Colpo su colpo (Love in the shadow) Cap. 6

di
genere
pulp

Superato il confine abbiamo ripreso fiato. Non avevo mai avuto il coraggio di avvicinare tipi come lei. Pensavo di non essere abbastanza interessante per loro. Mi sbagliavo. Non faceva che chiacchierare, voleva mettermi a mio agio. Era sempre decisa e determinata in tutto, mi faceva sentire al sicuro. Stava cercando di arrivare in Germania per fare un favore ad un’amica, da quanto avevo capito. Doveva consegnare qualcosa. Quando però le avevo chiesto cosa fosse, si era limitata ad alzare le sopracciglia. Ha continuato a guidare in quella maniera spericolata per tutto il tempo. La Svizzera è scivolata via lungo il finestrino a più di 180 Km/h, in poche ore siamo arrivate vicino al secondo confine con la Germania. Più di una volta l’avevo implorata di essere prudente. Lei aveva preso un portasigarette dal cruscotto, si era accesa un sigaro alla menta, poi aveva pestato l’acceleratore e alzato il volume dello stereo. Hayseed Dixie, la cover di The Ace of Spades. Due camion ci avevano appena mandate al diavolo, avevano occupato tutta la carreggiata per superarsi a vicenda. That’s the way I like it baby, I don’t want to live forever. Lei era passata sulla corsia di emergenza senza neanche scalare la marcia e gli aveva tagliato la strada per rientrare sulla corsia di sorpasso. And don’t forget the Joker.
Vicino Stoccarda ci siamo fermate a cercare un albergo. Eravamo entrambe esauste. Avevamo trovato una stanza vicino all’autostrada, il classico posto per chi ha bisogno di una sosta durante il viaggio verso Nord. Moquette scura e tende grigie. Jenny ha buttato i bagagli sul pavimento e si è infilata subito in bagno. L’acqua della doccia è andata avanti per quasi un’ora. Io mi sono sdraiata sul letto. Ero ancora troppo tesa per prendere sonno. Quando finalmente è uscita dal bagno aveva addosso solo un paio di mutandine nere con il pizzo e una sottoveste rosa cortissima. Le lasciava le gambe completamente scoperte. I capelli avvolti in una retina rossa. Sul viso si era spalmata una maschera di bellezza verde. Si è messa di fianco a me e poi si è posata delicatamente due fette di zucchina sugli occhi. Le mani unite sulla pancia, completamente irrigidita in quella posizione somigliava ad una mummia nel sarcofago. Mi sono avvicinata piano, il colore della sua maschera per il viso era irresistibile. Ho teso l’indice verso di lei, ma prima che il polpastrello potesse sfiorarle una guancia si è messa a strillare come una pazza, un lungo, interminabile e assordante urlo. Appena mi sono tirata indietro ha smesso.
“Sei impazzita? Se ci riprovi, ricomincio. Deve restare intatta finché non è completamente asciutta”
“Scusa, è che non sono molto pratica di queste cose. Volevo soltanto…”
“Si certo”
“Il colore è molto strano, fai spesso queste cose?”
“Buonanotte Dr. Livingstone”.
Quando ho capito che non mi avrebbe più dato retta mi sono girata al contrario, con i piedi sul cuscino, e ho cercato qualcosa da guardare sulla tv dell’albergo. I canali sono passati velocemente in rassegna uno dopo l’altro. Alla fine, ho scovato un vecchio film di Hitchcock, Rope. Sono rimasta a guardarlo con il volume bassissimo. Rupert stava per tornare a inchiodare i suoi studenti, quando il telefono di Jenny si è messo a vibrare sul pavimento. Mi sono allungata per sbirciare la chiamata in arrivo, il display però era bloccato da password. Sono riuscita a vedere soltanto il salvaschermo, il disegno di una donna nuda immersa in una tazzina da caffè. Le braccia lungo il bordo della tazzina e la testa piegata all’indietro, sembrava una vasca per l’idromassaggio più che una tazzina di caffè. Il manico era tenuto tra due dita da una mano avvolta in un guanto da motociclista. Sul polsino si poteva leggere la scritta Guardian. Il telefono ha smesso di vibrare, l’ho lasciato andare sulla moquette e sono tronata di fianco a Jenny. Non si era accorta di nulla. Il film era quasi finito. Sentivo le palpebre appesantite dal sonno. Prima che si chiudessero definitivamente sono tornata a guardare lo schermo. Hitchcock era stato scalzato da uno strano programma notturno. Un tizio vestito da SS e la sua assistente. Erano seduti su un divano di pelle, l’aria intrisa di fumo di sigaretta. Lei indossava una tutina di spandex aderente bianca su cui erano disegnate delle banane. Capelli lunghi e lisci, occhiali da sole rosa con la lente a forma di ala di farfalla. Alle loro spalle avevano appeso un poster gigante del Barone Rosso sul suo aeroplano. Stavano tirando fuori degli oggetti da una cassapanca rovesciata davanti a loro. Man mano che li prendeva dalla cassapanca, il tizio vestito da SS, se li buttava dietro le spalle. Per primo è comparso l’alimentatore di un portatile, lei lo ha guardato con aria interrogativa. È volato dietro il divano. Poi è toccato a due bastoncini di zucchero filato, un fucile mitragliatore, una bottiglia di vino dolce. Quando ha tirato fuori un frustino di cuoio e un collare per cani agganciato ad un guinzaglio di Victoria Secrets lei ha sorriso. Ha stretto le gambe e ha messo le mani sulle ginocchia. Lui, intanto, si era messo a gonfiare un palloncino rosso. La ragazza si è morsa il labbro inferiore, lui ha gonfiato più forte, il palloncino stava diventando sempre più grande quando il film di Hitchcock è ricominciato. Al posto di James Stewart però c’era il tizio vestito da nazista. Stava strapazzando i due studenti accusati di omicidio. Il volume era troppo basso per riuscire a sentire i dialoghi, la scena comunque è andata avanti in maniera leggermente diversa dall’originale. Rupert SS ha improvvisamente spalancato la cassapanca, i due studenti erano esterrefatti. Lui li ha fissati a lungo con le mani sui fianchi, poi ha infilato dentro un braccio e tirato fuori il mio corpo. Ero ancora viva, i polsi legati alle caviglie da una doppia fune. Completamente nuda. Mi avevano messo un pezzo di nastro adesivo sulla bocca. La fune passava in mezzo alle gambe, all’altezza della vita si divideva in due per avvolgermi i seni e terminava intorno al collo. Rupert mi ha delicatamente tolto il nastro adesivo dalla bocca, le sue mani sono scivolate lungo la fune. All’altezza della vita le dita si sono infilate sotto per tenderla leggermente. Mi ero lasciata scappare un gemito. Dopo ha sciolto i nodi e mi ha aiutata a tornare in piedi. Solo che, quando sono finalmente riuscita a scendere dalla cassapanca ci siamo ritrovati in una sala da ballo. Ero pronta per ballare il tango, avevo un vestito da sera rosso con uno spacco da urlo. Lui mi ha tirata a sé, in mano stringeva un mazzo di margherite, pensavo fosse sul punto di baciarmi teneramente. Invece ha cominciato a schiaffeggiarmi furiosamente con i fiori. Il film è di nuovo saltato sul programma notturno. Il tizio vestito da SS aveva tirato fuori dalla cassapanca un detonatore, una piccola scatola di metallo rossa con una grossa leva e la scritta T.N.T su un lato. Si è tappato le orecchie con gli indici, la ragazza delle banane si è alzata in piedi e ha afferrato la leva con entrambe le mani. Aveva sporto il culo proprio davanti alla faccia del nazista, il palloncino era diventato enorme, quando la leva si è abbassata è scoppiato. In quel momento ho spalancato gli occhi. Jenny doveva essersi alzata mentre ero addormentata, si era tolta la maschera di bellezza e sciolta i capelli. Mi si era aggrappata come un koala, dormiva profondamente con la bocca socchiusa. Quando ho cercato di muovermi ha borbottato: “Holè!”.

REEL TWO, SNAKEPIT

L’acqua continuava ad infiltrarsi attraverso le pareti di pietra. Sono riuscita a scorgere il mio riflesso nella pozza che si era formata sul pavimento, le gocce scendevano lentamente formando piccole onde in grado di deformare la mia immagine. I ricordi con C. A. si sono sovrapposti in quella visione distorta, passavano velocissimi tra una goccia e l’altra. Appena mi lasciavo andare a quella piacevole sensazione, la fune tornava a tendersi. La donna con la candela è entrata nella cella proprio in quel momento. Si è avvicinata squarciando l’oscurità. Ne stringeva altre due, ancora spente in una mano. Mi ha appoggiato quella accesa sul petto. Poi ha acceso le altre due dalla prima. Una l’ha posata sulla pancia, l’altra appena sopra la fica ed è rimasta a fissarmi. La luce tremolante rivelava la mia pelle nuda nel buio della cella. La cera ha cominciato a sciogliersi, fino a traboccare dalle candele, scivolava velocemente verso il mio corpo. Quando mi ha toccato la pelle sono stata attraversata da una scarica di dolore indescrivibile. I muscoli si sono contratti in uno spasmo. Un’onda d’urto radioattivo e incandescente stava sciogliendo la pelle sul corpo. Il cappio intorno al collo si è teso fino quasi a spezzarmelo. Ho dovuto ricorrere a tutte le mie forze per respingere il dolore e tornare in una posizione che potesse allentare la stretta. Ho guardato le candele, la cera era di nuovo sul punto di traboccare. Ormai si erano completamente incollate sulla pelle. Quando ha cominciato a scendere lungo la candela che avevo sulla fica, ho cercato di muovere il bacino in modo che restasse leggermente inclinata. La cera aveva rallentato la sua corsa, la fune in mezzo alle gambe si è mossa, scorreva lentamente sulla fica, un centimetro alla volta. Mi ha toccato la pelle, ma ormai si era raffreddata abbastanza da non provocarmi più alcun dolore. L’altra sul petto però ha rovesciato il suo liquido rovente tutto in una volta. Un’intera metropoli è stata polverizzata in un secondo dal vento radioattivo. Ho digrignato i denti, il dolore era tremendo. Le candele si sono riempiete di nuovo di cera fusa. La donna mi fissava nel buio. Ho cercato di inarcare il corpo, la candela sul petto e quella sulla pancia si sono inclinate. La cera è scivolata giù sempre più lentamente. Poi ho fatto la stessa cosa con quella più in basso. La fune intanto scorreva sulla fica. Un piacere indescrivibile mescolato al calore della cera fusa. A quel punto lei si è avvicinata e ha staccato la candela dal petto. Ormai sapeva che avevo capito. Mi ha sorriso nella penombra e ha inclinato la candela. Tutti i miei sforzi stavano per essere nuovamente vanificati. Invece ha alzato leggermente il braccio, aumentando la distanza della candela dal mio corpo. La cera mi ha raggiunta ancora, la sua temperatura era scesa abbastanza da non essere più dolorosa. La fune continuava a scorrere.

Ci siamo svegliate presto il giorno dopo. Jenny ha riconsegnato la chiave quando ancora stavo facendo colazione. La situazione sembrava abbastanza piacevole. Ero decisa a spassarmela, ho preso una tazza di cappuccino colma fino al bordo. La schiuma bollente stava per colare fuori dalla tazza. Ho dovuto rimediare rapidamente con il cucchiaino. Mi ero presa anche due fette enormi di torta al cioccolato. Era buonissima, non riuscivo a ricordare l’ultima volta in cui avevo mangiato qualcosa di così buono. Jenny stava già caricando i bagagli in macchina. Non aveva preso niente. Ho finito il mio cappuccino e prima di lasciare il bar mi sono riempita le tasche del cappotto di confezioni di marmellata alla frutta. In macchina mi ha subito beccata.
“Ma c’erano tutti quei gusti non sapevo quali scegliere. Volevo provarli tutti”
“Sei una cosa allucinante”.
Poi però è rimasta a lungo in silenzio. Sapevo che nel suo silenzio forzato c’era qualcosa, ma l’ho lasciata fare. Alla fine, ha ceduto.
“Senti…”
“Co-cosa?”
“Lo sai benissimo. Perché non lo dici e basta, senza questi trucchetti psicologici del cazzo? Hai aspettato a parlare, solo perché il silenzio diventasse abbastanza imbarazzante da attirare l’attenzione della conversazione sulla domanda che mi vuoi fare. Per cui adesso spara”
“T-tu…tu fai l’amore anche con le ragazze?”
Lei mi ha rivolto un’occhiata inquietante, un’espressione indecifrabile. Ricordavo di aver visto qualcosa di simile nei documentari del National Geographic. La stessa che avevano i ghepardi prima di scagliarsi sulle gazzelle.
“A Francoforte prendiamo di nuovo una stanza. Passiamo la notte prima di arrivare a destinazione”
“N-N-on…non vedo l’ora di a-a-arri-varci”.
La guida di Jenny era diventata improvvisamente più rilassata. Per qualche motivo aveva cominciato ad andare più lentamente. Stava giocando al gatto col topo. Alla fine, non ho avuto più dubbi. Le guance hanno cominciato a scottare. Lei sorrideva, mi faceva una rabbia tremenda. Dovevo ammetterlo, mi piaceva.
Abbiamo fatto un paio di soste per mangiare e riposarci. Poi abbiamo puntato dritto verso Francoforte. Il sole scendeva lentamente, le luci delle altre auto hanno trasformato l’autostrada in un lungo fiume di puntini luminosi. In albergo non avevo più nessuna voglia di parlare. Appena siamo entrate in camera mi sono avvicinata al letto e sono rimasta a guardarla. Lei ha buttato i bagagli a terra soddisfatta e si è avvicinata. Mi ha messo le mani sui fianchi sorridendo. Se avessi detto qualcosa, l’illusione sarebbe svanita. Almeno questo era quello di cui mi ero convinta quando ha cominciato a baciarmi. Mi ha spogliata lentamente ed è scesa verso il basso. Mentre mi leccava ho pensato ad una poesia che avevo scritto sull’amore. Subito dopo averla scritta avevo perso il foglio di carta che avevo usato, ma la ricordavo ancora perfettamente. Una lunga metafora sull’amore, costruita usando la bellezza dei fiori e l’arrivo della primavera. Improvvisamente mi era sembrata una stupidaggine. L’imbarazzo per tutte quelle idiozie mi stava facendo impazzire, il viso stava andando a fuoco. Quando è scesa dalla fica nel culo, ho capito. Ero stata davvero una stupida a sentirmi in quel modo. Aveva ragione quella poesia, l’amore è una cosa semplice come l’arrivo della primavera. Era questo il senso. Poi sono venuta.

REEL THREE, WE FADE TO RED

Dopo il sesso abbiamo fatto la doccia e siamo rimaste a parlare sdraiate sul letto finché non mi sono addormentata. Mi sono resa conto di essere nel mezzo di un sogno quando è ricominciato quello strano programma notturno. Questa volta era appena iniziato, c’era ancora la sigla. Dovevo essermi messa a ridere nel sonno perché per poco non mi sono svegliata per i miei singhiozzi strozzati. La sigla era quanto meno bizzarra. Una lunga serie di disastri aerei e incidenti d’auto accompagnati dalle Sister Sledge. He’s the Greatest Dancer rimbombava ad un volume altissimo nella mia testa. Due elicotteri si sono scontrati in volo a fortissima velocità, schiantandosi uno contro l’altro. Un Tir si è girato di traverso sull’autostrada. Il rimorchio ha spazzato via una fila di auto tagliando la carreggiata. I veicoli risalivano tutti agli anni ’70. Un treno è deragliato. I vagoni si sono rovesciati, poi è comparso il titolo del programma. Sembrava una di quelle scritte con le lettere ritagliate dai giornali, come nelle lettere anonime dei maniaci. Diceva Oh What? Wow! He’s the Greatest Dancer! Un autobus è precipitato da un viadotto. STARRING La Crème De La Crème: MISS GINGER&THE MAGIC. A quel punto sono comparsi i due conduttori, stavano ballando sulle Sister Sledge nello studio con il divanetto di pelle, perennemente avvolto dal fumo di sigaretta. Lui era ancora vestito da SS, lei aveva sempre la tutina di spandex con le banane e gli occhiali da sole rosa a forma di farfalla. La locandina alle loro spalle però era cambiata, King Kong. La versione degli anni ’30, con qualche piccola alterazione. Kong si stava arrampicando sull’Empire State Building tenendo sottobraccio un gigantesco casco di banane. Ann Ward invece era a bordo di uno dei bombardieri intenzionata ad abbatterlo. Si stavano passando uno spinello quando la sigla è scemata.
“Miss Ginger, l’introduzione di questa puntata è stata davvero interessante”
Lei si è messa a ridere mettendosi comoda sul divanetto.
“Si bisogna ammettere che in quanto a introdurre, sei abbastanza bravo”
“Miss Ginger…”.
Ha spento lo spinello nel portacenere sul tavolino davanti a loro e si è sistemato il colletto della divisa.
“Allora, nella puntata di oggi affronteremo un tema molto importante”
“Uh! Quale Mr. Magic?”
“Esatto proprio quello. Partiamo subito con il primo servizio”
“Ok”. Miss Ginger ha cominciato a togliersi la tutina di spandex, si stava per mettere in ginocchio davanti a Mr Magic, lui l’ha tirata su per rimetterla sul divanetto.
“Non faccia così Miss Ginger, non questo. Questo”.
Le immagini del programma si sono spostate in una casa abbandonata. Al centro di un grande salone, avevano posizionato un cavalletto con un quadro coperto da un telo. Si trattava indubbiamente di un cavalletto per dipingere. Sono entrata nella stanza inquadrata di spalle e ho camminato verso il cavalletto girandogli intorno. Ero decisa a scoprire il quadro, ma quando ci ho provato le immagini sono tornate in studio. Mr. Magic si era acceso una sigaretta.
“Bene, tutto chiaro no?”
“Io non ci ho capito niente”
“Ecco appunto. Ora è arrivato il momento del nostro sponsor”. Ha sollevato uno scatolone impacchettato con una carta da regalo nera coperta di svastiche bianche e lo ha aperto.
“Finalmente è arrivata la nostra idea regalo, Linea Hitleriana per la casa. Tutti gli articoli all’interno sono stati realizzati, rigorosamente opprimendo popolazioni indifese del terzo mondo. Piacerà molto alle casalinghe. Questo è certo”
“Vero”
“Miss Ginger, dobbiamo passare al secondo servizio della nostra puntata”
“Oh!”.
Le immagini erano tornate ancora nella casa abbandonata. Mi avvicinavo al cavalletto, giravo intorno al quadro ancora coperto e ai suoi piedi trovavo un foglio di carta gialla. La poesia che avevo scritto sull’arrivo della primavera. Conoscevo benissimo il testo, allo stesso tempo non ero in grado di leggere nemmeno una riga. Mi sentivo come Wendy in attesa di Peter Pan. Ero riuscita a catturare la sua ombra, ma lui ancora non si faceva vedere. Ho lasciato cadere il foglio, delle grida all’esterno della casa mi hanno attirata verso la porta al fondo del salone. I miei passi sul pavimento di legno impolverato scandivano la distanza con l’esterno come un orologio a pendolo. Prima che potessi uscire all’esterno la stanza si è riempita di cani sciolti. Un branco di cani si muoveva intorno al cavalletto strusciandosi uno contro l’altro. In mezzo a loro ero riuscita a scorgere anche un lupo, puntava una femmina con il pelo rosso. Cercava di tenerla vicino a sé mordendole il muso per gioco. Oltre la porta ho trovato un Luna Park. Un’altissima ruota panoramica proprio di fronte all’ingresso. Le montagne russe poco più avanti. Era affollatissimo. Mr. Magic, stava parlando con un gruppo di ragazzi appoggiato con il gomito sul bancone del chiosco dello zucchero filato. Mi sono avvicinata cercando di ascoltare i suoi discorsi, stava parlando di un pasticcino squisito che aveva mangiato, non ero riuscita a catturare altro delle sue parole in mezzo a quella confusione. Miss Ginger si è fatta largo tra la folla, si era messa un giubbotto di pelle sulle spalle, sopra la tutina di spandex. Gli occhiali a farfalla, alzati sopra la testa. Una sigaretta a un lato della bocca. Si è avvicinata a Mr. Magic e gli ha detto soltanto: “Tell me about it…stud”. Lui ha cominciato a togliersi la giacca della divisa da SS, agitando i fianchi sulla musica di You’re the one that I want. Conoscevo la scena, un musical. A parte i due protagonisti il resto era abbastanza fedele all’originale. “You better shape up, cause I need a man…”. Mr. Magic seguiva Miss Ginger sullo SHAKE SHACK per continuare il duetto, quando uscivano all’esterno fianco a fianco, lui andava dritto verso il martello e faceva schizzare il peso da mille chili verso il gong. Le immagini erano di nuovo tornate in studio.
“Davvero dei bei momenti Miss Ginger. Ora però dobbiamo far entrare la nostra ospite”
“E di chi si tratta, Mr. Magic?”.
Lui usciva dall’inquadratura, poi tornava spingendomi sul divanetto. Mi stringeva le mani dietro la schiena, le ha lasciate andare solo quando sono finita in mezzo a lui e Miss Ginger.
“Eccola qui”
“Wow! Una poetessa!”.
Mr. Magic non sembrava affatto contento di avermi lì in mezzo a loro. Ha tirato fuori il foglio con la poesia e si è messo a sbraitare. Mi aveva afferrata per il colletto. Miss Ginger invece cercava di farmi coraggio.
“Allora! Adesso vuole finalmente spiegarci questo? Pensava davvero di farla franca?”
“I-I-Io, volevo…”
“Su non sia timida”
“Miss Ginger la smetta, allora si decide a parlare?”
“N-Non…volevo soltanto…”
“Lei si sta prendendo gioco di noi. Vuole provocarci?”.
Ha sbattuto violentemente le mani sul tavolino, poi si è alzato in piedi per slacciarsi la cintura.
“V-Vo-Vorrei..un b-bicchiere d’acqua per favore…”
“Ma certo”.
Miss Ginger mi ha passato un bicchiere d’acqua dal tavolino, lui però si è arrabbiato ancora di più. Me lo ha fatto cadere e ha ricominciato ad urlare.
“Guardi qui! Ma si ricordi che questo è l’ultimo servizio!”.
Le immagini sono tornate nella stanza con il cavalletto. Sono andata verso il quadro coperto, sentivo di essere vicina alle lacrime. Ero sicura che non potesse nuocere a nessuno, quello che avevo scritto nella poesia. Semplicemente non riuscivo a ricordarlo più, non capivo più il senso delle parole.
Ho afferrato il telo sollevandolo lentamente. Ricordavo di averla scritta un giorno in cui ero rimasta da sola nella stanza per studenti. Era stata una giornata come tante altre, non era successo niente di particolare. Mentre aspettavo le mie compagne di stanza, mi ero messa a pensare alla solitudine e all’amore, le parole erano venute fuori da sole. Il telo è caduto a terra, a quel punto tutto è diventato molto chiaro. Sotto c’era soltanto uno specchio.
Quando le immagini sono tornate in studio stavo per scoppiare a piangere. Miss Ginger mi consolava accarezzandomi i capelli. Mr. Magic invece era ancora fuori di sé.
“Si decide a parlare o no?”.
Per qualche motivo mi sono tornate in mente le parole di un film di Malle.
“Volevo soltanto essere amata”.
Mr. Magic aveva definitivamente perso la pazienza, era in piedi alle mie spalle. Cercava di infilarsi un guantone da boxe. Ha soltanto aggiunto: “Adesso basta…”. Poi mi sono svegliata.

- Sono passate. Elle –
- Quando lo trovate sapete cosa fare. Sweet Revenge –

Jenny stava fumando una sigaretta sul balcone della camera. Ho infilato le scarpe e la sua giacca a vento per raggiungerla, non capivo come riuscisse a sopportare quel freddo senza congelare. Le ho messo le mani intorno ai fianchi, lei continuava a guardare la città sotto di noi.
“Ho fatto uno strano sogno”.
Ha soffiato una boccata di fumo verso l’alto, poi si è voltata per guardarmi negli occhi.
“Da qui in avanti resta incollata a me. Non so di preciso cosa ci aspetta”
“Non preoccuparti non ho paura”. Ha buttato la sigaretta e ha di nuovo rivolto lo sguardo verso il cielo. A quel punto avevo capito cosa stesse fissando tanto intensamente. Una piccola sfera luminosa. Attraversava il cielo sopra di noi lasciandosi dietro una lunga scia luminosa. Gli occhi di una donna si sono aperti sopra i colori dell’alba di Francoforte poi sono subito svaniti.
“Andiamo ci aspettano”.

Lasciata la stanza, ci siamo dirette verso la periferia. Il centro di Francoforte era fantastico, siamo passate sotto i grattacieli attraversando tutta la direttrice principale della città. Jenny è rimasta concentrata nella guida, io continuavo a guardare fuori del finestrino, non ricordavo di essere mai stata così felice. Le strade erano affollatissime, per lo più gente sul punto di entrare al lavoro. Studenti impegnati a rileggere la lezione prima dell’inizio della scuola. Ad un incrocio proprio nel mezzo del quartiere degli uffici, ci ha affiancate l’auto di un pezzo grosso. Vetri oscurati e carrozzeria nera perfettamente lucidata. Leggeva il giornale, il finestrino abbassato a metà. Jenny si è allungata gli occhiali a specchio sul naso e ha abbassato completamente il suo. Quando il tizio si è accorto di essere osservato, lei ha cominciato ad ammiccare con le labbra come se volesse mandargli un bacio, intanto continuava a strofinare indice e pollice. Appena è scattato il verde ha pestato a tavoletta ed è ripartita facendo slittare le ruote. La playlist nello stereo era arrivata a Be Quick or Be Dead. L’urlo di Bruce Dickinson è stato soffocato dal tuono dei dieci cilindri a V, attraverso i grattacieli di Francoforte.

REEL FOUR, APOCALYPSE LIPS

“Non sono ancora arrivate”
“Guarda che aria tira. Se non ti convince taglia la corda. Come cazzo gli è venuto in mente di chiederti una cosa del genere?”
“Non lo so che cosa c’è sotto. Se Jenny chiede una cosa del genere, un motivo c’è”
“Non farti coinvolgere come sempre. Ti aspetto al negozio”
“Adesso devo chiudere sono arrivate, credo. Dovresti vedere con cosa si sono presentate”.

Jenny si è parcheggiata proprio di fronte al Bar dove le avevo dato appuntamento. Ho aspettato che spegnesse il motore e sono andata verso la loro macchina. Le avrei spiegato subito la situazione e alle prime avvisaglie di casini avrei tagliato la corda. La ragazza insieme a lei era molto carina, capelli rossi, lunghi e mossi. Il viso era piuttosto attraente. Cappotto verde e Dr. Martens. Non l’avevo mai vista nel suo bordello clandestino. Jenny si era messa una giacca a vento rosa, leggings neri sotto una minigonna di lana grigia, stivali al ginocchio di pelle. La giacca a vento era aperta, sotto aveva soltanto una maglietta bianca con il disegno di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany stampato sopra.
“Venite, andiamo a parlare lì dentro. Lo so che siete preoccupate, io però non posso mollare tutto per andare in Colombia di punto in bianco”.
Ci siamo sedute al bancone, le ho parlato a lungo. Avrei voluto aiutarle, ma quella storia della nave scomparsa mi faceva venire i brividi. Lei mi ha lasciata parlare, sapevo benissimo che non aveva capito una sola parola. Perché fosse più chiara la situazione, ho preso un foglio di carta e ci ho messo sopra un punto interrogativo. Jenny mi ha tolto la penna di mano e ha aggiunto un cuoricino sotto, in risposta.
Siamo uscite dal bar subito dopo, volevo portarle al negozio di mia sorella, speravo nel suo supporto per farmi capire meglio. Niente da fare, piano stravolto. L’Hummer di Natasha è sbucato da un vicolo a tutta velocità e si è fermato proprio davanti a noi. Hanno aperto lo sportello aspettando che saltassimo su. Elle era seduta dietro, insieme a lei c’era solo Sonia alla guida.
“Sbrigatevi, non abbiamo molto tempo”
“Ci mancava questa! Non voglio finire ammazzata! Che cazzo è successo con la storia della nave?”
“Muovetevi, Sonia verrà con voi per sicurezza, ci stanno seguendo, le spiegazioni dopo”.
Ha preso Jenny per un braccio e l’ha tirata sull’Hummer. La ragazza con il cappotto verde l’ha seguita a ruota. Io sono salita per ultima.
“Fanculo!”.
Due SUV della Media-Elektron si sono piazzati dietro l’Hummer appena siamo arrivate nei pressi dell’aeroporto. Sonia ha cercato di seminarli senza successo, ha imboccato una strada secondaria sperando che perdessero le nostre tracce in mezzo al traffico in uscita dalla città. La meridiana al dito sembrava impazzita. L’anello continuava a girare su sé stesso come se stesse cercando di indicarci una direzione usando i numeri romani incisi sopra. Elle è scivolata sul sedile davanti vicino a Sonia.
“Attenta, se ci chiudono in mezzo a questo labirinto siamo fottute!”
“Non mettermi ansia!”
“Sentite! Devo farvi vedere una cosa!”
“Non adesso cazzo!”.
Jenny è stata l’unica a darmi ascolto. Mi ha afferrato la mano con la meridiana, cercava di capire cosa potesse significare.
“Sentite, dovete darle ascolto! Questo non è un comune anello, guardate qui. Forse dovremmo darle ascolto, prima di finire ammazzate da quei bastardi!”.
La ragazza tedesca ha imprecato, cercando di attirare l’attenzione di Elle, lei si è sporta verso i sedili dietro.
“Sonia! Hanno ragione! Che accidenti significa il XII? Dobbiamo andare verso Nord? Allora? È verso Nord il XII?”
“Che vuoi che ne sappia di numeri romani? È quello il mio problema!”.
Ha indicato un terzo SUV davanti a noi, gli altri dietro hanno accelerato, ci avevano prese in mezzo.
“Cazzo!”.
Elle si è di nuovo sporta dietro. Sembrava fuori di sé. Abbiamo istintivamente alzato le gambe sul sedile, cercava qualcosa sotto la tappezzeria dell’Hummer. Ha fatto scattare uno scomparto segreto nascosto sotto il sedile posteriore e ha tirato fuori un fucile mitragliatore.
“Smith & Wesson M&P 15 calibro 223 Remington, vediamo come se la cava la vostra meridiana del cazzo al confronto con questo!”.
Sonia ha mandato fuori giri l’Hummer, stava zigzagando puntando dritta il SUV davanti a noi perché Elle potesse prendere la mira. Lei aveva aperto il tettuccio ed era salita i piedi sul sedile del passeggero. Prima di aprire il fuoco ha dato un calcio al cruscotto facendo partire lo stereo, You pull the trigger of my love gun. Paul Stanley aveva appena aperto le danze con la Media-Elektron. Colpo singolo, tre a ripetizione. Il primo ha solo scalfito il parabrezza blindato del SUV bianco di fronte a noi. Il secondo ha disegnato una ragnatela di crepe sul vetro. Il terzo lo ha mandato in pezzi. Il SUV ha cercato di uscire dalla traiettoria, Sonia ha pestato di colpo il freno, l’Hummer si stava girando di traverso, poi ha controsterzato e ha ripreso a tavoletta. La finta aveva funzionato, il muso dell’Hummer puntava dritto verso il SUV. Elle ha aperto di nuovo il fuoco centrando in pieno il guidatore. Sonia è riuscita a schivarlo per un soffio, il SUV della Media-Elektron è finito dritto contro quello alle nostre spalle. Il secondo non ha mollato, era ancora dietro di noi e come se non bastasse anche loro avevano un fucile automatico. Le prime raffiche sono passate ad un soffio da Elle. Lei si è lasciata cadere all’interno, tornando al suo posto.
“Cazzo!”
“L’autostrada sbrigati!”.
Abbiamo quasi fatto un’inversione a U per imboccare la rampa. I lampeggianti gialli che segnalavano banchi di nebbia a tratti sono andati in pezzi sotto le raffiche della Media-Elektron. La meridiana si era fermata sul numero XII.
“Avete visto? Avevamo ragione!”
“Davvero commovente e quelli?”.
Sonia era sempre più preoccupata. Un fitto banco di nebbia ci aspettava proprio sotto un dosso.
“Così ci beccano!”
“Dici?”.
Elle ha aspettato che l’Hummer fosse completamente avvolto nella nebbia, poi è di nuovo salita in piedi sul sedile e ha puntato il mitra verso il SUV alle nostre spalle, pochi metri ci separavano, ma separavano anche il SUV dal banco di nebbia. Ha esploso solo due colpi facendo saltare entrambi i fari.
Pneumatici inchiodati. Meno di cento metri più avanti la carreggiata diventava a doppio senso per lavori stradali. Elle è tornata giù soddisfatta.
“Io dico che li abbiamo fottuti! Sonia! Li abbiamo fottuti!”
“Sì, però adesso calmati. C’è mancato poco. Credo che anche loro abbiano qualcosa per trovare questa tipa. Riescono a trovare il suo anello”
“Cazzo. È un bel casino. Che pensi di fare?”
“Seguiamo il piano. All’aeroporto prendi l’Hummer e torni a far sparire la macchina di Jenny. Domani mattina abbiamo il volo per la Colombia”.
Noi tre sul sedile posteriore eravamo terrorizzate, ci stavamo stringendo una all’altra per farci coraggio. Quelle pazze non avevano idea dalla nostra paura assoluta. Continuavano a darsi pacche sulla spalla sghignazzando. Ad un certo punto Elle si è girata verso di noi.
“Allora ragazze? Come vi sembra? Eh? Una bella vacanza in Colombia! Cazzo!”. Ha dato uno schiaffo sul culo della ragazza con il cappotto verde ed è tornata a complimentarsi con Sonia per l’inseguimento. Lei ha risposto sottovoce: “Non voglio più partire”.

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scritto il
2024-03-17
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