Midnight Special (finger on the love)

di
genere
pulp

C. A. e i suoi amici erano sulla spiaggia, lui si era sdraiato sul giubbotto di pelle aperto sulla sabbia. Aveva un braccio piegato sul viso per coprirsi gli occhi e l’altra mano in mezzo alle gambe. Mi sono avvicinata per sdraiarmi di fianco a lui, ma appena è stato in grado di raggiungermi mi ha afferrato una caviglia facendomi inciampare. Ha slacciato il reggiseno del bikini, girandomi al contrario sopra di lui.
“Allora la Brewdog piace anche a te”
“Cosa? Senti non credo che questa sia una spiaggia per nudisti”.
Non ha ascoltato neanche per un secondo, aveva già sfilato anche gli slip per leccarmi. Mentre facevamo l’amore ho aperto gli occhi per qualche secondo, le onde del mare sembravano vicinissime. Riuscivo a distinguere le alghe verdi appena sotto la superficie dell’acqua. Un traghetto ha attraversato la linea dell’orizzonte lentamente. Lo scafo era solcato da macchie di ruggine coperte di melma. Ho ripensato al modo in cui ci eravamo conosciuti, era ovvio che nel suo modo di fare c’era di più della semplice voglia di sesso occasionale. Mi ha accarezzato la passera muovendo la lingua dentro. Stava decisamente toccando tutti i punti giusti, come se fosse stato in grado di leggermi nel pensiero. Provocava scariche di piacere continue. In quel momento mi è sembrato ovvio, anche se mi sono resa conto del vero motivo solo quando è successo tutto il resto. Improvvisamente ero in grado di decifrare la realtà con precisione, un cubo di rubik che si risolve da solo, di punto in bianco. Siamo andati a fare il bagno e siamo tornati nell’appartamento. Nel pieno pomeriggio il caldo sulla spiaggia era insopportabile, siamo tornati all’appartamento e ci siamo addormentati nudi sul pavimento. Le sue amiche erano in mezzo ai tre ragazzi conosciuti sulla spiaggia. Ho sognato un’isola tropicale stupenda. Un gigantesco tornado sovrastava una delle estremità della mezzaluna di sabbia immersa in una foresta rigogliosa. Sentivo rimbombare gli altoparlanti di un cinema al centro del bosco. Le amiche di C. A. mi hanno invitato a giocare a mosca cieca, io però volevo raggiungere il cinema. Sono passata di fianco ai tre ragazzi della spiaggia intenti a fare l’amore sulla riva. Poi ho trovato un selciato nascosto tra i rovi e l’ho seguito. Terminava di fronte ad un enorme Fico profumato. Ho spinto il cancelletto di ferro e sono entrata nella sala. C. A. era nella prima fila, seduto in mezzo a due ragazze nude. Una mangiava popcorn indifferente, l’altra mi ha sorriso appena mi sono seduta vicino a loro. La pelle scurissima e gli occhi di un azzurro intenso. I capelli lunghi, annodati in sottili treccine. Il viso era di una bellezza inconcepibile, sono quasi svenuta per la scossa di piacere che mi ha travolta appena ho incrociato il suo sguardo. Lui mi ha salutata facendo il segno tre con una mano, poi si è acceso un sigaro.
“Eri proprio una bambina graziosa, perché ti eri tagliata i capelli così corti?”. Ha indicato lo schermo con il capo.
“Perché non mi andava che gli altri mi notassero soltanto per il mio aspetto fisico. Però sai, è strano l’ho capito solo ora”.
Si è coperto la bocca con una mano per soffocare una risata.
“Meglio tardi che mai”.
In quel momento ho riaperto gli occhi per un istante. Nel dormiveglia, oltre i corpi nudi intorno a me sono riuscita ad intravedere C. A. attraverso le palpebre socchiuse, si era messo sul divano per mangiare un’anguria. Con un cucchiaio staccava pezzi enormi di polpa dal frutto tagliato a metà appoggiato sulle ginocchia. Quando si è sentito osservato ha alzato gli occhi verso di me e mi ha sorriso con la bocca piena, cercando di non sgocciolare a terra con il succo. Ha spostato gli occhiali da sole sulla testa con un dito e ha detto: “Gnam!”. Poi ha ruttato e si è riabbassato gli occhiali ricominciando a mangiare.
Marina era sulla pedana di lancio. La testa piegata in avanti, il viso nascosto sotto l’elmetto. Mi ero seduta in braccio alla donna con le treccine, le stavo accarezzando il seno tenendo lo sguardo fisso sullo schermo. Ho cercato di sbirciare verso il seggiolino di Marina, mangiava popcorn indifferente. Il sale, intrappolato sulle sue labbra dal rossetto rosso fuoco, brillava sotto la luce tremolante del cinema all’aperto. Niente audio, soltanto gli ZZ Top, Gimme All Your Lovin'. Sono tornata allo schermo, in quel momento lei ha unito le mani in avanti stringendo la palla nel guantone, ha teso le braccia spostando tutto il peso del corpo per lanciare, la palla è passata in primo piano muovendosi al rallentatore. Ho capito che sarebbe uscita dallo schermo una frazione di secondo prima che colpisse in piena fronte C. A. A quel punto Marina ha detto: “Shame”.

Mi sono di nuovo svegliata al centro del salotto, stavano ancora dormendo tutti. La luce all’esterno si stava abbassando lentamente, la temperatura era ancora insopportabile. Un gatto è saltato sul davanzale della finestra e ha inarcato la coda strusciandosi contro le tapparelle abbassate. Volevo uscire a comprarmi le sigarette, ma non ricordavo più dove avessi lasciato i vestiti. Li ho cercati con lo sguardo prima di alzarmi dal tappeto, poi ho deciso di procurarmi l’occorrente sfilando quello che mi capitava sottomano dai corpi degli altri sdraiati sul pavimento. All Star rosa, una maglietta grigia con un tirapugni disegnato sopra, dalla tipa con i capelli biondi a caschetto. Un paio di pantaloncini di Jeans dalla sua amica fissata con le foto, non si era tolta le zeppe neanche nel sonno. La cosa più difficile è stata sfilare a C. A. il giubbotto di pelle con la bandiera americana cucita sulla schiena. Ho tirato una manica, ma lui ha subito afferrato l’altra rigirandosi nel sonno. Ho tirato più forte puntando i piedi contro il divano, lui ha borbottato: “Ma dove era finita tutta quella marijuana”. In compenso ha mollato la presa per girarsi ad abbracciare il culo della bionda. Era decisamente troppo grande, l’ho infilato cercando di non far tintinnare la fibbia. Ho preso gli occhiali scuri con la montatura verde dalla fronte di uno dei ragazzi gay e sono uscita. Sulle scale ho incrociato due ragazze, una indossava un vestito nero sopra il ginocchio, quasi trasparente. L’altra era in jeans e maglietta, occhiali a specchio e capelli sciolti sulla schiena. Per qualche motivo ero sicura che si stessero dirigendo nell’appartamento di C. A. e dei suoi amici. Ho soffocato l’impulso di tornare indietro con la voglia di fumare, una volta in cima alle scale la ragazza con gli occhiali a specchio si è fermata per inspirare profondamente. L’altra le stava palpando il culo, non faceva che tormentarsi il labbro superiore. Dopo ha detto: “Che buon profumo di fica”, e ha suonato il campanello.
Non mi ci è voluto molto per trovare una tabaccheria sul lungo mare. Nonostante il periodo dell’anno non era particolarmente affollato, la maggior parte della gente si era rifugiata nei bar o nei dehor con l’aria condizionata. Una ragazza in pantaloncini e canottiera stava correndo sulla rampa proprio lungo la spiaggia, occhiali da sole, auricolari per la musica e una fascia elastica verde e azzurra sulla fronte. Quando mi ha superata ho notato che non portava il reggiseno. Aveva i capezzoli eretti, perfettamente visibili sotto la maglietta sudata. Mi è sembrato divertente, ma sul momento non ci ho badato. Sono passata oltre un chiosco dei gelati e mi sono infilata nel negozio. C’era qualcosa che mi sfuggiva della tizia nel chiosco, ero sicura avesse addosso soltanto il grembiulino della gelateria e la visiera con un cono gelato rosa sorridente, stampato sopra. Ho messo una banconota sul bancone aspettando che qualcuno si accorgesse di me. Stavo per sbirciare nel retro per richiamare l’attenzione del proprietario, ma proprio in quel momento una ragazza con due seni enormi è uscita dalla porta di fianco ai souvenir. Si è passata l’indice sulle labbra prima di chiedermi quale marca di sigarette volessi. Il liquido che cercava di asciugarsi dalle labbra mi sembrava familiare, anche l’odore che aveva addosso era inconfondibile.
“Cosa ti do?”.
Sono rimasta a guardare le sue tette enormi sotto la maglietta bianca quasi trasparente, anche lei niente sotto.
“Lu…cky…”.
La sua bocca si è storta in una specie di sorriso, poi ha fatto il giro del bancone ed è passata dalla mia parte.
“Strike…”.
Dalla vita in giù non portava niente, soltanto un paio di scarpe nere aperte, con i tacchi altissimi. Mi ha infilato due dita nei jeans e mi ha trascinato sul retro. Avevano steso un materasso matrimoniale sul pavimento, una bottiglia di vodka iniziata, uno spinello acceso in un portacenere di vetro rosa trasparente e il guscio di una noce di cocco tagliato a metà, pieno zeppo di marijuana. Il fumo denso mi ha quasi stordito, sono andata verso i due tizi nudi, intenti a massaggiarsi il cazzo durissimo sul pavimento, senza fare domande.
“Sai è strano. Questo pomeriggio mi sono addormentata sul divano durante la pausa pranzo. Quando mi sono svegliata morivo dalla voglia di scopare. È stato più forte di me, per fortuna appena ho aperto mi sono trovata davanti questi due bei cazzoni”
“Sono d’accordo con te, è stata davvero una bella fortuna”.
Mi sono piegata in avanti e ho cominciato a succhiarne uno, l’altro ha messo due dita nella fica della tipa e me l’ha spinto dentro nel culo. Lei si è sdraiata sotto di me, per leccarmi, incrociando le gambe con il ragazzo che stavo spompinando.
“Non dirlo a nessuno però, non vorrei che ti facessi strane idee”.
Prima che potessi dire qualcosa abbiamo sentito il campanello della porta, dopo qualche minuto la voce di una ragazza ha cercato di richiamare l’attenzione della proprietaria. Lei si è sfilata delicatamente ed è passata al negozio, afferrando i vestiti al volo. Mi aspettavo di sentire il campanello della porta prima di vederla tornare. Invece si è affacciata dall’altra stanza. Una ragazza sui venticinque la teneva per mano. Aveva addosso una camicetta di raso color crema, con un fiocco sul petto e dei pantaloni eleganti verde pistacchio.
“Lei è Alice”
“Gnam”.
Le ha slacciato il fiocco, infilandole la mano nella camicetta, lei ha chiuso gli occhi e si è lasciata baciare. Le loro lingue si sono intrecciate come serpenti, mentre le mani scivolavano lungo tutto il corpo. Poi sono venute tra noi. Ho preso Alice tra le braccia e ho cominciato a leccarle la fica. Aveva un buon profumo di muschio, capelli rossi, lunghi e lucenti. I due ragazzi l’hanno penetrata a turno, mentre le leccavo la passera, la sentivo venire in continuazione. Durante l’amplesso ho aperto gli occhi per qualche secondo. Il misterioso televisore era riapparso su uno degli scaffali del negozio. La ragazza era ancora sulla sua poltrona. Ai lati della bocca erano comparse due lunghe cicatrici rivolte verso il basso. Le sue guance bianchissime solcate dalle lacrime mi hanno riaccompagnato nel sogno.

“Dove hai incontrato la ragazza con i capelli rossi seduta vicino a Lucy?”
“L’ho conosciuta per caso, questo pomeriggio. Perché?”
“Hai mai sentito parlare dell’esplosione dell’Anak Krakatau?”.
Lei si è voltata e mi ha sorriso, visibilmente in imbarazzo.
“Alice”.
Uno strano sfrigolio accompagnato dall’odore di zolfo bruciato ha interrotto la conversazione. Quando ho abbassato lo sguardo mi sono accorto di un candelotto di dinamite acceso sulla pancia. Sopra c’era scritto Tiegirrrls. Un’altra ragazza seduta nella prima fila mi ha guardato incuriosita, poi ha inarcato un sopracciglio. Sullo schermo Marina si stava preparando al secondo lancio. La canzone degli ZZ Top era cambiata: La Grange.
“Cazzo”.

Sono tornata all’appartamento insieme ad Alice convinta che l’avrei trovato di nuovo deserto, invece mi sbagliavo. C. A. era sveglio, stava preparando la macedonia in cucina. Si era infilato i jeans e gli anfibi, ma era rimasto a petto nudo. Sulla schiena aveva un enorme tatuaggio. Partiva dal centro delle scapole e ricopriva quasi tutto il busto. La testa della Medusa, gli occhi chiusi e la bocca spalancata in una smorfia di disperazione. La criniera di serpenti arrivava fino alle ascelle. Sul collo aveva altri due grossi serpenti intrecciati tra loro. Si è voltato per salutarmi, un sigaro acceso a un lato della bocca e gli immancabili occhiali scuri Route 66.
Banane, fragole, anguria, melone e kiwi. Zucchero e succo di limone, poi ha cercato qualcosa per sfumare. Nel caos sul piano di lavoro ha trovato una bottiglia di vodka con l’etichetta azzurra e grigia. L’ha tappata con il pollice e ha cominciato a spruzzarla sulla macedonia.
“E tu come hai imparato a saltare sui frattali?”.
Mi aspettavo che la ragazza conosciuta in tabaccheria cascasse dalle nuvole, invece ha risposto con sicurezza.
“Lo sai come ho fatto. Sei tu. M’inganno? Sogno? Veglio? Delirio?”.
Intanto lui stava continuando ad annaffiare la macedonia con la vodka, ero sicura che fosse a un passo dal renderla immangiabile con tutto il liquore che ci stava versando sopra. La sua amica bionda si è avvicinata alle sue spalle e gli ha passato le braccia intorno ai fianchi.
“Mettine un po’ anche qui”.
Gli ha spostato la bottiglia con una mano, l’latra stava frugando nei suoi jeans. Lui ha spruzzato di vodka anche il piano di lavoro, intorno al recipiente di vetro in cui aveva affettato la frutta, poi ha continuato con il corpo nudo della bionda. Non mi sbagliavo, la tizia con gli occhiali a specchio e la sua amica erano dirette proprio all’appartamento di C. A. Mi sono accorta di loro solo dopo che la tipa con gli occhiali a specchio ha cercato di attirare la mia attenzione facendo: “Psss…psss…”. Era seduta nuda al centro del divano, le gambe accavallate e le braccia distese sullo schienale. Quando mi sono voltata verso di lei, mi ha fatto segno di avvicinarmi con l’indice, poi ha aperto le gambe. Fica rasata e un enorme tatuaggio sulla pancia. La testa di una tigre rosa. La sua amica era inginocchiata in mezzo a due dei ragazzi gay, gli stava succhiando il cazzo. Il terzo ragazzo è uscito dal bagno, asciugandosi i capelli, seguito da un gradevole profumo di acqua marina. Si è avvicinato a C. A. ancora intento a versare la vodka sulla ragazza abbracciata a lui. Gli ha messo le mani sui fianchi lo ha baciato sul collo, salendo lentamente verso la bocca. In quel momento la mia fica è esplosa, mi è passata davanti agli occhi l’immagine di una diga travolta dalla piena di un fiume.
“Fammelo succhiare”
“Scordatelo, frocio”
“Stronzo”.
Alla fine, ha ceduto e si è unito agli altri due sul tappeto. La ragazza con gli occhiali a specchio si era sdraiata sulla pancia, stava agitando le gambe avanti e indietro, intanto Alice si era liberata dei vestiti. Nel tentativo di sbottonare i jeans di C. A. per succhiargli il cazzo ha rovesciato la macedonia. Lui ne ha raccolta un po’ dal piano di lavoro e l’ha posata sulla sua pancia, dopo averla fatta sdraiare a terra. Poi ha detto: “Mi mancava giusto la cannella”.
Sono andata dalla ragazza sul divano, aveva un tatuaggio anche sulla schiena, una scritta: “Scoprpion Flower”. Le sono salita sopra a cavalcioni, cercando le parole adatte per farle capire che avevo voglia di fare l’amore, ma non ne ho avuto bisogno, lei mi ha anticipato.
“Gnam”.
Appena mi ha infilato dentro la lingua sono tornata sull’isola tropicale. C’eravamo tutti, anche la ragazza nera con le treccine con cui avevo fatto l’amore la prima volta. C. A. fumava il suo sigaro seduto di fianco a lei.
“Adesso hai capito?”
“Non lo so. Però è successa una cosa strana, da quando porto questo medaglione mi sembra di vedere tutto sotto un’altra prospettiva. Tornando all’appartamento questo pomeriggio ho fatto sesso con degli estranei. Non mi era mai capitato. Almeno, non in questo modo. Quando li ho incontrati, ho semplicemente desiderato farlo. Allo stesso tempo sapevo che niente me lo avrebbe impedito. Come se una vocina nella testa mi avesse spinto a farlo. Non so se capisci cosa intendo, sapevo che era la cosa giusta da fare”
“Cosa diceva la vocina?”
“La cosa più stupida che mi potesse venire in mente”
“Cioè?”
“Gnam”
“Come ti ha fatto sentire?”
“Non lo so, è difficile da spiegare. Forse lo avrai capito, ma non sono esattamente il tipo che si potrebbe definire sicuro di sé”
“Allora?”
“Non ho provato nessuna vergogna. Neanche per un secondo. È stato incredibilmente piacevole”.
La tipa con le treccine lo ha guardato preoccupata.
“Che cosa intendevi quando hai detto che durante l’ultima consegna ti è venuta un’idea?”
“Ma niente. Perché? Niente, ho solo aggiunto un piccolo contributo personale”.
Lei ha strabuzzato gli occhi, poi si è coperta il viso con una mano. Con l’altra ha sollevato una carta da gioco, tenendola con due dita: Jocker. La ragazza con gli occhiali a specchio sembrava d’accordo con lei.
“Visto? L’ho sempre detto io che è un gran coglione”. Lui si è difeso.
“Ma sentite un po’, se piace a tutti che male c’è? È solo una specie di messaggio in codice per riconoscersi in fondo, un segnale, una parola d’ordine…”.
Stava ancora parlando quando sullo schermo è tornata la ragazza con la divisa da baseball. Nel cinema rimbombava una canzone degli ZZ Top a tutto volume: Sharp dressed man. Si è preparata a lanciare di nuovo. La palla è diventata sempre più grande, prima che oltrepassasse il limite puntando dritta verso la testa di C. A. sono riuscita a leggere la scritta Tiegirrrls 666 mentre roteava al rallentatore. Gli altri spettatori nel cinema hanno inforcato un paio di occhiali tre D con la bandiera americana, poi hanno detto tutti insieme:
“Strike!”.

Qualche giorno dopo ho fatto un esperimento, sono di nuovo uscita senza occhiali. Ho lasciato a casa anche il medaglione, nebbia assoluta. Per prima cosa ho sbagliato autobus e sono arrivata in ritardo a lezione. Al lavoro non sono riuscita a trovare il badge per timbrare l’inizio del turno e ho tardato anche lì. Quando sono uscita ho avuto la tentazione di prendere un taxi, ma alla fine mi sono decisa per l’autobus. Ho sbagliato linea un’altra volta. Sono tornata a casa esausta. Nessun fatto strano. La mattina seguente ho messo al collo il medaglione. Sull’autobus mi sono seduta in fondo, era pieno, ho trovato un posto per miracolo. Di fianco a me c’era una tizia, un vestito nero, smalto rosso. I capelli lunghi e lisci. Sono rimasta a fissarla per qualche minuto, non riuscivo a vedere il viso, era nascosto dai capelli. Qualcosa nel suo aspetto mi ha quasi ipnotizzato. Ero in grado di distinguere perfettamente le fibre del tessuto con cui era fatto il suo vestito. Le ho guardato le mani, la pelle tesa e morbida. Sul mento una leggera peluria trasparente, le venature sulle labbra coperte di rossetto. Sentivo una piacevole sensazione diffondersi tra le tempie. È scesa senza degnarmi di uno sguardo prima che avessi il tempo di immaginarmela senza vestiti. Subito dopo un gruppo di ragazzi mi ha circondato, uno di loro ha preso il posto della donna con i capelli lisci. Non ho mai alzato lo sguardo verso di loro per vederli in viso. La situazione si è ripetuta anche con loro, sentivo i loro pensieri, avrebbero voluto scoparmi li sull’autobus, strapparmi i vestiti e mettermelo in bocca. Avevano tutti le mani nelle tasche dei jeans, ad un certo punto hanno tirato fuori l’indice e il pollice. L’indice disteso, sembrava stessero mimando la lettera L con le dita. A quel punto ho ripreso ad immaginare la scena di sesso sul pullman. Uno di loro aveva il cazzo durissimo, riuscivo a vedere chiaramente la sagoma, appena sotto le tasche. Mi sono alzata e sono scesa anche se non era la mia fermata. Mancavano soltanto due isolati all’università, ormai ero decisa a farli a piedi, in fondo era ancora presto. Stavo per accendermi una sigaretta, ma una macchina parcheggiata al bordo del marciapiede ha attirato la mia attenzione. Un grosso SUV nero con i vetri oscurati e la targa svizzera. Lo sportello si è aperto proprio quando le sono passato di fianco, non sono riuscita a vedere al suo interno però, l’immagine di un serpente a sonagli si è sovrapposta a quella del SUV. Agitava la coda, acciambellato sulla sabbia del deserto. Il cielo azzurro è stato solcato da una miriade di fulmini, poi l’immagine è scomparsa. All’interno dell’auto c’era una donna con i capelli neri, scompigliati davanti agli occhi, rossetto nero e carnagione bianchissima, quasi cadaverica. La luce del sole si fermava appena prima delle sue gambe nude accavallate. Una tizia con i capelli rossi e una tempia rasata mi ha afferrato spingendomi verso il SUV, le sue dita si sono strette intorno al braccio proprio come le spire di un serpente. Ho cercato di opporre resistenza appoggiando una mano al tetto della macchina, lei mi ha lasciata andare e si è spostata da un lato. A quel punto la donna al suo interno ha aperto le gambe scoprendo la fica rasata, si è allargata la fica con due dita, poi mi ha fissato senza parlare. Ho superato il panico e sono salita. La tizia con i capelli rossi è salita dietro di me, chiudendo lo sportello. Si è presa le mie gambe sulle ginocchia e mi ha fatto sdraiare sul sedile. Ho istintivamente appoggiato la testa sulla pancia dell’altra, mi hanno aperto i jeans e sollevato la maglietta passandomi le mani ovunque. La tipa con i capelli rossi mi ha messo il pollice sulla fica e ha infilato dentro le altre dita. Morivo dalla voglia di leccargliela. Abbiamo impiegato circa mezz’ora per raggiungere la destinazione. Mi hanno fatta scendere davanti ad un garage seminterrato, la donna con il vestito nero è rimasta in macchina, l’altra è scesa con me. Mi hanno bendata e incappucciata, poi mi hanno fatta spogliare in mezzo alla strada. La ragazza con i capelli rossi mi ha chiuso i polsi in un paio di manette e mi ha fatto mettere un collare di cuoio a cui ha agganciato una catena. Il SUV è ripartito imboccando il seminterrato, il suono del motore si è allontanato verso il garage. L’altra donna mi ha trascinato strattonando il guinzaglio nella stessa direzione. Avevo la fica fradicia, le guance stavano andando a fuoco. Sentivo i passanti sfrecciarmi a fianco, alcuni si lasciavano andare a commenti sprezzanti, a bassa voce. Altri semplicemente mi superavano accelerando il passo. Vedevo i loro sguardi inorriditi, gli occhi che scorrevano sul mio corpo completamente nudo. La tizia che stringeva il guinzaglio si è fermata sull’ingresso per togliermi il cappuccio, poi ha continuato verso la discesa di cemento. Ero terribilmente eccitata, sono quasi venuta. All’interno del garage si sentiva un forte odore di umidità e muffa, ricordava l’odore di un cane bagnato. Mi hanno fatta sdraiare su una panca da palestra, la tizia con il vestito nero ha stretto delle pinzette sui capezzoli, dopo mi ha ammanettato anche le caviglie. Hanno messo un vibratore sulla fica, fissandolo con del nastro adesivo, poi ho cominciato a succhiare cazzi.

- Hai notato come la luce del sole sia diventata più intensa ultimamente? È insopportabile, non riesco più ad uscire in pieno giorno. Natasha –
- Succede tutti gli anni, non hai niente di cui preoccuparti. C. A. –
- Ti sbagli, non mi era mai capitato. Mi fa saltare i nervi, non lo sopporto. Natasha –
- Succede tutte le volte, è la solita storia. Sei tu che non riesci a ricordarlo. C. A. –
- È strano. Stavo pensando la stessa cosa, ma non riesco davvero a ricordare niente di simile. È come quella sensazione che si prova a volte…come è che si chiama? Quando hai la sensazione di rivivere qualcosa del passato. Natasha –
- Ho portato la chiave per le parabole.
Lucy però non ne ha voluto sapere dei varchi nella recinzione. C. A. –
- Sei entrato dentro? Natasha –
- No, mi sono fermato sull’ingresso. Sembrava un bel posto. C. A. –
- Ti ho visto nel sogno. Mi hai mandato tu la coccinella? Era come guardare attraverso l’acqua di una cascata. Natasha –
- Come ti è sembrata la ragazza? C. A. –
- Buona. Natasha –
- Idiota. C. A. –

Dopo essere stata nel garage ho sognato ancora l’isola tropicale. I tre ragazzi gay erano nel cinema seduti vicino a C. A. Uno gli teneva una mano nei jeans, lo fissava con la bocca socchiusa, lui invece era completamente indifferente. Guardava il film fumando il sigaro. Quando quello si è piegato in avanti per fargli un pompino, lo ha spinto indietro con l’indice e gli ha soffiato il fumo in faccia. L’altro allora si è piegato sui suoi amici e si è messo a succhiarglielo. Mi sono seduta in mezzo a loro.
“Michael Cimino. Non fanno più film come questi”
“Perché non ti unisci a loro?”
“A quei froci? Ma vorrai scherzare”
“Allora perché gli hai lasciato tenere la mano nei jeans”.
Ci siamo voltati verso i tre ragazzi, uno di loro si era steso a terra, gli altri due se lo stavano facendo in bocca. Aveva le labbra coperte di sperma, con una mano si stava masturbando mentre li spompinava. Il suo corpo era incredibilmente attraente, muscoloso, ma al tempo stesso ben proporzionato. La pelle bianchissima. Gli altri due gli tenevano il cazzo in bocca contemporaneamente. Non riuscivo a togliere gli occhi dal suo collo mentre si contraeva per ingoiare.
“Una realtà nascosta da un’altra”
“Che significa?”
“Il senso del film. La storia dei ghetti è solo una copertura. Il punto è portarti a pensare a questo. Non si può nascondere la realtà, se ne può raccontare un’altra, ma se tieni gli occhi bene aperti non puoi fare a meno di vedere le cose come stanno”. Mi ha preso un polso e mi ha messo in mano una bambolina, una matrioska.
Alice ha preso posto vicino a lui, approfittando del seggiolino lasciato vuoto dal ragazzo a terra. Era completamente nuda, i suoi capelli emanavano un buonissimo profumo di acqua marina. Le ha messo una mano in mezzo alle gambe, la fica non era completamente rasata. Dopo i titoli di coda sullo schermo è tornata la ragazza dei popcorn. Anche lei era nuda, non aveva più la divisa da baseball. Tra le mani stringeva un flacone di liquido infiammabile. Abbiamo visto la scritta danger! Passare in primo piano mentre versava il liquido verso il basso. Un sorriso malizioso si è allargato sulle sue labbra. Poi ha acceso un fiammifero e lo ha fatto cadere. Le fiamme si sono alzate fino a che la pellicola non si è dissolta, lasciando spazio allo schermo grigio. A quel punto mi hanno portata nel bosco, abbiamo camminato sotto i raggi della luna piena fino a raggiungere le rovine di un oratorio fatiscente. Una tigre gigantesca e una leonessa ci attendevano sull’ingresso. All’interno le rovine erano state invase dalla vegetazione, le pareti erano ricoperte di muffa verde, sotto la luce della luna sembrava assumere le sembianze di un volto femminile, corpi nudi intrecciati tra loro. Gli occhi di una donna si sono aperti nel buio. Non so per quale motivo, ma ero convinta che la leonessa fosse in grado di leggermi nel pensiero. Alice mi ha preso per mano.
“Non avere paura, sono già stata qui. Credevo che non sarei riuscita a continuare, invece poi ce l’ho fatta”.
Oltre il varco ci siamo ritrovati all’interno di un tornado. Le nuvole grigie del tornado roteavano intorno a noi, attraversate da fulmini continui. Al centro c’era una sedia elettrica, due donne aspettavano ai lati. Una indossava una tuta di lattice nera, sul viso portava una maschera a specchio, un calice d’argento decorato con un serpente intento a mordersi la coda tra le mani. L’altra aveva un corsetto bianco e una pallina d’acciaio in bocca, stretta da un cinghietto rosso. Il seno e la fica scoperti. Stivali di pelle sotto il ginocchio, in mano reggeva un mazzo di rose nere. C. A. si è seduto sulla sedia e ha preso Alice sulle ginocchia. La croce rovesciata che portava al collo è diventata incandescente. Lei mi ha guardata tenendosi aggrappata a lui, poi si è distesa sulla sedia. C. A. le ha passato le mani sul corpo, prima di baciarlo. Le ha sollevato le gambe, afferrandola dietro le ginocchia per leccargliela. Le due donne sono venute verso di me, quella con la maschera a specchio ha appoggiato il calice a terra, l’altra ha lasciato cadere i fiori al suo interno. Appena hanno raggiunto il calice si sono incendiati. A quel punto mi hanno messo le mani sui fianchi. Poi hanno detto: “Apocalypse”.




Il caldo infernale mi stava facendo inzuppare la maglietta sotto il giubbotto di pelle. Le macchine d’epoca sono uno spasso, certo però che il condizionatore era stato un bel passo avanti per il progresso tecnologico. Mi sono aggrappato al volante piegandomi in avanti, in modo che l’aria del finestrino riuscisse a farsi strada sotto il giubbotto per spegnere l’incendio sullo schienale. In fin dei conti però, quand’è che possiamo essere davvero sicuri che un qualunque cambiamento abbia portato ad un effettivo progresso. Il suono della turbina in piena pressione mi dava un piacere molto più intenso di qualunque cazzo di condizionatore, di questo ero più che sicuro. Forse era proprio questo il punto, non sempre riusciamo a mettere a fuoco quello che davvero è importante per noi. Kurt Cobain mi ha definitivamente tolto ogni dubbio gracchiando dalla sound-bar: But he knows not what it means. Quando sono passato davanti ad un chiosco di cocomeri ho mollato di colpo l’acceleratore. Ho accostato, poi ho messo la retro, e mi sono fermato proprio davanti al tendone. La polpa rossa delle angurie luccicava sotto il sole rovente, lanciando un richiamo irresistibile come quello delle Sirene.
“Che ti do bello?”.
La tizia del chiosco si è sporta in vanti incrociando le braccia sul bancone. Canottiera senza reggiseno, sui cinquanta. Capelli neri sciolti e una civetta blu tatuata sul collo. Le tette enormi si sono gonfiate quando le ha appoggiate sulle braccia incrociate. I capezzoli le stavano uscendo dal colletto. Le profonde riflessioni filosofiche di qualche secondo prima mi stavano ancora strapazzando i neuroni.
“Sai, è strano. Ci stavo pensando proprio adesso. Mettere a fuoco le cose davvero importanti nella vita è la cosa più difficile che ci sia al mondo”. Ho preso una delle angurie tagliate a metà ancora confuso. Lei si è sporta un altro po’.
“Ma quando?”
“Proprio adesso…”.
Le ho teso l’anguria per farmela impacchettare.
“Quando?”.
Ha infilato due dita nella scollatura e le ha tirate fuori.
“Quelle più mature sono le migliori. Lo sapevi?”.
“Ok, dopo”.
Si è sfilata la maglietta e mi ha trascinato in un furgone ammaccato parcheggiato sul retro. Minigonna di jeans e sandali con le zeppe. Si è seduta sul pianale del furgone con le gambe spalancate. Un gran pezzo di fica, sotto la minigonna non portava niente.
“Davanti e dietro. Prima te lo faccio venire bello duro con la bocca. Vedi di non venire in cinque minuti, voglio divertirmi anch’io. Se resisti fino mettermelo dietro sai il fatto tuo, bel cazzone. È come una seconda fica, vedrai”.

Verso le due del pomeriggio sono arrivate Jenny e Clara. Avevo già preparato l’olio abbronzante vicino ai lettini, una scodella piena di ghiaccio e limone, una bottiglia di rhum, due bottiglie di soda al pompelmo rosa ghiacciate. Rovistando in un armadio avevo anche trovato la mia vecchia radio del liceo. Due casse da 150 watt incastonate in una splendida montatura di plastica rossa. L’ho subito sintonizzata su una stazione di musica anni ’80. Jenny ha posato la sua borsa bianca e nera di fianco ad uno dei lettini e si è alzata gli occhiali a specchio sopra la testa.
“Qui ci sono i giocattoli nuovi”
“E il cazzo?”
“Si è fermato a fare rifornimento sulla strada, adesso arriva”
“Rifornimento di che?”
“Ha detto che per festeggiare l’espansione aziendale ci avrebbe portato un regalo. Chi lo capisce quello”.
Clara si è spogliata completamente, è rimasta soltanto con le scarpe nere aperte e gli occhiali da sole. Ha raccolto il tubo di gomma dell’acqua dal prato, facendoselo passare in mezzo alle gambe prima di sedersi sui talloni. Poi ha girato la valvola, stringendo l’estremità del tubo con due dita.
“Guardate questo. Cosa vi ricorda?”.
Ha rivolto il tubo verso l’alto avvicinandolo alla bocca aperta, con la lingua di fuori. Jenny mi stava spalmando un lubrificante alla frutta sul culo. Dalla borsa aveva tirato fuori una cintura fallica di cuoio nero e un vibratore a impulsi con la testa azzurra.
“Finalmente l’uomo dei miei sogni”
“Non date spettacolo”.
Ha inarcato un sopracciglio ammiccando verso il giardino del vicino. Ormai la siepe era talmente bassa che si poteva vedere dall’altro lato, fino alla veranda del tizio a fianco. Lui fingeva di leggere il giornale sotto un ombrellone, ma dal rigonfiamento dei suoi pantaloncini si capiva benissimo a cosa stesse pensando.
“Rockwell e Michael Jackson, troppo fico. Lo ascoltavo sempre questo pezzo”
“E tu da dove sei entrato?”
“Ho scavalcato la siepe. Visto che ormai era così bassa, ho pensato di fare il giro per farvi una sorpresa”
“E dove sarebbe?”.
Prima di rispondere si è avvicinato a Clara e le ha infilato il cazzo in bocca.
“Aspetta davanti alla porta di ingresso”.
Si è acceso un sigaro dopo aver messo una mano dietro la nuca di Clara per muoverle la testa avanti e indietro. Il vicino intanto era tornato alla carica con la sua motosega. C. A. gli ha rivolto un saluto con la testa mentre Sombody’s watching me lasciava il posto a Just Can’t Get Enough.
“Davvero bella quella motosega quanti cc?”
“25, è nuova. L’altra si è bruciata qualche giorno fa”.
Jenny si è abbassata gli occhiali a specchio.
“Lo credo”.
Sono andata ad aprire proprio mentre Jenny si stava allacciando la cintura alla vita. Una tizia sui cinquanta aspettava sulla porta, in mano aveva una grossa anguria tagliata a metà e un melone bianco. Tette enormi e una faccia da gran porca.
“Nel dubbio li ho portati entrambi”.
Siamo tornate in giardino insieme. Jenny ha preso il tubo dell’acqua sfilandolo dalle gambe di Clara. Si è rivolta verso il tizio dall’altra parte della siepe e si è seduta sui talloni. L’acqua fredda è scesa lentamente sulla sua pelle accaldata. Si è coperta di brividi. Poi ha piegato la testa da un lato per bere dal getto del tubo giallo. Muoveva la lingua facendola roteare nell’aria per catturare lo schizzo d’acqua. Lo sguardo rivolto verso il tizio della casa a fianco. La donna delle angurie ha posato la frutta sull’erba e si è avvicinata allo stereo per alzare il volume. Si è sfilata la canottiera e la minigonna con disinvoltura. La radio anni ’80 intanto era finita sugli INXS. Il vicino aveva definitivamente abbandonato il giornale per concentrarsi su qualcosa di più interessante. Your moves are so wrong. C.A. ha pestato il tubo di gomma per farlo scappare di mano a Jenny, gli spruzzi l’avevano fatta finire a terra, aveva mollato il tubo per appoggiarsi con le mani al prato. Mi sono stesa a pancia sotto sul lettino e l’amica di C. A. mi ha infilato dentro le dita, dopo ha spinto dentro tutta la mano muovendola avanti e indietro. C. A. ha avvolto il tubo intorno a Jenny e Clara per avvicinarle al suo cazzo. Facevano scorrere la lingua succhiandoglielo velocemente. Poi mi ha fatta girare, si messa sopra di me, le gambe incrociate con le mie e il vibratore acceso infilato in mezzo. Clara si è messa sull’altro lato, mi stava leccando il seno e le labbra. Sentivo ancora il sapore di cazzo nella sua bocca. Jenny l’ha seguita per fottersela da dietro con la cintura fallica. Quando ha cominciato a pomparla C. A. mi ha appoggiato il cazzo sulla bocca, Clara mi stava aiutando a farlo venire. Durante l’orgasmo ho avuto la sensazione di staccarmi dal mio corpo per qualche istante. Sono stata sull’isola. Ho subito raggiunto il cinema all’aperto sicura di trovarci C. A. Non era ancora completamente buio, lo spettacolo però era già cominciato. Il botteghino era tappezzato di locandine di film porno. C’erano tutti i grandi classici, da Gola Profonda ad Amanda by Night, soltanto che nelle foto al posto delle attrici c’ero sempre io. La ragazza con la tempia rasata aspettava in piedi vicino al tendone che conduceva in sala. Lo stesso vestito con il seno scoperto della prima volta.
“Credo di aver trovato qualcosa che mi piace veramente. È stato come una rivelazione, non so se hai presente”.
Lei mi ha sorriso alzando il tendone per farmi passare. Come mi aspettavo era nella prima fila insieme ad una ragazza con i pantaloncini di spandex alla Wonder Woman. Le aveva messo un braccio intorno al collo per stringerle il seno con una mano. Lei gli stava facendo una sega. Thelma&Louise, mi era sempre piaciuto un casino quel film. Quando mi sono seduta di fianco a lui, si è acceso un sigaro e ha soffiato una boccata di fumo profumato verso l’alto.
“Non capisco come si possa considerare un film come questo: femminista. È chiaro che si tratta di un film profondamente maschilista. Voglio dire: Harvey Keitel, che cazzo ci azzecca? Perché lo sbirro buono per cercare di redimerle? Una cosa tipo c’è ancora speranza, non fatelo a casa? Che puttanata”.
Jenny si è seduta nel posto vicino al mio, nuda. Soltanto gli occhiali a specchio.
“Non dargli retta, lo vedi anche tu, è in vena di seghe”
“Baise Moi, quello è un film femminista. Ma questo qui…”
“Quelle stronzate te le sciroppi soltanto tu, i soliti film disgustosi senza né capo né coda. E poi è troppo estremista”
“Però Karen Lancaume era un gran pezzo di fica”
“Ecco il filosofo”.
Al suo ritorno ovviamente mio marito mi ha sgridata per il lettino con le gambe piegate e le bucce di anguria sparse per il giardino.

- Non dovevamo vederci per la consegna? Anarchy –
- Hai finito di rompermi le palle? Non c’è nessuna consegna. C. A. –
- È molto importante, non puoi tirarti indietro. Anarchy –
- Racconti un sacco di cazzate. C. A. –
- Va bene, ho voglia di vederti. Lucy mi ha mandato un regalo per la fusione. È il cavalluccio marino per gli anni ’80. Anarchy –
- Visto? Tutte cazzate. E poi guarda che io ero contrario alla fusione, della vostra chat gay non ne voglio sapere. C. A. –
- Però il tuo profilo sta riscuotendo un discreto successo. Anarchy –
- Stronze. Che cazzo vi è saltato in mente di mettermi tra i finocchi? Quelli sono solo i fake di quell’altra demente. C. A. –
- Dopo il tramonto. Non riesco più a uscire in pieno giorno. La luce è diventata insopportabile. Anarchy –
- Se mi hai preso per il culo sugli anni ’80 sono cazzi. C. A. –
- A mezzanotte. Sotto l’obelisco. Anarchy –
- Fanculo. Ok. Bye right. C. A. –
- Right, right. Anarchy –

- Sei sempre il solito. Parli tanto di sperimentare, ma se non è quello che dici tu non lo fai mai. Come fai a sperimentare cose nuove, se non segui mai quello che fanno gli altri. Anche se non c’è sempre il tuo ego di mezzo potrebbe essere divertente. Pasticcina –
- Lo sto facendo, sono rimasta indietro con i documenti. Però non preoccuparti. Il lavoro è fatto. Alice –
- Non farti prendere da una crisi isterica. Domani carico i documenti che hai chiesto. Riposati, sarà una guerra all’ultimo sangue. Questo lo hai capito, no? C. A. –
- È solo che non volevo pensassi che ti ho scaricato, solo perché mi hai già pagata. Alice –
- Ma che cazzo, riposati ti ho detto. Non devi perdere la testa. C. A. –
- Ho voglia di scopare. Ti sembra possibile? Alice –
- Mi sembra il minimo. C. A. –
- Segui il piano. Andrà tutto bene. Anarchy –
- Certo. Tutto sarà ok, tu non morirai. Non dare retta a quella. Non dare retta a quella.
Se schiattassi davanti ai suoi occhi, e servisse a qualcosa per la sua rivoluzione del cazzo, non farebbe una piega. C. A. –
- Ma perché vi siete lasciati? Sai che agli occhi di chi vi conosce appena, sembrate una coppia inseparabile? È questo l’effetto che fate quando qualcuno arriva a unire i puntini e mettere insieme tutta la storia. Alice -
- Ma niente. Lo sai come succede. È una questione di scelte. C. A. –
- Capisco. Forse ci sono cose che arriviamo a capire soltanto con l’esperienza. Alice –
- Esatto. È proprio questo il punto. Sei troppo giovane per capire. C. A. –
- Mi ha beccata mentre mi facevo una scopata con un gruppo di ragazze. Abbiamo girato un video il giorno in cui siamo andati a vivere insieme. Anarchy –
- Solo per questo. Non sembra il tipo da farne una tragedia. Alice –
- Ha trovato il video dopo dieci anni che stavamo insieme, non è tenero? Anarchy –
- Che discorsi del cazzo. Scusate tanto se quando devo fare una scelta decido con la mia testa. Non mi sembra poi così strano. C. A. –
- Hai tutti i sintomi della depressione. C_Ca –
- È vero sei un depresso. Lo dice anche quel Freud, Fredy, vattela a pesca, come cazzo si chiama, che in questi casi bisogna farsi una bella scopata. Pasticcina –
- Davvero? E in quale saggio lo avrebbe scritto? C. A. –
- In Culi Spanati, stronzo. Il tuo preferito a quanto ne so. Pasticcina –
- Ciao, ci conosciamo meglio? Lasciami un messaggio. G_XXX93 –
- Andiamo a scopare? C. A.
- Non so neanche il tuo nome. Come ti chiami? G_XXX93 -
- Sei in contatto con lo scopatore anonimo.
Non ci saranno altri rapporti umani, oltre a quelli carnali. C. A. –


Ancora non capivo come avessi potuto accettare. Non avevo affatto bisogno di un altro incarico, mi ero trovata questa strana mail sulla posta, proprio quando stavo pensando a come organizzarmi le vacanze. Forse il mio stato d’animo un po’ troppo rilassato mi aveva spinta a decidere senza riflettere. Ci siamo scambiati un paio di messaggi con le solite formalità, e alla fine mi sono decisa a fissargli un appuntamento. Quando me lo sono trovato davanti allo studio sono rimasta interdetta. Il suo modo di parlare e i ragionamenti con cui metteva insieme i fatti, mi avevano fatto pensare a una persona completamente diversa. È stato il suo aspetto soprattutto a confondermi. Avevo immaginato il classico uomo d’affari di mezza età, stempiato e con la pancetta; invece, sembrava uno dei Guns ‘N’ Roses. Giubbotto di pelle, capelli grigi rasati su una tempia e un bracciale di pelle rosso con un gancetto sulla fibbia. Gli occhiali da sole alzati sulla testa gli tenevano fermi i capelli lunghi e scompigliati.
Prima di incontrarlo avevo fatto uno strano sogno. Camminavo lungo il corridoio di un castello in rovina mentre infuriava un temporale. Le porte delle stanze, logorate dal tempo, si susseguivano fino a raggiungere un salone con le finestre altissime, schermate da un’inferriata nera. Davanti ad una di queste, mi aspettava un uomo con un lungo mantello nero. Una profonda cicatrice sulla bocca, come un macabro sorriso capovolto, e un gatto nero tra le braccia. Mi sono svegliata nell’istante in cui si è voltato verso di me per parlarmi. Avevo come l’impressione si trattasse della citazione di un film: “Soltanto gli stupidi si fermano a pensare, mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione”. Il ricordo del sogno è svanito quando ci siamo salutati. Mi sono seduta di fronte a lui e ho incrociato le braccia sul tavolo della sala riunioni per ascoltarlo. Una lunga ricostruzione di quella che a prima vista sembrava una truffa grossolana. Un tizio aveva cercato di incastrarlo, addossandogli la responsabilità di una transazione immobiliare finita male. Una montagna di soldi persi, una ragazza alle prime armi scomparsa e il tizio in questione trovato con la testa fracassata. Prima di alzarmi per fare una pausa con una scusa, avevo capito soltanto due cose: a lui interessava più che altro la ragazza, e sapeva molto di più di quello che lasciasse intendere. Sono uscita dalla sala riunioni dicendo di dover recuperare degli appunti in un altro ufficio. Invece mi sono infilata in bagno e sono rimasta con le mani appoggiate al lavandino a fissarmi nello specchio. Secondo lui la ragazza era stata costretta ad avere rapporti sessuali con il tizio ammazzato per aver mandato a monte la truffa. Poi qualcuno l’aveva fatta sparire. Il sudore sulle tempie mi stava inzuppando i capelli. Sentivo continuamente storie anche peggiori di quella, eppure c’era qualcosa nel suo racconto che mi terrorizzava, come se fossi consapevole di qualcosa che io stessa cercavo di respingere. La stessa sensazione che si prova nuotando in mezzo all’oceano. All’inizio è quasi piacevole, ti spingi sempre più a largo e senza accorgertene ti ritrovi a pochi metri da un abisso. Il panico a quel punto ti paralizza rischiando di farti affondare come un peso morto. Mi sono eccitata pensando all’uomo da solo nella sala riunioni intento a masturbarsi. Sentivo l’odore di sperma impregnare la stanza fino a farmi perdere il controllo. Volevo essere legata. Sarei tornata da lui per chiedergli di frustarmi. Quando sono rientrata nella sala riunioni, si stava tenendo la testa con una mano, nell’altra stringeva un paio di guanti da motociclista. Dal modo in cui mi ha guardata ho capito che non avrei avuto bisogno di spiegazioni. Prima di uscire dal bagno mi ero sfilata le mutandine. Mi sono seduta di fronte a lui e ho appoggiato le mani sulle gambe, sollevando lentamente la gonna sopra le ginocchia. Lui non ha battuto ciglio. Ha ripreso il suo racconto, come se niente fosse. Ho sollevato ancora la gonna e allargato le gambe.
“Senta…volevo dirle…”
“Se possiamo tornare a prenderla, lasciamo qui la tua macchina e andiamo con la mia. È parcheggiata a pochi isolati”.
A quel punto ho lasciato perdere le scuse. Quelle a cui avevo pensato in effetti mi sono sembrate inutili.
“Alle cinque ho finito”
“Ti aspetto di sotto”.

- È sempre più forte, non riesco nemmeno a pensarci. Anarchy –
- Prova a cambiare occhiali da sole. C. A. –
- Dico sul serio, non è mai stata così forte. Anarchy –
- È sempre la stessa cosa. Succede tutte le volte. C. A. –
- Continua a tenerla d’occhio. Non sono sicuro che si tratti di una semplice consegna. C. A. –
- Lucy, è molto strana ultimamente. Credo che abbia qualcosa in mente. Anarchy –
- Non lo so, non faccio mai troppe domande. Un motivo c’è di sicuro. C. A. –


Segnale assente. Ho spento il portatile e la sound-bar. Il caldo doveva aver buttato giù il server. Stare in macchina senza musica mi stava facendo venire il mal di testa. Avevo trovato parcheggio all’ombra di un albero, ma ero ancora in anticipo. Ho acceso il motore per consolarmi con la vocina del Patrol. Senza il primo silenziatore sugli scarichi era decisamente migliorata. Poi ho spento e sono sceso. Ero sicuro che avrei trovato facilmente l’indirizzo anche senza l’aiuto del portatile. Dopo più di mezz’ora passata a girovagare per l’isolato, sono riuscito a trovare il suo palazzo. Gente sui balconi e nel parco proprio di fronte a me. Campanello sulla scala B.
“Si? Chi è?”
“È arrivato il cazzo”
“Sali. Quinto piano”.
Mi ha aperto la porta appena ha sentito l’ascensore fermarsi al piano. Aveva addosso soltanto un paio di slip neri e degli infradito. Dalla camera da letto si sentiva uno stereo con un vecchio pezzo dei Nirvana.
“Ti ho portato questo”
“Anguria. Buona. Una mia amica mi fa un pompino ogni volta che ne compro una”
“Un vero affare”.
È sparita in cucina per un secondo, poi è tornata dirigendosi verso la camera da letto con uno spinello acceso tra le dita. Camminava svelta, facendo sbattere gli infradito sul tallone. Per qualche motivo mi aveva sempre fatto incazzare quel modo di camminare. Ho preso le manette dalla tasca di dietro dei jeans e l’ho seguita in camera.
“Che facciamo?”.
Si è lasciata cadere sul letto con le gambe aperte. Le ho sfilato gli slip e ho chiuso le manette intorno alle caviglie. Le avevo strette in modo che le caviglie restassero ammanettate ai polsi. Dopo mi sono sbottonato i jeans e glie l’ho messo in bocca. Ha continuato a succhiarlo a lungo sperando che glie la leccassi. Invece sono rimasto a guardarla accarezzandole i capelli mentre mi succhiava il cazzo. Le ho baciato le gambe, sono sceso verso la fica rasata, ma sono risalito sull’altra gamba senza infilarle dentro la lingua. Ha preso a succhiarlo più velocemente sperando di convincermi. Il collo si stava contraendo per lo sforzo. Ho cominciato a baciarle la pancia. Lei si è sfilata il cazzo dalla bocca ansimando.
“Hai voglia di leccarmela, sto impazzendo”
“Perché giri per casa mezza nuda camminando in quel modo? Lo sai che è molto irritante quel modo di camminare?”
Le stava venendo da ridere, si è ricacciata il cazzo in bocca prima di lasciarsi distrarre.
“Stronzo”.
Si è messa a succhiare ancora più forte, la testa si stava muovendo velocemente facendo ondeggiare i capelli lisci e profumati. Di tanto in tanto se lo cacciava tutto in gola, fino quasi a strozzarsi, e ricominciava. Le ho tolto le manette ai polsi per sollevarle le gambe, poi ho infilato dentro le dita. Ha inarcato il bacino e si è afferrata la testa con le mani. Le ho trascinato il culo sul cuscino, una mano è scivolata dietro la nuca, poi le sono salito sopra.
Più tardi siamo stati da “O”. Jenny e Clara le hanno fatto girare un video con dei ragazzi. Sono andati avanti a scoparla per quasi tutta la notte. Poi sono venute sul divano davanti allo schermo piatto per guardare la ripresa.
“Scommetto che non le hai nemmeno chiesto il nome”
“G_XXX93. Geeks. Capisci? Mi sono sempre piaciuti i geeks”
È registrata da meno di una settimana, sei il primo che rimorchia”.
Clara è venuta a sedersi sulle ginocchia, mi ha infilato una mano nei jeans e si è messa a baciarmi sul collo.
“L’hai già frustata?”
“No perché? Sei gelosa?”
“Lo sai che mi fa veramente incazzare quando penso che magari sei con un’altra donna e la stai frustando?”
“La tipa con il marito demente?”
“Si stanno lasciando. Gli ha chiesto se fosse gay mentre erano a tavola con i suoi genitori”
“Lo sapevo, avrei dovuto mandarle delle noci di cocco”
“Dopo si è tolta la maglietta. I suoi parenti le hanno fatto una scenata e sono andati via a metà del pranzo”
“E scommetto che adesso cerca di scavare il muro della camera da letto con un cucchiaio, sperando di raggiungere la spiaggia”
È piena di followers, ha fatto saltare la chat già un paio di volte. Vogliono tutti scoparsela”.
Stavo cercando di evitare gli occhi di Clara. Mi facevano sentire come un naufrago in balia di una tempesta. Non riesco a trovare un’immagine che possa rendere l’idea. Un po’ come sentirsi andare a fuoco nel bel mezzo del circolo polare artico. L’odore di marijuana si sentiva ovunque nell’appartamento, gli occhi iniettati di sangue di Jenny mi hanno detto il resto.
“Che combinate di bello?”
“Ma niente”
“E i segni di frustate che hai sul culo?”. Prima di rispondere si è messa sghignazzare come un’idiota.
“Stavamo giocando un po’ con le ragazze”
“E quello?”
“Hai visto? Il mio nuovo vibratore, l’ho trovato su internet, non sono riuscita a resistere…”
“No, non quello. Quello. Il tizio seduto sulla panca nell’ingresso”
“Ah, quello. È per te, si chiama Gastone”
“Io veramente mi chiamo…”
“Ma si certo come vuoi tu, Gastone, zuccherino. Deve raccontarti una storia”. Si è messa seduta vicino al tizio sulla panca e gli ha accarezzato una guancia con il dorso della mano.
“Forza non essere timido, raccontagli quello che hai detto a me. Qualche giorno fa dei tizi gli hanno fatto uno scherzo di pessimo gusto, vero?”
“Ma è amico tuo? Perché lo dici a me? No, non voglio saperne niente”
“Hanno esagerato. Senti un po’ cosa è successo a Gastone”
“Mi hai preso per un sicario della mafia?”.
Gastone alla fine si è fatto coraggio, proprio mentre stavo per tornare da Clara.
“È imbarazzante…”
“Su piccolino, non essere timido”
“Dunque, è successo proprio mentre ero al lavoro…”
“Sono commosso, ma senti a me che mi frega? È amico tuo, aiutalo tu! Che cazzo vuoi da me? Io vado da Clara”
“Ecco, io lavoro come fattorino delle pizze a domicilio e questi tizi avevano appena ordinato delle pizze…”
“Come?”
Mi sono fermato sulla porta e prima che Gastone continuasse ho preso una sedia per mettermi di fronte a lui, seduto con lo schienale girato al contrario.
“Come, come? Che lavoro fai?”
“Consegno le pizze…perché? Ma non è questo…è che questi stavano facendo una specie di festa…una festa un po’ particolare insomma…”
Ho appoggiato la mano sulla spalla di Gastone e mi sono avvicinato a lui trascinando la sedia in avanti.
“Consegni le pizze…e anche il kebab? Hai presente il kebab?”
“Si certo, ma non è questo…”
“Allora, raccontami un po’ quello che ti è successo caro Gastone”.
“Mi ha aperto la porta una tipa nuda. Quasi nuda. Aveva addosso solo una sottoveste, ma si vedeva praticamente tutto. Due uomini seduti nella stanza di fronte stavano ridendo, poi hanno iniziato a sfottermi. Guarda che glie lo hai fatto venire duro, cose di questo tipo”
“Davvero? E la tipa che ha fatto dopo?”
“Lei mi ha messo una mano in mezzo alle gambe, poi ha detto: “Questo qui, secondo me ha un cazzo minuscolo, peggio di quell’altro”, e me lo ha tirato fuori per prenderlo in bocca”
“E tu?”
“A quel punto mi sono cadute le pizze sul pavimento e i suoi amici si sono messi a urlare e a insultarmi. Dicevano: “Guarda che hai combinato, sei proprio un rincoglionito”. La donna intanto continuava a succhiarmelo. Poi uno dei due ha detto: “Hai fatto proprio un bel casino, ora ti ammazziamo” e ha continuato con gli insulti. La tipa, intanto mi aveva fatto venire, insomma, le sono venuto proprio in faccia, pensavo che mi avrebbero pestato o qualcosa del genere. Invece si sono avvicinati e hanno buttato i soldi sulle pizze a terra. Lei poi ha detto: “Sei proprio uno stronzo”, ed è scoppiata a ridere, anche i suoi amici ridevano, mi hanno fatto raccogliere i soldi da terra e mi hanno buttato fuori dicendo: “Vattene, vai a fare inculo” e cose di questo tipo…”
“Davvero?”
“Si, è stato tremendo, volevo restituirgli i soldi, ma mi hanno sbattuto la porta in faccia…”
“Tutto qui?”
“Si, però è stato tremendo…”
“Digli del tatuaggio”
“Quale tatuaggio?”
“La tipa aveva un tatuaggio sull’inguine, due lettere, una E e una B maiuscole…perché vi interessa tanto? Non capsico…”
“Ma davvero…”
Qualcuno ha suonato alla porta quando stavamo ancora parlando. Una tizia in lattice e stivali è andata ad aprire senza fare caso a noi.
“Ciao, come stai?”.
Ho riconosciuto subito la voce di Elle. Jeans neri e maglietta aderente dello stesso colore. Sonya era alle sue spalle, le cingeva la vita con le braccia. Riuscivo a mala pena a intravedere i suoi capelli bianchi e gli occhi chiarissimi.
“Una consegna. Lucy ha detto che avresti capito, una coccinella”.



Siamo arrivati nel mio appartamento un paio d’ore dopo. Ho cercato l’interruttore di fianco alla porta, ormai era quasi buio, nell’ingresso non si riusciva a vedere più niente. Lui però mi ha fermata. Avevo la fica completamente bagnata. Mi ha passato le mani lungo il corpo per spogliarmi. Poi mi ha legata con delle cinghie di cuoio che gli ho dato io e mi ha scopata. Prima dell’alba mi sono svegliata ancora nuda. I segni sul collo e sui polsi mi hanno fatto riprendere conoscenza in pochi istanti. L’appartamento era ancora avvolto in una luce blu intensa. Lui guardava fuori, in piedi davanti ad una delle finestre, fumando un sigaro. Addosso aveva soltanto un paio di jeans e gli occhiali da sole, non li toglieva mai, anche al buio. Sulla schiena un enorme tatuaggio, la testa della Medusa con gli occhi chiusi e due lunghi serpenti intorno al collo.
“Perché sei venuto da me?”
“Devi accompagnarmi in un posto”
“Dove?”
“Un laboratorio, esperimenti. Capisci cosa intendo? Sul cervello di esseri umani”
“Perché dovrei?”
“Per molti è una recita banale. E se la recita per qualche motivo finisse all’improvviso?”
“Non saprei…”
“Per te non è così. La storia della truffa è solo la punta dell’iceberg. Il tizio ammazzato era in mezzo a questo”
“Tu che ruolo hai?”
“Le hanno cucito la bocca”.
Sono scesa dal letto e gli ho passato una mano sul petto. Aveva il corpo caldissimo, poi l’ho baciato sul collo.
“Aveva scoperto qualcosa?”
“Non in senso figurato”.

Qualche giorno più tardi sono uscita in piena notte da sola. Non riuscivo a dormire, continuavo a pensare a quella storia della ragazza scomparsa. In strada ho notato un SUV nero con targa svizzera e vetri oscurati piuttosto insolito, era parcheggiato proprio sotto il mio portone. Sono rimasta a fissarlo per qualche secondo, attraverso i vetri neri sono riuscita a vedere la brace di una sigaretta accendersi come un faro nella notte. La mano nella tasca del cappotto si è stretta intorno al cellulare, mi sentivo inspiegabilmente a disagio. Un autobus si stava avvicinando dalla direzione opposta, la fermata era a pochi metri. Ho accelerato il passo e sono salita al volo. Ultima corsa, sopra non c’era quasi nessuno. Soltanto un tizio in piedi vicino all’autista. Capelli corti, giacca di pelle. Le braccia aggrappate alla barra in alto lo facevano somigliare ad uno scimpanzè nella gabbia. Quando si è voltato a fissarmi, mi sono accorta delle cicatrici sul suo volto, solcavano entrambe le guance, una molto profonda sopra l’occhio destro aveva sostituito il sopracciglio. Non ha distolto lo sguardo neanche quando l’ho ricambiato, mi faceva venire i brividi. Stavo per scendere, pur di liberarmi di quella sensazione di disagio, ma temevo che mi avrebbe seguita. Un grosso SUV nero ha superato a forte velocità l’autobus, tagliandogli la strada per svoltare a destra. L’autobus ha frenato bruscamente. Ero abbastanza sicura si trattasse dello stesso SUV che avevo visto parcheggiato sotto casa. il tizio con le cicatrici è stato sbalzato in avanti, ma non ha mollato la presa dalla barra. Quando abbiamo raggiunto la fermata è sceso. Ha continuato a seguirmi con lo sguardo anche dalla strada. L’autobus ha proseguito la corsa verso il capolinea in periferia senza neanche fermarsi, la città era praticamente deserta. Prima di terminare la corsa e rientrare al deposito ha raccolto altri due passeggeri, due ragazze. Una ragazza albina completamente vestita di bianco e una sua amica con la tempia rasata e una croce rovesciata tatuata. La tizia con la tempia rasata indossava un vestito cortissimo, nero, quasi trasparente, sotto non aveva niente. Il viso nascosto dietro un paio di occhiali scuri nero-lucido. Masticava una gomma. Si sono sedute a metà dell’autobus, mettendosi sul seggiolino di traverso per potermi guardare. Mi sono alzata per prenotare la fermata passando di fianco a loro, ma non ho alzato gli occhi da terra. Quando sono arrivata davanti alla discesa mi sono voltata, la ragazza albina aveva chiuso tre dita della mano sinistra, per fare il segno L con indice e pollice. L’altra ha fatto lo stesso, sempre con la mano sinistra, poi hanno cominciato a baciarsi. Dovevo trovare un posto per aspettare l’alba o almeno che ricominciassero a circolare gli autobus. Camminavo verso il centro quando mi sono accorta di lui. Fumava un sigaro appoggiato alla pensilina dell’autobus. Il suo fuoristrada era parcheggia in divieto di sosta sulla fermata. Quando mi sono avvicinata per parlargli, mi ha afferrato un polso e ha messo qualcosa sul palmo della mano stingendomela a pugno. L’ho riaperta per vedere cosa fosse. Un portachiavi con una coccinella agganciata ad un anello di acciaio. Poi mi ha riaccompagnata a casa.
Nella notte successiva ho di nuovo sognato. Un sogno molto intenso. Raggiungevo un cinema all’aperto al centro di un bosco, su di un’isola tropicale. Sono entrata nel botteghino superando un cancelletto di ferro sotto un Fico profumato. Un uomo sfogliava una raccolta di disegni erotici seduto dietro il bancone, con le gambe appoggiate sul bordo. Quando ha abbassato il libro illustrato, l’ho riconosciuto.
“Andiamo?”.
Abbiamo seguito la musica di Scarlatti all’interno del cinema. Sullo schermo veniva proiettata un’immagine quasi speculare alla nostra. Lui indossava i soliti jeans e un giubbotto di pelle. Sul petto nudo, una croce rovesciata nera appesa ad una catenina. Gli occhiali scuri e la cicatrice sulla bocca gli davano un aspetto inquietante, quasi grottesco. Io invece ero inginocchiata sul pavimento di pietra del castello. Nuda e legata con le cinghie di cuoio. Ci siamo avvicinati allo schermo, lui è venuto verso di noi, proprio come in uno specchio. Nel film mi trovavo in primo piano, al centro dell’inquadratura. Mi ha appoggiato le mani sulle spalle, a quel punto ho distolto lo sguardo e mi sono accorta di essere nel mezzo di un deserto. Stava camminando verso un’enorme piramide. La luna piena e una stella perfettamente allineata al suo vertice. Ho seguito le sue orme sulla sabbia senza esitare, il varco ai piedi della piramide era coperto di geroglifici. Siamo saliti verso l’alto nel buio al suo interno, fino a raggiungere una specie di terrazzo, dove abbiamo incontrato una donna. Stava accarezzando dolcemente una tigre gigantesca, seduta completamente nuda su di un trono di pietra. Ho cercato lo sguardo dell’uomo.
“Lei è Lucy. Vive qui da moltissimo tempo”
“Che cosa significano quelle cinghie di cuoio?”.
Mi sono sforzata di non risponderle. Sentivo che da un momento all’altro la mia bocca si sarebbe aperta per lasciare fuoriuscire parole sconnesse e incomprensibili.
“Portala oltre la recinzione. Pensi di riuscirci? Elle verrà con te”. Dal buio alle spalle del trono si è fatta avanti una ragazza. Indossava un vestito nero quasi trasparente e un paio di stivaletti di pelle con il tacco. In bocca aveva messo un bavaglio di acciaio. I riflessi del metallo mi stavano ipnotizzando. Riuscivo a sentire la sua voce con la mente.
“Ciao, come stai?”
“Mi chiamo Alexandra...Alex...”
Poi mi sono svegliata di soprassalto. La luce del giorno entrava attraverso i vetri, inondando la stanza. Era insopportabile. Ho coperto gli occhi con una mano, cercando di non impazzire. Mi sono vestita rapidamente e sono uscita. Ho vagato per la città a lungo, senza meta, seguivo una specie di richiamo. Il rumore del traffico era assordante, due file di auto roventi incolonnate sotto il sole. Un edificio abbandonato, circondato da una rete di recinzione di plastica arancione. Vicino ad un cespuglio di rovi si era aperto uno squarcio da cui era possibile entrare all’interno del cantiere abbandonato. Ho raggiunto lo squarcio nella recinzione e mi sono infilata dentro. Una delle porte di lamiera del seminterrato era socchiusa, per un attimo sono stata raggiunta dalle urla della rivolta che mi tormentavano durante il mio incubo ricorrente. La notte prima della presa della Bastiglia. Cammino lungo un corridoio buio nelle segrete della prigione. Urla disperate dall’esterno. Dietro le sbarre di ogni cella, orge indescrivibili. Raggiungo una piccola scala, in cima trovo una porta chiusa. Quando cerco di aprirla mi sveglio. L’ho spinta con una mano e dopo essermi fermata a pensare per qualche istante sulla soglia, sono scesa. Il rumore si è spento di colpo. Il seminterrato era fresco e buio, l’odore di umidità e muffa mi ha fatto eccitare. Ho superato un corridoio coperto di graffiti e scritte oscene, prima di raggiungere un grande spazio aperto. Probabilmente sarebbe presto diventato un garage per il palazzo appena costruito. C. A. mi aspettava in piedi, di fianco al trono di Lucy. Era a petto nudo, di spalle. Le braccia incrociate. Nell’oscurità riuscivo a distinguere qualcosa muoversi sulla sua schiena, anche se non riuscivo a capire cosa fosse. Ai lati del trono erano state alzate due croci rovesciate. Su una avevano inchiodato il tizio con il volto coperto di cicatrici che avevo incontrato in autobus, sull’altra un uomo molto più maturo, con i capelli biondi. Aveva ancora i vestiti addosso, una giacca rosa e un completo elegante. Il rumore dei miei passi deve aver attirato l’attenzione di qualcosa nascosto nell’oscurità, una miriade di occhi rossi si sono aperti nel buio.
Quando ho raggiunto C. A. mi sono accorta che la cosa che vedevo muoversi sulla sua schiena non era altro che il suo tatuaggio. La criniera della Medusa che aveva sulla schiena era viva. I serpenti si muovevano nervosamente sul suo corpo. Gli altri due che aveva intorno al collo erano spariti, ma credevo di sapere dove si trovassero, anche sui corpi dei due tizi crocifissi vedevo qualcosa muoversi.
“Chi sono questi?”
“Marionette. Quella specie di segnale che senti nella testa è opera loro”
“Ma che cos’è questo segnale, tu lo hai capito?”
“Una frequenza, sovrascrive i pensieri e la mente”
“Ma a che cosa serve? Che senso avrebbe una cosa del genere?”
“Un solo pensiero, una sola realtà a cui non si può sfuggire”
“Mi sembra assurdo. Se fosse vero, sarebbe il sogno dei nazisti diventato realtà”.
Lui si è voltato inarcando un sopracciglio.
“Esattamente”.
Lucy è uscita dall’oscurità silenziosa come un gatto, accompagnata dalla tigre gigantesca e da una leonessa albina della stessa stazza. Erano grandi come tori. Sono rimasta paralizzata dal terrore anche se non avevo motivo di essere spaventata. Si è avvicinata al biondo sulla croce, poi gli ha passato una mano dietro il collo afferrandolo con due dita.
“Mi dispiace per te, ma sei stato molto sfortunato”
“Vi costerà molto caro. Non avete idea…”
Quando ha chiuso le dita il collo si è spezzato, un gesto quasi impercettibile, la stessa facilità con cui avrebbe spezzato una matita da disegno. Dopo è andata da C. A.
“Che cosa è successo con Nadia?”
“Niente, avevo bisogno di un tappeto nuovo”.
Lo ha baciato sulla bocca e si è seduta sul trono al centro della stanza. L’oscurità del seminterrato si è improvvisamente dissolta, spazzata via da una luce molto intensa. Non riuscivo a capire da dove provenisse, ho avuto la sensazione di trovarmi in un incubo da cui non riuscivo più a svegliarmi. La mia bocca si è aperta per parlare, Lucy però ha risposto ancora prima che potessi farlo.
“E’ soltanto un sogno. Saprai tu quando è arrivato il momento. Vieni. Vieni a me”.
Non ho esitato un solo istante. Ho guardato C. A., ma lui teneva gli occhi chiusi. Prima che potessi raggiungere Lucy ha aggiunto: “Ora devo andare. Ho un nuovo lavoro. Oggi è il primo giorno”
“Un nuovo lavoro?”
“E’ solo per oggi. Devo rimpiazzare un collega. Poi tornerò a quello di sempre”.
“Trova Nadia, troverai anche la ragazza”.
Ho chiuso gli occhi, un fascio di luce tiepido mi ha accarezzato il viso, scendendo lentamente lungo il corpo. A quel punto ho capito di trovarmi ancora nel sogno. Pochi secondi dopo stavo camminando al fianco di C. A., lungo una passerella di metallo. Le pareti intorno a noi erano coperte di tubi e cavi elettrici. Al fondo della passerella ci siamo trovati di fronte ad una porta rossa.
“Sei sicura?”.
Gli ho risposto inarcando un sopracciglio, poi ho abbassato la maniglia. Una sala di ospedale abbandonata. Barelle e lettini vuoti. Alcuni erano rovesciati, le coperte arrotolate sul pavimento. Sembrava quasi che i pazienti avessero lasciato all’improvviso la sala abbandonando ogni cosa. Come se fossero stati costretti a fuggire all’improvviso. Lui mi guardava senza parlare. Ho proseguito verso la parte più buia della sala. Un portaritratti con il vetro rotto, la foto al suo interno era sparita. Un cucchiaio di metallo e un mazzo di fiori secchi. Alcuni flaconi abbandonati vicino a una coperta arrotolata macchiata di sangue. Su uno dei lettini ho trovato un libro ammuffito: “La nascita dell’Impero”. L’ho raccolto cercando la data di pubblicazione sul retro. 1929. Mi sono voltata a cercare C. A. Era rimasto sulla porta a fumare.
“Che cosa è successo a queste persone”
“Sono state trasferite. Cavie”
“Per cosa?”
“Studio del comportamento. Sapevi che il meccanismo di funzionamento dei computer è del tutto simile a quello del cervello umano? Un computer si può programmare ad eseguire una lista di comandi prestabiliti, sfruttando un semplice codice binario: passa o non passa corrente. Il cervello umano è del tutto simile. Se sottoposto ai giusti stimoli, viene attraversato da onde elettromagnetiche più, o meno intense”
Quando mi sono accorta della ragazza ammanettata alla sedia appoggiata al muro, ho quasi urlato per l’orrore.
“Sai qual è secondo me la cosa più difficile al mondo? Capire che non sempre, anzi quasi mai, c’è un inizio e una fine”.
La ragazza sembrava svenuta, la testa piegata da un lato, la pelle quasi blu. Una cicatrice sulla bocca come quella che aveva l’uomo nel film. Stavo per rassegnarmi all’idea che fosse morta, invece ha aperto gli occhi e mi ha fissata a lungo prima di parlare.
“Ma perché ci hai messo così tanto?”.
Quando mi sono svegliata ero sola nel mio appartamento, ancora una volta la luce blu dell’alba. Di fianco al mio cuscino ho trovato un quotidiano aperto su un articolo di cronaca nera. Sopra mi aveva lasciato un biglietto. Una donna nuda di spalle, legata con le stesse cinghie che aveva usato su di me. Ho buttato a terra il giornale, conoscevo benissimo il contenuto dell’articolo. Poi ho preso il biglietto per guardarlo meglio. Sull’altro lato c’era un indirizzo e una parola scritta con una matita blu: “Artatamente”.

- Che cazzo significa? C. A. –
- Voleva vederti. Anarchy -
- La tua L.M. Non la rivolevi indietro? Anarchy –
- Resteranno insieme per sempre? C. A. –
- Per sempre. È il prezzo da pagare. Il suo dolore rimarrà insieme a lei, come se fossero una cosa sola. Anarchy -

Jeans elasticizzati strappati sul ginocchio e occhiali scuri. Aspettava appoggiata all’obelisco con lo sguardo basso. Sono salito con due ruote sul marciapiede e ho spento la sound-bar. Poi sono sceso. Ho respinto l’istinto di prenderla a schiaffi e mi sono acceso un sigaro alla menta.
“Ciao”.
Le parole più stupide che avessi mai sentito. Mi sono alzato gli occhiali sulla testa, per vederla bene, e li ho abbassati di nuovo. Le parole di quella canzone di merda sull’eroina che Lou Reed aveva scritto durante la paralisi da overdose, sono diventate improvvisamente chiare come il sole. Come cazzo avevo fatto a non arrivarci prima. Il coraggio di guardarmi in faccia, ancora non era riuscita a trovarlo, però.
“Vuoi scopare?”.
Le ho risposto inarcando un sopracciglio. Non capivo ancora perché non mi avesse chiesto se volessi respirare già che c’era. Ho alzato una mano per darle uno schiaffo, invece mi sono cacciato il sigaro in bocca, pur di non rivolgerle la parola.
“Si può sapere che cazzo ci trovi? Per me non sei nessuno. Non significhi niente. Cosa cazzo ci trovi? Come fa ad essere così importante per te? Non lo capisco. Ci sei cascato perché sei uno stupido. È questo che penso veramente di te”.
Pur di non risponderle le ho soffiato il fumo in faccia. Ho continuato a fissarla, tenendo il sigaro vicino al viso. Come se fossi indeciso tra buttarlo via per prenderla a schiaffi e tirare un’altra boccata.
“Ingoia il rospo. Non significhi niente”.
A quel punto la scena mi è sembrata quasi divertente. Doveva essere quella la sensazione che provavano i sordomuti quando cercavano di comunicare con il mondo esterno. Si è seduta sui talloni e ha allungato le mani verso i miei jeans. Poi ha alzato lo sguardo sorridendo.
“Non era questo quello che volevi? È inutile che mi prendi per il culo”.
Ho inarcato le sopracciglia di nuovo, ma non le ho dato nessuna soddisfazione. Sull’isola tropicale il cielo era ancora coperto di nuvole. Sono riuscito a vedermi attraverso gli occhi di Leti. Mani in tasca, appoggiato ad uno scoglio. Il vento gelido non mi faceva nessun effetto. Mi osservava come si osserva un enigma incomprensibile. È durato meno di un secondo. Gli occhiali con le lenti viola mi facevano scudo dai suoi pensieri sconclusionati. Dopo si è avvicinata per appoggiarsi a me. Per poco il calore del suo corpo non mi ha fatto impazzire. Ho tolto i guanti e li ho buttati a terra. Le mani sono scivolate sotto la sua maglietta. La pelle sulla schiena era calda e liscia come il velluto.
“Ti rendi conto di quanto sei ingenuo?”.
Le ho messo le mani sui fianchi e sono passato davanti a lei allargandole le gambe con le ginocchia. Il tramonto alle nostre spalle ha reso insignificante il resto del mondo. Alla fine, ho ceduto e le ho risposto.
“Ho pensato a lungo a quello che mi hai fatto. All’inizio non riuscivo neanche a descrivere quanto fossi arrabbiato. Poi ho capito una cosa”
“Cosa?”
“Chi se ne frega”.

- Allora, Romeo? Come è andata? Pasticcina –
- Ti è piaciuto il tuo regalo? C_Ca -
- È scoppiato un temporale. C. A. –
- Che significa? È andata bene o hai fatto un casino? No perché, con tutta la fatica che abbiamo fatto…Pasticcina –
- È incinta? C_Ca –
- Vai a fare inculo, deficiente. C. A. –
- È venuta o non si è fatta vedere? Allora? Si può sapere o no? Pasticcina –
- Ehy! Ci rispondi o no? È venuta? È morta? È sparita? È cambiata? Allora? Cosa? C_Ca –
- È ancora qui. C. A. –

Era stata davvero una fortuna per Gastone che la sua divisa mi calzasse a pennello. Sono arrivato alle 19:00 in punto. Ho suonato il campanello, tenendo i cartoni della pizza appoggiati alla pancia con una mano. Mi ero abbassato la visiera del berretto con il logo della pizzeria sul viso, la tizia che ha aperto, probabilmente non è nemmeno riuscita a vedermi in faccia, si è trovata di fronte al cuoco con i baffetti, intento ad ammiccare maliziosamente.
“Eccoti finalmente. Lo sai da quanto aspettiamo?”
“Le vostre pizze, ancora fumanti”.
Addosso aveva solo un paio di slip neri trasparenti. Dietro di lei sentivo le voci di due uomini, sembravano abbastanza divertiti. Sono rimasto a guardarle i capezzoli enormi e il seno nudo, senza aggiungere altro. Lei si è voltata verso la stanza per richiamare l’attenzione dei due uomini.
“Questo è ancora meglio dell’altro”. Poi è tornata a rivolgersi a me.
“L’hai mai leccata una fica? Dico a te? Non sarai uno di quei segaioli, mezzi finocchi? Perché non dai una leccata qui?”. Si è tolta gli slip e mi ha sbottonato i jeans.
“Le sue pizze si freddano”.
Gli altri alle sue spalle sono scoppiati a ridere, lei si è sfilata il cazzo di bocca e ha aggiunto: “Questo è proprio un finocchio. Lo sai cosa facciamo ai finocchi qui?”.
Ho buttato i cartoni delle pizze a terra e ho richiuso la porta. Poi mi sono sfilato la felpa della divisa e l’ho appesa alla maniglia. Le ho messo una mano dietro la nuca e glie l’ho fatto succhiare. Ha cominciato a muovere la testa sempre più velocemente, la saliva le schizzava dalla bocca, gli occhi si sono spalancati non appena si è resa conto di non avere più il controllo della situazione. I due tizi si sono alzati in piedi per intervenire, ma i coperchi dei cartoni della pizza si stavano già aprendo, le vipere del deserto non resistevano più in quel contenitore così stretto.
Ho spinto la tizia sul pavimento e l’ho fatta girare di schiena, poi glie l’ho spinto nel culo. I due serpenti che avevo intorno al collo sono scattati verso i due tizi. L’ho afferrata per i capelli e glie l’ho spinto di nuovo in bocca, lo sperma le è colato sul mento e sul collo.
“Che ci vuoi fare zuccherino? Io lo dico sempre: la fortuna è la cosa più importante che ci sia nella vita, e voi siete stati molto sfortunati. Per farmi perdonare posso consigliarvi un’altra specialità della casa: hamburger. Pura carne di manzo, grondante sangue. Li serviamo solo il venerdì”.

Mi sono fermato sotto il fico davanti al cancelletto ad ascoltare l’eco ovattato del cinema all’aperto. Film sul Vietnam, Michael Cimino. Dovevo aspettarmelo. Neanche a dirlo mi ha fatto venire in mente la solita frase di Stirner: un sistema corrotto non lascerà mai entrare al suo interno un elemento sano, in quanto lo scopo dell’elemento sano sarebbe quello di abbatterlo. Ho spinto il cancelletto e sono andato da Jenny. Era nella prima fila con i suoi occhiali a specchio Maverick, Marina aveva lasciato un seggiolino per i popcorn. Quando mi sono avvicinato, ha preso il secchiello dei popcorn per farmi posto in mezzo a loro. Jenny ha allungato una mano, fingendo di non essersi accorta del secchiello, puntando dritta verso il mio cazzo. Prima che raggiungesse i jeans ho tolto di mano il secchiello a Marina e l’ho messo sotto la mano di Jenny.
“Quando uno nasce segaiolo…”
Si è portata i popcorn alla bocca, ma le ho alzato il gomito in modo che le cadessero.
“Che giorno è oggi? Oggi è giovedì”
“Ben tornato marinaio, la mania delle seghe però non ti è passata, perché non salti direttamente a 20000 seghe sotto i mari”
“Che cazzata, è un gran bel finale. Segna un confine. L’abisso e il ritorno a nuoto. È una gran bella scena. Abbassa finalmente la tensione. L’incognita sulla natura umana, l’abisso”
“Ma vai a fare inculo”
“Non capisci un cazzo. È così, che cos’è la natura umana? L’incognita dell’abisso. È questo Lo Squalo, è una domanda esistenziale. Guarda bella mia che tu non capisci proprio un cazzo di film. Stai sempre a rompermi le palle con il Vietnam. E in un certo senso…”
Marina mi ha afferrato il polso, poi ha alzato l’indice.
“Only one shot”.
scritto il
2021-07-25
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