Dalla a alla zeta fase tre
di
giovanotto
genere
dominazione
È durata quel tanto che poteva durare: un paio di mesi. Avevo consumato la mia vendetta e poi da un giorno all'altro li ho piantati in asso lasciandoli a vedersela fra loro due. Per festeggiare la mia ritrovata libertà sono andato al mare in spiaggia nudista e mi sono steso al sole. La spiaggia era abbastanza affollata con un via vai continuo di donne e di uomini vestiti di niente. Sono sceso al mare e ho fatto una nuotata solitaria. Per la prima volta nella vita mi sono sentito in pace con me stesso. Ero piazzato nella zona gay. Guardandomi intorno mi sono goduto l'estrema disinvoltura con la quale due stranieri giovani e molto belli sia un lui con un sedere sfolgorante che il suo lui molto ben piazzato di asta hanno intavolato all'impronta una monta in piena regola da farmi restare senza fiato e ho visto un cazzo che pompava un culo come fa una trivella in un campo petrolifero, nel tripudio e nell'incanto del sesso. Mi si avvicinavano in tanti e cercavano di attaccare bottone ma capivano subito che io viaggiavo in un'altra dimensione. Finché non mi è arrivato uno di una bellezza sconvolgente che mi ha sussurrato a pochi millimetri dall'orecchio: “Toc, toc”. Ho avuto un brivido e mi è venuto un modo di respirare che tradiva di tutto tranne che indifferenza. Era quel genere di maschio alto e moro e irsuto che a me piace tanto, forse troppo. Un gran chiacchierone, non invadente ma avvolgente. Non era in erezione ma ci è entrato di botto quando ha cominciato a tessere i complimenti dei culi in generale e del mio in particolare. Fissavo quello che sembrava lo gnomone di una meridiana puntato verso il cielo. Lui se n'è accorto e con il suo fare esplicito mi ha detto che potevo accarezzarglielo. L'ho fatto e mi pulsava fra le dita. La cappella era gonfia e sembrava esplodere. Mi ha invitato a baciarla e l'ho fatto tirando fuori la lingua per passarla e ripassarla e pulirla dalle prime gocce di eccitazione. Di mia iniziativa l'ho imboccata e sono sceso fino alla radice del palo. Andata e ritorno iniziando una pompa durante la quale ogni volta che facevo sparire la sua spada dentro di me mi aiutava a sentirne il tonfo con un colpetto ben assestato che mi batteva in gola e che mi ipnotizzava come quei suoi primi inviti con cui aveva rotto il ghiaccio prima: “Toc, toc”. Bussava alla mia porta e gliel'ho aperta e l'ho invitato ad entrare. Mi ha girato e ha manovrato in garage parcheggiando e porcheggiando il suo automezzo e tenendolo dentro fermo per farmelo sentire tutto e per lasciarselo inguantare nello spasmo del retto intanto che intonavo un inno di gemiti che sono diventati guaiti mentre mi basculava prima piano poi forte quasi con rabbia e a tutta birra fino alla sborra. Ha esclamato un semplice “Huaoooooo” e si è lasciato cadere su di me con tutto il peso restando fermo immobile a cazzo duro per dei minuti che mi sono sembrati ore. Non mi mollava. Ha fatto il bis muovendosi ad altalena, venendo ancora. Lo ha sfilato e ci siamo appisolati due in uno nella morsa delle sue braccia forti che sembravano dirmi: “Non ti lascio”. Ci siamo svegliati e abbiamo fatto una passeggiata durante la quale teneva sempre la sua mano sui miei glutei accarezzandoli e poi pizzicandoli sempre più forte fin quasi a unghiarli. Mi faceva male e cacciavo degli urletti che lui trovava spiritosi, ma mi faceva anche bene perché mi sentivo suo per quel suo fare quello che aveva voglia di me e su di me. Abbiamo nuotato in mezzo al mare. Siamo tornati a riva. Abbiamo trascorso il resto della giornata insieme fino a quando non mi ha stampato un bacio in bocca e dopo una lunga e lurida slinguazzata sua quanto mia si è alzato e se n'è andato via. Cosa era stato? Un sogno o un miraggio nel deserto della spiaggia? Mi sono toccato l'ano e l'ho sentito ancora in fiamme e con un dito mi sono bagnato e ho assaggiato ed era puro seme. Era stata realtà.
Sono rientrato nei ranghi. Dopo diversi giorni che sono passati uno dopo l'altro senza sorprese, una mattina stavo per uscire di casa e me lo sono trovato davanti. Pantaloni attillati e gonfi dei suoi gingilli e camicia sbottonata sul torace in bella vista. Faceva muro e mi ha investito con tutta la sua mole e spinto indietro, sempre più indietro chiudendo il portoncino con il piede mentre mi restava addosso e gli respiravo il corpo e gli baciavo i pettorali e lui mi accompagnava a farlo con la mano dietro la testa. Eravamo incollati, mi ha sollevato il viso e ha ricominciato da dove avevamo terminato. Due bocche a ventosa e due lingue come serpenti intrecciati nel viscido gioco dell'amore o del sesso si sono destreggiate a sbavare e a succhiare, a nutrirsi di salive. Mi ha tenuto sollevato per il mento a bocca aperta e mi ha donato uno sputo che ho mandato giù. Un altro e un altro. Ero impietrito. Mi ha mollato un ceffone e mi ha strappato i vestiti di dosso. Gli ho aperto la patta. È uscito il suo bestione. Me lo ha infilato dietro e mi ha sfinito. Urlavo e lui anche. Il suo andirivieni fu come l'altra volta prima tranquillo poi sempre più mosso nel crescendo di spinte sempre più energiche condito da qualche sculacciata. Colpo su colpo mi faceva suo in piedi contro il muro, inghiottito dal ritmo a rimbalzo dei suoi fianchi, stretto fra le sue mani che non mi lasciavano scampo fino a ululare tutti e due nel momento del''orgasmo. In un attimo si è pulito e lo ha riportato a cuccia, senza dire niente. Ho chiuso gli occhi, li ho riaperti ed era sparito. Ma che cazzo stava succedendo? Chi era? Cosa voleva da me? Mi sono ripulito e rivestito. Sono sceso al bar di sotto e l'ho trovato lì. Mi ha offerto da bere e mi ha finalmente spiegato l'arcano. Gli piacevo da morire ma non voleva rovinarmi la vita. Si conosceva bene e sapeva di essere un bastardo e non voleva contaminarmi e trascinarmi in esperienze fuori controllo tuttavia mi trovava irresistibili come io lui. Alla fine gli ho detto che non erano cose nuove per me. Parlavamo per sottintesi. Continuava a spiegarmi che si faceva schifo da solo e che aveva certe esigenze che erano difficili da condividere. Lo ascoltavo e lo invitavo a spiegarsi meglio ma lui esitava e sudava freddo, non si decideva a uscire allo scoperto. Mi parlava vagamente di ruoli e di giochi pesanti, finché mi sono rotto di come menava il can per l'aia e l'ho fatto trasecolare chiedendogli cosa avrei dovuto fare per stare alle sue regole. Ha capito subito che avevo mangiato la foglia e mi ha sparato in faccia: “La mia regola numero uno per ora è che mi chiami PADRONE e la smetti di darmi del tu. Le altre regole le potrai scoprire una alla volta se ti va bene diventare il mio SCHIAVO”. Ha pagato il conto e si è alzato. Mi ha guardato. Siamo tornati in casa mia. Si è sfilato le scarpe e i calzini e mi ha comandato di adorare i suoi piedi. “È la prima volta che lo fai?”. “Sì PADRONE”. “Continua, mi piacciono i vermi che strisciano sul pavimento e che capiscono bene chi sta in alto e chi in basso”. Ho cominciato a servirlo e non ho più smesso scoprendo un po' alla volta tutto il peso del suo dominio sadico che esercitava su di me sottomesso ubbidiente da strapazzare e da ridurre ai minimi termini. Brandiva la frusta e la usava su di me. Mi faceva singhiozzare e piangere lacrime amare ma poi mi ricompensava con tutta l'energia del suo cazzo in copula dentro il mio culo sempre pronto. Ogni volta che mi prendeva mi sembrava di rinascere a nuova vita e lo faceva spesso. Accettavo quel contrasto fra i trattamenti duri che mi riservava, attraverso i quali la sua eccitazione si moltiplicava, e la quantità di erotismo che ne veniva fuori. Mi umiliava e mi mortificava e subito dopo venivo innalzato nei cieli del piacere. Viaggiavo sulle sue montagne russe, dove ad ogni faticosa risalita in rampa faceva seguito una folle discesa tanto più precipitosa e selvaggia quanto più era stata ardua la prima. Ho cominciato a desiderare l'una e l'altra cosa perché erano le due facce della stessa medaglia. Il dolore ha cominciato a piacermi sul serio, lo invocavo e poi lo pativo senza obiezioni e ho avuto la sensazione di essere diventato un masochista autentico. Le sue fantasie sono diventate le mie e non c'era più nulla che non potesse chiedermi. Un giorno in un momento di relax mi ha confidato che mi amava così come ero diventato e che non avrebbe più potuto fare a meno di me, come io di lui: unico vero uomo della mia vita. Sono completamente in suo potere e mi piace pescare nel torbido della sua anima che a me sembra acqua limpida anche se è nera come l'inchiostro.
Sono rientrato nei ranghi. Dopo diversi giorni che sono passati uno dopo l'altro senza sorprese, una mattina stavo per uscire di casa e me lo sono trovato davanti. Pantaloni attillati e gonfi dei suoi gingilli e camicia sbottonata sul torace in bella vista. Faceva muro e mi ha investito con tutta la sua mole e spinto indietro, sempre più indietro chiudendo il portoncino con il piede mentre mi restava addosso e gli respiravo il corpo e gli baciavo i pettorali e lui mi accompagnava a farlo con la mano dietro la testa. Eravamo incollati, mi ha sollevato il viso e ha ricominciato da dove avevamo terminato. Due bocche a ventosa e due lingue come serpenti intrecciati nel viscido gioco dell'amore o del sesso si sono destreggiate a sbavare e a succhiare, a nutrirsi di salive. Mi ha tenuto sollevato per il mento a bocca aperta e mi ha donato uno sputo che ho mandato giù. Un altro e un altro. Ero impietrito. Mi ha mollato un ceffone e mi ha strappato i vestiti di dosso. Gli ho aperto la patta. È uscito il suo bestione. Me lo ha infilato dietro e mi ha sfinito. Urlavo e lui anche. Il suo andirivieni fu come l'altra volta prima tranquillo poi sempre più mosso nel crescendo di spinte sempre più energiche condito da qualche sculacciata. Colpo su colpo mi faceva suo in piedi contro il muro, inghiottito dal ritmo a rimbalzo dei suoi fianchi, stretto fra le sue mani che non mi lasciavano scampo fino a ululare tutti e due nel momento del''orgasmo. In un attimo si è pulito e lo ha riportato a cuccia, senza dire niente. Ho chiuso gli occhi, li ho riaperti ed era sparito. Ma che cazzo stava succedendo? Chi era? Cosa voleva da me? Mi sono ripulito e rivestito. Sono sceso al bar di sotto e l'ho trovato lì. Mi ha offerto da bere e mi ha finalmente spiegato l'arcano. Gli piacevo da morire ma non voleva rovinarmi la vita. Si conosceva bene e sapeva di essere un bastardo e non voleva contaminarmi e trascinarmi in esperienze fuori controllo tuttavia mi trovava irresistibili come io lui. Alla fine gli ho detto che non erano cose nuove per me. Parlavamo per sottintesi. Continuava a spiegarmi che si faceva schifo da solo e che aveva certe esigenze che erano difficili da condividere. Lo ascoltavo e lo invitavo a spiegarsi meglio ma lui esitava e sudava freddo, non si decideva a uscire allo scoperto. Mi parlava vagamente di ruoli e di giochi pesanti, finché mi sono rotto di come menava il can per l'aia e l'ho fatto trasecolare chiedendogli cosa avrei dovuto fare per stare alle sue regole. Ha capito subito che avevo mangiato la foglia e mi ha sparato in faccia: “La mia regola numero uno per ora è che mi chiami PADRONE e la smetti di darmi del tu. Le altre regole le potrai scoprire una alla volta se ti va bene diventare il mio SCHIAVO”. Ha pagato il conto e si è alzato. Mi ha guardato. Siamo tornati in casa mia. Si è sfilato le scarpe e i calzini e mi ha comandato di adorare i suoi piedi. “È la prima volta che lo fai?”. “Sì PADRONE”. “Continua, mi piacciono i vermi che strisciano sul pavimento e che capiscono bene chi sta in alto e chi in basso”. Ho cominciato a servirlo e non ho più smesso scoprendo un po' alla volta tutto il peso del suo dominio sadico che esercitava su di me sottomesso ubbidiente da strapazzare e da ridurre ai minimi termini. Brandiva la frusta e la usava su di me. Mi faceva singhiozzare e piangere lacrime amare ma poi mi ricompensava con tutta l'energia del suo cazzo in copula dentro il mio culo sempre pronto. Ogni volta che mi prendeva mi sembrava di rinascere a nuova vita e lo faceva spesso. Accettavo quel contrasto fra i trattamenti duri che mi riservava, attraverso i quali la sua eccitazione si moltiplicava, e la quantità di erotismo che ne veniva fuori. Mi umiliava e mi mortificava e subito dopo venivo innalzato nei cieli del piacere. Viaggiavo sulle sue montagne russe, dove ad ogni faticosa risalita in rampa faceva seguito una folle discesa tanto più precipitosa e selvaggia quanto più era stata ardua la prima. Ho cominciato a desiderare l'una e l'altra cosa perché erano le due facce della stessa medaglia. Il dolore ha cominciato a piacermi sul serio, lo invocavo e poi lo pativo senza obiezioni e ho avuto la sensazione di essere diventato un masochista autentico. Le sue fantasie sono diventate le mie e non c'era più nulla che non potesse chiedermi. Un giorno in un momento di relax mi ha confidato che mi amava così come ero diventato e che non avrebbe più potuto fare a meno di me, come io di lui: unico vero uomo della mia vita. Sono completamente in suo potere e mi piace pescare nel torbido della sua anima che a me sembra acqua limpida anche se è nera come l'inchiostro.
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