Club Sebastian 1): Raffaella
di
aspergo
genere
dominazione
Club Sebastian
Parte I
Il posto di lavoro me lo hanno dato perché ho un cazzo abbastanza grosso. O meglio, non proprio per quello. Ci sono molti che ce l'hanno abbastanza grosso. La differenza è che non a tutti il cazzo si rizza praticamente a comando. Al mio cazzo non importa se ha davanti donne o uomini, giovani o vecchie, travestiti o ragazzi che non hanno ancora deciso se gli piace più darlo o prenderlo. Il mio cazzo se ne frega. Se mi serve duro diventa duro. Pronto da usare. Ed è una cosa che molti dei clienti apprezzano.
Non fraintendete. Usare il cazzo quando serve è solo una piccola parte del mio lavoro. Io comincio presto la mattina, preparando e pulendo. Stando attento a che tutto sia a posto, le scorte di preservativi e lubrificanti, le creme anestetiche, gli aghi, gli strumenti, le maschere e i costumi. Collaudando i movimenti delle macchine, Accertandomi che le funi scorrano nelle pulegge, e che i verricelli girino sciolti, scatto dopo scatto. Controllando che i vibratori e i cazzi finti siano esposti nel giusto ordine. Come anche i cunei per le penetrazioni, i divaricatori. E le guaine dei pali, da quelle con i rigonfiamenti "artistici" a quelle con gli aculei, più o meno rigidi, più o meno lunghi.
Della preparazione giornaliera fa parte anche lucidare i pali naturalmente, quelli di legno e quelli d'acciaio, quelli lisci e quelli istoriati, quelli anali e quelli vaginali.
Curo da solo questo posto. Se avessi manie di grandezza direi che ne sono l'anima e invece no, sono solo un impiegato con molte mansioni. Altri hanno pensato e costruito tutto quello che si vede all'interno di questo capannone. Gente a cui non dareste un soldo di considerazione. Gente ca cui la vostra considerazione non interessa. Gli basta capire di che cosa avete voglia.
Finisco le ultima incombenze. Tra poco arriverà il primo cliente della giornata. Pulisco il vetro delle stampe attaccate alle pareti fino ad arrivare a quella che se ne sta centrale in fondo alla navata. Un San Sebastiano trafitto e dolente. Una elaborazione grafica di uno dei nostri clienti, un efebo che a volte si presenta in gonna e golfino a volte come un ragazzino che sta andando a lezione di musica. Un genio dell'arte digitale che ha osato scherzare con i santi, come si dice.
Il suo San Sebastiano ha qualche aggiunta rispetto alla tradizione. Non è legato a una colonna, in affetti c'è un palo infisso per terra ma l'altra estremità del palo gli sparisce in culo. Il santo è un ragazzo molto bello e delicato, un corpo tonico, i muscoli che ti aspetteresti di vedere in un combattente. Se ne sta con con le mani legate dietro la schiena, ritto sulle punte dei piedi, gli occhi rivoltati leggermente all'indietro e in primo piano esibisce un magnifico cazzo, gonfio e turgido, con una cappella bella rossa. Guardando bene si vede un piccolo rivolo di gocce bianche scendere dalla fessura del glande. Un'anticipazione di quello che succederà quando i piedi si stancheranno e il palo finirà il suo lavoro.
È un'opera che ha avuto molto successo, tanto da finire sul rovescio di qualche cartoncino che pubblicizza il "Club Sebastian, spazio discreto dedicato ai vostri desideri". Non è un caso quel San Sebastiano: il nostro servizio più richiesto è proprio quello, l'impalamento. Sareste stupiti di sapere quanto la fantasia di essere impalati sia diffusa e quanto la gente sia disposta a spendere per provarne in qualche maniera il brivido. Ormai riceviamo solo su appuntamento, quattro, massimo cinque clienti al giorno. A volte il capannone viene affittato per qualche festa. Roba di classe, niente più affitti a set di porno bdsm. Quelli brutti dove qualcuno per pochi spiccioli finge che gli piaccia farsi torturare. Quello era prima. Adesso le feste sono per gente che può spendere per evitare il fastidio di qualsiasi spiegazione.
Se pensate che i padroni di questo posto siano dei farabutti che lavorano ai margini e che prima o poi qualcuno chiuderà questa baracca, beh, siete fuori strada. Parecchio fuori strada. Chi dovrebbe eventualmente chiuderci è assiduo frequentatore del nostro club e delle sue feste. E conversa amabilmente con i supposti farabutti.
Il primo cliente della di oggi è in realtà una donna. Qualcuno mi ha assicurato che lavora in tribunale. Un giudice. Sono dettagli, qui lei è solo Raffaella come io per lei sono solo Gennaro. Per altri clienti ho altri nomi.
Raffaella è una donna mediterranea, non molto alta, dalle forme opulente. Ha un viso ancora gradevole e un reticolo di piccole rughe che ne denunciano l'età. Sicuramente oltre i cinquanta. Lei non se ne cura. Entra sicura, è una cliente abituale che sa quello che vuole. Anche per lei è il primo appuntamento della giornata. Ufficialmente è in uno dei bar trendy del centro a fare colazione con le sue amiche. Brioche dagli aromi esotici, spremute di frutti dai nomi sconosciuti, latte e caffè uniti in proporzioni e temperature variabili, ricette "create" da baristi che credono di essere artisti. Le sue amiche di colazione la coprono volentieri, Nei prossimi giorni anche loro verranno a trovarci e avranno bisogno dello stesso favore.
Raffaella mi si ferma davanti e si toglie il morbido cappotto. Rimane con un corpetto che le schiaccia il ventre e le tiene sollevati i seni. Belli, pesanti e penduli il giusto, con grandi aureole e capezzoli già diritti. Non ha nient'altro addosso. Dal ciuffo tra le gambe vedo uscire le sue grandi labbra. Intuisco che è già bagnata. Si volta e si china su una scrivania per consultare uno dei tablet con i programmi del giorno. Nel chinarsi il taglio tra le natiche si apre e fa capolino un gioiello, mi sembra sia un plug decorato da un quadrifoglio. Mi dice "Oggi scelgo un 10".
Perbacco direte, il Club Sebastian funziona come un qualsiasi ristorante cinese? Esatto, è così. Con il tempo abbiamo realizzato che è molto più semplice e sbrigativo sintetizzare tutto con numero. "10" vuol dire "Penetrazione vaginale XXL con palo meccanico. Coadiuvata a richiesta da penetrazione anale da parte dell'assistente." L'assistente sarei io.
Prendo Raffaella per mano, le bacio i seni, le carezzo le natiche. Sono piccole attenzioni che so che a lei piacciono molto. Prima delle violenze che arriveranno. Le piacciono soprattutto le carezze sul sedere. Raffaella ama il suo culo e ne trae tutti i piaceri possibili. A volte lei chiama il suo culo "la mia groppa". So che sta già partendo con una delle sue fantasie preferite: è l'era delle invasioni barbariche e nella sua mente lei è la madre che si sacrifica per salvare i suoi figli, di più, l'intero villaggio, offrendosi ai guerrieri stranieri e lasciando che dopo loro la lascino alle loro cavalcature. Perché la rovinino.
Le chiedo "Posso?" Lei mi risponde "Certo!" io abbasso la mano e le infilo due dita nella fica, a fondo. Avevo ragione, è già molto bagnata. Avanzo prepotente dentro di lei, arrivo a sfiorarle la cervice. Poi estraggo le dita, le annuso con soddisfazione e gliele porgo da succhiare. Ha una bella bocca Raffaella, sensuale, esperta. Con una delle sue mani mi blocca il polso, poi mi succhia le dita, si china in avanti, se le porta fino il fondo della gola.
È il momento di cambiare spartito. Estraggo le dita dalla sua bocca e poi le tiro un manrovescio senza preavviso. Il violenza del colpo le fa voltare il viso, il caschetto dei capelli si scompiglia, la guancia si arrossa. Lei non volta il viso. Le chiedo di farlo. E le tiro un secondo manrovescio. Le dico di inginocchiarsi, con le gambe divaricate, le mani posate sulle cosce, palmi in alto. "Guarda il soffitto e apri la bocca." Esegue docile. Nella sua fantasia è una donna inerme, rassegnata al peggio di fronte ai guerrieri stranieri, è l'inizio del suo tormento.
Io comincio ad infilare le dita nella sua bocca aperta, due dita, poi tre, le esploro la bocca, la superficie interna delle guance, le gengive, la lingua. La umilio. Sono bravo anche in quello. Sono credibile.
Le dico che ormai è una cosa da poco, che non vale più una chiavata, che si farebbe fatica anche solo a farselo segare per sborrarle addosso, figuriamoci la fatica di infilarlo in uno dei suoi buchi. Una volta sì, ne sarebbe valsa la pena, adesso no. Le dico che ha il culo è pesante, i seni flosci, la pelle vizza dove dovrebbe essere più morbida. Che è una femmina che ormai può essere utile forse solo come latrina. Che per il resto fa bene a venire da noi e a pagare per essere trattata da troia. Mentre le parlo ogni tanto estraggo le dita dalla sua bocca e la schiaffeggio di nuovo. Colpi sonori, portati senza forza eccessiva, dall'alto verso il basso. Sulle guance ma anche sui seni. Ripetutamente.
Le prendo i capezzoli e li tiro verso l'alto. Le dico che l'unica maniera perché i suoi seni si possano di nuovo guardare senza disgusto sarebbe di tenerli sollevati. Prendo due aghi con un occhiello e li infilo nei suoi capezzoli, lentamente, bucandoli. Poi fisso agli occhielli una catenella corta che le passo dietro in collo. Le dico "Ecco, meglio così, non ne potevo più di vedere penzolare quei sacchi inutili."
Le dico di guardarmi bene. Raccolgo la saliva e le sputo in pieno viso. Lei respira forte. Tra le gambe aperte vedo filtrare qualcosa di vischioso, Un filo sottile, che scende lento. Le accarezzo la lingua con due dita, seguo il filetto centrale, affondo, lei si agita, affondo ancora, non credo che riesca a respirare bene adesso, muovo le dita come se avessi perso qualcosa in fondo alla sua gola, ha dei conati, io insisto. Lei vomita. È quasi solo muco. Dopo le prime volte ha imparato che è meglio venire qua digiuna. Le dico che quello che ha vomitato non deve andare sprecato. Lei lo spalma sul viso arrossato dagli schiaffi, sulle tette con i capezzoli forati, lo spalma sulla fica. Nonostante il plug inserito si forza un paio di dita viscide in culo. È solo un piccolo aperitivo.
Tirando la catenella la accompagno al cavalletto, lei si toglie anche il corpetto e si sdraia, completamente nuda, docile, la pancia ben aderente al cuoio, i seni martoriati dagli aghi. Le lego polsi e caviglie. Passo le larghe cinghie sulla sua vita e sulla sua nuca. La lego stretta, le deve essere impossibile ogni movimento. È qua per un supplizio. È qua perché alla fine del suo appuntamento possa andar via appagata, gli occhi brillanti e il passo incerto, nascondendo sotto il cappotto le tracce della sessione, i suoi buchi che rimarranno aperti per tutta la giornata. Cosparsi di secrezioni. Lei non li laverà. Mi ha detto che gli piace fare marinare i suoi succhi, almeno finché l'odore che le sale da culo e fica non diventi avvertibile anche dagli altri.
Parte II
Aggiusto Raffaella sul cavalletto, culo più in alto, ginocchia più in avanti. Allineo il palo, lungo più di mezzo metro, il diametro del cazzo di un cavallo, appena appena affusolato sul davanti. È ricoperto di gomma nera costellata di piccoli fori. Faccio fare al palo alcune penetrazioni di prova, con un comando manuale. Il palo deve correre libero solo fino a un certo punto. Se andassi oltre, se facessi un piccolo errore, per Raffaella ci sarebbe il ricovero in ospedale. La punta del palo è arrotondata e ha un piccolo rigonfiamento che si protende, come una seconda piccola cappella. È un modello che Raffaella non ha mai provato e che le riserverà qualche sorpresa.
Applico il lubrificante sul palo e sulla fica di Raffaella. Anzi mi sbaglio, non sulla fica ma nella fica. La penetro e la sfrego senza nessun intento sessuale, come il pezzo di un meccanismo di cui si vuole evitare il malfunzionamento. A lei piace essere manipolata in questa maniera, come se fosse una cosa. Come prima, quando l'ho fatta vomitare. Adesso fantastica, è inerme, teme il dolore che la tortura tra poco le infliggerà. Ma non si alzerebbe da quel cavalletto neanche se potesse.
Lascio che il palo cominci a lavorarle la fica seguendo un programma automatico. Una penetrazione prima lenta in maniera estenuante poi appena appena più veloce, ma sempre molto dolce. La fica si tende, deve abituarsi a quelle dimensioni. Bisogna dare il giusto tempo alla vagina. Servono secrezioni. Devono essere abbondanti, tanto da evitare frizioni. O almeno frizioni eccessive. Raffaella deve sentire comunque di essere invasa, dilatata, stirata al limite della sua carne. Dalle confessioni che mi ha fatto in altre occasioni immagino che stia fantasticando di essere legata riversa su un tronco, in un freddo mattino, e che alle sue spalle gli stallieri stiano facendo avvicinare uno stallone, sbuffi di vapore dalle narici e odore di stalla.
Mentre Raffaella è persa dietro alle sue fantasie il palo va via via più veloce fino ad arrivare ad un ritmo furioso. Dieci minuti di lavoro puramente meccanico, che nessun essere vivente sarebbe in grado di replicare. Un pistone, una trivella. Qualcosa di impietoso e insensibile. Un ritmo selvaggio. Ecco a cosa servono le cinghie, l'allineamento, la calibrazione. A permettere che il palo esca del tutto e possa rituffarsi con estrema violenza nella sua fica. Ripetutamente. Slabbrando, allargando, sfondando. I gemiti di Raffaella diventano un urlo e un lungo getto incolore le esce dalla fica mentre lei farfuglia e singhiozza. Lascio che venga diverse volte. Raccolgo un po' dei suoi schizzi in una bacinella e le verso quel liquido sulla testa.
Vado ai comandi. Non lascio che si riprenda dopo essere venuta, la voglio ipersensibile. Voglio che ogni sensazione le sia così intensa da essere molesta. Con il palo infisso a fondo nella sua fica faccio iniziare l'espansione. Il palo raddoppia quasi di diametro. Raffaella ha uno specchio davanti al viso che permette sia me che a lei di guardare le sue espressioni durante la sessione. Quando il palo si espande Raffaella sbarra gli occhi. Ma questo è niente, faccio uscire gli aculei dai piccoli fori del palo. Sono setole rigide, Raffaella li sente come spilli mentre premono sulle mucose del suo canale vaginale già stirate dalla dilatazione. Adesso urla, è dolore vero.
Faccio muovere un poco il palo, giusto un tremito avanti e indietro. Le setole sfregano. Raffaella comincia a tremare. Poi muovo il dito sulla cappella del palo, lo allungo, faccio pressione, mi ritraggo, ricomincio. Le scopo la cervice. Non la penetro, la schiaccio, faccio forza, è un massaggio molto intenso, insistente. Lei dice di smettere che le fa male. Molto male. Che la sto rovinando. Poi mi dice di continuare. Poi balbetta cose incomprensibili. Poi urla ancora, come una animale sgozzato. lunghi minuti di agonia mentre le schiaccio senza riguardo quella carne così intima. "Smettila, smettila ti prego, è troppo, è veramente troppo." "Non ci penso neanche, hai scelto tu il numero 10, ricordi? Penetrazione XXL, così diceva." Lei comincia a gridarmi di tutto, furiosa. Non mi importa, continuo a scoparle la cervice. Poi mi sorprende, "Almeno inculami", mi dice "Sfondami il culo, così avrò anche qualcos'altro a cui pensare". Faccio il bastardo "Non so se ne ho voglia". Mugola roca "Devi farlo se te lo chiedo, sei l'assistente, così c'era scritto nel programma." Sospiro, il cazzo si sta già rizzando. Non è un grosso sforzo, gli insulti di prima erano solo teatro. Il culo di Raffaella è ancora desiderabile. Parecchio. Due globi bianchi con una consistenza burrosa, uno sfintere elastico e cedevole.
Tiro il plug fino ad estrarlo, senza particolare delicatezza. Lo sradico, lo strappo via. È decorato di qualche striscia marrone. "Non ti sei pulita". "Non mi andava." "E a me non va di infilarmi nel tuo culo merdoso." "Non rompere i coglioni, Gennarino. Tu adesso inculi bene la tua Raffaella, che ne ha tanta voglia. E non aver paura che quando tirerai fuori il tuo cazzo dal mio culo ci penserò io a pulirtelo bene."
Il buco del culo per via della enorme dilatazione vaginale è molto stretto. La penetrazione sarà difficile. Aggiungo lubrificante. Guardo il suo ano. Il buco semiaperto spicca in mezzo ad una aureola scura, molto scura. È evidente che a Raffaella piace farsi inculare. Punto la cappella sullo sfintere, faccio pressione, vedo le pelle tendersi verso l'interno. Si forma un piccolo cratere. Poi sfondo in maniera quasi repentina. Ma mi faccio faccio strada comunque con molta difficoltà. Il cazzo mi brucia un po'. Il lubrificante non è abbastanza, ne aggiungo altro. Faccio comunque fatica. Alla fine le tocco il culo con i coglioni. Lei per tutta la penetrazione non smette mai di incitarmi. "Così, così, così, di più, più dentro, dai, dai, dai, hai dimenticato come si incula la tua troia?"
Comincio a scoparla. Lo facciamo in tre, il palo si muove piano e le tormenta la vagina, il dito meccanico continua a premerle la cervice e io le scopo il culo. Raffaella è inondata di sensazioni. Titillamento della vagina, massaggio della cervice, sfondamento anale. Alla fine non capisce più niente, si abbandona, si arrende. Adesso si contorce, grida, urla, bestemmia. Le cinghie la tengono ferma ma ho quasi paura che si faccia male da sola. Continua a tremare, schizza, si piscia addosso. Il suo culo mi munge il cazzo a forza di contrazioni. Vengo anch'io. Aspetto che si calmi. Sfilo il cazzo. Il buco rimane aperto. Adesso è circondato da una areola di crema marrone chiaro. Lubrificante e qualcos'altro. Un aroma muschiato. Anche il mio cazzo è dello stesso colore.
Senza dire niente mi piazzo davanti alla sua bocca con il cazzo semi-rigido. Lei apre la bocca, pulisce con lingua, succhia via tutto, inghiotte. Le tiro fuori il cazzo dalla bocca, il lavoro mi sembra accettabile. Ma non le dico niente, lo rinfilo in bocca, fingo che il lavoro sia da rifinire. Lei obbediente lavora ancora di lingua. Io le prendo la faccia con le mani, la tengo ferma, rilasso i miei muscoli e comincio a pisciare. Lei tossisce e sputa, mugola gorgogliando, poi tace e comincia a inghiottire.
Finito di pisciare le tiro via i cazzo di bocca e lo scrollo un po' contro le sue guance. Poi vado verso il cappotto di Raffaella, le frugo nella solita tasca e prendo il suo telefono. Mi paga qualcosa extra per le foto. Sarebbero proibite, policy aziendale su privacy e discrezione e bla bla bla. Ma questo è il suo telefono. Mi ha spiegato che a volte il piacere di guardare le foto delle sue sessioni supera persino quello delle sessioni stesse.
La fotografo sul cavalletto, faccio un piccolo filmato girandole attorno. Zoom sui suoi buchi completamente aperti e sformati. Le tengo aperta la fica con un divaricatore, che si possa vedere la cervice arrossata. Le fotografo il culo, sporco, da bambina cattiva. Le fotografo la faccia stravolta, i capelli bagnati, le gocce di piscio sul mento e sulle guance. La fotografo mentre pulisce il plug, leccando via le strisce marroni prima che io lo seppellisca di nuovo nel suo buco per sporcalo e farglielo leccare ancora. Scatto altre foto mentre lo fa.
Le piacciono queste foto di umiliazione estrema, le piacciono perché le ricorderanno fino a dove è capace di arrivare. Mi ha confessato che a volte la noia e l'insoddisfazione la prendono e rischiano di essere una marea che la sommerge. Allora prende il telefono, non importa cosa stia facendo. A volte anche in tribunale. Finge di consultare la posta, l'agenda, i suoi social. In realtà guarda quando può essere troia, si rasserena a pensarsi padrona del suo piacere, succube per scelta, offerta per un proprio bisogno interno. Si guarda spalancata e umiliata, la bocca sporca, lo sguardo acceso e impudico.
La marea dello scontento arretra e lei si piace di nuovo.
A volte lo fa anche a casa, la sera, sul divano, mentre il marito guarda qualcuno dei noiosi programmi che gli piacciono tanto. Lei prende il cellulare e si guarda e si piace così oscena ed impudica. Un caldo segreto. Solo così riesce a sopportare quella prigione illuminata solo dalla luce della televisione. Pensando di essere Circe che trasforma se stessa in scrofa. A volte con discrezione profitta della disattenzione del marito. Porta indietro la mano, la infila sotto il pigiama, comincia a giocare con il plug. Dopo un po' dice "Caro, scusami, devo andare in bagno."
Un giorno le ho chiesto "Tuo marito ti incula?" e lei ha scosso la testa, seria. "No, non se lo merita."
Il tempo della sessione sta scadendo. Raffaella si lava solo i capelli e il viso. Si riveste e infila il cappotto. Andrà così in ufficio, sporca sotto i vestiti costosi. Mentre guiderà ogni tanto a qualche semaforo la mano le scivolerà tra le cosce, fingerà di sistemarsi meglio sul sedile. Userà le dita per controllare di essere sempre aperta. Lo farà molte volte durante il giorno.
Mi dà una mancia generosa, si china a dare un'ultima leccata al mio cazzo, ne aspira l'odore, storce il naso per finta. Mi dice "Lavati, porco!". E ride. Uscendo carezza uno dei pali di legno. Quello istoriato con le facce dei diavoli. Dice "Un giorno di questi voglio provare fino a dove riesco a prenderlo questo animale." Poi saluta. La porta si chiude.
E io comincio a fare ordine e a risistemare tutto. È un lavoro serio il mio. Tra mezz'ora ho un altro cliente.
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