I nostri saffici giochi proibiti - Continuo a scrivere (parte 1)
di
BunnyBea98
genere
pissing
Prefazione.
Ho deciso di dividere in due parti questo racconto per semplici ragioni logistiche e per rendere più fruibile la lettura, dato che mi sono accorta mentre scrivevo che stava uscendo un racconto davvero lungo.
Già, sto scrivendo di nuovo. Perché lo sto facendo? Forse perché, come la stupida ragazzina che sono, spero che tu possa leggere e capire quanto sono innamorata di te. Eppure lo so, lo so che non leggerai. E anche se lo facessi, so già che non cambierebbe nulla.
Ne abbiamo parlato, di nuovo. Ami scoparmi, ami umiliarmi, ami poter dar sfogo alle tue peggiori e più proibite perversioni, che sono pure le mie, ma non ami me. E non mi amerai mai.
Quindi perché scrivo? Forse perché tutto sommato mi eccita raccontare i nostri momenti. Forse perché, non potendo parlarne con nessuno, qui posso essere onesta e senza filtri, sfogandomi, al sicuro dal giudizio e dallo scherno delle persone, al riparo dietro questo schermo che mi rende anonima. Mi eccita. Mi eccita parlarne. Vorrei farlo con tante persone, sai? Mi eccita sapere che ci immaginano.
Forse, forse, quanti forse. Forse, come cantava Francesco Guccini, forse scrivo solo perché son viva, e voglio in questo modo dire “sono”, o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto.
È successo due settimane fa.
Purtroppo i nostri momenti scat, perlomeno quelli in cui ingoio la tua merda, devono essere contingentati e intervallati, sia per dar tempo alle medicine di far effetto che per evitare brutte e spiacevoli conseguenze.
Era quasi un mese che non ingoiavo. Dopo l’ultima volta (non quella che ho raccontato nel precedente racconto) sono stata male, ragion per cui le nostre canoniche due settimane sono diventate un mese, ma tu non pecchi di certo di inventiva e un modo per umiliarmi lo trovi sempre. In fondo sono il tuo cesso personale, no?
Nelle settimane precedenti a quella sera quasi ogni volta in cui ci siam viste a casa tua non perdevi l’occasione per cagarmi addosso. Sulle mani messe a coppetta, sulle tette, sui capelli, una cosa che sai che odio. Ogni volta che devi andare di corpo in mia presenza so già che tutto quanto finirà sul mio corpo. E dio quanto lo adoro.
Può essere uno stronzo durissimo o diarrea, non importa. “Ehi cesso, devo cagare”, mi dici, e io ti seguo ubbidiente in bagno, dove espleti i tuoi bisogni su di me.
Di tanto in tanto ti supplico di non farlo, di non umiliarmi; a volte per scena, altre volte perché davvero non mi andrebbe più di tanto. Ma tu insisti. Mi insulti, dici che la mia unica utilità in questa vita è quella di servirti ed essere usata come un cesso, che dovrei solo ringraziarti.
A volte mi chiedo se tu lo pensi per davvero. Il nostro rapporto è sempre più slave-dom 24/7, anche le nostre scopate “tradizionali” ne risentono. Mi picchi, mi frusti, mi insulti e mi denigri continuamente. Vuoi farmi male, dentro e fuori. Abbiamo detto che finché non utilizzo una determinata safeword tu puoi continuare a farmi quello che vuoi. L’ho usata solo una volta. Mi hai abbracciata e consolata, ma il tuo sguardo faceva trasparire un solo sentimento: delusione.
In quell’occasione mi dicesti che dopo ogni volta che avrei usato la safeword non mi avresti toccata per un mese, per “non farmene abusare”.
Ora mi sento obbligata a resistere, ad assecondarti anche quando non voglio. Mi sento costretta. E sentirmi costretta rende ancora tutto più fantastico e sublime.
La sera prima di vederci mi mandi un messaggio perentorio. “Ehi schifosa, ti proibisco di cagare fino a domani sera, a meno che tu non stia per fartela addosso. Se quando arrivi non riesci a cagare subito capirò che mi hai disubbidito e ti giuro che te ne pentirai. Ma se fai la brava ci divertiremo, ho in mente una cosina speciale che ho visto in un video per farti recuperare questo mese ❤️”.
Leggo e ho un sussulto. Questa tua ambivalenza tra essere dolce, perversa e crudele mi fa impazzire. Una parte di me vorrebbe disubbidirti solo per vedere cosa mi faresti, ma voglio troppo assistere alla sorpresa. Sono la tua brava schiava, il tuo bravo cesso. Ubbidirò.
Il giorno successivo è uno strazio. Non so come ho fatto a non cagarmi addosso a lavoro. Arrivo a casa alle quattro del pomeriggio, vorrei solo svuotarmi ma resisto e in preda ai crampi arrivo da te.
Ti detesto quanto ti amo, ogni passo è una cazzo di tortura.
Appena entro in casa tua mi chiedi se sono stata una troia ubbidente. Ti dico di sì e ti imploro di farmi cagare con le lacrime agli occhi. Tu ridi, io tremo perché ormai ti conosco e ho già capito come mi torturerai. Mi ordini di spogliarmi completamente e di mettermi in ginocchio davanti a te.
Ubbidisco. Sei tu la padrona, io voglio solo compiacerti.
Sono in ginocchio nuda davanti a te, sento la merda che mi invade il culo e che preme per uscire.
Mi accarezzi la testa. “Brava cagna, seguimi”. Sono una brava cagna, sorrido per questo complimento e ti seguo a quattro zampe fino al divano, dimenticandomi per qualche secondo i crampi che mi attanagliano.
Ti siedi. Io mi inginocchio davanti a te. Di fianco al divano c’è un sacchetto natalizio con una coccarda che mi porgi. Un regalo di Natale in ritardo, per me, dici. Sono al settimo cielo! Lo scarto sorridendo come una bambina.
Il primo regalo è una ciotola di metallo. Ti guardo confusa e incuriosita, tu mi rispondi dicendo di continuare a scartare. Il secondo regalo consiste in delle manette in metallo con il pelo rosa. Sono bellissime, le desideravo da tempo. Il terzo è un collare nero in pelle con le borchie e un guinzaglio, anch’esso nero in pelle. Il quarto, infine, sul fondo del sacchetto, è un plug anale in metallo con un cuoricino rosa di brillanti. È bellissimo, ma appena guardo la dimensione mi incupisco un po’: otto centimetri di diametro, molto più largo di tutti i plug anali o dei dildi che abbia mai provato.
Inizio a ringraziarti, sono al settimo cielo. Poi in un attimo il terrore mi assale. “Ora te lo infili nel culo. Poi forse potrai cagare.”
Ho deciso di dividere in due parti questo racconto per semplici ragioni logistiche e per rendere più fruibile la lettura, dato che mi sono accorta mentre scrivevo che stava uscendo un racconto davvero lungo.
Già, sto scrivendo di nuovo. Perché lo sto facendo? Forse perché, come la stupida ragazzina che sono, spero che tu possa leggere e capire quanto sono innamorata di te. Eppure lo so, lo so che non leggerai. E anche se lo facessi, so già che non cambierebbe nulla.
Ne abbiamo parlato, di nuovo. Ami scoparmi, ami umiliarmi, ami poter dar sfogo alle tue peggiori e più proibite perversioni, che sono pure le mie, ma non ami me. E non mi amerai mai.
Quindi perché scrivo? Forse perché tutto sommato mi eccita raccontare i nostri momenti. Forse perché, non potendo parlarne con nessuno, qui posso essere onesta e senza filtri, sfogandomi, al sicuro dal giudizio e dallo scherno delle persone, al riparo dietro questo schermo che mi rende anonima. Mi eccita. Mi eccita parlarne. Vorrei farlo con tante persone, sai? Mi eccita sapere che ci immaginano.
Forse, forse, quanti forse. Forse, come cantava Francesco Guccini, forse scrivo solo perché son viva, e voglio in questo modo dire “sono”, o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto.
È successo due settimane fa.
Purtroppo i nostri momenti scat, perlomeno quelli in cui ingoio la tua merda, devono essere contingentati e intervallati, sia per dar tempo alle medicine di far effetto che per evitare brutte e spiacevoli conseguenze.
Era quasi un mese che non ingoiavo. Dopo l’ultima volta (non quella che ho raccontato nel precedente racconto) sono stata male, ragion per cui le nostre canoniche due settimane sono diventate un mese, ma tu non pecchi di certo di inventiva e un modo per umiliarmi lo trovi sempre. In fondo sono il tuo cesso personale, no?
Nelle settimane precedenti a quella sera quasi ogni volta in cui ci siam viste a casa tua non perdevi l’occasione per cagarmi addosso. Sulle mani messe a coppetta, sulle tette, sui capelli, una cosa che sai che odio. Ogni volta che devi andare di corpo in mia presenza so già che tutto quanto finirà sul mio corpo. E dio quanto lo adoro.
Può essere uno stronzo durissimo o diarrea, non importa. “Ehi cesso, devo cagare”, mi dici, e io ti seguo ubbidiente in bagno, dove espleti i tuoi bisogni su di me.
Di tanto in tanto ti supplico di non farlo, di non umiliarmi; a volte per scena, altre volte perché davvero non mi andrebbe più di tanto. Ma tu insisti. Mi insulti, dici che la mia unica utilità in questa vita è quella di servirti ed essere usata come un cesso, che dovrei solo ringraziarti.
A volte mi chiedo se tu lo pensi per davvero. Il nostro rapporto è sempre più slave-dom 24/7, anche le nostre scopate “tradizionali” ne risentono. Mi picchi, mi frusti, mi insulti e mi denigri continuamente. Vuoi farmi male, dentro e fuori. Abbiamo detto che finché non utilizzo una determinata safeword tu puoi continuare a farmi quello che vuoi. L’ho usata solo una volta. Mi hai abbracciata e consolata, ma il tuo sguardo faceva trasparire un solo sentimento: delusione.
In quell’occasione mi dicesti che dopo ogni volta che avrei usato la safeword non mi avresti toccata per un mese, per “non farmene abusare”.
Ora mi sento obbligata a resistere, ad assecondarti anche quando non voglio. Mi sento costretta. E sentirmi costretta rende ancora tutto più fantastico e sublime.
La sera prima di vederci mi mandi un messaggio perentorio. “Ehi schifosa, ti proibisco di cagare fino a domani sera, a meno che tu non stia per fartela addosso. Se quando arrivi non riesci a cagare subito capirò che mi hai disubbidito e ti giuro che te ne pentirai. Ma se fai la brava ci divertiremo, ho in mente una cosina speciale che ho visto in un video per farti recuperare questo mese ❤️”.
Leggo e ho un sussulto. Questa tua ambivalenza tra essere dolce, perversa e crudele mi fa impazzire. Una parte di me vorrebbe disubbidirti solo per vedere cosa mi faresti, ma voglio troppo assistere alla sorpresa. Sono la tua brava schiava, il tuo bravo cesso. Ubbidirò.
Il giorno successivo è uno strazio. Non so come ho fatto a non cagarmi addosso a lavoro. Arrivo a casa alle quattro del pomeriggio, vorrei solo svuotarmi ma resisto e in preda ai crampi arrivo da te.
Ti detesto quanto ti amo, ogni passo è una cazzo di tortura.
Appena entro in casa tua mi chiedi se sono stata una troia ubbidente. Ti dico di sì e ti imploro di farmi cagare con le lacrime agli occhi. Tu ridi, io tremo perché ormai ti conosco e ho già capito come mi torturerai. Mi ordini di spogliarmi completamente e di mettermi in ginocchio davanti a te.
Ubbidisco. Sei tu la padrona, io voglio solo compiacerti.
Sono in ginocchio nuda davanti a te, sento la merda che mi invade il culo e che preme per uscire.
Mi accarezzi la testa. “Brava cagna, seguimi”. Sono una brava cagna, sorrido per questo complimento e ti seguo a quattro zampe fino al divano, dimenticandomi per qualche secondo i crampi che mi attanagliano.
Ti siedi. Io mi inginocchio davanti a te. Di fianco al divano c’è un sacchetto natalizio con una coccarda che mi porgi. Un regalo di Natale in ritardo, per me, dici. Sono al settimo cielo! Lo scarto sorridendo come una bambina.
Il primo regalo è una ciotola di metallo. Ti guardo confusa e incuriosita, tu mi rispondi dicendo di continuare a scartare. Il secondo regalo consiste in delle manette in metallo con il pelo rosa. Sono bellissime, le desideravo da tempo. Il terzo è un collare nero in pelle con le borchie e un guinzaglio, anch’esso nero in pelle. Il quarto, infine, sul fondo del sacchetto, è un plug anale in metallo con un cuoricino rosa di brillanti. È bellissimo, ma appena guardo la dimensione mi incupisco un po’: otto centimetri di diametro, molto più largo di tutti i plug anali o dei dildi che abbia mai provato.
Inizio a ringraziarti, sono al settimo cielo. Poi in un attimo il terrore mi assale. “Ora te lo infili nel culo. Poi forse potrai cagare.”
1
4
voti
voti
valutazione
7.4
7.4
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
I nostri saffici giochi proibitiracconto sucessivo
I nostri saffici giochi proibiti - Continuo a scrivere (parte 2)
Commenti dei lettori al racconto erotico