Colpo su colpo (Love in the shadow) Cap. 2
di
Capitan_America
genere
pulp
HOTEL COSTES, AURELIA, SOUS LE SOLEIL CHICAS Y CARNAVAL BARRANQUILLERO
Siamo arrivati all’imbarco con circa due ore di anticipo, C. A. sembrava un bambino in gita con la scuola. Quando siamo saliti in aereo non ha fatto altro che guardare il culo alle hostess, quando le hostess sono finite è passato a quello degli altri passeggeri. Nella tasca del soprabito avevo ancora un’arancia, me l’ero tenuta come scorta di cibo per il pranzo qualche giorno prima ed era rimasta lì. Lui invece aveva fatto il pieno di schifezze di ogni tipo. Quando se ne è accorto ha iniziato a prendermi in giro e a giocherellarci.
“Hai deciso di punirti mangiando solo arance?”
“Non mi rompere, non so come faccia il tuo organismo a sopravvivere con tutte quelle schifezze che mangi”
“Tutte le cose piacevoli fanno male. Lo sanno tutti”
“Come accidenti ci arriverà tutta quella roba sulla nave?”
“A me lo chiedi, che cavolo ne so. Mi hanno soltanto detto che le troveremo nella nostra cabina”
“Quando atterriamo, hai visto?”
“E che ne so, non siamo ancora decollati”
“Voglio andare a casa”
“Prendi un mini cornetto all’albicocca piuttosto”
“No, non voglio. Devo lavorare. Ho portato i fascicoli”
“Dici che in business class le hostess hanno il reggicalze sotto la divisa?”
“Basta! Perché non vai a e glie lo chiedi”
“E tu? Che hai lì sotto?”
“Non mi rompere e togli le mani”
“Quando ti metti così elegante non riesco a resistere. Ormai la fiamma della passione divampa. Non riuscirebbero a spegnerla neanche i pompieri di Chernobyl”
“Pensi che sarà davvero pericoloso?”
“Certo. Però non preoccuparti ti proteggo io, per fortuna abbiamo questi”.
Ha preso il bagaglio a mano e si è messo a frugare dentro.
“Ti sei portato altre armi? Qui a bordo? Sei pazzo e i metal-detector?”
“Molto meglio: preservativi alla frutta, ne vuoi uno?”.
Il viaggio non è stato poi così tremendo, la traversata sopra l’Atlantico è stata fantastica. Siamo passati sull’Oceano in pieno giorno, dopo qualche ora mi sono addormentata. C. A. diceva che se non avessimo cercato di dormire, al nostro arrivo il fuso orario ci avrebbe stesi. Quando mi sono svegliata era quasi buio e lui era sparito. Mi aveva lasciato l’arancia tra le mani, l’ho rimessa nella tasca del giaccone. Stavo per alzarmi, ma l’ho visto sbucare dal bagno della business class, in fondo al corridoio. Subito dopo di lui è uscita una hostess, si stava ancora aggiustando la gonna.
“Che cazzo hai combinato?”
“Fragola”
“Cosa? Senti non ti sopporto più. E poi devo andare in bagno”
“Adesso non si può. Stiamo per atterrare”
“No, senti, me la sto facendo sotto”
“Resisti. Pensa alle arance”.
A Baranquilla abbiamo preso un autobus per Bocas. Prima di salire ci siamo fermati per spedire un grosso baule con un corriere espresso. Ci avrebbe preceduti di qualche ora. Il viaggio mi metteva una tremenda agitazione, ma ogni volta che stavo per essere assalita dal panico, C. A. mi stringeva la mano. La pelle morbida dei suoi guanti era molto piacevole, stavo soltanto cercando di non farglielo capire. Dopo l’autobus siamo saliti sul primo taxi, C. A. ha passato un biglietto con un indirizzo al tassista, dopo si è messo a guardare fuori dal finestrino. Il tizio guidava silenzioso, non ha mai fatto domande. La monovolume su cui ci stava portando all’appuntamento con Natasha è scivolata attraverso il traffico agile come un gatto. Ci ha lasciati davanti a un grattacielo in centro, un albergo a quattro stelle. Le finestre erano decorate con dei vetri colorati blu e azzurri, formavano un motivo geometrico di linee orizzontali. Sul cornicione del primo piano si leggeva la scritta Blue Dream. Mentre l’ascensore saliva verso l’alto, pensavo a quanto fosse assurda e inaspettata per me quella situazione. Le nuvole erano sempre più vicine, le persone in strada sempre più piccole.
“Hey! È il nostro piano”
“AH! Scusa, eccomi. Ma quel baule che abbiamo spedito?”
“Non pensarci, la stanza è quella”.
Ci siamo infilati in una delle camere, Natasha e le due Vondervotteimittis ci aspettavano insieme al tizio da consegnare. Lo avevano legato ad una sedia, era molto nervoso. La camicia che indossava era fradicia anche se non faceva particolarmente caldo in quella stanza. Aveva anche il naso stranamente rosso. Natasha gli teneva un AK47 puntato alla testa, le due Vondervotteimittis invece stavano cercando di rimontare due fucili automatici, sembravano molto impegnate e non troppo a loro agio. Gli cascavano continuamente a terra i pezzi dei due fucili, ad un certo punto si sono accorte di averli mescolati tra di loro.
“È questo qui?”
“Si. Tutto ok?”.
Prima che C. A. potesse rispondere, il tizio legato si è messo a sfottere le Vondervotteimittis.
“Quelle due puttane non sono buone a nulla. Sono capaci di fare una cosa soltanto”.
Natasha gli ha spinto la bocca della mitragliatrice contro la nuca per farlo stare zitto. Lui è andato su tutte le furie.
“Stronze, ve la farò pagare. Tanto è inutile che mi interroghiate con voi non parlo!”.
C. A. mi ha preso l’arancia dalla tasca e glie l’ha cacciata in bocca prima di avvicinarsi a Natasha.
“È arrivato?”
“Un’ora fa”.
Il tizio continuava a dimenarsi anche con la bocca tappata. C.A. a quel punto gli ha pinzato il naso con indice e pollice. Il suo viso è diventato tutto rosso, poi è passato al viola. C. A. stava mimando un profondo respiro. Poi ha tolto le dita dal naso e si è ripreso l’arancia. Il tizio respirava affannosamente.
“Brutti...brutti...bastardi...vi faccio…”
“Allora? E ci avete fatto fare tutta questa strada per questo qui?”.
Gli aveva di nuovo cacciato l’arancia in bocca. L’altro si agitava sulla sedia rischiando di capovolgersi, ma né C. A. né Natasha gli prestavano più troppa attenzione. C. A. è passato di fianco alle due Vondervotteimittis e gli ha mollato uno schiaffo sul culo. Loro hanno fatto cadere tutti i pezzi dei due fucili automatici.
“Ci mancava solo questo stronzo. Aspetta che finiamo di montare questi”
“Guarda che abbiamo prenotato solo per una notte”.
Qualcuno ha bussato alla porta prima che potessero continuare. Un fattorino. Era venuto a consegnare il baule che avevamo spedito prima di salire sull’autobus per Bocas. Elena e Judy lo hanno sistemato davanti al tizio sulla sedia. Ormai era talmente agitato che la sedia si stava per capovolgere. C. A. lo ha afferrato per il colletto della camicia appena in tempo.
“È arrivata la tua suite da viaggio mio caro”. Lui scuoteva la testa cercando di divincolarsi, ma C. A. lo ha sollevato con una mano e lo ha scaraventato dentro, richiudendo subito il coperchio con l’altra. Sembrava stesse maneggiando un bambolotto. Le due Vondervotteimittis ci si sono sedute sopra subito dopo.
“E questo qui sarebbe un gangster? E che cazzo rapinava? I negozi di giocattoli?”
“E’ un pezzo grosso”
“A me sembra solo un gran cazzone”. Poi ha fatto alzare Elena e Judy e ha riaperto il baule infilandoci dentro un braccio. È riemerso con l’arancia in mano e ha richiuso prima che l’altro potesse fiatare.
“Pensavi di ingoiartela intera?”
“Siete morti! Bastardi”
“Ma falla finita. Qui di lato hai dei fori per l’aria. Urla finché vuoi tanto non ti sente nessuno”.
Da uno dei fori è sbucato il dito medio del tizio.
“Come accidenti faremo a farlo stare zitto?”.
C. A. si è chinato sul baule, due vipere del deserto sono scivolate fuori dalle maniche del suo giubbotto di pelle e si sono infilate dentro i fori per l’aria.
“E’ meglio se non ti agiti troppo, non sono molto socievoli”.
Poi si è appartato in un angolo della stanza con Natasha, si sono messi a parlare sottovoce davanti ad un grosso acquario al centro della stanza. Attraverso i vetri temperati nuotavano tre pesci scorpione.
“Segui il piano”
“Natasha, ascoltami. Devo chiederti una cosa”
“Lo so cosa vuoi dire. Ormai non si torna indietro. Con ogni mezzo, capito?”
“Io vorrei sapere un’altra cosa. Quel tizio, che accidenti è successo al suo naso, sembra Babbo Natale con il naso rosso”.
Le due sorelle Vondervotteimittis si sono intromesse nella loro conversazione come se avessero avuto la coda di paglia. Elena in particolare sembrava completamente in confusione.
“Ma niente, non è stata colpa mia comunque”
“Cioè?”
“Lo stavamo interrogando, volevo farlo cantare così gli ho infilato la testa dentro l’acquario, sai, per sfinirlo”
“Esatto per sfinirlo. Solo quel cazzo di pesce gli si è attaccato al naso come una ventosa…”
“Cosa? Lo sapete che gli aculei dei pesci scorpione contengono un veleno letale?”.
Natasha si è aggiustata il basco ed è andata vicino al baule.
“Certo, quelle però sono solo imitazioni. Adesso alzate il culo”.
La crociera era fantastica, mi aspettavo di dover passare tutto il tempo a sorvegliare quel tipo con un mitra spianato; invece, non mi sono quasi accorta di lui. Appena la nave si è allontanata dal porto, C. A. ha fatto portare in cabina il baule con il tizio e le vipere.
“Senti, sei ancora vivo?”. Poi ha dato un calcio al baule.
“Vaffanculo! Ti faccio a pezzi!”
“Ora apro il baule e ti faccio uscire. La nave ormai è lontana dal porto. Hai queste due possibilità, goderti il tuo ultimo viaggio come qualunque altro passeggero oppure arrivare a terra in una bara. Hai capito?”
“Apri, poi lo vedi da solo quello che succede”
“Ok”.
Ha mollato un altro calcio al baule, dall’interno si è sentito il tizio strillare: “Ahi!”.
Dopo C. A. si è tirato fuori dalla tasca di dietro dei jeans una piccola fiala e una siringa. Ha estratto il liquido della fiala con la siringa e ha fatto cadere la siringa dentro il baule.
“Hai meno di un minuto per iniettartela nella spalla, poi il veleno della vipera che ti ha appena morso, paralizzerà i muscoli e il cuore. Morirai soffocato nei prossimi quattro minuti. Quando si fermerà anche il diaframma. Oppure puoi iniettarti il siero e goderti la crociera. Ci sono tre scali e quella era l’ultima fiala. Se proverai a scendere dalla nave la vipera che hai attorcigliata intorno al collo ti morderà e morirai in meno di cinque minuti. Se proverai a toglierti la vipera dal collo, l’altra che hai attorcigliata intorno alla gamba destra ti morderà e morirai comunque. In ogni caso non farai mai in tempo a toglierle tutte e due. Hai capito tutto? Hey, sei ancora vivo?”. A quel punto ha spalancato il coperchio del baule. Il tizio all’interno era paralizzato dal terrore. Coperto di sudore e con gli occhi sbarrati. Stringeva ancora in una mano la siringa vuota. Qualcosa si è mosso sotto il colletto della sua camicia, poi si è fermato ed è rimasto immobile. Il tizio ha abbassato lo sguardo verso i pantaloni. Tra le gambe gli si era formata una chiazza scura e umida.
“Il bagno è in fondo al corridoio”.
C. A. ha rovesciato il baule, scaraventandolo a terra. Quando si è alzato a quattro zampe per riprendersi, gli ha mollato una pedata sul sedere e lo ha spinto in corridoio, sbattendogli dietro la porta.
"Un’ultima raccomandazione: attento quando lo tiri fuori, potrebbe scambiarlo per un rivale nell’accoppiamento”.
“Questo...questo...è incredibile…”
“Il casinò di questa nave è incredibile”
“Ma pensi davvero che non se la squaglierà?”
“Non se la squaglia, e poi devi sapere che ho mentito. Se solo ci provasse, le vipere lo morderebbero ripetutamente entrambe sciogliendogli i neuroni in meno di trenta secondi. Andiamo a spassarcela”.
La nave era diretta verso il Mar dei Caraibi, dodici giorni per raggiungere Gibilterra. Le Soleil, sembrava un gigantesco albergo galleggiante, c’era persino un parco acquatico con uno spettacolo acrobatico delle orche. Al casinò non ci hanno fatto entrare per l’abbigliamento di C. A. Lui si è messo a litigare con il tizio all’ingresso, ma alla fine abbiamo lasciato perdere. Siamo saliti sul ponte. Un’immensa distesa azzurra, la costa diventava sempre più piccola all’orizzonte. Mi aveva costretta a mettere un vestito bianco leggerissimo e un cappello di paglia con la tesa larghissima. La gonna si alzava continuamente al vento. Quando ci siamo avvicinati ad un gruppo di isole, un branco di delfini ci ha affiancato per alcuni minuti. Sembrava tutto così incredibile, quasi non riuscivo a ricordare il motivo del nostro viaggio. Nel pomeriggio siamo passati vicino all’acquario. Lo spettacolo sarebbe cominciato verso sera. Le orche nuotavano lungo la piscina indifferenti agli spalti vuoti. Di tanto in tanto si sollevava una colonna bianca di spruzzi dalle loro schiene. C. A. stava guardando un tizio con la divisa bianca del ristorante. Attendeva sul bordo della piscina il passaggio delle orche per prendere alcuni tranci di pesce dal vassoio che si era portato dalla cucina. Le orche sporgevano leggermente il muso sul bordo e ingoiavano il pesce emettendo uno strano suono. Quasi fosse il loro modo di ringraziare per lo spuntino.
Quando restavano troppo distanti il cuoco le chiamava per nome, cercando di attirare la loro attenzione. C. A. sembrava piuttosto incuriosito dalla scena, ne seguiva una in particolare, si chiamava DiDi.
“Vieni DiDi, vieni. Vieni qui, guarda che cosa ti ho portato”.
C. A. si è sollevato gli occhiali scuri sulla fronte.
“Secondo te questa è solo una coincidenza? Quel tizio, voglio dire, hai sentito? Sta parlando alle orche in italiano”
“Si, tra l’altro sembra siciliano dall’accento. È curioso”.
In quel momento l’orca chiamata DiDi è passata vicino al punto in cui ci trovavamo, spruzzando una lunga sbuffata di schizzi verso l’alto. Poi ha sollevato la testa e ha fatto scivolare fuori la lingua per un istante. Sembrava volesse farci le linguacce. C. A. si è grattato la testa e ha stretto gli occhi come se volesse fissarla più intensamente.
“Andiamo. Questa storia non mi convince per niente”.
In cabina. C. A. continuava a pensare al tizio e alle orche. Si stava chiedendo quante probabilità ci fossero di assistere ad una scena come quella con un cuoco siciliano, nel bel mezzo del Mar dei Caraibi. Intanto aveva tirato fuori una valigetta nera dal bagaglio. Conteneva un paio di manette di cuoio per le caviglie e un paio per i polsi. Si univano in una specie di X con una catena sottile di acciaio. Aveva anche una benda nera per gli occhi. Mi ha tolto il vestito distrattamente, per farmi indossare la benda e le manette, sempre parlando delle orche. Poi mi ha fatta inginocchiare, mi ha messo una mano dietro la nuca e me lo ha spinto in bocca. Lo sentivo eccitarsi mentre mi muoveva la testa avanti e indietro. Una sensazione bellissima, ero bloccata dalla catena, le sue mani mi stringevano in quella posizione di assoluta sottomissione, lasciando che potessi muovere soltanto la testa. Nonostante questo, avevo la consapevolezza di tenerlo in mio potere, il suo piacere nella mia bocca lo obbligava in nodi più stretti di quelli delle manette che avevo ai polsi. Un’allucinazione apocalittica mi ha travolta quando mi è venuto dentro. Mi avvicinavo alla sedia elettrica su cui era bloccato, camminando al rallentatore. Eravamo sospesi sopra un vulcano in piena eruzione. Quando mi sono seduta sopra di lui aggrappandomi al collo, una bomba atomica è esplosa alle nostre spalle. Il fungo radioattivo si è alzato in cielo cancellando ogni cosa.
REEL TWO, PREZIOSA (HELLRAISER)
Cisco! Sangue! Sangue! Sangue! Da quando quella bambina si era intrufolata nei miei sogni la mia testa era diventata un gran casino. Sembrava una stazione radiofonica disturbata. A volte a stento riuscivo a distinguere il caos di quelle scariche insensate dai miei pensieri. Ho aperto completamente la manetta, il Ninja si è quasi impennato. Per tenere a terra la ruota anteriore ho dovuto spingere sulla carena con tutte le mie forze. La fica stava per esplodere. Prima che scoppiasse un temporale ho raggiunto una casa isolata. Il cielo era diventato improvvisamente scuro, le nuvole cariche di pioggia avevano messo fine bruscamente all’ipocrisia della luce del giorno. Ormai era buio. Le tempie sembravano tamburi impazziti, il richiamo di sangue mi avrebbe portata presto a farlo ancora. Ho lasciato la moto per avvicinarmi a piedi all’ingresso della casa. Per qualche motivo non trovavo la forza di sfondare la porta ed entrare per prendermi ciò di cui avevo bisogno. Avrei potuto strapparla dai cardini con una mano, un ostacolo insignificante tra me e la mia preda. Nella mia mente imperversava una sanguinosa rivolta. Un ignobile massacro si arrestava di fronte alla debolezza di un solo uomo. Inerme si opponeva ai carri armati. Ho chiuso gli occhi sperando in questo modo di riuscire ad ignorare le esplosioni nella testa. Il cuore batteva fortissimo. Sentivo la pioggia scrosciante sulla pelle. Una scarica di dolore attraverso le ossa, si stavano frantumando una ad una. Poi la Fortuna ancora una volta si è messa in mezzo, continuando la sua danza macabra. Bizzarro! La porta si è aperta, la tizia dentro, è uscita sul pianerottolo, cercava il suo cagnolino preoccupata per il temporale. Ho visto il suo ultimo passo mentre varcava la soglia, quell’istante sembrava dilatarsi all’infinito. Gli occhi si sono aperti lentamente, il viso si è disteso in una specie di sorriso. Ecco la vostra chica! Le ho detto, prima di avvolgerla nelle mie catene.
REEL THREE, WHEN THE MUSIC ITS OVER (SOMEBODY SUPERLIKE YOU)
“Il mondo è mio”
“Quello è un Astrolabio non è un mappamondo”
“A vederlo da dietro sembrerebbe”
“Non quello”
“Però anche questo non è male”
“Entriamo?”
“E poi così è ancora più potente, l’universo intero è mio”
“Niente altro?”.
Dopo cena siamo stati al planetario della nave Soleil. All’ingresso c’era una grande insegna con la scritta PLANETARIUM. Alcune foto in bianco e nero scattate dalla Luna. Una tuta spaziale usata da una famosa astronauta, tornata nello spazio dopo molti anni. La sala era illuminata soltanto da alcune luci basse blu e azzurre. Quando il timer ha segnato l’inizio dell’evento l’ingresso è stato chiuso, le luci si sono spente completamente. Sentivo il cuore battere forte. Era da sceme sentirsi in quel modo non ero più una quindicenne. C. A. mi ha preso sottobraccio, avrei voluto farlo incazzare in qualche modo, ma il disorientamento del buio mi costringeva a restare vicina a lui. Poi il soffitto si è aperto, un cerchio sopra le nostre teste illuminato soltanto dalla luce delle stelle. La lente del potente telescopio della nave stava amplificando la vista mozzafiato del cielo. La Via Lattea si è messa in marcia al centro del cerchio.
“Che costellazione stai guardando?”
“Il Bifolco”
“Davvero?”
“No. E tu”
“Il Delfino. Guarda è quella specie di aquilone”
“E quella?”
“Quella non è una stella, è Venere, un pianeta. Uno dei pochi a non avere satelliti”
“Davvero? Sai una cosa. A volte anch’io mi sento come un satellite. Giro intorno a qualcosa che ancora non riesco a capire”
“Quella invece è facile da riconoscere. L’Orsa Maggiore. L’intera costellazione è enorme, di solito si vede facilmente il Carro, la coda dell’orsa”
“A me sembrano solo stelle, come accidenti fai a riconoscere le forme?”
“E’ un po’ come unire i punti in quel gioco. Riesci a unire i punti?”
“Ci provo. Quella mi sembra una banana ad esempio. È possibile che ne esista una con questo nome?”
“Scema, la costellazione della banana non l’ho mai sentita”
“E quella? Quella lì, vedi…”.
C. A. però non mi stava ascoltando, sembrava distratto da qualcuno tra il pubblico.
“E quella? Allora? Cosa ti sembra?”
“Non lo so. Però quelli mi sembrano il tizio che stiamo consegnando e una delle hostess della nave”.
Mi ha messo le mani sulla testa per farmela girare nella direzione in cui stava guardando. Il nostro gangster stava strattonando una delle hostess per il braccio, cercando di farsi largo tra la gente.
“Dobbiamo andare a riprenderlo”
“Nha! Non adesso. Non mi va proprio. E poi non c’è pericolo le vipere sono ancora attorcigliate su di lui. Possiamo pensarci domani. Vieni”.
Mi ha presa per mano e ci siamo spostati in un’altra sala. Alcune sedie davanti ad uno schermo piatto. Una proiezione del primo allunaggio. Mi ha fatto pensare al documentario nella stanza di albergo. Lui deve aver pensato la stessa cosa. Si è messo a cercare i sigari nella tasca dei jeans, ma quando si è ricordato del divieto di fumo ha tolto velocemente le mani dalle tasche e me le ha appoggiate sul culo.
“Vieni andiamo in camera. Ho un’idea per vedere la Luna più da vicino”
Se mi fossi avvicinata ancora un po’ alla Luna ci sarei andata a sbattere contro. Ho risposto “Ok”. Mi tremavano le gambe, mi stavo eccitando pensando a quando mi aveva fatta inginocchiare. Speravo che la sua idea fosse qualcosa di quel genere. Gli ho fatto scivolare una mano sulla patta, aveva il cazzo durissimo. Non potevo sbagliarmi.
“Ti ho raccontato un sacco di bugie”
“E io ci ho creduto?”
“Si, quasi sempre”
“E allora perché ti preoccupi?”
Mentre ci dirigevamo verso la cabina abbiamo sbirciato di nuovo nella piscina delle orche. Lo spettacolo si era già chiuso, il tizio della cucina era tornato a dare un ultimo saluto a DiDi prima di ritirarsi a sua volta. Potevamo sentire le sue pinne agitarsi nell’acqua, il cuoco le stava parlando sottovoce. C. A. non sembrava affatto preoccupato per il gangster in fuga era molto sicuro del suo sistema di allarme. Mi ha legata al letto prima di scoparmi in silenzio. A volte mi faceva ridere per il suo modo di leccarmela, ma la cosa che mi sembrava più insolita erano le sue mani. Erano incredibilmente calde e ruvide, me l’ha stretta forte prima di venirmi in bocca. Poi si è addormentato come un sasso. Ho acceso la tv a circuito chiuso della nave. La scelta ricadeva tra un documentario su Nelson Mandela e un porno con una gang-bang. Alla fine, ho scelto Madiba. Stavo quasi per addormentarmi quando la tizia del documentario si è voltata di scatto, sembrava si stesse rivolgendo proprio a me. Ho avuto l’impressione che volesse dirmi qualcosa di molto importante, non riuscivo a capire se fosse parte di un sogno o una specie di allucinazione dovuta alla stanchezza. Ha detto: “Alice svegliati. È proprio lui, che cos’altro dobbiamo fare per fartelo capire?”. Sullo schermo è passata una scritta in sovraimpressione: Fallen from the stars. Dopo sono piombata in un sonno profondo. Ho sognato C. A. mi fissava senza dire niente sotto la luce delle stelle. Potevo distinguere la Via Lattea e le costellazioni che avevo visto nel Planetarium. Frank Sinatra stava cantando That’s Life in sottofondo. Lui ha disteso improvvisamente le braccia. Mi sentivo come se il mio corpo stesse precipitando da una grande altezza. Poi mi sono vista cadere al rallentatore dal cielo. Sono finita proprio tra le sue braccia. A quel punto mi sono svegliata di colpo. La cosa più terrificante era che nel sogno indossavo un abito da sposa bianco.
“Che cavolo sta succedendo? Cosa sono queste grida?”
“Il nostro amico deve aver perso la testa”
“E adesso? Che fine hanno fatto le tue sentinelle?”
“E’ quello che voglio scoprire”.
Si stava già rivestendo. Sono saltata giù dal letto a cercare i vestiti. Ha spalancato la porta della cabina quando ancora non mi ero allacciata il reggiseno. Poi si è messo a muggire come un toro infuriato.
“Ma che cazzo, muoviti!”.
Si è messo una mano su un fianco e con l’altra si è coperto gli occhi.
“Aspetta! Ci servono quelle”.
Prima che perdesse completamente la pazienza mi sono lanciata verso la 9 mm e l’ho caricata. Sembrava scettico, io comunque non gli ho dato retta. Ho messo il secondo caricatore in una delle tasche dei jeans. Gli ho lanciato la Magnum, lui però non si è mosso. È rimbalzata sul suo petto ed è caduta a terra.
“Ma che cazzo! Prendila!”
“Prendila tu, io che me ne faccio?”. Si è diretto verso il boccaporto in fondo al corridoio. Uno di quei portelloni di acciaio che si vedono sempre sulle navi.
“E se fosse armato? Come pensi di cavartela?”.
Ha tirato a sé il portellone scardinandolo come se niente fosse, poi lo ha appoggiato delicatamente da una parte.
“Ma sbrigati”.
Oltre la porta abbiamo trovato due hostess in lacrime. Si erano rannicchiate sul pavimento cercando di consolarsi a vicenda. C. A. mi ha guardata perplesso, io sono andata da loro, volevo farle parlare.
“Allora?”
“Quel tizio…ha preso una delle ragazze in ostaggio, sta minacciando di dirottare la nave”
“E dove…”.
Non ho fatto in tempo a finire la frase, altri strilli seguiti da alcuni colpi di arma da fuoco.
“Che cazzo di fine hanno fatto le tue vipere?”.
Lui si è girato verso le due hostess.
“Avete un’infermeria sulla nave?”
“Si, è da lì che si sono sentiti i primi colpi”
“Quello stronzo si è procurato dell’altro siero”
“Ma che cavolo ci fa del siero antivipera su una nave?”
“Magari ne tengono un po’ per i gangster in fuga. Adesso pensiamo a riprenderlo”.
Abbiamo lasciato le due ragazze in lacrime per proseguire verso la direzione da cui provenivano le grida. Le persone all'interno di uno dei ristoranti della nave ci sono venute addosso tutte insieme, correndo fuori dalla sala. C. A si faceva largo cercando di scansarli con un braccio, sembrava ci fosse qualcosa sotto la manica del suo giubbotto. Come se qualcosa si stesse muovendo nascosto lì sotto. Io gli stavo dietro impugnando entrambe le pistole, avevo tolto la sicura poco prima. Appena siamo entrati nella sala da pranzo il nostro amico ha aperto il fuoco. I colpi ci sono passati vicinissimi andando a vuoto. C. A. si è scansato per un pelo e mi ha tirata indietro afferrandomi per il colletto della camicia. Ho urlato: “Cazzo! Fanculo!”. Sentivo il cuore battere a mille, mi sono piegata in avanti appoggiando le mani alle ginocchia per riprendere fiato, poi mi sono liberata dalla stretta di C. A. affacciandomi di nuovo sul salone. Ci ho messo meno di un minuto per vuotare i due caricatori. I bicchieri di cristallo ancora sui tavoli sono andati in frantumi alzando una pioggia di frammenti. Alcuni dei proiettili sono andati a piantarsi nei quadri appesi alle pareti. Sentivo una pioggia di bossoli tintinnare, mentre cadeva sul pavimento di ceramica nera. Ho centrato in pieno una riproduzione di una nave d’epoca con la Magnum. Sullo scafo disegnato si è aperta una voragine nera. Il quadro subito dopo si è inclinato da una parte come se il vascello avesse cominciato ad affondare.
“Ma non ci sei andata neanche vicina!”
“E perché non ci provi tu invece di brontolare sempre! Stronzo!”.
C. A. mi ha tolto la Magnum dalle mani e ha infilato nel calcio il secondo caricatore. Poi ha fatto fuoco una sola volta verso la parete di fronte a noi senza distogliere lo sguardo dai miei occhi. Il gangster nell’altra stanza ha urlato dal dolore e si è messo a correre nella direzione opposta facendo fuoco un’altra volta. Dopo mi ha rimesso in mano la Magnum.
“Visto? Non era difficile”. Si è diretto verso il muro al fondo della sala da pranzo, passando di fianco ai tavoli ha preso uno dei calici rimasti interi, lo ha riempito di spumante e se l’è scolato tutto d’un fiato. Al fondo della stanza ha battuto i pugni contro la parete. È andata in pezzi crollando sull’altro lato, come se fosse stata di cartone.
“C’è un piccolo imprevisto”
“Cosa?”.
Quel bastardo era rimasto sotto le macerie con le gambe. Però aveva fatto in tempo a prendere un ostaggio, una donna tra i passeggeri. Le teneva la pistola puntata alla tempia. Lei cercava di divincolarsi piangendo.
“State indietro o l’ammazzo! Le faccio saltare la testa! Brutti stronzi!”
“Ma che cazzo...”.
C. A. si è mosso verso di lui come se non avesse la minima intenzione di dargli retta. Ho cercato di fermarlo.
“Non fare mosse avventate, rischi di farla ammazzare”
“Ma che cazzata”
“Ti dico che stai correndo un grosso rischio, non farlo”
“Allora, se solo avessi visto qualche film decente sapresti che in queste situazioni la pistola è sempre scarica. È ovvio che è scarica, altrimenti avrebbe sparato a me per prima cosa”
“Non puoi saperlo”
Il gangster a quel punto si è messo a strillare più forte, C. A. gli aveva persino voltato le spalle.
“La faccio fuori! Brutti stronzi!”
“Stai zitto tu!”.
Poi è tornato a rivolgersi a me.
“Ti dico che è scarica, ma perché rompi sempre? Se ti dico una cosa con questa sicurezza vuol dire che è vero! Come quando eravamo sull’aereo, mi sono allontanato solo per un attimo. Ti avevo lasciato anche un regalo per andarti a divertire un po’ con qualcuno degli altri passeggeri e tu sei rimasta lì con il tuo arancio del cazzo”.
Il gangster si stava innervosendo sempre di più, si sentiva completamente ignorato. A quel punto ho iniziato a dubitare che C. A. potesse avere ragione, ma non volevo dargliela vinta.
“Non puoi saperlo, cerca di essere razionale per una volta! Non è possibile lavorare con te! Ti comporti sempre in questa maniera...in questa maniera...”
"Quale maniera? Parla!"
"Da stronzo!"
“È scarica ti dico, guarda!”.
Si è voltato di scatto verso il tizio con l’ostaggio e gli ha dato uno schiaffo.
“Hai visto? Che ti dicevo? Se fosse carica le avrebbe sparato a questo punto. Non ti sembra un ragionamento abbastanza razionale? È scarica, e questo è solo uno stronzo”.
Lui si è messo a strillare più forte e ha alzato il cane del revolver calibro 38 che stringeva tra le mani, probabilmente sottratto in qualche modo a qualcuno dell’equipaggio.
C. A. si è voltato di scatto verso di lui, il suo movimento è stato così rapido da non lasciargli nemmeno il tempo di pensare, gli ha tolto la pistola dalle mani muovendosi velocemente come uno dei serpenti che si portava in giro tatuati sulla schiena. Il tizio è rimasto con la bocca spalancata, subito dopo sono comparsi due enormi lacrimoni sui suoi occhi, non riusciva a crederci, ancora non si era reso conto di quello che fosse successo.
“Visto?”. C. A. ha alzato la canna della pistola verso l’alto e ha premuto il grilletto. Ovviamente la pistola ha fatto fuoco. Era carica.
“Sei un pazzo bastardo! Te l’avevo detto! Hai rischiato di farla ammazzare”
“Ma perché la fai tanto lunga ha funzionato o no? Mi serviva un diversivo. Sapresti anche questo se guardassi ogni tanto dei film decenti”
“Sei pazzo! Basta adesso!”.
Purtroppo, però ci siamo lasciati prendere anche noi alla sprovvista. Mentre stavo urlando verso C. A. il gangster ne ha approfittato per filarsela.
“Guarda che hai fatto!”
“Ma non è colpa mia. Mi stavi urlando addosso! Lo sai che non capisco più niente quando ti metti a urlare in quel modo”
“Vaffanculo! Bastardo! Adesso come cazzo facciamo! E per poco non facevi ammazzare questa tizia”
“Ti ho detto di non urlare in quel modo! Non riesco a pensare quando fai così!”
Abbiamo aiutato la donna a rimettersi in piedi e gli siamo andati dietro scavalcando i resti del muro. Siamo passati attraverso le cucine. I banconi da lavoro erano tutti a soqquadro, le pentole sparpagliate sul pavimento. Dai fornelli arrivavano nuvole di vapore, alcuni erano ancora accesi. Il personale aveva cercato di mettersi in salvo, nascondendosi in rifugi improvvisati nelle dispense. Ci indicavano la direzione appena ci vedevano arrivare. C. A. camminava deciso ondeggiando le braccia avanti e indietro, appena qualcosa gli si parava davanti la sbatteva lontano con la mano. Cercavo di stargli dietro, ma le pistole sembravano sempre più pesanti, dovevo lasciare le braccia tese verso il basso mentre cercavo di non farmi lasciare indietro. Poi abbiamo raggiunto un’altra sala da pranzo. Due dei cuochi erano appoggiati con le spalle al bancone del bar, la sala era deserta, restava soltanto una tavola apparecchiata al centro della stanza, la tovaglia arrivava fino a terra. C. A. si è fermato davanti al tavolo, guardava i due cuochi terrorizzati un uomo e una donna. La tizia era sui cinquanta, corpulenta, capelli biondi ricci. Fissava C. A. cercando di fargli capire qualcosa con lo sguardo. Lui è rimasto per un po’ a guardarla con le mani sui fianchi.
“Allora che accidenti vuoi fare adesso?”.
Mi ha risposto mettendosi l’indice sulle labbra, poi si è avvicinato camminando lentamente verso il tavolo.
“Guarda che bella espressione che ha, deve essere proprio rimasto sorpreso”.
Ha sollevato la tovaglia piano piano, il gangster era nascosto lì sotto, si stava tenendo una mano premuta contro l’orecchio colpito da C. A. con la Magnum.
“La suite da viaggio ti aspetta nella stiva testa di cazzo”.
Lo ha sollevato da terra afferrandolo con una mano per i capelli, lui si è messo a urlare. Uno dei Boa Costrictor di C. A. gli stringeva le ginocchia. Ogni volta che provava a parlare le spire dell’enorme boa si stringevano un altro po’. Lo teneva in modo che gli ostaggi non potessero vederlo, quando i due cuochi si sono avvicinati, sicuri che il pericolo fosse passato, si è ritirato velocemente sotto la manica del giubbotto di pelle di C. A. A quel punto ha lasciato cadere a terra il gangster. Dopo sono arrivati gli altri e il personale della nave. Era un gran casino. La nave avrebbe avvicinato all’alba la guardia costiera, la polizia sarebbe salita a bordo. C. A. aveva fatto credere a tutti che fossimo due agenti in borghese impegnati in una missione sotto copertura, per trasportare un pericoloso detenuto. Non avevamo documenti, non avevamo nessuna prova, non avevamo un cazzo. Eppure, era riuscito a farglielo credere. Il suo sguardo era più convincente del Dottor Dolittle. Prima o poi si sarebbe messo a cantare Like Animals, ne ero più che convinta. Aveva tirato fuori le manette usate a letto con me e si era portato via il gangster. Almeno fino all’alba ci avrebbero lasciati andare. Non avevo idea di come ne saremmo usciti.
“Cosa credi che accadrà quando la polizia troverà le granate e capirà che non siamo sbirri?”
“Non troveranno un bel niente. Saremo fuori di qui prima dell’alba”
“E come cazzo facciamo a lasciare questo posto?”
“Non ne ho la più pallida idea”
“Cosa? Ma che cazzo dici? E allora cosa succederà all’alba? Non voglio finire dentro. Soprattutto non in un posto come questo”
“Devi stare calma. Qualcosa succederà. Di questo ne sono più che sicuro”
“Non sto calma per niente, mi hai trascinata tu in questa storia, ora devi tirarmene fuori”.
Si è buttato sul letto con le braccia dietro la nuca, sembrava davvero convinto di quello che stava dicendo. Ho provato ad insistere, ma è stato tutto inutile. Mi ha lanciato una moneta e mi ha fatto segno di avvicinarmi con l’indice.
“Ne usciremo, puoi starne certa”
“Tanto non attacca, non è il momento di mettersi a scopare. Abbiamo di nuovo lasciato solo quel tizio, dopo quello che è successo”
"Ma è nella stiva"
"Scordatelo"
“Invece è proprio questo il momento, se pensi che domani finirai in carcere potrebbe essere la cosa migliore da fare”
“Cerca di usare il cervello per una volta, ci arresteranno”
“Non lo faranno”
“Invece si!”
“Invece no!”.
Si è messo seduto sul letto e mi ha preso le mani. Mi ha tirata a sé facendomi cadere sul letto. Le sue labbra sul collo stavano spazzando via la tensione di quelle ore. Ho sentito le sue mani scivolare sotto la camicetta, la pelle bruciava, le tempie si sono messe a pulsare. Mi ha girata a pancia sotto e mi ha scopata nel culo. Lo sentivo caldo e durissimo dentro di me. Sentirlo così eccitato mi provocava delle scariche fortissime di piacere, ho sognato di vedere la scena al di fuori del mio corpo. Qualcuno aveva lasciato un mazzo di margherite sul bordo del letto. Le vedevo brillare nel loro candore sotto la luce blu della notte, quando le prime gocce di pioggia hanno cominciato a scendere posandosi sul vetro dell’oblò. Scivolavano lentamente come i miei sensi in un piacevole oblio. I nostri corpi si intrecciavano sul letto offuscati dall’oscurità. Dopo ho visto C. A. sotto una pioggia torrenziale blu, le gocce di pioggia cadevano a terra al rallentatore, lasciavano una scia scura sulla pelle. Lui indossava uno strano elmo, lunghe ali nere chiuse su di me. Un corvo si è posato sulla sua spalla mentre mi abbracciava. Sentivo una musica dolcissima e malinconica, non riuscivo a ricordare il titolo. Un pezzo degli Eagles forse. Non riuscivo a ricordare niente.
Poi l’altoparlante della nave ci ha svegliati nel cuore della notte, le parole pronunciate dalla hostess in tutte le lingue mi hanno fatto gelare il sangue nelle vene.
“Le Soleil sta affondando”.
Continua...
Siamo arrivati all’imbarco con circa due ore di anticipo, C. A. sembrava un bambino in gita con la scuola. Quando siamo saliti in aereo non ha fatto altro che guardare il culo alle hostess, quando le hostess sono finite è passato a quello degli altri passeggeri. Nella tasca del soprabito avevo ancora un’arancia, me l’ero tenuta come scorta di cibo per il pranzo qualche giorno prima ed era rimasta lì. Lui invece aveva fatto il pieno di schifezze di ogni tipo. Quando se ne è accorto ha iniziato a prendermi in giro e a giocherellarci.
“Hai deciso di punirti mangiando solo arance?”
“Non mi rompere, non so come faccia il tuo organismo a sopravvivere con tutte quelle schifezze che mangi”
“Tutte le cose piacevoli fanno male. Lo sanno tutti”
“Come accidenti ci arriverà tutta quella roba sulla nave?”
“A me lo chiedi, che cavolo ne so. Mi hanno soltanto detto che le troveremo nella nostra cabina”
“Quando atterriamo, hai visto?”
“E che ne so, non siamo ancora decollati”
“Voglio andare a casa”
“Prendi un mini cornetto all’albicocca piuttosto”
“No, non voglio. Devo lavorare. Ho portato i fascicoli”
“Dici che in business class le hostess hanno il reggicalze sotto la divisa?”
“Basta! Perché non vai a e glie lo chiedi”
“E tu? Che hai lì sotto?”
“Non mi rompere e togli le mani”
“Quando ti metti così elegante non riesco a resistere. Ormai la fiamma della passione divampa. Non riuscirebbero a spegnerla neanche i pompieri di Chernobyl”
“Pensi che sarà davvero pericoloso?”
“Certo. Però non preoccuparti ti proteggo io, per fortuna abbiamo questi”.
Ha preso il bagaglio a mano e si è messo a frugare dentro.
“Ti sei portato altre armi? Qui a bordo? Sei pazzo e i metal-detector?”
“Molto meglio: preservativi alla frutta, ne vuoi uno?”.
Il viaggio non è stato poi così tremendo, la traversata sopra l’Atlantico è stata fantastica. Siamo passati sull’Oceano in pieno giorno, dopo qualche ora mi sono addormentata. C. A. diceva che se non avessimo cercato di dormire, al nostro arrivo il fuso orario ci avrebbe stesi. Quando mi sono svegliata era quasi buio e lui era sparito. Mi aveva lasciato l’arancia tra le mani, l’ho rimessa nella tasca del giaccone. Stavo per alzarmi, ma l’ho visto sbucare dal bagno della business class, in fondo al corridoio. Subito dopo di lui è uscita una hostess, si stava ancora aggiustando la gonna.
“Che cazzo hai combinato?”
“Fragola”
“Cosa? Senti non ti sopporto più. E poi devo andare in bagno”
“Adesso non si può. Stiamo per atterrare”
“No, senti, me la sto facendo sotto”
“Resisti. Pensa alle arance”.
A Baranquilla abbiamo preso un autobus per Bocas. Prima di salire ci siamo fermati per spedire un grosso baule con un corriere espresso. Ci avrebbe preceduti di qualche ora. Il viaggio mi metteva una tremenda agitazione, ma ogni volta che stavo per essere assalita dal panico, C. A. mi stringeva la mano. La pelle morbida dei suoi guanti era molto piacevole, stavo soltanto cercando di non farglielo capire. Dopo l’autobus siamo saliti sul primo taxi, C. A. ha passato un biglietto con un indirizzo al tassista, dopo si è messo a guardare fuori dal finestrino. Il tizio guidava silenzioso, non ha mai fatto domande. La monovolume su cui ci stava portando all’appuntamento con Natasha è scivolata attraverso il traffico agile come un gatto. Ci ha lasciati davanti a un grattacielo in centro, un albergo a quattro stelle. Le finestre erano decorate con dei vetri colorati blu e azzurri, formavano un motivo geometrico di linee orizzontali. Sul cornicione del primo piano si leggeva la scritta Blue Dream. Mentre l’ascensore saliva verso l’alto, pensavo a quanto fosse assurda e inaspettata per me quella situazione. Le nuvole erano sempre più vicine, le persone in strada sempre più piccole.
“Hey! È il nostro piano”
“AH! Scusa, eccomi. Ma quel baule che abbiamo spedito?”
“Non pensarci, la stanza è quella”.
Ci siamo infilati in una delle camere, Natasha e le due Vondervotteimittis ci aspettavano insieme al tizio da consegnare. Lo avevano legato ad una sedia, era molto nervoso. La camicia che indossava era fradicia anche se non faceva particolarmente caldo in quella stanza. Aveva anche il naso stranamente rosso. Natasha gli teneva un AK47 puntato alla testa, le due Vondervotteimittis invece stavano cercando di rimontare due fucili automatici, sembravano molto impegnate e non troppo a loro agio. Gli cascavano continuamente a terra i pezzi dei due fucili, ad un certo punto si sono accorte di averli mescolati tra di loro.
“È questo qui?”
“Si. Tutto ok?”.
Prima che C. A. potesse rispondere, il tizio legato si è messo a sfottere le Vondervotteimittis.
“Quelle due puttane non sono buone a nulla. Sono capaci di fare una cosa soltanto”.
Natasha gli ha spinto la bocca della mitragliatrice contro la nuca per farlo stare zitto. Lui è andato su tutte le furie.
“Stronze, ve la farò pagare. Tanto è inutile che mi interroghiate con voi non parlo!”.
C. A. mi ha preso l’arancia dalla tasca e glie l’ha cacciata in bocca prima di avvicinarsi a Natasha.
“È arrivato?”
“Un’ora fa”.
Il tizio continuava a dimenarsi anche con la bocca tappata. C.A. a quel punto gli ha pinzato il naso con indice e pollice. Il suo viso è diventato tutto rosso, poi è passato al viola. C. A. stava mimando un profondo respiro. Poi ha tolto le dita dal naso e si è ripreso l’arancia. Il tizio respirava affannosamente.
“Brutti...brutti...bastardi...vi faccio…”
“Allora? E ci avete fatto fare tutta questa strada per questo qui?”.
Gli aveva di nuovo cacciato l’arancia in bocca. L’altro si agitava sulla sedia rischiando di capovolgersi, ma né C. A. né Natasha gli prestavano più troppa attenzione. C. A. è passato di fianco alle due Vondervotteimittis e gli ha mollato uno schiaffo sul culo. Loro hanno fatto cadere tutti i pezzi dei due fucili automatici.
“Ci mancava solo questo stronzo. Aspetta che finiamo di montare questi”
“Guarda che abbiamo prenotato solo per una notte”.
Qualcuno ha bussato alla porta prima che potessero continuare. Un fattorino. Era venuto a consegnare il baule che avevamo spedito prima di salire sull’autobus per Bocas. Elena e Judy lo hanno sistemato davanti al tizio sulla sedia. Ormai era talmente agitato che la sedia si stava per capovolgere. C. A. lo ha afferrato per il colletto della camicia appena in tempo.
“È arrivata la tua suite da viaggio mio caro”. Lui scuoteva la testa cercando di divincolarsi, ma C. A. lo ha sollevato con una mano e lo ha scaraventato dentro, richiudendo subito il coperchio con l’altra. Sembrava stesse maneggiando un bambolotto. Le due Vondervotteimittis ci si sono sedute sopra subito dopo.
“E questo qui sarebbe un gangster? E che cazzo rapinava? I negozi di giocattoli?”
“E’ un pezzo grosso”
“A me sembra solo un gran cazzone”. Poi ha fatto alzare Elena e Judy e ha riaperto il baule infilandoci dentro un braccio. È riemerso con l’arancia in mano e ha richiuso prima che l’altro potesse fiatare.
“Pensavi di ingoiartela intera?”
“Siete morti! Bastardi”
“Ma falla finita. Qui di lato hai dei fori per l’aria. Urla finché vuoi tanto non ti sente nessuno”.
Da uno dei fori è sbucato il dito medio del tizio.
“Come accidenti faremo a farlo stare zitto?”.
C. A. si è chinato sul baule, due vipere del deserto sono scivolate fuori dalle maniche del suo giubbotto di pelle e si sono infilate dentro i fori per l’aria.
“E’ meglio se non ti agiti troppo, non sono molto socievoli”.
Poi si è appartato in un angolo della stanza con Natasha, si sono messi a parlare sottovoce davanti ad un grosso acquario al centro della stanza. Attraverso i vetri temperati nuotavano tre pesci scorpione.
“Segui il piano”
“Natasha, ascoltami. Devo chiederti una cosa”
“Lo so cosa vuoi dire. Ormai non si torna indietro. Con ogni mezzo, capito?”
“Io vorrei sapere un’altra cosa. Quel tizio, che accidenti è successo al suo naso, sembra Babbo Natale con il naso rosso”.
Le due sorelle Vondervotteimittis si sono intromesse nella loro conversazione come se avessero avuto la coda di paglia. Elena in particolare sembrava completamente in confusione.
“Ma niente, non è stata colpa mia comunque”
“Cioè?”
“Lo stavamo interrogando, volevo farlo cantare così gli ho infilato la testa dentro l’acquario, sai, per sfinirlo”
“Esatto per sfinirlo. Solo quel cazzo di pesce gli si è attaccato al naso come una ventosa…”
“Cosa? Lo sapete che gli aculei dei pesci scorpione contengono un veleno letale?”.
Natasha si è aggiustata il basco ed è andata vicino al baule.
“Certo, quelle però sono solo imitazioni. Adesso alzate il culo”.
La crociera era fantastica, mi aspettavo di dover passare tutto il tempo a sorvegliare quel tipo con un mitra spianato; invece, non mi sono quasi accorta di lui. Appena la nave si è allontanata dal porto, C. A. ha fatto portare in cabina il baule con il tizio e le vipere.
“Senti, sei ancora vivo?”. Poi ha dato un calcio al baule.
“Vaffanculo! Ti faccio a pezzi!”
“Ora apro il baule e ti faccio uscire. La nave ormai è lontana dal porto. Hai queste due possibilità, goderti il tuo ultimo viaggio come qualunque altro passeggero oppure arrivare a terra in una bara. Hai capito?”
“Apri, poi lo vedi da solo quello che succede”
“Ok”.
Ha mollato un altro calcio al baule, dall’interno si è sentito il tizio strillare: “Ahi!”.
Dopo C. A. si è tirato fuori dalla tasca di dietro dei jeans una piccola fiala e una siringa. Ha estratto il liquido della fiala con la siringa e ha fatto cadere la siringa dentro il baule.
“Hai meno di un minuto per iniettartela nella spalla, poi il veleno della vipera che ti ha appena morso, paralizzerà i muscoli e il cuore. Morirai soffocato nei prossimi quattro minuti. Quando si fermerà anche il diaframma. Oppure puoi iniettarti il siero e goderti la crociera. Ci sono tre scali e quella era l’ultima fiala. Se proverai a scendere dalla nave la vipera che hai attorcigliata intorno al collo ti morderà e morirai in meno di cinque minuti. Se proverai a toglierti la vipera dal collo, l’altra che hai attorcigliata intorno alla gamba destra ti morderà e morirai comunque. In ogni caso non farai mai in tempo a toglierle tutte e due. Hai capito tutto? Hey, sei ancora vivo?”. A quel punto ha spalancato il coperchio del baule. Il tizio all’interno era paralizzato dal terrore. Coperto di sudore e con gli occhi sbarrati. Stringeva ancora in una mano la siringa vuota. Qualcosa si è mosso sotto il colletto della sua camicia, poi si è fermato ed è rimasto immobile. Il tizio ha abbassato lo sguardo verso i pantaloni. Tra le gambe gli si era formata una chiazza scura e umida.
“Il bagno è in fondo al corridoio”.
C. A. ha rovesciato il baule, scaraventandolo a terra. Quando si è alzato a quattro zampe per riprendersi, gli ha mollato una pedata sul sedere e lo ha spinto in corridoio, sbattendogli dietro la porta.
"Un’ultima raccomandazione: attento quando lo tiri fuori, potrebbe scambiarlo per un rivale nell’accoppiamento”.
“Questo...questo...è incredibile…”
“Il casinò di questa nave è incredibile”
“Ma pensi davvero che non se la squaglierà?”
“Non se la squaglia, e poi devi sapere che ho mentito. Se solo ci provasse, le vipere lo morderebbero ripetutamente entrambe sciogliendogli i neuroni in meno di trenta secondi. Andiamo a spassarcela”.
La nave era diretta verso il Mar dei Caraibi, dodici giorni per raggiungere Gibilterra. Le Soleil, sembrava un gigantesco albergo galleggiante, c’era persino un parco acquatico con uno spettacolo acrobatico delle orche. Al casinò non ci hanno fatto entrare per l’abbigliamento di C. A. Lui si è messo a litigare con il tizio all’ingresso, ma alla fine abbiamo lasciato perdere. Siamo saliti sul ponte. Un’immensa distesa azzurra, la costa diventava sempre più piccola all’orizzonte. Mi aveva costretta a mettere un vestito bianco leggerissimo e un cappello di paglia con la tesa larghissima. La gonna si alzava continuamente al vento. Quando ci siamo avvicinati ad un gruppo di isole, un branco di delfini ci ha affiancato per alcuni minuti. Sembrava tutto così incredibile, quasi non riuscivo a ricordare il motivo del nostro viaggio. Nel pomeriggio siamo passati vicino all’acquario. Lo spettacolo sarebbe cominciato verso sera. Le orche nuotavano lungo la piscina indifferenti agli spalti vuoti. Di tanto in tanto si sollevava una colonna bianca di spruzzi dalle loro schiene. C. A. stava guardando un tizio con la divisa bianca del ristorante. Attendeva sul bordo della piscina il passaggio delle orche per prendere alcuni tranci di pesce dal vassoio che si era portato dalla cucina. Le orche sporgevano leggermente il muso sul bordo e ingoiavano il pesce emettendo uno strano suono. Quasi fosse il loro modo di ringraziare per lo spuntino.
Quando restavano troppo distanti il cuoco le chiamava per nome, cercando di attirare la loro attenzione. C. A. sembrava piuttosto incuriosito dalla scena, ne seguiva una in particolare, si chiamava DiDi.
“Vieni DiDi, vieni. Vieni qui, guarda che cosa ti ho portato”.
C. A. si è sollevato gli occhiali scuri sulla fronte.
“Secondo te questa è solo una coincidenza? Quel tizio, voglio dire, hai sentito? Sta parlando alle orche in italiano”
“Si, tra l’altro sembra siciliano dall’accento. È curioso”.
In quel momento l’orca chiamata DiDi è passata vicino al punto in cui ci trovavamo, spruzzando una lunga sbuffata di schizzi verso l’alto. Poi ha sollevato la testa e ha fatto scivolare fuori la lingua per un istante. Sembrava volesse farci le linguacce. C. A. si è grattato la testa e ha stretto gli occhi come se volesse fissarla più intensamente.
“Andiamo. Questa storia non mi convince per niente”.
In cabina. C. A. continuava a pensare al tizio e alle orche. Si stava chiedendo quante probabilità ci fossero di assistere ad una scena come quella con un cuoco siciliano, nel bel mezzo del Mar dei Caraibi. Intanto aveva tirato fuori una valigetta nera dal bagaglio. Conteneva un paio di manette di cuoio per le caviglie e un paio per i polsi. Si univano in una specie di X con una catena sottile di acciaio. Aveva anche una benda nera per gli occhi. Mi ha tolto il vestito distrattamente, per farmi indossare la benda e le manette, sempre parlando delle orche. Poi mi ha fatta inginocchiare, mi ha messo una mano dietro la nuca e me lo ha spinto in bocca. Lo sentivo eccitarsi mentre mi muoveva la testa avanti e indietro. Una sensazione bellissima, ero bloccata dalla catena, le sue mani mi stringevano in quella posizione di assoluta sottomissione, lasciando che potessi muovere soltanto la testa. Nonostante questo, avevo la consapevolezza di tenerlo in mio potere, il suo piacere nella mia bocca lo obbligava in nodi più stretti di quelli delle manette che avevo ai polsi. Un’allucinazione apocalittica mi ha travolta quando mi è venuto dentro. Mi avvicinavo alla sedia elettrica su cui era bloccato, camminando al rallentatore. Eravamo sospesi sopra un vulcano in piena eruzione. Quando mi sono seduta sopra di lui aggrappandomi al collo, una bomba atomica è esplosa alle nostre spalle. Il fungo radioattivo si è alzato in cielo cancellando ogni cosa.
REEL TWO, PREZIOSA (HELLRAISER)
Cisco! Sangue! Sangue! Sangue! Da quando quella bambina si era intrufolata nei miei sogni la mia testa era diventata un gran casino. Sembrava una stazione radiofonica disturbata. A volte a stento riuscivo a distinguere il caos di quelle scariche insensate dai miei pensieri. Ho aperto completamente la manetta, il Ninja si è quasi impennato. Per tenere a terra la ruota anteriore ho dovuto spingere sulla carena con tutte le mie forze. La fica stava per esplodere. Prima che scoppiasse un temporale ho raggiunto una casa isolata. Il cielo era diventato improvvisamente scuro, le nuvole cariche di pioggia avevano messo fine bruscamente all’ipocrisia della luce del giorno. Ormai era buio. Le tempie sembravano tamburi impazziti, il richiamo di sangue mi avrebbe portata presto a farlo ancora. Ho lasciato la moto per avvicinarmi a piedi all’ingresso della casa. Per qualche motivo non trovavo la forza di sfondare la porta ed entrare per prendermi ciò di cui avevo bisogno. Avrei potuto strapparla dai cardini con una mano, un ostacolo insignificante tra me e la mia preda. Nella mia mente imperversava una sanguinosa rivolta. Un ignobile massacro si arrestava di fronte alla debolezza di un solo uomo. Inerme si opponeva ai carri armati. Ho chiuso gli occhi sperando in questo modo di riuscire ad ignorare le esplosioni nella testa. Il cuore batteva fortissimo. Sentivo la pioggia scrosciante sulla pelle. Una scarica di dolore attraverso le ossa, si stavano frantumando una ad una. Poi la Fortuna ancora una volta si è messa in mezzo, continuando la sua danza macabra. Bizzarro! La porta si è aperta, la tizia dentro, è uscita sul pianerottolo, cercava il suo cagnolino preoccupata per il temporale. Ho visto il suo ultimo passo mentre varcava la soglia, quell’istante sembrava dilatarsi all’infinito. Gli occhi si sono aperti lentamente, il viso si è disteso in una specie di sorriso. Ecco la vostra chica! Le ho detto, prima di avvolgerla nelle mie catene.
REEL THREE, WHEN THE MUSIC ITS OVER (SOMEBODY SUPERLIKE YOU)
“Il mondo è mio”
“Quello è un Astrolabio non è un mappamondo”
“A vederlo da dietro sembrerebbe”
“Non quello”
“Però anche questo non è male”
“Entriamo?”
“E poi così è ancora più potente, l’universo intero è mio”
“Niente altro?”.
Dopo cena siamo stati al planetario della nave Soleil. All’ingresso c’era una grande insegna con la scritta PLANETARIUM. Alcune foto in bianco e nero scattate dalla Luna. Una tuta spaziale usata da una famosa astronauta, tornata nello spazio dopo molti anni. La sala era illuminata soltanto da alcune luci basse blu e azzurre. Quando il timer ha segnato l’inizio dell’evento l’ingresso è stato chiuso, le luci si sono spente completamente. Sentivo il cuore battere forte. Era da sceme sentirsi in quel modo non ero più una quindicenne. C. A. mi ha preso sottobraccio, avrei voluto farlo incazzare in qualche modo, ma il disorientamento del buio mi costringeva a restare vicina a lui. Poi il soffitto si è aperto, un cerchio sopra le nostre teste illuminato soltanto dalla luce delle stelle. La lente del potente telescopio della nave stava amplificando la vista mozzafiato del cielo. La Via Lattea si è messa in marcia al centro del cerchio.
“Che costellazione stai guardando?”
“Il Bifolco”
“Davvero?”
“No. E tu”
“Il Delfino. Guarda è quella specie di aquilone”
“E quella?”
“Quella non è una stella, è Venere, un pianeta. Uno dei pochi a non avere satelliti”
“Davvero? Sai una cosa. A volte anch’io mi sento come un satellite. Giro intorno a qualcosa che ancora non riesco a capire”
“Quella invece è facile da riconoscere. L’Orsa Maggiore. L’intera costellazione è enorme, di solito si vede facilmente il Carro, la coda dell’orsa”
“A me sembrano solo stelle, come accidenti fai a riconoscere le forme?”
“E’ un po’ come unire i punti in quel gioco. Riesci a unire i punti?”
“Ci provo. Quella mi sembra una banana ad esempio. È possibile che ne esista una con questo nome?”
“Scema, la costellazione della banana non l’ho mai sentita”
“E quella? Quella lì, vedi…”.
C. A. però non mi stava ascoltando, sembrava distratto da qualcuno tra il pubblico.
“E quella? Allora? Cosa ti sembra?”
“Non lo so. Però quelli mi sembrano il tizio che stiamo consegnando e una delle hostess della nave”.
Mi ha messo le mani sulla testa per farmela girare nella direzione in cui stava guardando. Il nostro gangster stava strattonando una delle hostess per il braccio, cercando di farsi largo tra la gente.
“Dobbiamo andare a riprenderlo”
“Nha! Non adesso. Non mi va proprio. E poi non c’è pericolo le vipere sono ancora attorcigliate su di lui. Possiamo pensarci domani. Vieni”.
Mi ha presa per mano e ci siamo spostati in un’altra sala. Alcune sedie davanti ad uno schermo piatto. Una proiezione del primo allunaggio. Mi ha fatto pensare al documentario nella stanza di albergo. Lui deve aver pensato la stessa cosa. Si è messo a cercare i sigari nella tasca dei jeans, ma quando si è ricordato del divieto di fumo ha tolto velocemente le mani dalle tasche e me le ha appoggiate sul culo.
“Vieni andiamo in camera. Ho un’idea per vedere la Luna più da vicino”
Se mi fossi avvicinata ancora un po’ alla Luna ci sarei andata a sbattere contro. Ho risposto “Ok”. Mi tremavano le gambe, mi stavo eccitando pensando a quando mi aveva fatta inginocchiare. Speravo che la sua idea fosse qualcosa di quel genere. Gli ho fatto scivolare una mano sulla patta, aveva il cazzo durissimo. Non potevo sbagliarmi.
“Ti ho raccontato un sacco di bugie”
“E io ci ho creduto?”
“Si, quasi sempre”
“E allora perché ti preoccupi?”
Mentre ci dirigevamo verso la cabina abbiamo sbirciato di nuovo nella piscina delle orche. Lo spettacolo si era già chiuso, il tizio della cucina era tornato a dare un ultimo saluto a DiDi prima di ritirarsi a sua volta. Potevamo sentire le sue pinne agitarsi nell’acqua, il cuoco le stava parlando sottovoce. C. A. non sembrava affatto preoccupato per il gangster in fuga era molto sicuro del suo sistema di allarme. Mi ha legata al letto prima di scoparmi in silenzio. A volte mi faceva ridere per il suo modo di leccarmela, ma la cosa che mi sembrava più insolita erano le sue mani. Erano incredibilmente calde e ruvide, me l’ha stretta forte prima di venirmi in bocca. Poi si è addormentato come un sasso. Ho acceso la tv a circuito chiuso della nave. La scelta ricadeva tra un documentario su Nelson Mandela e un porno con una gang-bang. Alla fine, ho scelto Madiba. Stavo quasi per addormentarmi quando la tizia del documentario si è voltata di scatto, sembrava si stesse rivolgendo proprio a me. Ho avuto l’impressione che volesse dirmi qualcosa di molto importante, non riuscivo a capire se fosse parte di un sogno o una specie di allucinazione dovuta alla stanchezza. Ha detto: “Alice svegliati. È proprio lui, che cos’altro dobbiamo fare per fartelo capire?”. Sullo schermo è passata una scritta in sovraimpressione: Fallen from the stars. Dopo sono piombata in un sonno profondo. Ho sognato C. A. mi fissava senza dire niente sotto la luce delle stelle. Potevo distinguere la Via Lattea e le costellazioni che avevo visto nel Planetarium. Frank Sinatra stava cantando That’s Life in sottofondo. Lui ha disteso improvvisamente le braccia. Mi sentivo come se il mio corpo stesse precipitando da una grande altezza. Poi mi sono vista cadere al rallentatore dal cielo. Sono finita proprio tra le sue braccia. A quel punto mi sono svegliata di colpo. La cosa più terrificante era che nel sogno indossavo un abito da sposa bianco.
“Che cavolo sta succedendo? Cosa sono queste grida?”
“Il nostro amico deve aver perso la testa”
“E adesso? Che fine hanno fatto le tue sentinelle?”
“E’ quello che voglio scoprire”.
Si stava già rivestendo. Sono saltata giù dal letto a cercare i vestiti. Ha spalancato la porta della cabina quando ancora non mi ero allacciata il reggiseno. Poi si è messo a muggire come un toro infuriato.
“Ma che cazzo, muoviti!”.
Si è messo una mano su un fianco e con l’altra si è coperto gli occhi.
“Aspetta! Ci servono quelle”.
Prima che perdesse completamente la pazienza mi sono lanciata verso la 9 mm e l’ho caricata. Sembrava scettico, io comunque non gli ho dato retta. Ho messo il secondo caricatore in una delle tasche dei jeans. Gli ho lanciato la Magnum, lui però non si è mosso. È rimbalzata sul suo petto ed è caduta a terra.
“Ma che cazzo! Prendila!”
“Prendila tu, io che me ne faccio?”. Si è diretto verso il boccaporto in fondo al corridoio. Uno di quei portelloni di acciaio che si vedono sempre sulle navi.
“E se fosse armato? Come pensi di cavartela?”.
Ha tirato a sé il portellone scardinandolo come se niente fosse, poi lo ha appoggiato delicatamente da una parte.
“Ma sbrigati”.
Oltre la porta abbiamo trovato due hostess in lacrime. Si erano rannicchiate sul pavimento cercando di consolarsi a vicenda. C. A. mi ha guardata perplesso, io sono andata da loro, volevo farle parlare.
“Allora?”
“Quel tizio…ha preso una delle ragazze in ostaggio, sta minacciando di dirottare la nave”
“E dove…”.
Non ho fatto in tempo a finire la frase, altri strilli seguiti da alcuni colpi di arma da fuoco.
“Che cazzo di fine hanno fatto le tue vipere?”.
Lui si è girato verso le due hostess.
“Avete un’infermeria sulla nave?”
“Si, è da lì che si sono sentiti i primi colpi”
“Quello stronzo si è procurato dell’altro siero”
“Ma che cavolo ci fa del siero antivipera su una nave?”
“Magari ne tengono un po’ per i gangster in fuga. Adesso pensiamo a riprenderlo”.
Abbiamo lasciato le due ragazze in lacrime per proseguire verso la direzione da cui provenivano le grida. Le persone all'interno di uno dei ristoranti della nave ci sono venute addosso tutte insieme, correndo fuori dalla sala. C. A si faceva largo cercando di scansarli con un braccio, sembrava ci fosse qualcosa sotto la manica del suo giubbotto. Come se qualcosa si stesse muovendo nascosto lì sotto. Io gli stavo dietro impugnando entrambe le pistole, avevo tolto la sicura poco prima. Appena siamo entrati nella sala da pranzo il nostro amico ha aperto il fuoco. I colpi ci sono passati vicinissimi andando a vuoto. C. A. si è scansato per un pelo e mi ha tirata indietro afferrandomi per il colletto della camicia. Ho urlato: “Cazzo! Fanculo!”. Sentivo il cuore battere a mille, mi sono piegata in avanti appoggiando le mani alle ginocchia per riprendere fiato, poi mi sono liberata dalla stretta di C. A. affacciandomi di nuovo sul salone. Ci ho messo meno di un minuto per vuotare i due caricatori. I bicchieri di cristallo ancora sui tavoli sono andati in frantumi alzando una pioggia di frammenti. Alcuni dei proiettili sono andati a piantarsi nei quadri appesi alle pareti. Sentivo una pioggia di bossoli tintinnare, mentre cadeva sul pavimento di ceramica nera. Ho centrato in pieno una riproduzione di una nave d’epoca con la Magnum. Sullo scafo disegnato si è aperta una voragine nera. Il quadro subito dopo si è inclinato da una parte come se il vascello avesse cominciato ad affondare.
“Ma non ci sei andata neanche vicina!”
“E perché non ci provi tu invece di brontolare sempre! Stronzo!”.
C. A. mi ha tolto la Magnum dalle mani e ha infilato nel calcio il secondo caricatore. Poi ha fatto fuoco una sola volta verso la parete di fronte a noi senza distogliere lo sguardo dai miei occhi. Il gangster nell’altra stanza ha urlato dal dolore e si è messo a correre nella direzione opposta facendo fuoco un’altra volta. Dopo mi ha rimesso in mano la Magnum.
“Visto? Non era difficile”. Si è diretto verso il muro al fondo della sala da pranzo, passando di fianco ai tavoli ha preso uno dei calici rimasti interi, lo ha riempito di spumante e se l’è scolato tutto d’un fiato. Al fondo della stanza ha battuto i pugni contro la parete. È andata in pezzi crollando sull’altro lato, come se fosse stata di cartone.
“C’è un piccolo imprevisto”
“Cosa?”.
Quel bastardo era rimasto sotto le macerie con le gambe. Però aveva fatto in tempo a prendere un ostaggio, una donna tra i passeggeri. Le teneva la pistola puntata alla tempia. Lei cercava di divincolarsi piangendo.
“State indietro o l’ammazzo! Le faccio saltare la testa! Brutti stronzi!”
“Ma che cazzo...”.
C. A. si è mosso verso di lui come se non avesse la minima intenzione di dargli retta. Ho cercato di fermarlo.
“Non fare mosse avventate, rischi di farla ammazzare”
“Ma che cazzata”
“Ti dico che stai correndo un grosso rischio, non farlo”
“Allora, se solo avessi visto qualche film decente sapresti che in queste situazioni la pistola è sempre scarica. È ovvio che è scarica, altrimenti avrebbe sparato a me per prima cosa”
“Non puoi saperlo”
Il gangster a quel punto si è messo a strillare più forte, C. A. gli aveva persino voltato le spalle.
“La faccio fuori! Brutti stronzi!”
“Stai zitto tu!”.
Poi è tornato a rivolgersi a me.
“Ti dico che è scarica, ma perché rompi sempre? Se ti dico una cosa con questa sicurezza vuol dire che è vero! Come quando eravamo sull’aereo, mi sono allontanato solo per un attimo. Ti avevo lasciato anche un regalo per andarti a divertire un po’ con qualcuno degli altri passeggeri e tu sei rimasta lì con il tuo arancio del cazzo”.
Il gangster si stava innervosendo sempre di più, si sentiva completamente ignorato. A quel punto ho iniziato a dubitare che C. A. potesse avere ragione, ma non volevo dargliela vinta.
“Non puoi saperlo, cerca di essere razionale per una volta! Non è possibile lavorare con te! Ti comporti sempre in questa maniera...in questa maniera...”
"Quale maniera? Parla!"
"Da stronzo!"
“È scarica ti dico, guarda!”.
Si è voltato di scatto verso il tizio con l’ostaggio e gli ha dato uno schiaffo.
“Hai visto? Che ti dicevo? Se fosse carica le avrebbe sparato a questo punto. Non ti sembra un ragionamento abbastanza razionale? È scarica, e questo è solo uno stronzo”.
Lui si è messo a strillare più forte e ha alzato il cane del revolver calibro 38 che stringeva tra le mani, probabilmente sottratto in qualche modo a qualcuno dell’equipaggio.
C. A. si è voltato di scatto verso di lui, il suo movimento è stato così rapido da non lasciargli nemmeno il tempo di pensare, gli ha tolto la pistola dalle mani muovendosi velocemente come uno dei serpenti che si portava in giro tatuati sulla schiena. Il tizio è rimasto con la bocca spalancata, subito dopo sono comparsi due enormi lacrimoni sui suoi occhi, non riusciva a crederci, ancora non si era reso conto di quello che fosse successo.
“Visto?”. C. A. ha alzato la canna della pistola verso l’alto e ha premuto il grilletto. Ovviamente la pistola ha fatto fuoco. Era carica.
“Sei un pazzo bastardo! Te l’avevo detto! Hai rischiato di farla ammazzare”
“Ma perché la fai tanto lunga ha funzionato o no? Mi serviva un diversivo. Sapresti anche questo se guardassi ogni tanto dei film decenti”
“Sei pazzo! Basta adesso!”.
Purtroppo, però ci siamo lasciati prendere anche noi alla sprovvista. Mentre stavo urlando verso C. A. il gangster ne ha approfittato per filarsela.
“Guarda che hai fatto!”
“Ma non è colpa mia. Mi stavi urlando addosso! Lo sai che non capisco più niente quando ti metti a urlare in quel modo”
“Vaffanculo! Bastardo! Adesso come cazzo facciamo! E per poco non facevi ammazzare questa tizia”
“Ti ho detto di non urlare in quel modo! Non riesco a pensare quando fai così!”
Abbiamo aiutato la donna a rimettersi in piedi e gli siamo andati dietro scavalcando i resti del muro. Siamo passati attraverso le cucine. I banconi da lavoro erano tutti a soqquadro, le pentole sparpagliate sul pavimento. Dai fornelli arrivavano nuvole di vapore, alcuni erano ancora accesi. Il personale aveva cercato di mettersi in salvo, nascondendosi in rifugi improvvisati nelle dispense. Ci indicavano la direzione appena ci vedevano arrivare. C. A. camminava deciso ondeggiando le braccia avanti e indietro, appena qualcosa gli si parava davanti la sbatteva lontano con la mano. Cercavo di stargli dietro, ma le pistole sembravano sempre più pesanti, dovevo lasciare le braccia tese verso il basso mentre cercavo di non farmi lasciare indietro. Poi abbiamo raggiunto un’altra sala da pranzo. Due dei cuochi erano appoggiati con le spalle al bancone del bar, la sala era deserta, restava soltanto una tavola apparecchiata al centro della stanza, la tovaglia arrivava fino a terra. C. A. si è fermato davanti al tavolo, guardava i due cuochi terrorizzati un uomo e una donna. La tizia era sui cinquanta, corpulenta, capelli biondi ricci. Fissava C. A. cercando di fargli capire qualcosa con lo sguardo. Lui è rimasto per un po’ a guardarla con le mani sui fianchi.
“Allora che accidenti vuoi fare adesso?”.
Mi ha risposto mettendosi l’indice sulle labbra, poi si è avvicinato camminando lentamente verso il tavolo.
“Guarda che bella espressione che ha, deve essere proprio rimasto sorpreso”.
Ha sollevato la tovaglia piano piano, il gangster era nascosto lì sotto, si stava tenendo una mano premuta contro l’orecchio colpito da C. A. con la Magnum.
“La suite da viaggio ti aspetta nella stiva testa di cazzo”.
Lo ha sollevato da terra afferrandolo con una mano per i capelli, lui si è messo a urlare. Uno dei Boa Costrictor di C. A. gli stringeva le ginocchia. Ogni volta che provava a parlare le spire dell’enorme boa si stringevano un altro po’. Lo teneva in modo che gli ostaggi non potessero vederlo, quando i due cuochi si sono avvicinati, sicuri che il pericolo fosse passato, si è ritirato velocemente sotto la manica del giubbotto di pelle di C. A. A quel punto ha lasciato cadere a terra il gangster. Dopo sono arrivati gli altri e il personale della nave. Era un gran casino. La nave avrebbe avvicinato all’alba la guardia costiera, la polizia sarebbe salita a bordo. C. A. aveva fatto credere a tutti che fossimo due agenti in borghese impegnati in una missione sotto copertura, per trasportare un pericoloso detenuto. Non avevamo documenti, non avevamo nessuna prova, non avevamo un cazzo. Eppure, era riuscito a farglielo credere. Il suo sguardo era più convincente del Dottor Dolittle. Prima o poi si sarebbe messo a cantare Like Animals, ne ero più che convinta. Aveva tirato fuori le manette usate a letto con me e si era portato via il gangster. Almeno fino all’alba ci avrebbero lasciati andare. Non avevo idea di come ne saremmo usciti.
“Cosa credi che accadrà quando la polizia troverà le granate e capirà che non siamo sbirri?”
“Non troveranno un bel niente. Saremo fuori di qui prima dell’alba”
“E come cazzo facciamo a lasciare questo posto?”
“Non ne ho la più pallida idea”
“Cosa? Ma che cazzo dici? E allora cosa succederà all’alba? Non voglio finire dentro. Soprattutto non in un posto come questo”
“Devi stare calma. Qualcosa succederà. Di questo ne sono più che sicuro”
“Non sto calma per niente, mi hai trascinata tu in questa storia, ora devi tirarmene fuori”.
Si è buttato sul letto con le braccia dietro la nuca, sembrava davvero convinto di quello che stava dicendo. Ho provato ad insistere, ma è stato tutto inutile. Mi ha lanciato una moneta e mi ha fatto segno di avvicinarmi con l’indice.
“Ne usciremo, puoi starne certa”
“Tanto non attacca, non è il momento di mettersi a scopare. Abbiamo di nuovo lasciato solo quel tizio, dopo quello che è successo”
"Ma è nella stiva"
"Scordatelo"
“Invece è proprio questo il momento, se pensi che domani finirai in carcere potrebbe essere la cosa migliore da fare”
“Cerca di usare il cervello per una volta, ci arresteranno”
“Non lo faranno”
“Invece si!”
“Invece no!”.
Si è messo seduto sul letto e mi ha preso le mani. Mi ha tirata a sé facendomi cadere sul letto. Le sue labbra sul collo stavano spazzando via la tensione di quelle ore. Ho sentito le sue mani scivolare sotto la camicetta, la pelle bruciava, le tempie si sono messe a pulsare. Mi ha girata a pancia sotto e mi ha scopata nel culo. Lo sentivo caldo e durissimo dentro di me. Sentirlo così eccitato mi provocava delle scariche fortissime di piacere, ho sognato di vedere la scena al di fuori del mio corpo. Qualcuno aveva lasciato un mazzo di margherite sul bordo del letto. Le vedevo brillare nel loro candore sotto la luce blu della notte, quando le prime gocce di pioggia hanno cominciato a scendere posandosi sul vetro dell’oblò. Scivolavano lentamente come i miei sensi in un piacevole oblio. I nostri corpi si intrecciavano sul letto offuscati dall’oscurità. Dopo ho visto C. A. sotto una pioggia torrenziale blu, le gocce di pioggia cadevano a terra al rallentatore, lasciavano una scia scura sulla pelle. Lui indossava uno strano elmo, lunghe ali nere chiuse su di me. Un corvo si è posato sulla sua spalla mentre mi abbracciava. Sentivo una musica dolcissima e malinconica, non riuscivo a ricordare il titolo. Un pezzo degli Eagles forse. Non riuscivo a ricordare niente.
Poi l’altoparlante della nave ci ha svegliati nel cuore della notte, le parole pronunciate dalla hostess in tutte le lingue mi hanno fatto gelare il sangue nelle vene.
“Le Soleil sta affondando”.
Continua...
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