La vita nuova racconto di una nonna alla nipote
di
stefi pastori
genere
etero
Quando la madre lavorava ancora, fu cresciuta da nonna Luigia con cui, negli anni, aveva costruito una speciale confidenza. Nonna Luigia aveva arricchito e completato la propria formazione scolastica da anziana, acquisendo a 63 anni la tanto sospirata laurea in filosofia, cosa di fatto impossibile quando aveva vissuto ai tempi del Duce che voleva non istruzione ma altri Figli della Patria. Ogni dittatura necessita di masse ignoranti e tanti figli da indottrinare. Dal marito Baldo, Luigia non ne aveva più potuti ricevere. Com’era solita fare tutti i sabati, lo aveva salutato e si era recata in chiesa a confessarsi con Don Biagio, il parroco. «Mi torcevo mani e anima per l’ansia, spremevo fuori tutta la mia angoscia e il bisogno di tenerezza che non arrivava più da tuo nonno Baldo. Mi inginocchiai al confessionale. Sapevo di rispondere a un impulso irragionevole, ma ero anche conscia della griglia tra me e lui, come di una barriera che mi avrebbe dato una sorta di protezione. Riuscivo ugualmente a percepire un leggero profumo di sapone alla lavanda provenire da Don Biagio, inusuale per lui. Era come se quella lavanda mi avesse guidata verso il lavacro dei miei peccati, che solo fino al sabato precedente credevo inconfessabili.» «Che peccati, nonna?» «Eh, nipotina mia, oggi non me ne vergogno più, ma all’epoca.... Vedi, tu non hai vissuto la guerra. Devi sapere che le disgrazie personali ci rendono indifferenti alle disgrazie degli altri. Questo è uno dei peggiori effetti della guerra: di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà. Di far sparire la vergogna. Il mio, di sogno, era vergognoso: desideravo da tempo l’unione carnale con Don Biagio, ma tutte le volte che mi confessavo, dicevo a me stessa che era impossibile anche solo pensarlo, figuriamoci dar sfogo attraverso la lingua. Ricordavo un’omelia di Don Biagio in cui aveva definito la lingua strumento del diavolo. E allora i sogni? E il corpo, che a loro reagisce come fossero veri? Strumento del diavolo anche il corpo? Fu lo Spirito Santo fare sacro il corpo della Vergine per incarnare Dio in Gesù, non il diavolo. Più volte ero emersa dai sogni nel cuore della notte dolcemente inzuppata nel languore dell’estasi, certa del frutto dell’amore di Don Biagio annidato nel mio ventre, ma poi vedevo Baldo dormire placido e freddo al mio fianco e solo in quell’istante la delusione dal contrasto con il reale mi risvegliava. Il miliardo di domande restava annidato nelle profondità uterine. Era lecito sognare l’atto sessuale con il mio parroco? Addirittura desiderare di rimanere incinta? Alla luce del mio desìo di maternità, persino di dolcezza reciproca, di corresponsione di amorosi sensi, ormai divenuti assenti nel matrimonio, il mio ventre chiedeva se fossero pensieri su cui poter soprassedere e financo da perdonare? Da settimane queste domande ruotavano vorticosamente da qui a qui» e nonna portava le mani una sulla fronte e l’altra sul grembo «… senza trovare canale di sfogo. Ma stavolta sentivo che VROOOM avrei aperto le cataratte. E che Don Biagio sarebbe stato magnanimo con me, e Dio con entrambi, e che mi sarebbero stati rimessi quegli ignominiosi peccati di brama. Erano forse da considerarsi divini? Non era rimasta incinta la Madonna con la grazia dello Spirito Santo? Pensieri blasfemi o superni? Capisci il mio tormento di allora?» La nipote annuiva, le accarezzava una spalla, per tranquillizzarla «Io nonna non ti giudico». Rinfrancata, l’anziana riprese: «Dovevo farmi forza e parlare schietta con Don Biagio, che mi trovasse una soluzione. Andavo da lui tutte le settimane non solo a confessarmi, ma anche per confidarmi e farmi consigliare. Se lo conoscevo bene, avrebbe capito, spiegato e interceduto per me presso Dio. E perdonato. Quello era vero amore… » «Dai racconta nonna, non perdere tempo… cosa accadde?» La nonna allora disse di avergli chiesto la benedizione, confessandogli di aver pregato Nostra Signora, Madre di tutti gli uomini e delle donne, di aver rivolto a Lei ogni sera i propri desideri di maternità, ma di non esserne mai venuta capo. Don Biagio aveva avuto un moto di titubanza: nonostante penombra e griglia, aveva riconosciuto la voce nota della sua parrocchiana preferita. La sera precedente, si era lasciato andare a pensieri lascivi sul suo corpo così invitante, subito ricacciati dentro il grasso e tremolante posteriore della devota perpetua. Il suo culone flaccido lo aveva ancora una volta convinto che non valesse la pena donarsi a una donna, che, per quanto giovane e attraente e colta, prima o poi sarebbe comunque invecchiata e ingrassata e imbruttita. La bellezza svanisce, cosa resta? Solo Dio nella sua grandezza è immutabile. Peccato che Dio non sia Dea, si era sorpreso più volte a pensare. Poi aveva guardato la perpetua da dietro e si era riprese, scaricando in lei la sua essenza di uomo. Tuttavia, per Luigia provava uno speciale trasporto, qualcosa di ancestrale che dall’eterno passato li legava verso un infinito futuro. Il loro amore, sì, era amore, avrebbe dovuto cristallizzarsi in una discendenza in perfetta comunione mistica tra Dio e gli uomini. Tanti prelati l’avevano fatto nel corso della storia ecclesiastica, anche quelli altissimi, come i Papi. Tuttavia, restavano irrisolti i dubbi. I problemi di Luigia legati alla difficoltà di concepimento erano dovuti a una incapacità di procreazione sua o del marito? Avrebbero potuto limitare o persino inibire la realizzazione del loro divino cristallo amoroso, proprio e di Luigia? Il tabernacolo avrebbe dovuto essere funzionante e non sapeva fino a che punto quello di Luigia lo fosse, il che rendeva ancora più improbabile la riuscita dello Spirito Santo nel duplicare il suo miracolo. Tuttavia, pensando alla parrocchiana, quel mattino si era concesso la vanità di lavarsi con il sapone alla lavanda, di accarezzarsi e di giungere alla consolazione da solo. Luigia si era prostrata ai suoi piedi, come se pensieri e abluzioni erotiche alla lavanda l’avessero chiamata. La pia donna stava facendo immensi giri di parole che comprendevano amore, passione, Mussolini e gravidanza, la Madonna, lo Spirito Santo, sogni, blasfemia e lui. «Ero certa che gli girasse la testa, a Don Biagio e qualcosa cominciò ad agitarsi sotto la tonaca. La carne non è debole, è fortissima, nipote mia. Diede un buffetto distratto a quella prominenza, come a tenerla a bada. Ma si levò ancor di più alle mie parole di fede carnale. Gli chiedevo se credeva anche lui che la benedizione dello Spirito Santo passasse attraverso i nostri corpi a riempire il mio di filiale gioia e il suo di voluttuosa ascesi mistica. Don Biagio conosceva vastità e profondità del mio rispetto mariano, nemmeno sbalordì della mia preparazione perché se n'era occupato personalmente, ma si meravigliò dell’utilizzo così manipolatore. Ne era ben lieto, la mano sotto la tonaca rincorrendo la realizzazione di desideri fino ad allora repressi. Ma sarebbe stato più felice se tale manipolazione fosse stata di mano mia. Anche Don Biagio conosceva quel detto che la miglior difesa fosse l’attacco. Mi invitò a seguirlo in canonica, affermando che, per compiacere Dio e allo scopo di meglio approfondire, sarebbe stato necessario continuare la confessione in luogo più appartato. «Solo allora potrò dirvi “Ego te absolvo”…» mi parlò per convincermi. All’epoca ero innamorata e quindi docile, lo seguii in canonica, dove Don Biagio aveva una comoda poltrona, teatro di letture e di solitarie lavorazioni manuali. Allo scopo di ricreare le reciproche posizioni da confessionale, si accomodò, facendomi inginocchiare su di un cuscino ai suoi piedi. Un po’ intimorita da quella inaspettata quanto desiderata intimità e ormai accorta da parecchi minuti della ribelle protuberanza di lui, non sapevo come riprendere il discorso. Fu Don Biagio a suggerirmi l’abbrivio, accarezzandomi i capelli raccolti nello chignon basso. «Ditemi Luigia cara, aprite a me e a Dio il vostro cuore generoso e tormentato». Nipote cara, ormai hai raggiunto la maggiore età, credo che non ti scandalizzerà ciò che ti sto per raccontare…» L’accarezzò sulla chioma, la ragazza acconsentì con lo sguardo.
«Lasciai che il peso di quella mano mi facesse calare la testa fin sulle sue ginocchia e lì ristetti qualche minuto, respirando emozionata, giusto il tempo di far risalire le mie, di mani, fino al suo grembo divinamente impetuoso. Le giunsi in guisa di preghiera sopra la tonaca, nel punto esatto in cui si ergeva la trinità dell’amore, la fronte abbassata con modestia e pudore, non volendo guardare cosa stessero facendo le mie estremità. Un sospiro roco e profondo di Don Biagio mi incoraggiò. Strinsi allora con fermezza l’oggetto della mia adorazione, spiegazzando la tonaca, maldestra. Fu allora che Don Biagio mi disse di perdonarlo se osava darmi qualche semplice suggerimento. Si chinò su di me, baciandomi i capelli. Poi diresse le sue mani amorevoli verso il mio viso; lo guardai in contemplazione mistica. Mi sfiorò le gote, scese sul collo, sciolse lo chignon, dispose i capelli che all’epoca erano lunghi e scuri sulle spalle, acconciandoli con tenerezza, seguendo gli omeri. Qui sostando, le mani presero poi la risoluzione di avviarsi verso il centro, dove incontrarono queste…» e mimò il movimento rotatorio del prelato «Erano morbide sfere, si reggevano da sole senza reggipetto. Nonostante la nascita di tua madre, avevo ancora un bel corpo sodo, non sformato dalla gravidanza…» L’anziana chiuse gli occhi come allora, lasciando a intendere alla nipote che lei e Don Biagio parlavano il linguaggio dell’amore. L’immaginazione della nipote corse veloce: vedeva le mani del Don scostare i lembi della scollatura, liberando i seni finora imprigionati e tastando con rispetto la carne generosa d’affetto, soppesandone la fragrante consistenza di pane su cui spuntavano ormai dritti i capezzoli che, da larghi, si erano fatti appuntiti per l’eccitazione. Con il dorso delle dita, allora, in una carezza blanda, Don Biagio li passava e ripassava, facendoli imbizzarrire d’estasi. Divaricati indici e medi, i capezzoli rimasero impigliati nel breve spazio tra un dito e l’altro. Nella mente della ragazza si materializzò l’immagine marmorea dell’estasi di Teresa d’Avila che ebbe la fortuna di ammirare durante un viaggio a Roma. Lo stesso Bernini cercò di configurare il fuoco del grande amore di Dio nel duro dardo dell’Angelo, come santa Teresa stessa ebbe a dire nella sua autobiografia. Nonna Luigia doveva aver vista sé stessa incarnare il grande amore di Dio, il quale avrebbe dovuto transverberare in lei come il dardo rigido dell’Angelo. «Ebbi un sussulto, ricordo che mi passai la punta della lingua sul labbro superiore. Sogguardandolo supplice di sotto in su, lasciandomi sfuggire mormorii di piacere, Don Biagio non seppe più contenersi, attorcigliò tutte le dita attorno alle singole mammelle, attirandole a sé. Io gli sollevai allora la tonaca, svelando il basso ventre, quindi scostai il tessuto leggero della mutanda, balzò impetuosa l’asta della Trinità. Mi piegai su di essa, baciando devotamente quella che per me era l’incarnazione della Cappella Sistina. Per noi due, in quelle condizioni, era impossibile ragionare sul passato, così colmo di premonizioni. Eravamo nel presente, tutti concentrati in quell’istante che forse sarebbe stato unico o forse no. Meglio non farsi domande, io ero madre e donna sposata a Baldo, il gerarca della fabbrica, la consapevolezza del dover rispettare quella unione davanti a Dio avrebbe potuto annientare il dardo di Don Biagio. Ma il gesto amoroso avrebbe anche dovuto essere finalizzato a un bene ultimo, la creazione di nuova vita che noi due eravamo impossibilitati a compiere. Però ogni nuova vita può portare il bene in questo mondo tormentato, forse valeva comunque la pena di lasciarsi andare. In fondo, Dio creò donna e uomo per procreare. Don Biagio abbassò lo sguardo sul mio capo chino mentre iniziavo a suggerlo con venerazione. Per quanto paradisiache fossero le sensazioni, non era ciò che desiderava, sarebbe stato un atto fine a sé stesso, come quelli reiterati con l’anziana perpetua. Perciò mi sollevò la mia testa e, guardandomi negli occhi, mi disse di voler condividere con me ciò che Dio così magnanimamente aveva donato agli essere umani: il piacere nel concepimento della vita. Mi disse: «Resta insieme a me, Luigia, amiamoci e generiamo una nuova esistenza benedetta da Dio. Resta». Don Biagio, che recitava la messa in latino e dava del voi a chiunque, con me era passato dal voi istituzionale al tu confidenziale. Mi commossi, come mi sto commuovendo ora… » disse, con gli occhi gonfi di dolce pena, abbracciando la nipote. Si tennero abbracciate strette, finché nonna si riprese. Staccandosi dalla nipote, ricominciò: «Credevo la fellatio l’unica risorsa possibile per non offendere i voti di fedeltà, mio a mio marito, suo a Dio, ma con quelle parole Don Biagio aveva manifestato di nutrire il mio medesimo desiderio. Mi lasciai guidare sul talamo e, vedendolo matrimoniale, nella mia ingenuità credetti che il parroco in fondo desiderasse sposarsi. Mi adagiai come vestale in donazione al mio dio personale, facendomi sacra, le spalle e i seni scoperti, la gonna spontaneamente sollevata sulle gambe spoglie. Don Biagio provvide a slacciare il colletto rigido della tonaca, sfilandola poi dal capo. Rimase a torso nudo e pantalone nero. Slacciò la cinta, abbassandolo assieme alle mutande sulle gambe, anche levando calzini e scarpe, gambe forti pilastri che rivelarono quanto fosse salutare il gioco del calcio nell’oratorio coi ragazzi. Il suo sguardo era fisso nel mio abisso tra le gambe, un baratro di fede dove si sarebbe tuffato entro pochi istanti. Per procrastinare la sacralità dell’atto, invece, si coricò rispettosamente al mio fianco. La mia fragranza interiore era un richiamo fortissimo per Don Biagio, il quale si abbassò carezzevolmente sui miei occhi spalancati dalle pupille dilatate. Io ebbi un ultimo lampo di ritrosia e li chiusi. Don Biagio mi baciò le palpebre, prima una, poi delicatamente l’altra, le labbra mie ancora serrate. Lasciai sfuggire un respiro, dischiudendo la bocca, la lingua pesce guizzante all’interno della tana di carne. Don Biagio respirò il mio stesso respiro, attratto da quell’esca serpeggiante fino a suggellare bocca con bocca. Ci amammo come fosse la prima volta, ciascuno a proprio modo, con il trasporto amoroso che si avverte poche volte nella vita, perché raramente coesistono scalpiti di guerra, amore paterno e materno, strenuo desiderio di figliare, volontà di incarnare la potenza divina, sottomissione mariana, rimorsi di coscienza nelle gambe fragili, forza nelle gambe forti. Io e Don Biagio concretammo tutto ciò in un singolo istante di vita nuova.» «Vita nuova?»
«Sì nipote cara, i sacerdoti non fanno voto di castità, come erroneamente si pensa. Il loro è un voto di celibato perché sono sposati a Dio in Cristo, ma sono e restano umani, completi delle loro esigenze carnali.» «Uhm… capisco. E poi nonna ti arrivò un nuovo bimbo?» « Sì, ma dovetti andare dalla magliaia per farmelo togliere: non avrei saputo come giustificare al Baldo il suo arrivo. Sai, all’epoca, in un paese piccolo, la gente avrebbe mormorato che il gerarca era un cornuto, non avrei mai voluto mancargli di rispetto così…» La nipote trasse una conclusione nel suo confuso spirito: che se anche un prete può figliare, allora tutto è permesso.
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