Il condominio

di
genere
etero

Mi sono trasferita qui da un po’, ma di tutta la gente che entra ed esce dal condominio sei l’unico che ho notato.
Buongiorno e buonasera. Non ci siamo mai detti altro, non a parole almeno. Quando c’è chimica si sente e secondo me la percepisce pure tua moglie, per questo si comporta come se le avessi fatto un torto. Un torto che non ho fatto, non ancora.
Non c’è nemmeno stata occasione, visto che non si è mai soli negli spazi condominiali, o quasi mai.
Sta sera si, io torno da un appuntamento con le amiche, tu da una cena di lavoro visto che porti ancora giacca e cravatta.
Buonasera.
Ci diciamo quando entriamo in ascensore e mi preparo ad una lunga e silenziosa ascesa. Invece no.
“Questa scena l’ho già vissuta.” Dici con un sorriso.
“Davvero?” E sorrido a mia volta.
“È esattamente l’inizio di una delle mie fantasie.” Respiri e guardi i numeri che aumentano per distrarti.
“È come continua?”
Non ti aspetti la domanda, non ti aspetti il tono con cui la pongo, ma ti piace. Così tanto che fermi l’ ascensore e mi baci schiacciandomi contro la parete.
La tua mano parte dal mio collo e segue le curve fino alla vita, mi tiri a te per farmi sentire la tua eccitazione.
“Scopami.” Ti chiedo affannata mentre ti slaccio la cinta.
Non te lo lasci dire due volte. Ti sfili la cravatta e mi imbavagli.
“Lo so che urli forte.” Chi sa quante volte mi hai sentito e hai desiderato che urlassi cavalcandoti.
Il tuo cazzo è libero e pronto. Mi giri e mi alzi la gonna, spingendolo sul mio sedere su cui ti soffermi anche con le mani prima di portarlo a te. In niente mi sposti le mutandine e mi sei dentro.
Gemo contro il tessuto della cravatta e ci guardo dallo specchio di lato. Sono piegata in avanti con le braccia poggiate al muro e il sedere alto. Ti vedo entrare e uscire mentre con una mano tiri il tessuto con cui mi hai legata.
Una cagna al guinzaglio, chi sa quante volte mi hai immaginata così.
Ad ogni colpo ti sento sempre di più e il piacere aumenta. Vorrei urlare più di prima, come sempre quando sto per venire, perché sto per farlo ma non posso.
Sfilo improvvisamente via e ci rimani quasi male. Mi abbasso la cravatta.
“Non voglio farti tornare a casa con i pantaloni fradici del mio orgasmo.” Squirto.
Lo capisci e la tua eccitazione aumenta. Riprendi a baciarmi e mi alzi a cavalcioni, tornandomi dentro, sbattendomi in quell’ascensore ancora fermo. Chi sa se qualcuno se ne è accorto.
Mi viene da urlare e subito porti una mano sulla mia bocca per zittirmi. Ora sei tu che sfili via sul più bello. Lo fai per non venirmi dentro, ma vuoi venire, ovvio che vuoi. Mi prendi per i capelli e mi spingi verso il basso.
Sono subito in ginocchio e lo prendo in bocca, lo succhio e lo sento crescere ancora, come se stessi per venire, ma lo tiri fuori e disegni il contorno delle mie labbra con il glande. “Continua proprio così.” Con le labbra schiuse e la lingua che ti assaggia mentre me lo strusci in faccia, ti guardo dal basso, come nelle tue fantasie, come una troia affamata di te.
Mi stringi e capelli e me lo rimetti in bocca, scopandola. “Ingoia se no ci scoprono.” Come se avessi bisogno di una scusa, come se non volessi sentire il tuo sperma su di me. Lo sento scivolarmi in gola e deglutisco per poi con la lingua ripulirlo tutto. Mi alzo e ci rimettiamo in sesto. Sorridi e fai ripartire l’ascensore, ma si ferma subito. Scendi. “Faccio le scale queste volta.” Buonasera.
di
scritto il
2023-12-07
3 K
visite
1
voti
valutazione
3
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Straordinari
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.