Se lo vuole forte, io glielo do forte, forse anche più del dovuto...

di
genere
pulp

– Roulette russa stasera? – mi chiede.
E così, come in un rituale, doccia bollente, barba, camicia, completo, tre spruzzi di profumo. E poi ancora tovaglia bianca, bistecca al sangue, carne, coltello, vino.
Ogni momento è dilatato, ci guardiamo prima di aprire la porta di casa, i suoi occhi sono come pozze profonde. Ci baciamo lentamente, le mie unghie le graffiano la nuca, il cuore mi esplode nelle orecchie.

Giro la chiave nella toppa, poi il suono del mazzo lasciato cadere per terra ci fa scattare. Vestito attillato contro scarpe che scivolano, ma sono in vantaggio. Lei si avvinghia alle mie gambe cercando di trascinarmi per terra, mi divincolo, mi rialzo e in un paio di falcate sono in cucina.
Afferrare il revolver sul tavolo e caricare il colpo nel tamburo è questione di attimi
– Stasera tocca a me – rantolo.
Lei è appoggiata al muro, il pellicciotto mezzo sfilato, i capelli scarmigliati, le gambe che spuntano sottili dall'orlo della gonna in cerca di un precario equilibrio sulle famose scarpe dalla suola rossa. Respira affannata. Si lancia contro di me. Faccio scattare il cane e le punto la pistola addosso.
– Non fare sciocchezze – mi dedica un'occhiata infuocata – mani dietro la nuca prego.

La afferro tenendole ben strette le mani e la piego sul tavolo, sollevo la gonna fin sopra la pancia e le strappo via gli slip in pizzo – Ahi! Cazzo!
– Che c'è? Ci tenevi? – in mezzo alle gambe già si sta formando una bella escoriazione. La tasto col dorso, la sua pelle è bollente, scivolosa. Punto la canna all'entrata del suo sesso. – Ti decidi a comportarti bene? Hai un'idea di quanto il pensiero di spararti dentro mi faccia andare via di testa? – mi sembra di sentirla deglutire poi un flebile "sì" mi arriva alle orecchie.

Mi siedo sul divano in salotto, i nostri arredi sono così tremendamente banali, di una qualche impronunciabile collezione Ikea. Ripenso con tenerezza a quando li abbiamo comprati insieme per la nostra casa. Così la pressione nei miei pantaloni si attenua leggermente – Anna – è così strano chiamarla per nome – Sigaro, whisky e acqua con ghiaccio.

Attendo qualche minuto. Poi si presenta con quello che le ho chiesto, ha ancora la gonna alzata fin sopra la pancia, è completamente liscia, rasata, pulita.
– C'era bisogno di dirti che dovevi portare anche il posacenere? – il mio tono è gelido – Sei per caso stupida?
L'espressione di paura sul suo volto è senza prezzo – No, vado a prenderlo

– Ah! Anna – la richiamo – e sistemati quella gonna che sembri una puttana.
Non mi risponde ma quando torna col posacenere si è tirata l'orlo più in basso possibile.
Prendo il sigaro tra le dita e lei lo accende per me, dopo un paio di brevi boccate lo poso. – Sei felice di giocare? Le tue mutande erano fradicie.

– E tu hai il cazzo in tiro.
La guardo, faccio ruotare il tamburo velocemente, lo richiudo e armo il cane. – Vieni a succhiarmelo allora.
Lei deglutisce, si inginocchia in mezzo alle mie gambe e comincia. Trema leggermente. Il nostro gioco ha poche semplici regole. Posso sparare quando voglio. Se uno di noi viene devo farlo.

La guardo, Anna è il mio amore della vita. Nessuno può capire perché il pensiero di vedere il suo cervello schizzato sui nostri dozzinali mobili da centro commerciale mi faccia eccitare così tanto. Me lo legge in faccia, lo sente nella bocca, nel cuore, nella fica. Sono pronto, le punto la pistola alla tempia. – Ti amo Anna – lei trema, piange, ma non si stacca da me.

Glielo dico sempre, prima di sparare, prima di venire, nel caso siano le ultime parole. Sono così vicino che sento di morirne. Il mio cuore perde un battito. Si stacca all'improvviso, mi blocca esattamente al culmine le mani strette in una morsa attorno alla base.
– Che cazzo hai fatto. – Ha il terrore negli occhi, prova ad articolare suoni che escono muti e sconclusionati – Io...scusa. Ho avuto paura

– Ah si? – le afferro i capelli da dietro e le infilo metà della canna in bocca – forse ti piace di più succhiare questa
Scuote la testa, le do uno schiaffo – Forza.
Lecca il metallo freddo timidamente, la faccio sedere sul tavolo basso, le gambe aperte, con il vestito di nuovo oscenamente alzato. E' viscida sino a metà delle cosce, la mordo, la assaporo, la lecco fin quando non arrivo alle sue pieghe. Sospira e si contorce, si ritrae, tenta disperatamente di non venire – Ti amo – le sussurro contro il sesso bagnato e premo il grilletto nella sua bocca. Urla, poi piange di sollievo – Ma perché – è così confusa – non ero venuta.

– Lo so. Questo era per prima – Un colpo è andato a vuoto. Non giro di nuovo il tamburo e mi punto la pistola alla testa, poi mi spingo dentro di lei lentamente, assaporando ogni momento – NO – si ritrae – non così ti prego giralo. Giralo – la sua supplica non mi tocca. Mio il revolver mia la scelta.
– Shh, lasciati scopare – la mia mano affonda sui fianchi, stringe la carne, toglie fiato alla sua gola.
La sento singhiozzare sommessamente mentre mi stritola dentro di sé, la sento colare sulle mie gambe, la mia mente è pulita, non ho paura mentre sento l'orgasmo arrivare – Cazzo – è un orgasmo senza scampo – quanto ti amo Anna.
Lascio svanire i miei ultimi spasmi poi premo di nuovo il grilletto. Sgrano gli occhi. Un altro colpo a vuoto. Porca puttana che sensazione incredibile.
– Sei un matto – sta piangendo – cazzo se sei matto
Mi bacia, mi abbraccia sollevata, l'adrenalina la fa tremare, mi sento leggero, felice. Ma non è ancora finita – Aspettami a letto, non sei ancora venuta.
Bevo il whisky, tracanno l'acqua e riaccendo il sigaro. Fumo lentamente, questa è la migliore sensazione che un uomo possa provare.

Quando la raggiungo non sono più lo stesso. L'incanto è svanito.
Eppure lei è così bella che fa male a guardarla, si è tolta il vestito, si è pulita il trucco. Ora è come una venere, nuda e senza vergogna, ma io mi sento Efesto e non più Ares.

Poso la pistola armata sul mobile, mi tolgo le scarpe, l'abito, la cravatta, rimango nudo anche io. È giusto così.
– Scopati la pistola – il revolver luccica nella penombra lunare
– Andrea, dai va bene così
La guardo con un misto di divertimento in volto punto a terra e premo il grilletto. A vuoto.
– Cazzo fai! – gliela punto contro. Sbianca. – Andrea! – lo so cosa pensa, a questo punto bisogna veramente averlo messo in culo alla fortuna per non beccarsi il colpo vero. Tremo, il primo segno di cedimento da parte mia.
Mi prega di fermarmi. Non la ascolto. Un altro colpo a vuoto. Lei è mezza svenuta, ha bagnato il letto, l'odore della sua paura è leggermente acre, afrodisiaco, mi sento come se mi stessi svegliando da un lunghissimo sonno.

Mi chino su di lei, la abbraccio, la bacio e le sue labbra sono livide. Si riprende alquanto velocemente.
Accendo di nuovo il sigaro – Scopati la pistola
Trema, ma stavolta non se lo fa ripetere. Si gira. Lentamente si infila la canna dentro, sospira, si muove piano, continuo a fumare il sigaro, ogni tanto la cenere ancora calda le cade sulla schiena facendola sobbalzare leggermente.
La tensione, la paura, l'eccitazione sono mescolate in un mix fatale, la sento scivolare, sempre più vicina – Ti prego – il suo è un sussurro quasi udibile. So cosa vuole. So cosa mi sta chiedendo. Il mio stomaco si contorce violentemente per l'eccitazione. Aspetto ancora. – Per favore, sono così vicina...
– Non ancora. Toccati – con le dita sottili si sfiora, una due tre volte. Si contorce, sparo un attimo prima dell'orgasmo in un sincronismo perfetto.
I suoi spasmi sono talmente violenti che per poco non mi sfugge la pistola dalle mani. Piange. Ride. Trema. Un altro incredibile fortunatissimo colpo a vuoto.

È rimasto un solo colpo, quello fatale. Lo sappiamo bene io e lei.
La afferro dalla vita, entro dentro di lei. Sento la mia sanità svanire quasi completamente, la mia coscienza si assottiglia, si perde in un lago di calore, di umori di tremiti.
– So di te e di Marco – Le mie parole aleggiano nell'aria, fumose, pesanti – Perché?
La sento perdere il fiato, la canna della pistola puntata sulla nuca. Non mi risponde. Esco. Rientro. Esco. Le entro dietro. Emette solo un gemito sordo e stringe le lenzuola fino ad avere le nocche bianche.
– Non lo fare ti prego. Ti amo. Non lo fare per l'amor del cielo – respiro profondamente, sto seguendo le regole del nostro gioco fino all'ultimo. Sto per venire, lo sente, lo teme. Sorrido. Sparo.

Sento le sue urla. Barcollo, tento di frenare la mia caduta. Stavolta il botto è stato così reale: all'ultimo istante mi sono puntato la pistola addosso. Cado per terra rovinosamente, le orecchie mi ronzano. Mi scuote. Mi chiama, disperata.
Penso sia corsa in salotto. Il suo telefono è sul tavolino, una chat con due messaggi del suo amante. La sento singhiozzare. Poi parlare confusamente, forse ha chiamato l'ambulanza. Forse ha chiamato lui.

Torna in camera. È agitata. Si china su di me, mi rialzo, le afferro i capelli, le sputo in faccia. – Davvero pensavi che mi sarei ammazzato per te stupida troia? – rido convulsamente. Mi rialzo ancora ridendo, mi vesto alla buona. Un taxi già mi aspetta sotto casa.
scritto il
2024-10-28
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