Lo Stimatore - 04
di
J.M. Ricusteu
genere
dominazione
Lo Stimatore - 04
Stupore nei tuoi occhi, sul tuo viso. Non eri riuscita a nasconderlo.
Una buona schiava dovrebbe sempre risultare imperturbabile. Te l’avevano spiegato in tutti i modi: a ignorare le emozioni e i sentimenti, o almeno a fingere indifferenza, si obbedisce meglio. Anche i padroni, talvolta, risultano meno esigenti, proprio perché nulla - né paura, né disgusto, né altro - mostra di ostacolare l'esercizio del loro potere.
“Obbedienza da androide”, così la definivano gli istruttori del Centro. Modello inarrivabile, secondo loro, di come una schiava in carne e ossa dovrebbe servire.
Perché dunque quell'espressione sbigottita e così evidente, non appena siete rimasti soli, tu e lo Stimatore?
È presto detto: quasi subito, in quella stanza, era successo qualcosa di inaspettato.
Lo Stimatore era stato gentile con te!
Dopo che la Direttrice aveva chiuso la porta dietro di sé, non avevi ricevuto alcun ordine. Lo Stimatore era alla scrivania, infatti, chino sulle sue carte e non aveva neppure sollevato lo sguardo verso la schiava nuda e intirizzita, che aveva di fronte, in attesa. Così, dopo un po’, tu ti eri avviata da sola, verso l’angolo più prossimo e ti eri girata verso la parete. Ti avevano insegnato che è bene fare così, quando si viene ignorate.
Ben presto però, avevi avvertito il suo sguardo sulle tue terga, poi un rumore di sedia smossa aveva rotto il silenzio fino a quel momento assoluto della stanza.
Senza riflettere, avevi teso i muscoli del dorso, come hai sempre fatto, un momento prima di essere frustata. Anche le natiche avevi contratto, perché è lì che di solito lo scudiscio inizia a colpire. Ti avevano frustata tanto i primi tempi, e dopo un po’ certe reazioni diventano istintive.
Né potevi dubitare che l’esame di una schiava da parte di uno Stimatore cominciasse diversamente: con qualche colpo ben assestato, appunto, per saggiare la resistenza al dolore. E solo dopo sarebbe venuto il resto…
Ma con tua grande sorpresa, invece del cuoio della frusta, lo Stimatore aveva posato sulle tue spalle una coperta di lana.
Una vera coperta.
“Hai freddo. Si vede. Da quante ore sei nuda?”
Era così emozionante il contatto della coperta sulla pelle raggelata che non avevi risposto subito.
“Da quando sei nuda, ti ho chiesto” aveva ripetuto, a voce più alta.
“Da stamattina, Signore. Ci portano nella grande Sala e aprono le porte ai clienti solo quando siamo tutte pronte ai nostri posti. Ci tengono nude apposta, per essere esaminate…” Ti rendi conto che, detto così, potrebbe suonare come una lamentela e provi a rimediare: “Però lì, nella Sala, non fa così freddo…”
“Hai ragione, qui è più freddo. Tengo sempre le finestre aperte.”
Dare ragione a una schiava! Era tutto così strano…
“Vieni a sederti”, e ti aveva indicato la sedia posta davanti alla scrivania.
Addirittura il privilegio di sedere!
Ecco, in quel preciso istante, non eri più riuscita a dissimulare. La tua sorpresa si poteva leggere nei tuoi occhi spalancati, nella tua espressione incredula.
Lo Stimatore aveva certamente notato, ma senza aggiungere altro aveva ripreso il suo posto alla scrivania.
“Sulla tua scheda c'è scritto che il tuo nome è W-307-FZ della Generazione 18, ma nel Centro, tutti ti chiamavano pulce. È vero? Perché quel soprannome? Rispondi con sincerità.”
Sedevi intimidita, avvolta nella coperta. E tuttavia, a quella domanda, avevi finalmente osato guardare verso di lui
Era un uomo di mezza età, un poco sovrappeso, con vistosi occhiali dalla montatura di corno. Neppure la divisa blu scuro da Stimatore riusciva a celare il suo aspetto da impiegato, di quelli amareggiati dalla vita. E l’impressione era confermata dallo sguardo triste che s’intuiva dietro le lenti spesse da miope.
“Perché sono minuscola…”
Solo una contrazione delle sopracciglia, appena percettibile, ti aveva ricordato il dovere di essere sincera.
“... e perché sono stata irritante e fastidiosa come una pulce sulla pelle. Ma questo è successo quando sono arrivata da novizia al Centro di addestramento. Adesso non più, lo giuro!”
Lo Stimatore aveva estratto un taccuino e con la matita aveva annotato qualcosa.
“Qui sei, semplicemente, lotto 27. Ricorda. Che ti ha fatto quel cliente?”
“Fisting…”
“Davanti o dietro?”
“Dav… In fica. Ma aveva delle mani enormi, e niente lubrificante… Cioè, è colpa mia, perché non ero pronta.”
“Te la senti di iniziare la prova?”
Avevi lasciato cadere la coperta e ti eri gettata in ginocchio, sul pavimento.
“Oh sì. Non fa più così male… Solo un po’ di fastidio… Mi esamini, Signore. La prego…”
Dalla posizione genuflessa in cui ti eri messa potevi soltanto sentire la sua voce, dall’altra parte della scrivania.
“Ma quanto entusiasmo! Va bene, lotto 27. Però, prima accomodati in bagno, lì sulla sinistra e usa il bidet. Acqua fredda, mi raccomando, falla entrare bene dentro e vedrai che dopo un po’ il dolore passa… Mettici il tempo che ci vuole, ma torna con la vagina in ordine. Io non ho fretta: tanto, sei l'ultima che devo periziare.”
Ti eri avviata, lasciando la coperta sulla sedia. Lo Stimatore, però, ti aveva detto di tornare sui tuoi passi, di prenderla con te e di tenerla sulle spalle mentre ti lavavi. “Scaldati ancora un po’, perché poi, quando ti esamino, ovviamente sarai nuda.”
La sua voce ti aveva infine raggiunto in bagno, quando già eri accoccolata sul sanitario. “Accanto al lavello trovi il colluttorio. Usalo. E ungiti anche dentro. Trovi tutto il necessario…”
Tu non potevi vederlo. Ma lui, intanto che tu ti preparavi, continuava a sfogliare la tua scheda. E scuoteva la testa, perplesso.
Si diceva, in quelle pagine fitte fitte, del tuo carattere ribelle, tanto che al tuo arrivo al Centro ti avevano subito applicato un collare elettrico, per farti obbedire per le spicce.
Ma anche così, rifiutavi di sottometterti come si deve agli istruttori e non passava giorno che non ti dovessero punire. Lo Stimatore scorreva con attenzione quel diario, dove tutto veniva riportato in modo meticoloso, e appuntava sul taccuino. Che qualche volta era la frusta, ma più spesso il cavalletto. E una volta che avevi provato a reagire, eri stata per due ore di fila a cavalcioni di quello strumento di tortura.
Quanto fosse devastante l’avevi capito solo dopo aver provato. Privata dell’uso delle mani e a gambe aperte sul cavalletto (al Centro lo chiamavano asino spagnolo), era il tuo stesso peso che ti faceva affondare sul legno levigato, e ben presto il dolore si faceva insostenibile e la ricerca di un sollievo momentaneo ti costringeva ad affidarti alla corda. Quella che scendeva dall'alto e che ti tratteneva, passata dentro l’anello del collare: così la scelta assurda e disperante era tra il soffocamento e lo strazio delle pelvi…
Nonostante ciò, continuavi a disobbedire, e di conseguenza, a salire ogni giorno sul cavalletto, a ricevere scosse elettriche e colpi di staffile.
Finché, dopo qualche settimana, avevi ceduto. Di schianto.
E le note sul tuo comportamento, da quel momento in poi, si erano fatte migliori, addirittura lusinghiere. Imparavi a servire, come tutte, e in qualcosa meglio di tutte.
Quando ti usavano come pony, in particolare, con il calesse collegato alle corregge intorno alla vita e al busto, non c’era neppure bisogno di incitarti con la frusta, e anche ai comandi delle briglie rispondevi con prontezza. E seppure tu fossi più esile delle tue compagne, avevi vinto gare importanti.
Le organizzano, queste gare, in tutti i Centri: gli istruttori dicono che lo fanno per la ricreazione delle novizie, ma la verità è un’altra e c’entra con il vizio che hanno per il gioco. Talmente c’entra che uno di loro, che aveva puntato su di te e vinto parecchio, aveva aggiunto di suo pugno sulla scheda: “Non c’è pulce più veloce al mondo di questa schiava! Sarebbe un peccato sprecarla…”
Questo stava leggendo lo Stimatore, quando tu eri ricomparsa. Con la pelle ancora umida tra le cosce, e lucida di unguento.
“Sono pronta, Signore. Il lotto 27 vi chiede di essere sottoposto a expertise...”
(Segue)
Stupore nei tuoi occhi, sul tuo viso. Non eri riuscita a nasconderlo.
Una buona schiava dovrebbe sempre risultare imperturbabile. Te l’avevano spiegato in tutti i modi: a ignorare le emozioni e i sentimenti, o almeno a fingere indifferenza, si obbedisce meglio. Anche i padroni, talvolta, risultano meno esigenti, proprio perché nulla - né paura, né disgusto, né altro - mostra di ostacolare l'esercizio del loro potere.
“Obbedienza da androide”, così la definivano gli istruttori del Centro. Modello inarrivabile, secondo loro, di come una schiava in carne e ossa dovrebbe servire.
Perché dunque quell'espressione sbigottita e così evidente, non appena siete rimasti soli, tu e lo Stimatore?
È presto detto: quasi subito, in quella stanza, era successo qualcosa di inaspettato.
Lo Stimatore era stato gentile con te!
Dopo che la Direttrice aveva chiuso la porta dietro di sé, non avevi ricevuto alcun ordine. Lo Stimatore era alla scrivania, infatti, chino sulle sue carte e non aveva neppure sollevato lo sguardo verso la schiava nuda e intirizzita, che aveva di fronte, in attesa. Così, dopo un po’, tu ti eri avviata da sola, verso l’angolo più prossimo e ti eri girata verso la parete. Ti avevano insegnato che è bene fare così, quando si viene ignorate.
Ben presto però, avevi avvertito il suo sguardo sulle tue terga, poi un rumore di sedia smossa aveva rotto il silenzio fino a quel momento assoluto della stanza.
Senza riflettere, avevi teso i muscoli del dorso, come hai sempre fatto, un momento prima di essere frustata. Anche le natiche avevi contratto, perché è lì che di solito lo scudiscio inizia a colpire. Ti avevano frustata tanto i primi tempi, e dopo un po’ certe reazioni diventano istintive.
Né potevi dubitare che l’esame di una schiava da parte di uno Stimatore cominciasse diversamente: con qualche colpo ben assestato, appunto, per saggiare la resistenza al dolore. E solo dopo sarebbe venuto il resto…
Ma con tua grande sorpresa, invece del cuoio della frusta, lo Stimatore aveva posato sulle tue spalle una coperta di lana.
Una vera coperta.
“Hai freddo. Si vede. Da quante ore sei nuda?”
Era così emozionante il contatto della coperta sulla pelle raggelata che non avevi risposto subito.
“Da quando sei nuda, ti ho chiesto” aveva ripetuto, a voce più alta.
“Da stamattina, Signore. Ci portano nella grande Sala e aprono le porte ai clienti solo quando siamo tutte pronte ai nostri posti. Ci tengono nude apposta, per essere esaminate…” Ti rendi conto che, detto così, potrebbe suonare come una lamentela e provi a rimediare: “Però lì, nella Sala, non fa così freddo…”
“Hai ragione, qui è più freddo. Tengo sempre le finestre aperte.”
Dare ragione a una schiava! Era tutto così strano…
“Vieni a sederti”, e ti aveva indicato la sedia posta davanti alla scrivania.
Addirittura il privilegio di sedere!
Ecco, in quel preciso istante, non eri più riuscita a dissimulare. La tua sorpresa si poteva leggere nei tuoi occhi spalancati, nella tua espressione incredula.
Lo Stimatore aveva certamente notato, ma senza aggiungere altro aveva ripreso il suo posto alla scrivania.
“Sulla tua scheda c'è scritto che il tuo nome è W-307-FZ della Generazione 18, ma nel Centro, tutti ti chiamavano pulce. È vero? Perché quel soprannome? Rispondi con sincerità.”
Sedevi intimidita, avvolta nella coperta. E tuttavia, a quella domanda, avevi finalmente osato guardare verso di lui
Era un uomo di mezza età, un poco sovrappeso, con vistosi occhiali dalla montatura di corno. Neppure la divisa blu scuro da Stimatore riusciva a celare il suo aspetto da impiegato, di quelli amareggiati dalla vita. E l’impressione era confermata dallo sguardo triste che s’intuiva dietro le lenti spesse da miope.
“Perché sono minuscola…”
Solo una contrazione delle sopracciglia, appena percettibile, ti aveva ricordato il dovere di essere sincera.
“... e perché sono stata irritante e fastidiosa come una pulce sulla pelle. Ma questo è successo quando sono arrivata da novizia al Centro di addestramento. Adesso non più, lo giuro!”
Lo Stimatore aveva estratto un taccuino e con la matita aveva annotato qualcosa.
“Qui sei, semplicemente, lotto 27. Ricorda. Che ti ha fatto quel cliente?”
“Fisting…”
“Davanti o dietro?”
“Dav… In fica. Ma aveva delle mani enormi, e niente lubrificante… Cioè, è colpa mia, perché non ero pronta.”
“Te la senti di iniziare la prova?”
Avevi lasciato cadere la coperta e ti eri gettata in ginocchio, sul pavimento.
“Oh sì. Non fa più così male… Solo un po’ di fastidio… Mi esamini, Signore. La prego…”
Dalla posizione genuflessa in cui ti eri messa potevi soltanto sentire la sua voce, dall’altra parte della scrivania.
“Ma quanto entusiasmo! Va bene, lotto 27. Però, prima accomodati in bagno, lì sulla sinistra e usa il bidet. Acqua fredda, mi raccomando, falla entrare bene dentro e vedrai che dopo un po’ il dolore passa… Mettici il tempo che ci vuole, ma torna con la vagina in ordine. Io non ho fretta: tanto, sei l'ultima che devo periziare.”
Ti eri avviata, lasciando la coperta sulla sedia. Lo Stimatore, però, ti aveva detto di tornare sui tuoi passi, di prenderla con te e di tenerla sulle spalle mentre ti lavavi. “Scaldati ancora un po’, perché poi, quando ti esamino, ovviamente sarai nuda.”
La sua voce ti aveva infine raggiunto in bagno, quando già eri accoccolata sul sanitario. “Accanto al lavello trovi il colluttorio. Usalo. E ungiti anche dentro. Trovi tutto il necessario…”
Tu non potevi vederlo. Ma lui, intanto che tu ti preparavi, continuava a sfogliare la tua scheda. E scuoteva la testa, perplesso.
Si diceva, in quelle pagine fitte fitte, del tuo carattere ribelle, tanto che al tuo arrivo al Centro ti avevano subito applicato un collare elettrico, per farti obbedire per le spicce.
Ma anche così, rifiutavi di sottometterti come si deve agli istruttori e non passava giorno che non ti dovessero punire. Lo Stimatore scorreva con attenzione quel diario, dove tutto veniva riportato in modo meticoloso, e appuntava sul taccuino. Che qualche volta era la frusta, ma più spesso il cavalletto. E una volta che avevi provato a reagire, eri stata per due ore di fila a cavalcioni di quello strumento di tortura.
Quanto fosse devastante l’avevi capito solo dopo aver provato. Privata dell’uso delle mani e a gambe aperte sul cavalletto (al Centro lo chiamavano asino spagnolo), era il tuo stesso peso che ti faceva affondare sul legno levigato, e ben presto il dolore si faceva insostenibile e la ricerca di un sollievo momentaneo ti costringeva ad affidarti alla corda. Quella che scendeva dall'alto e che ti tratteneva, passata dentro l’anello del collare: così la scelta assurda e disperante era tra il soffocamento e lo strazio delle pelvi…
Nonostante ciò, continuavi a disobbedire, e di conseguenza, a salire ogni giorno sul cavalletto, a ricevere scosse elettriche e colpi di staffile.
Finché, dopo qualche settimana, avevi ceduto. Di schianto.
E le note sul tuo comportamento, da quel momento in poi, si erano fatte migliori, addirittura lusinghiere. Imparavi a servire, come tutte, e in qualcosa meglio di tutte.
Quando ti usavano come pony, in particolare, con il calesse collegato alle corregge intorno alla vita e al busto, non c’era neppure bisogno di incitarti con la frusta, e anche ai comandi delle briglie rispondevi con prontezza. E seppure tu fossi più esile delle tue compagne, avevi vinto gare importanti.
Le organizzano, queste gare, in tutti i Centri: gli istruttori dicono che lo fanno per la ricreazione delle novizie, ma la verità è un’altra e c’entra con il vizio che hanno per il gioco. Talmente c’entra che uno di loro, che aveva puntato su di te e vinto parecchio, aveva aggiunto di suo pugno sulla scheda: “Non c’è pulce più veloce al mondo di questa schiava! Sarebbe un peccato sprecarla…”
Questo stava leggendo lo Stimatore, quando tu eri ricomparsa. Con la pelle ancora umida tra le cosce, e lucida di unguento.
“Sono pronta, Signore. Il lotto 27 vi chiede di essere sottoposto a expertise...”
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