nostro destino, figlia mia”, mentre ti baciava un’ultima volta e tu cercavi di trattenere le lacrime.
Poi ti avevano strappata a forza dalle sue braccia ed era iniziato il viaggio verso il Centro di Addestramento...
*
E mentre tu ti facevi travolgere dai ricordi, l’uomo sembrava soddisfatto delle misure prese così, sommariamente, a spanne. "Sei stretta, ma proporzionata. Quando verrà il momento, si tratterà solo di farti ingravidare da qualcuno che sia adatto alla tua taglia. C’è un allevatore dalle nostre parti che ha uno schiavo sontuoso ma piccolo di stazza, e lo dà in giro come stallone, o come lo vuoi chiamare: maschio da monta è più elegante, il nome più giusto, per una troietta come te, è verro! Beh, ha più discendenti il tuo verro di chiunque altro nelle fattorie della Contea; ed escono tutti sani i suoi figli.”
Aveva avvicinato i palmi, per descrivere quanto fossero lunghi quegli esserini che le schiave portavano in grembo. “Per questo è molto richiesto. Quella che vai a sostituire, ad esempio, con lui ne ha fatti un paio di figli, dei sei o sette che ha partorito in tutti questi anni. Me le prenotano da tutte le parti le gravidanze delle mie schiave - sarà perché vi tratto bene e le portate a termine, di solito - e non riesco a tenere dietro alle richieste. Ma io, di mestiere coltivo, mica allevo! E quando la pancia vi cresce troppo, in serra non ci potete più lavorare…"
Lo ascoltavi, attonita, descrivere con dovizia di particolare i corpi delle schiave deformati dalla gravidanza, piegati sui solchi fino al sesto, settimo mese. A quel punto, spiegava, lo spazio tra i filari diventava troppo angusto per loro e i ritmi di lavoro insostenibili, e bisognava tenerle in baracca, fino al parto.
Ma neppure allora concedeva loro di stare inattive, perché c’erano maschi dalla sessualità distorta che venivano apposta per soddisfarsi così, e allora le schiave si coricavano su un fianco e davano loro la schiena, che così manco li dovevano guardare in viso quei depravati.
“Lo vedi che sono buono, nonostante quel che dicono di me in giro!" Nel dire questo aveva appoggiato la mano sul tuo ventre e aveva stretto forte. "Pensa un po’ quando capiterà a te, magari già tra qualche settimana. I figli dovete farli appena siete fertili, senza perdere tempo. È così che la natura ordina a voi femmine! Basta solo che arrivi qualcuno in fattoria e che, girando tra i filari, ti trovi carina abbastanza da scommettere che lo sarà altrettanto tua figlia. Si combina il prezzo e con chi farti accoppiare. Per il resto, la vita di una schiava incinta, non è che cambi molto rispetto a prima. Solo, i guardiani saranno meno severi con te dopo un po', e ti daranno da mangiare di più. Intanto che la pancia cresce, quel tale può venire a controllare quando vuole, perché una parte di te adesso è cosa sua, ma se vuole chiavarti o incularti paga, come chiunque altro. E tu, con il mio permesso gli giri la schiena: ma pensa un po'!”
Una risata, e di colpo aveva immerso due dita nella vagina. Tu non avevi trattenuto un gemito.
“Ferma lì, ragazzina! Non ho finito di spiegare. Il bambino che ci sarà qui dentro tu non lo vedrai neppure, e quindi niente allattamento… Ma sono cose che conosci, perché anche tu, mi sa che tua madre non l’hai mai conosciuta…"
Ti frugava dentro, intanto, con cattiveria. "Avrai una settimana per riprenderti dal parto, dieci giorni al massimo, e poi te ne torni al lavoro di sempre! Comunque, adesso che più o meno sai tutto, ti devo confessare che c'è qualcosa che mi ha attirato di te. No, non sei una bellezza da schianto, anche se sei ben fatta… Piuttosto, c'è altro di te non saprei definire… Forse è semplicemente questa tua bocca da pompini, anche se non si capisce neppure se li sai fare… Ho cercato l'expertise mentre aspettavo, e non l'ho trovata. Qualunque cosa scriveranno su di te, comunque, non ti preoccupare: ti faccio venire nel mio letto, e ti insegno io quel che mi piace!”
Si stava eccitando, e tu non sapevi più che fare, se non provare ad attutire i colpi che ti infliggeva dentro la vagina, perché quel che stava cercando adesso, in tutta chiarezza, era solo il tuo dolore. “Lo sai cosa mi diverte? Che siete in due nel mio letto a farvi guidare dal guinzaglio. A coppie, come in serra, e anzi, ho deciso che ti metto proprio con la biondina, la mia preferita. Una volta sei tu a prenderlo in bocca, e l’altra mi tiene aperte le chiappe con le mani e lecca come se non ci fosse domani. Poi mi basta tirare, ed è la tua lingua adesso che sento tra i peli del mio culo. Imparerai in fretta, a darmi piacere così. Sono sicuro che ci divertiremo tanto noi tre.”
Adesso strillavi. Eri caduta riversa sulla schiena e ti agitavi senza più controllo, per sfuggire a quella penetrazione odiosa, eccessiva, così diversa da quella consentita ai clienti, cui sei stata esposta fino a quel momento.
Era umiliante sempre ricevere le loro attenzioni, qualche volta doloroso, perché nessun cliente ci pensa, mentre infila le dita, che nessuna di voi è preparata...
Ma niente a che vedere con la tortura che costui ti infliggeva, mentre cercava di introdurre la mano intera, fino al polso. Addirittura un fisting, il giorno prima dell'asta!
(Segue)
Fin da piccola, ne avevi sentito parlare con orrore, delle serre.
Una delle "mamme" c'era stata da giovane, nelle serre, per più di dieci anni e solo con un colpo di fortuna era riuscita a venire via. Raccontava che in quella fattoria di schiave ce n’era qualche dozzina, a faticare dall’alba al tramonto, sette giorni su sette. Nelle ore centrali della giornata, il caldo era così soffocante e l’umidità così alta da togliere le forze, ma non per questo i ritmi di lavoro rallentavano. In pieno campo, dove i guardiani passavano a cavallo tra gli schiavi a staffilare senza pietà chi non lavorava al ritmo imposto, almeno si soffriva all'aria aperta. No, peggio della serra c'è solo la miniera: su questo tutte le "mamme" erano d'accordo, quando parlavano tra loro, e voi bambine le stavate ad ascoltare di nascosto.
Diceva quella "mamma" che, al di sotto quelle immense costruzioni trasparenti, ogni filare era affidato a una coppia di schiave, poste l'una di fronte all’altra, svestite dalla cintola in su e costrette al silenzio; e in mezzo, a separarle, piante tutte uguali, in solchi rilevati, lunghi centinaia di metri. E, raggiunta la fine del filare, un altro ce n’era da attaccare senza perdere tempo, procedendo in senso contrario. Ai guardiani bastava cambiare di binario la catena che scendeva dall’alto e che finiva nell’anello del collare. Intanto che la carrucola sul binario scorreva inesorabile: ogni volta, uno strappo di cinquanta centimetri, a segnare il tempo di avanzamento del lavoro.
E guai a lasciare indietro qualcosa di non fatto o di fatto male! La frusta dei guardiani, che tutto il tempo erano in giro tra i filari a controllare, si abbatteva con ferocia sulle schiene grondanti delle schiave, ma più spesso era con il pungolo elettrico che punivano la coppia che aveva sbagliato.
Proprio così: mai che si indagasse chi delle due aveva trascurato di raccogliere, sfrondare, legare pampini… Però, di fermare la catena sì, il tempo lo trovavano sempre, i guardiani! La scossa poteva arrivare ovunque sul corpo e ogni volta faceva sobbalzare, ma di solito era l'inguine delle schiave che i guardiani cercavano, e il piacere che procurava loro vederle tremare e supplicare. Si eccitavano a vederle in piedi e a capo chino, con i pantaloni di tela grezza abbassati, e le mani timorosamente incrociate dietro le natiche…
Così le coppie di schiave arrivavano a odiarsi in silenzio, perché la sbadataggine dell'una era motivo di identica sofferenza per l'altra. E così il rumore di fondo in cui si svolge il lavoro - nessun brusio mai, solo lo sbattimento continuo delle catene - veniva alterato ogni tanto dal sibilo della frusta, dal crepitio dei pungoli e dagli strilli disperati di quelle poverine.
Eri cresciuta insieme a quell’incubo e ora la presenza di quell'uomo orribile lo materializzava.
Ti eri allontanata da lui, di scatto incapace di resistere oltre.
*
“Ma che fai? Sei impazzita? Io ti parlo del paradiso dove stai per trasferirti e tu ti scansi? Sei fortunata che una non ce l’ha più fatta, e qualche giorno fa è stramazzata tra i filari. Mi tocca rimpiazzarla con te, capisci?”. Si era di nuovo proteso verso il tuo orecchio, come se fosse lì a confidarti un privilegio che stavi per ricevere, e intanto con la mano ti stringeva il collo perché non ti potessi di nuovo sottrarre. E con il palmo dell’altra soppesava un seno e poi l’altro, con la stessa attenzione di prima, quando saggiava la forza dei tuoi muscoli. Era come se inseguisse chissà quali pensieri e calcoli: per quanto tempo saresti rimasta tonica come adesso, una volta costretta alle fatiche della serra.
“Spiace sempre perdere una schiava, anche quando l’investimento che hai fatto te lo sei ripagato un sacco di volte. Capirai, era nelle mie serre da più di trent’anni…” Un sorriso osceno, e aveva aggiunto: “Vedrai che tu la superi però, perché ti faccio iniziare che sei più giovane di lei! E poi, rispetto a un tempo, adesso fate due pause: mi hanno convinto che così funziona meglio e che vivete più a lungo.”
Sempre con quel ghigno in viso, aveva spiegato che da poco più di un anno aveva introdotto due pause di mezz'ora nella giornata e che era uno spasso venire a guardare le schiave che, appena staccate dalla catena, si precipitavano all'aperto e si avventavano sulle ciotole del cibo e dell'acqua.
"Frazionare l'alimentazione evita che vi ingozzate. Di acqua, invece, ve ne diamo quanta ne volete, anche mentre lavorate!" Aveva accompagnato quella spiegazione con una zaffata di fumo del sigaro, proiettato in faccia alla ragazza che tratteneva per il collo.
Anche nella fattoria della “mamma” - a quel che lei raccontava - c’erano guardiani che comparivano con i nebulizzatori dell’acqua fredda in mano e cominciavano a spruzzare: un brivido, e subito al lavoro sotto le centine arroventate!
"Bagnarvi ogni tanto: ci tengo io al benessere di chi lavora per me!".
Oh sì, il benessere… Nella serra della “mamma” usavano addirittura lo stesso impianto destinato all'irrigazione delle piante e quando lo aprivano non c'era modo sfuggire a quelle goccioline gelide che si pesavano sulla pelle accaldata e sulle foglie. Solo che queste ultime non rabbrividivano…
Ormai eri abbastanza grande per capire cosa fanno i maschi alle schiave, e la sera in cui aveva raccontato di quanto si rabbrividiva sotto il getto dell’acqua, la "mamma" non t’aveva più taciuto quel capitava nelle baracche dopo il tramonto.
Dopo un pasto misero quanto gli altri, le schiave cadevano senza più forze sui pagliericci, ma per qualcuna di loro non era ancora venuto il momento di dormire, perché le aspettava un ultimo soppruso da parte dei guardiani. E qualche volta gli stupri andavano avanti per tutta la notte.
*
"Fa' vedere il bacino, adesso…" e ti aveva cinta con le mani, all'altezza delle anche.
Tu avevi trattenuto il respiro, atterrita. Un altro ricordo ti straziava, più vivido ancora, perché c'entrava proprio con la schiava anziana che ti aveva fatto da “mamma”.
Ti eri mestruata da poco e avevi cercato di tenerglielo nascosto, perché sapevi che, da quel momento in poi, non avresti più potuto restare lì, dove lei ti aveva cresciuta con affetto. Ma a “mamma” non potevano sfuggire i segni della maturità sessuale. Eppure, lei stessa, nel denunciarti, aveva supplicato che ti lasciassero ancora rimanere, anche solo per poco. Era contrario alle regole però, e meno di quarantott’ore dopo erano venuti a portarti via, per consegnarti a un Centro dove ti avrebbero addestrata a servire. Allora "mamma" aveva chiesto di poterti almeno salutare, un'ultima volta: eri la sua bambina, e sapeva che forse non gliene avrebbero più assegnate altre da allevare. E ora anche tu saresti volata via per sempre, come tutte le altre che aveva cresciuto negli anni. Le era stato concesso, perché era vecchia e aveva sempre servito bene.
Stava seduta sul suo sgabello, immensa e dolce, e tu eri in piedi davanti a lei, esitante, nella tua tunichetta da novizia e con il tuo primo collare, allacciato stretto dietro la nuca. La “mamma” aveva aperto le braccia e ti aveva accolta in seno. Eravate rimaste così, abbracciate a lungo e lei ti consolava, e ti diceva che la vita di una schiava, alla fin fine, non è troppo diversa da quella delle persone libere, perché felicità e dolore si alternano per tutti.
Avevi preso coraggio e le avevi chiesto di non nasconderti più nulla degli orrori che riservava la schiavitù e lei, si era schermita, dicendo che tanto, nel Centro di Addestramento di lī a poco avresti saputo e provato tutto quanto. Ma tu continuavi a insistere e allora "mamma" aveva compiuto lo stesso gesto: aveva cinto il tuo bacino con le mani e ti aveva rivelato che sì, la tua struttura esile non era adatta per fare i figli, ma che questo non ti avrebbe salvata, quando il padrone avesse deciso di farti partorire. “È il nostro destino, figlia mia”, mentre ti baciava un’ultima volta e tu cercavi di trattenere le lacrime.
Poi ti avevano strappata a forza dalle sue braccia ed era iniziato il viaggio verso il Centro di Addestramento...
*
E mentre tu ti facevi travolgere dai ricordi, l’uomo sembrava soddisfatto delle misure prese così, sommariamente, a spanne. "Sei stretta, ma proporzionata. Quando verrà il momento, si tratterà solo di farti ingravidare da qualcuno che sia adatto alla tua taglia. C’è un allevatore dalle nostre parti che ha uno schiavo sontuoso ma piccolo di stazza, e lo dà in giro come stallone, o come lo vuoi chiamare: maschio da monta è più elegante, il nome più giusto, per una troietta come te, è verro! Beh, ha più discendenti il tuo verro di chiunque altro nelle fattorie della Contea; ed escono tutti sani i suoi figli.”
Aveva avvicinato i palmi, per descrivere quanto fossero lunghi quegli esserini che le schiave portavano in grembo. “Per questo è molto richiesto. Quella che vai a sostituire, ad esempio, con lui ne ha fatti un paio di figli, dei sei o sette che ha partorito in tutti questi anni. Me le prenotano da tutte le parti le gravidanze delle mie schiave - sarà perché vi tratto bene e le portate a termine, di solito - e non riesco a tenere dietro alle richieste. Ma io, di mestiere coltivo, mica allevo! E quando la pancia vi cresce troppo, in serra non ci potete più lavorare…"
Lo ascoltavi, attonita, descrivere con dovizia di particolare i corpi delle schiave deformati dalla gravidanza, piegati sui solchi fino al sesto, settimo mese. A quel punto, spiegava, lo spazio tra i filari diventava troppo angusto per loro e i ritmi di lavoro insostenibili, e bisognava tenerle in baracca, fino al parto.
Ma neppure allora concedeva loro di stare inattive, perché c’erano maschi dalla sessualità distorta che venivano apposta per soddisfarsi così, e allora le schiave si coricavano su un fianco e davano loro la schiena, che così manco li dovevano guardare in viso quei depravati.
“Lo vedi che sono buono, nonostante quel che dicono di me in giro!" Nel dire questo aveva appoggiato la mano sul tuo ventre e aveva stretto forte. "Pensa un po’ quando capiterà a te, magari già tra qualche settimana. I figli dovete farli appena siete fertili, senza perdere tempo. È così che la natura ordina a voi femmine! Basta solo che arrivi qualcuno in fattoria e che, girando tra i filari, ti trovi carina abbastanza da scommettere che lo sarà altrettanto tua figlia. Si combina il prezzo e con chi farti accoppiare. Per il resto, la vita di una schiava incinta, non è che cambi molto rispetto a prima. Solo, i guardiani saranno meno severi con te dopo un po', e ti daranno da mangiare di più. Intanto che la pancia cresce, quel tale può venire a controllare quando vuole, perché una parte di te adesso è cosa sua, ma se vuole chiavarti o incularti paga, come chiunque altro. E tu, con il mio permesso gli giri la schiena: ma pensa un po'!”
Una risata, e di colpo aveva immerso due dita nella vagina. Tu non avevi trattenuto un gemito.
“Ferma lì, ragazzina! Non ho finito di spiegare. Il bambino che ci sarà qui dentro tu non lo vedrai neppure, e quindi niente allattamento… Ma sono cose che conosci, perché anche tu, mi sa che tua madre non l’hai mai conosciuta…"
Ti frugava dentro, intanto, con cattiveria. "Avrai una settimana per riprenderti dal parto, dieci giorni al massimo, e poi te ne torni al lavoro di sempre! Comunque, adesso che più o meno sai tutto, ti devo confessare che c'è qualcosa che mi ha attirato di te. No, non sei una bellezza da schianto, anche se sei ben fatta… Piuttosto, c'è altro di te non saprei definire… Forse è semplicemente questa tua bocca da pompini, anche se non si capisce neppure se li sai fare… Ho cercato l'expertise mentre aspettavo, e non l'ho trovata. Qualunque cosa scriveranno su di te, comunque, non ti preoccupare: ti faccio venire nel mio letto, e ti insegno io quel che mi piace!”
Si stava eccitando, e tu non sapevi più che fare, se non provare ad attutire i colpi che ti infliggeva dentro la vagina, perché quel che stava cercando adesso, in tutta chiarezza, era solo il tuo dolore. “Lo sai cosa mi diverte? Che siete in due nel mio letto a farvi guidare dal guinzaglio. A coppie, come in serra, e anzi, ho deciso che ti metto proprio con la biondina, la mia preferita. Una volta sei tu a prenderlo in bocca, e l’altra mi tiene aperte le chiappe con le mani e lecca come se non ci fosse domani. Poi mi basta tirare, ed è la tua lingua adesso che sento tra i peli del mio culo. Imparerai in fretta, a darmi piacere così. Sono sicuro che ci divertiremo tanto noi tre.”
Adesso strillavi. Eri caduta riversa sulla schiena e ti agitavi senza più controllo, per sfuggire a quella penetrazione odiosa, eccessiva, così diversa da quella consentita ai clienti, cui sei stata esposta fino a quel momento.
Era umiliante sempre ricevere le loro attenzioni, qualche volta doloroso, perché nessun cliente ci pensa, mentre infila le dita, che nessuna di voi è preparata...
Ma niente a che vedere con la tortura che costui ti infliggeva, mentre cercava di introdurre la mano intera, fino al polso. Addirittura un fisting, il giorno prima dell'asta!
(Segue)
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Lo Stimatoreracconto sucessivo
Lo Stimatore - 03
Commenti dei lettori al racconto erotico