Signorina Niente

di
genere
gay


È un inizio di giornata pigro. Sia Roberto che Claudio hanno i primi appuntamenti di lavoro solo in tarda mattinata. Rimangono un po' più a lungo a letto. Poltriscono e scherzano.

«Giochiamo a un gioco», dice Claudio.
«Che gioco?»
«Il gioco delle persone che non contano niente.»
«E che gioco sarebbe?»
«Uno che ho inventato io adesso.»
«E come si gioca?»
«È semplice, ti racconto di una persona che non conta niente, così, a caso... Magari una di quelle che incroci per un attimo, che hai giusto il il tempo di guardarle e sono già sparite dalla tua vita..»
«E allora se non contano niente, e spariscono subito dopo che le hai viste, cosa c'è da raccontare?.»
«Beh sai... Spesso sono proprio quelle le persone su cui si fantastica. Senza che neanche accorgersi. Per noia, svagatamente.»
«Va bene! Non so quanto darà divertente, ma giochiamo pure. Sentiamo, di chi mi vorresti raccontare?»
«Non lo so, ci sarebbe quella ragazza che ho visto ieri in metro, ad esempio. Se ne stava lì di fronte a me. Gonna scura, camicetta chiara, colletto alto e chiuso, che gli arrivava quasi fino al mento. Occhiali, una montatura severa e un po' anni cinquanta. Un maglioncino. Capelli molto corti. Niente seno. Se ne stava lì come tutti noi, un libro in mano, le cuffiette. A tracolla una di quelle borsette ridicole, poco più grande di un portachiavi...»
«Ma...»
«...ma c'era in lei qualcosa che stonava. Non leggeva, o si distraeva di continuo. Guardava tutti quelli che aveva attorno. Ma non direttamente. Da sotto gli occhiali. Tutto attorno. Lentamente. Come se lei stesse cercando qualcosa o qualcuno. Come se stesse studiando e valutando...»
«E poi?»
«Poi quando ha sollevato il viso ho visto il suo rossetto. Rosso cupo. Un tono passionale, caldo, carico. Che non ti metteresti per andare al lavoro. Allora ho pensato che potesse avere dei segreti. Sotto i vestiti. Che poteva non essere così castigata come voleva sembrare. Se ne stava seduta un po' a disagio, si appoggiava da un lato. E quando si è mossa per far scendere il vicino ha fatto una smorfia, come per una fitta improvvisa.»
«E allora per noia hai cominciato a fantasticare, vero?»
«Vero, ma in realtà non una grande fantasticheria. Non c'è stato molto tempo. Ho pensato che non fosse una ragazza ma un ragazzo. Che stesse cercando avventure, anche se era mattina presto. Ho immaginato che sotto la camicia potesse essersi scritto con il rossetto un messaggio di offerta, qualcosa di umiliante. E che il colletto alto potesse servire a coprire lividi o qualcos'altro. Ho immaginato che sotto la gonna avesse un plug. Per essere sempre pronto. Una misura grande, che gli dava fastidio. Ho pensato che avesse una sfida con se stesso. Che voleva provarsi di poter distrarre qualcuno e trascinarselo dietro...»
«Hai fantasticato di scoparlo?»
«No. Sì. Non lo so. Non ho immaginato quasi niente. Forse un flash. Di una cosa breve, veloce, fatta pensando ad altro, da concludere il prima possibile...»
«Certo, come si merita, del resto, una persona che non conta niente», disse Roberto ridendo, «Sai cosa? Non so se mi piace questo gioco, però so che adesso mi devo preparare.»

Si alzano entrambi, si preparano, si salutano. L'appartamento rimane vuoto, nella penombra delle tapparelle abbassate. Anzi, rimane quasi vuoto. Adesso c'è in più una cosa che prima non c'era. C'è una storia che è rimasta sospesa nell'aria.

Quando Claudio rientra quella sera trova la casa immersa in una luce ambrata. Candele, che bastano appena a distinguere i profili delle cose. "Roberto si è inventato qualcosa", pensa.
Lo trova seduto sul divano, che finge di leggere un libro. Si è travestito. Non lo fa spesso. Si è vestito con una gonna scura e una camicetta chiara. E un golfino, naturalmente. Come una buona baby-sitter che ha messo i bimbi a riposare e adesso aspetta il rientro a casa del paparino.
«Buona sera signor Claudio. I bambini dormono. Io adesso la saluto. A meno che non voglia definire quella faccenda in sospeso...»

Claudio è svelto a infilarsi nella parte.
«Buonasera signorina...»
«Siamo rimasti d'accordo che i nomi me li avrebbe dati lei, uno diverso ogni giorno... non ricorda? E un'altra cosa: io le do del lei, ma lei mi da del tu.»
«Scusami, una dimenticanza momentanea. Oggi sei "signorina Niente". A quale faccenda in sospeso ti riferisci, Niente?»
«Ai miei segreti, a quelli sotto i vestiti. Sa, quella fantasia che non è riuscita a finire, nel metrò...»
«Capisco, hai ragione. Non che mi interessi più di tanto. Ma è vero, qualcosa è rimasto in sospeso. Alzati, fatti vedere!»

Roberto si alza, la gonna scura è corta e lascia libere le gambe. Sono lunghe e toniche. Ha imparato a tenerle lisce e depilate. Non si vergogna più di usare creme emollienti. Gli piace essere morbido sotto le mani di lui. Stasera le ha fasciate con un paio di autoreggenti.
«Alzati la gonna.»
Roberto obbedisce. Sotto la gonna fa capolino una gabbietta. Un segnale, un simbolo. Ne sente il peso. Laggiù ha una piccola cosa pendula, senza rilevanza. Qualcosa che stasera non serve. Stasera Roberto è solo qualcosa a disposizione. La fantasia di un altro.

Claudio si avvicina da dietro, gli abbranca la nuca nella sua mano, lo guida in camera. Lo spinge contro il comò. Lo fa appoggiare con le anche, un poco chinato verso lo specchio. Ci sono candele sul ripiano, Roberto si può guardare. Ha il viso truccato. Come la fantasia richiede. Ha optato per qualcosa di leggero, per approfondire lo sguardo, per valorizzare gli zigomi. Un po' di gel sui capelli, per tenerli tirati all'indietro. E poi, naturalmente, il rossetto. Un rosso cupo, che la sua bocca sembri un frutto maturo da mordere. Polpa da strappare. Una macchia rossa in mezzo al viso dolce. Un ragazzo? Una ragazza? Niente. Solo Niente.

Claudio le sfila il golfino. Se lo lancia dietro, senza guardare. Un'altra cosa senza importanza.
«Sbottonati la camicia.»
Roberto obbedisce, lento, bottone dopo bottone, finché la camicia non è tutta aperta. La tira appena indietro sulle spalle, ma senza sfilarla.
Un piccolo nastro in velluto gli cinge il collo. Al centro un occhiello, caso mai qualcuno volesse usare un guinzaglio. Sporge il torace verso lo specchio, esibisce due morsetti sui capezzoli, ad anello, con le viti laterali contrapposte. Ha una scritta sul petto, fatta con il rossetto. Quattro lettere. Le stesse che indicano un mestiere, forse una attitudine. Oppure solo un animale femmina, da riproduzione. Una bestia placida e stolida, che aspetta solo che arrivi il maschio a coprirla.

Claudio gli posa il palmo sinistro sulle scapole, lo tiene chinato. Si riempie la destra con i suoi capelli. Gli tira indietro la testa. La fa muovere lento, osservando il riflesso allo specchio. Lo osserva di fronte, poi il profilo destro, poi il profilo sinistro.
«Sei bella, Niente, ma il trucco non si adatta.»
Adesso le prende i capelli con la sinistra, lo tiene sempre tirato indietro, leggermente voltato verso di sé. Con la destra gli forza le mascelle perché apra la bocca. Intinge saliva. Strofina la mano sulla bocca, sugli zigomi, sulle palpebre. Rovina il trucco, lo sforma. Trasforma il volto in una maschera grottesca.
«Mi piace di più così. Mi sembra che si intoni meglio con quello che hai scritto lì davanti. Sei appena uscito dal bordello Niente? Forse sei stanco, forse sei sporco. Forse devo soltanto lasciarti andare.»

Roberto continua a guardarsi. Gli piace la maschera equivoca che è diventato. Tutto quel tempo dedicato a creare un trucco non volgare, tutto cancellato con un cenno noncurante. Il pensiero lo accende. Sulla cima della gabbietta fa capolino una piccola goccia biancastra. Sa che Claudio in realtà non vuole andarsene ma che lo farà, lo lascerà lì seminudo e inutile, se solo lui non troverà le parole giuste per trattenerlo.
«Come vuole signor Claudio. Credo che prima però dovrebbe guardare anche la scritta sulla schiena.»
«Allora spogliati, Niente. Sai che non ho molto tempo da sprecare con te.»

Roberto si sfila la camicia e la gonna. Rimane in piedi. Nudo, salvo le calze, E quei piccoli dettagli: i morsetti, il collarino, la gabbietta. Una figura slanciata. Nella luce ambrata è l'essere indistinto che ha sempre voluto essere. Il suo sesso è tradito solo dalle spalle appena più larghe e definite, difficili da trovare in una donna. Il suo sesso è contraddetto dai due globi morbidi in fondo alla schiena, forme arrotondate, troppo opulente per un uomo. Il bianco della parte superiore contrasta con le calze che inguainano le gambe. Una lunga linea tracciata con il rossetto scende dalla nuca fino al coccige. Finisce con una freccia che indica qualcosa nascosta dentro il solco tra le natiche. Ai lati una scritta: "Discarica Sperma".

Claudio fa una smorfia, qualcosa di meno di un sorriso.
Si avvicina. Infila una gamba tra quelle di Roberto. Forza in maniera che si allarghino. Lo carezza, lo percorre leggero con le dita. Parte dalla pelle tenera lasciata scoperta dalle calze, si alza, gioca con le curve, esplora quella zona che la luce delle candele lascia nell'oscurità. Sente la testa del plug che sporge. Lo preme un po'. Sa che è fastidioso. Scommetterebbe che Roberto ha indossato quello più grande, in vetro, a forma di pigna. Quello che ha bisogno di forza per entrare. Molta forza. Sa che adesso Roberto ha lo sfintere teso fino ai limiti. Che ogni mossa che farà sarà dolorosa. Muove la mano per completare la sua esplorazione. Passa sul davanti. Sempre guardando lo sguardo di Roberto riflesso dallo specchio. Soppesa il sacchetto depilato. Lo strizza, lo tira, viziosamente, poi lo torce. Roberto Geme piano. Il riflesso allo specchio mostra la bocca semiaperta, gli occhi accesi. Claudio tira qualche piccolo schiaffo sulla punta della gabbietta. La fa dondolare.
«Di che sesso sei stasera?»
Roberto esita.
«Niente sesso. Alle cose non serve un sesso.»
«Stasera sei una cosa?»
«Sì, sono un pezzo dell'arredamento di questa camera, qualcosa fatto per essere utile.»

La mano di Claudio torna sul plug. Comincia a tirarlo verso di sé. Quando la parte più larga comincia ad essere visibile lo seppellisce di nuovo dentro. Spingendo forte con il palmo. Roberto si lamenta, piano. Claudio fa partire una schiaffo su entrambe le natiche. A mano piena. Fa così diverse volte. Roberto arcua ancora di più la schiena, per ricevere bene quei colpi. Le natiche adesso sono di un colore rosso acceso.
«Allora avevo ragione di sospettare che avessi qualcosa dentro l'altro giorno, sul metrò»
«Ho pensato che il Signor Claudio non avesse voglia di consumare un paio di minuti per aprirmi. Ho pensato che avrebbe gradito di più trovare l'entrata già pronta.»
«E perché quello più largo?.»
Roberto abbassa lo sguardo. «Perché il signor Claudio ha bisogno di spazio quando entra.»
«Sai signorina Niente, penso che approfitterò di un paio di minuti per seguire le indicazioni che hai sulla schiena»

Roberto si prepara, china il capo, allarga le gambe, si inarca, si porta le mani dietro, divarica e apre. Claudio gli porge due dita da insalivare, con quelle lo penetra, lo scava, controlla che quel pezzo di carne sia abbastanza morbido, abbastanza cedevole. Usa un po' delle secrezioni per ungersi il glande. Poi riempie Roberto con un unico movimento fluido. E Roberto nonostante la preparazione sente la fitta, sente il bruciore. "Se non fossi Niente questa sarebbe la mia piccola ricompensa", pensa. Se se sta immobile, sciolto, ad assaporare quella sensazione di pienezza che gli è così indispensabile. A cui ha pensato per tutto il pomeriggio, mentre si preparava.

Claudio gli prende i polsi glieli posa in fondo alla schiena, sovrapposti.
«Tienili così.»
Poi sostituisce le sue mani a Quelle di Roberto nel tenere le natiche aperte. Recita bene la sua parte. È guidato solo dalla sua urgenza. Vuole arrivare subito al dunque e poi andarsene. Si muove subito veloce.
Chiede «Chi sei? Dimmi chi sei!»
«Sono Niente, sono un buco appoggiato al comò, signor Claudio. Servo per non sporcare troppo in giro!»
«No, ti sbagli, sei meno di quello. Penso che tu sia come il tappeto su cui sfregare la suola delle scarpe.» Poi c'è l'ultimo affondo. Claudio si irrigidisce, sta fermo, infisso dentro, in quel nucleo che immagina rosso scuro. E si scarica. Tre, quattro, cinque spinte. Roberto sente le pulsazioni dentro di lui. Claudio esce, pensa che adesso il rosso scuro sarà striato di bianco. Dà una pacca noncurante sul sedere. «Adesso Niente sei solo il preservativo usato e buttato a terra»

Claudio esce dalla stanza, ma non del tutto. Dentro di sé Roberto ha ancora una piccola parte di lui, che cola fuori piano piano. Roberto allunga la mano dietro, continua a guardarsi allo specchio, attinge a quelle gocce, si porta le dita alle labbra. Si piace con le labbra lucide del seme di Claudio.
Si guarda il petto, quella parola che lo specchio rovescia, "a i o r t". Mormora quel nome e lo unisce a quello con cui ha servito. Signorina Niente.

Se ne sta ancora i piedi, vorrebbe che Claudio rientrasse e si rituffasse in lui. Ma sa che Claudio non lo farà. Lo spettacolo è finito.
scritto il
2024-10-10
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