Un sogno
di
Lostwtf
genere
sentimentali
Lo scricchiolio dei mobili e qualche schiocco del vecchio frigorifero spezzano il ritmo del ventilatore.
Soffoco. Mi sembra di stare all’interno di fauci infuocate: mi alitano addosso appena le pale del ventilatore si spostano, in un ritmo infernale che non smette mai di inspirare ed espirare.
Un’ambulanza, in lontananza, corre da qualche parte per provare a salvare una vita.
Scivolo via, libera dal corpo, liquida, entro nell’oceano dei sogni.
Mi ritrovo in una casa male illuminata.
È casa mia ma allo stesso tempo non lo è: qui dimorano gli altri, è il luogo degli arrivi e delle partenze.
Dall’uscio di ciò che potrei considerare la mia camera da letto, guardo verso ciò che so essere l’ingresso di quella casa.
Spero che qualcuno mi farà il favore di accendere una luce: sta arrivando qualcosa ed ho urgenza di vedere, ma nessuno mi ascolta.
“Ti prego… per favore accendi una luce…!” ma a rispondermi è solo l’ombra muta di oggetti dentro stanze che non conosco bene.
“Ti prego… accendi la luce! - ripeto più trafelata - Ma che fai?!” Mi sento dire nel sogno.
Mi sveglio a fatica, spaventata, riemergo con grande sforzo da una melma sonnolenta, pesante, quasi solida, con la sensazione sgradevole di aver scampato per un pelo qualcosa di brutto.
Sono al buio, in camera da letto.
Il ventilatore continua a girare: ora si sta un po’ meglio grazie alla brezza che filtra dalle finestre.
Mi sposto i capelli incollati dal sudore da sotto il collo e mi sporgo a prendere il cellulare: mi sembra di aver dormito per ore, ma sono solo le due di notte.
Infastidita, mi ritrovo stanca ma allo stesso tempo incapace di riaddormentarmi.
Un pensiero stuzzicante sposta la mia attenzione su altro,ma questa idea si spegne così come si era accesa, inghiottita dal sonno.
Riappoggio il cellulare sul comodino e la sua luce lattiginosa illumina qualcosa: un volto sospeso nel buio.
Un urlo strozzato mi muore in gola, sto per sferrare un colpo a vuoto nel buio, il cuore mi batte fortissimo nel petto.
Riprendo il controllo quel tanto che basta per accendere la torcia del cellulare e illuminare la stanza tremando come una foglia.
Una luce giallastra e malsana riempie lo spazio: sono sola, non c’è nessuno vicino a me.
“Oddio che paura… me la sono quasi fatta sotto…” dico ridacchiando: ho sempre avuto una grande immaginazione, devo aver visto male. Per forza.
Mi guardo attorno: tutto ciò che riesco a vedere è in ombra, confuso, come se la luce della torcia fosse scarica e non riuscisse a illuminare bene le cose attorno.
Ora ho capito… non mi sono mai svegliata.
Soffoco. Mi sembra di stare all’interno di fauci infuocate: mi alitano addosso appena le pale del ventilatore si spostano, in un ritmo infernale che non smette mai di inspirare ed espirare.
Un’ambulanza, in lontananza, corre da qualche parte per provare a salvare una vita.
Scivolo via, libera dal corpo, liquida, entro nell’oceano dei sogni.
Mi ritrovo in una casa male illuminata.
È casa mia ma allo stesso tempo non lo è: qui dimorano gli altri, è il luogo degli arrivi e delle partenze.
Dall’uscio di ciò che potrei considerare la mia camera da letto, guardo verso ciò che so essere l’ingresso di quella casa.
Spero che qualcuno mi farà il favore di accendere una luce: sta arrivando qualcosa ed ho urgenza di vedere, ma nessuno mi ascolta.
“Ti prego… per favore accendi una luce…!” ma a rispondermi è solo l’ombra muta di oggetti dentro stanze che non conosco bene.
“Ti prego… accendi la luce! - ripeto più trafelata - Ma che fai?!” Mi sento dire nel sogno.
Mi sveglio a fatica, spaventata, riemergo con grande sforzo da una melma sonnolenta, pesante, quasi solida, con la sensazione sgradevole di aver scampato per un pelo qualcosa di brutto.
Sono al buio, in camera da letto.
Il ventilatore continua a girare: ora si sta un po’ meglio grazie alla brezza che filtra dalle finestre.
Mi sposto i capelli incollati dal sudore da sotto il collo e mi sporgo a prendere il cellulare: mi sembra di aver dormito per ore, ma sono solo le due di notte.
Infastidita, mi ritrovo stanca ma allo stesso tempo incapace di riaddormentarmi.
Un pensiero stuzzicante sposta la mia attenzione su altro,ma questa idea si spegne così come si era accesa, inghiottita dal sonno.
Riappoggio il cellulare sul comodino e la sua luce lattiginosa illumina qualcosa: un volto sospeso nel buio.
Un urlo strozzato mi muore in gola, sto per sferrare un colpo a vuoto nel buio, il cuore mi batte fortissimo nel petto.
Riprendo il controllo quel tanto che basta per accendere la torcia del cellulare e illuminare la stanza tremando come una foglia.
Una luce giallastra e malsana riempie lo spazio: sono sola, non c’è nessuno vicino a me.
“Oddio che paura… me la sono quasi fatta sotto…” dico ridacchiando: ho sempre avuto una grande immaginazione, devo aver visto male. Per forza.
Mi guardo attorno: tutto ciò che riesco a vedere è in ombra, confuso, come se la luce della torcia fosse scarica e non riuscisse a illuminare bene le cose attorno.
Ora ho capito… non mi sono mai svegliata.
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