Dalla a alla zeta fase cinque
di
giovanotto
genere
dominazione
Quando il padrone rincasava e si sedeva in poltrona sembrava che fosse al ristorante. La sua dea ed io eravamo il suo menu alla carta. Danzavamo davanti a lui mettendo in mostra ogni lurida parte dei nostri corpi e lui sceglieva dall'antipasto al dessert di cosa cibarsi. Se gli andava il culo alla fiamma bastava che decidesse a suo capriccio se era meglio quello di vacca o quello di vitellone. Se gradiva i frutti di mare gli veniva servita l'ostrica cruda della dea. Per dessert boccucce in pompa. Saldava sempre il conto con la moneta sonante dei suoi ardori erotici e lasciava per mancia lo sperma con il quale ci fecondava senza risparmio. Sazio di tante prelibatezze poteva gustarsi lo spettacolino vivente della sua serva e del suo servo che si prodigavano davanti ai suoi occhi a inscenare la furia di un coito come se fosse un film a luci rosse che lo faceva eccitare di nuovo e rizzare ancora. I nostri cazzi erano dei wurstel piccanti alla senape. Le tette di lei dei budini che fremevano a scrollo. Quattro capezzoli come bottoni dell'amore stavano sempre in parata e all'erta al suo cospetto e ce li giostrava come una tastiera a pizzico che accendeva musiche intonate di gemiti e di urletti in un crescendo di acuti che tanto lo deliziavano. Se gli andava un po' di sport non aveva da far altro che impugnare la frusta e farla guizzare in volo di qua e di là con colpi mirati magari ai nostri poveri inguini per allestire un purè di patata con uova strapazzare, o con lanci a casaccio come se cucinasse all'impronta un filetto di natiche alla tartara condito solo da sputi in traiettoria che sembravano salti in alto e in lungo da medaglia d'oro alle olimpiadi. Era il nostro direttore d'orchestra che con la sua bacchetta magica dirigeva il traffico e le cantilene dei sospiri a denti stretti e dei guaiti che suscitava da noi, rapiti nell'incantamento delle sue palle da toro e del suo magnifico cazzo a chiodo divenuti la stella polare del nostro universo e la sorgente di ogni piacere. Non di rado formavamo un groviglio a tre di genitali e di braccia e di gambe e di musi luridamente intenti a mescolarsi e a palparsi nel vortice del sesso fino al diapason di ulteriori orgasmi a fontana in ammucchiata e fino all'ultimo pezzo d'obbligo della serata allo scoccare del triplo bacio di lingue di lava dei nostri vulcani in eruzione incollati a salive ingoiate o che colavano a filo prima di lasciarci andare esausti e scivolare abbracciati carne contro carne nell'abbandono del sonno ristoratore.
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