Conoscere, vivere e scopare. I miei vent'anni

di
genere
confessioni

Sono un uomo di circa trent'anni, atletico, scuro di capelli e alto un metro e ottantacinque. Mi piace leggere, correre nei boschi e scopare. Quello che vi racconto, usando nomi di fantasia, l'ho vissuto sulla mia pelle e, soprattutto, sul mio cazzo.

Io e Marta avevamo diciannove anni e ci frequentavamo da circa un anno. Viveva con la madre separata e il fratello maggiore in una villetta a schiera in periferia. Stavamo insieme ormai da circa un anno e capitava spesso che mi fermassi a mangiare con lei e la sua famiglia e che dormissi qualche volta da loro, avevo ottimi rapporti sia con sua madre che con suo fratello. Quel pomeriggio di luglio ero d'accordo con Marta che l'avrei passata a prendere per andare insieme in spiaggia. Aprii il cancellino del giardino senza suonare al campanello e bussai direttamente alla porta che aveva le chiavi inserite nella serratura. Sentii la squillante voce di Sabrina, la madre di Marta.
"Chi è?"
"Sono io! Sono passato a prendere Marta", proclamai ad alta voce rivolto al legno della porta.
"Vieni pure caro, entra".
"Marta è su?", chiesi entrando nella cucina e dirigendomi verso il salotto.
“No, è uscita in motorino per andare da Giulia, doveva recuperare degli appunti per il test d’ingresso, pensavo te l’avesse detto”.
Marta stava studiando per il test di ingresso di medicina.
“Ah si!” esclamai dando un’occhiata al telefono “mi aveva scritto per avvisarmi ma ho visto il messaggio solo adesso. Giorgio?”
“È da Silvia”.
Peccato che il fratello di Marta fosse dalla sua ragazza, pensai, avevo da chiedergli alcune cose, e che palle dover aspettare. Nel soggiorno le finestre erano aperte ma le persiane chiuse, e la forte luce estiva filtrava appena dalle alette serrate. Sabrina era sdraiata sull’ampio divano a quattro posti che insieme ad un divano più piccolo, posto ad angolo sulla sua destra, costituiva l’arredo del salotto. Alla sua sinistra il camino mi appariva come la bocca sdentata di un grosso ippopotamo. Un ventilatore ronzava ondeggiando mollemente in un angolo della stanza. Sabrina stava leggendo un libro, distesa con la sinuosità di un gatto, scalza, con bermuda kaki e una camicia bianca a maniche corte di tessuto spesso, dall’apparenza ruvida. Una lampada da tavolo posta a lato del divano illuminava quanto bastava le pagine del libro. Che bella donna, mi dissi, osservando gli occhi vivaci e attenti che divoravano una parola dietro l’altra, i capelli biondi raccolti in un morbido chignon dietro la nuca. Il naso alla francese si sposava perfettamente con gli zigomi alti e marcati. Si passò velocemente la lingua piccola e discreta sul labbro superiore, affilato e deciso. Il gesto, dettato presumibilmente dalla necessità di inumidirsi la bocca a causa della calura estiva, mi fece riflettere sulla grande scopata che Sabrina doveva essere. Approfittando della sua concentrazione sul libro le guardai le gambe lunghe e tornite, i piccoli piedi ben fatti e soprattutto il seno piccolo e sodo che la camicia generosamente sbottonata lasciava intravedere. Sul seno sinistro un piccolo neo, omogeneo ed elegante, mi portò a chiedermi se ne avesse altri sul corpo, e pensai che mi sarebbe piaciuto toglierle la camicia per scoprirlo. Del seno destro, quello che la postura inclinata rendeva più vicino alla seduta del divano, si notava la forma perfettamente rotonda e appuntita del capezzolo, che ostinato premeva contro il tessuto niveo della camicia. Mi chiesi se ce l’avesse depilata come le ragazze d’oggi, e come aveva anche sua figlia. Non era la prima volta che facevo quei pensieri sulla madre di Marta, del resto le donne mature mi avevano sempre eccitato e rappresentavano per me all’epoca il fascino dell’ignoto. Cercai di distrarmi cercando di intravedere nella penombra della stanza Gea, la gatta.

“Tu stai leggendo qualcosa in questo momento?” mi chiese.
“Trainspotting” risposi, “ma non me lo sono portato dietro”.
“Ho visto il film. Com’è il libro?”.
“Bello, anche più del film secondo me. Te invece che leggi?”
“I miserabili”.
“Bellissimo!”, esclamai con sincero entusiasmo “l’ho letto l’anno scorso, mi è piaciuto moltissimo, di una sensibilità sconvolgente”.
“È uno dei pochi grandi classici che ancora mi mancano”.
“Mi sono appuntato alcune frasi da quanto mi sono piaciute” risposi, citando a memoria “Si stordì su quello che c’era da fare e riprese la calma, come un combattente raccoglie lo scudo”.
“Non mi ricordo di questo passaggio, a cosa si riferisce? Sapresti ritrovarlo?” mi chiese porgendomi il libro con un sorriso.
“Penso di si”, risposi, “se non ricordo male è quando Javert dice a Jean Valjean di aver trovato il vero Valjean”. Non riuscendo ad afferrare il libro da dove mi trovavo mi alzai e feci due passi verso di lei, che esclamò:
“Mettiti qui, fammi vedere se ritrovi quella frase”. Si mise seduta acciambellandosi sui suoi piedi e mi fece posto sul divano passandomi il libro, una edizione economica in un solo volume. Seduto accanto a lei potei sentire il suo profumo, vago, sfumato, applicato probabilmente la mattina presto e ormai parzialmente evaporato e riassorbito dall’odore della pelle, per questo ancora più buono, autentico. Approfittai della nuova posizione per gettare lo sguardo nuovamente tra i seni e sentii la mia bocca asciugarsi, forse avevo intravisto il capezzolo prima solo percepito, rosa e turgido come un granatiere sull’attenti.
“Oggi non lavori?” chiesi, abbassando lo sguardo sulle sue gambe, perfettamente depilate e lisce.
“Ho avuto un’udienza questa mattina e mi sono presa il pomeriggio libero”.
Risalii con lo sguardo i polpacci, l’interno del ginocchio e mi soffermai sulle le cosce, definite e sode.
“Tutto bene?” mi chiese con un tono malizioso e complice, strofinando leggermente le gambe una sull’altra.
“Certo!” risposi, con la testa che mi andava in frantumi. Ci stava provando con me? Stava facendo la gatta morta? Impossibile mi dissi, sto fraintendendo, mi sto costruendo una realtà non vera, artefatta.
“Perché questa domanda?”, ribattei al contrattacco ricambiando un sorriso di circostanza, sforzandomi di apparire rilassato e imperturbabile.
“Mi era sembrato che tu stessi cercando qualcosa qui, dentro i miei pantaloncini”, disse infilandosi un dito tra la coscia e il tessuto, “e mi era pure sembrato che ti stesse piacendo”.
“No, no, ci mancherebbe altro.. Lei è una bellissima donna ma..”.
Eruppe in una risata fragorosa:
“Adesso mi dai del lei? Mangi e dormi qui quando ti pare da un anno..”
“Tu, tu, tu.. sei una bellissima donna ma..”.
“Ma che?”
“Ma nulla. Sto con Marta e sono felice con Marta”.
“Sei innamorato vero?”
“Si, penso di si”
“Pensi davvero che esista il vero amore a vent’anni?”
“Si, direi di si”.
“Io invece credo che non esista l’amore a vent’anni mio caro. Sai che cosa esiste? Avercelo così duro da sentir male, aver voglia di farselo succhiare, di leccarla, di infilarlo dentro qualche bella ragazza. È la voglia è così tanta perché vi è capitato così raramente di ricevere un pompino che vi sembra la cosa più bella del mondo. L’amore che pensate di provare è una costruzione consequenziale, una cornice per dare ordine al quadro, un modo per giustificare i vostri ormoni a palla. Sbaglio?”

Non l’avevo mai sentita parlare così. Lo strenuo tentativo del mio cervello di elaborare quanto stava succedendo tra mille elucubrazioni e congetture, non impedì al mio cazzo di diventare duro. Fissavo lo sguardo malizioso della volpe che sa di avere in pugno il coniglio, e nel frattempo lo sentivo crescere, premere con i suoi diciassette centimetri di lunghezza e quindici di circonferenza nel costume slip e tendere il lino leggero dei pantaloni che indossavo.
“Non so cosa dire, forse è meglio che vada ad aspettare Marta fuori”, balbettai con un sorriso nervoso.
“Oppure potresti guardare cosa c’è sotto questa camicia e sotto tutto il resto”.
Indugiai fissandola negli occhi verdi.
“Ma se Marta dovesse venire a saperlo..”
“Glielo vai a raccontare tu?”
Non risposi, restai in silenzio una decina di secondi fissando il ventilatore che indifferente proseguiva il suo ciondolamento ronzante. Poi, consapevole che si attendeva da me una qualche reazione, le sfiorai col dorso della mano destra l’esterno della coscia coperto dal tessuto kaki, senza emettere alcun suono. Un gesto volutamente ambiguo che poteva significare tutto è nulla. Un tocco come a dire che ti sento, ti percepisco, ho capito quello che hai detto ma fermiamoci qui, un’azione innocua, come una pacca sulla spalla di un vecchio amico. Ma che poteva anche significare che sto al gioco, fammi vedere cosa vuoi fare, ti seguo. Un gesto quindi ipocrita e codardo ma che mi faceva guadagnare tempo, che ributtava la palla nel campo avversario.
“Mi sembra di aver capito da Marta che hai un cazzo niente male, eccolo qui finalmente” mi disse guardandomi il pacco, e mi accarezzò con una mano l’asta del cazzo che, ormai completamente eretto, era ben visibile in rilievo dai pantaloni. Mi sentii il corpo attraversato da una scossa elettrica. La confusione mentale lasciò il campo ad un ultima indecisione, un ultimo sfolgorio di panico:
“E se Marta torna?” chiesi.
“Le finestre sono aperte, sentiamo arrivare il motorino. In ogni caso abbiamo tutto il tempo, non sarà qui prima di mezz’ora”.
“E Giorgio?”
“È fuori con Silvia, non tornerà prima di stasera. Ti faccio così paura?” mi chiese sorridendo e rilassandosi contro lo schienale.
Sospirai e mi lasciai andare, fanculo tutto, sentenziai, fanculo Marta, fanculo Giorgio, si vive una volta sola e sarà quel che sarà. Sono solo un ragazzo mi dissi, cosa posso fare di fronte ad una donna che sa quello che vuole? E soprattutto, che sembra sapere perfettamente cosa voglio e di cosa ho bisogno. E poi, sono davvero innamorato? Penso davvero che Marta possa essere la donna della mia vita? Ma che ne so, pensai, l’unica cosa certa è che il cazzo mi sta per scoppiare. Il mio futuro con Marta non era più una priorità, al contrario, dovevo vedere Sabrina nuda, questo era essenziale. Questo e schizzare da qualche parte, liberando così il cazzo dalla tensione.

Lentamente e con movimenti controllati le aprii gli ultimi tre bottoni che restavano della camicia e non ci fu più nulla a nascondere i piccoli seni perfetti. Li accarezzai da sopra, da sotto, li presi tra le mani e mi portai i capezzoli alla bocca. Senza fretta baciai, leccai e succhiai quei chiodi morbidi e salati di sudore. Nel frattempo Sabrina, con gli occhi chiusi e sorridendo di piacere mi aveva sbottonato i pantaloni di lino e mi aveva abbassato gli slip al di sotto dello scroto, che si presentava sodo, compatto e depilato. Mi ero infatti rasato completamente i genitali lasciando solo un ciuffetto di peli sopra all’attaccatura dell’asta. Apparentemente compiaciuta di quello che avevo da offrirle, mi strinse forte il cazzo e cominciò a masturbarmi in modo sicuro.
La baciai sul collo scostandole i capelli dietro la testa e poi dietro l’orecchio destro, dove il profumo prima solo intuito era più forte. Cazzo se ci sapeva fare. Quanto ha da insegnare alla figlia e a tutte le giovani figlie delle madri del mondo.
Le sfilai la camicia e mi tolsi la maglietta, fiero di mostrarle il mio addome tonico e asciutto, frutto di chilometri e chilometri macinati di corsa su asfalto e sentieri di montagna. Con le mani sui suoi seni provai a baciarla sulla bocca ma si scostò:
“Non voglio baciare un ragazzino. Un cazzo da uomo si, posso succhiarlo, ma il resto no”, e mentre mi masturbava con la destra, mi stringeva le palle con la sinistra, sempre sorridendo di piacere con gli occhi chiusi. Ci misi qualche secondo a metabolizzare il rifiuto, che rappresentò per me una doccia fredda. Che stronza. Era la prima volta che una donna mi segava rifiutando di baciarmi, un modo di fare che mi era totalmente estraneo. Chi può non voler baciare la persona con cui sta scopando? Chi fa sesso a pagamento, mi risposi. Per lei ero quindi un pupazzo da riporre nel cassetto dopo averlo usato. Non ero abituato a quel genere di rapporti, la mia adolescenza mi aveva abituato ai corteggiamenti che anticipavano le pomiciate, alle pomiciate che anticipavano i preliminari, ai preliminari che anticipavano i rapporti completi, ai rapporti completi che generalmente testimoniavano una volontà di frequentarsi anche fuori dal letto. Quel modo di fare, emotivamente distaccato ma fisicamente passionale, mi straniva e confondeva. Ma fanculo ancora una volta.
“E allora succhialo”, dissi alzandomi in piedi davanti a lei. Mi tolsi i pantaloni e mi sfilai i mocassini. Il piacevole contatto dei piedi nudi con il pavimento freddo mi diede sicurezza e stabilità. Cosa fa adesso? Ci ripensa? Mi manda farmi fottere? Nell’attesa di capire come avrebbe reagito mi guardai rapidamente il cazzo. Non troppo lungo ma sodo, robusto, contraddistinto da vene visibili ma non invadenti, che come fregi decorativi lo percorrevano in tutta la lunghezza dell’asta, caratterizzata da una leggera curvatura verso l’altro, come il rostro di una trireme romana. La cappella, generosa nelle dimensioni e di un bel rosa uniforme, attendeva di capire, in modo fiero e prepotente, se la mia richiesta sarebbe stata esaudita o meno. Spostai lo sguardo dritto negli occhi di Sabrina.
“Non fare lo stronzo, moccioso che non sei altro”, e mettendo giù i piedi dal divano mi tirò con forza i peli che mi restavano sul pube tra pollice e indice, “se te lo succhio è perché lo decido io. Se voglio ti stacco le palle e le do al gatto”. Poi mi baciò appena sotto l’ombelico e continuò a darmi piccoli baci scendendo sempre di più, mi baciò alla base del cazzo e risalì tutta l’asta, fino a raggiungere la cappella, che leccò dal basso all’alto e poi con movimenti circolari. Il dolore provato per i peli che mi erano stati quasi strappati si dissipò subito nel piacere provato dalla sua lingua che ruotava intorno al mio glande, come un massaggio affettuoso, umido e caldo. Nessuno mi aveva mai succhiato il cazzo così prima di allora. Poi mi leccò l’asta in tutta la sua lunghezza e passò alle palle, che succhiò una per una, con una decisione ben calibrata e mai fastidiosa. Mentre mi succhiava lo scroto continuava a masturbarmi. Con la mano sinistra le accarezzai la nuca mentre con la destra tornai a stringerle i seni e a pizzicarle i capezzoli, che mi sfioravano le cosce. Cazzo, constatai, sto per venire. Chiusi gli occhi e mi sforzai di respirare più a fondo, di moderare la mia eccitazione. Mi riprese il cazzo in bocca, pizzicandomi i capezzoli con la mano sinistra e palpandomi il culo con la destra. Dopo qualche secondo iniziò a spostare le dita all’interno delle mie natiche, in direzione dell’ano. Rilassai i glutei, che i lunghi allenamenti avevano definito e rassodato, e le permisi così di massaggiarmi con un dito il buco del culo. Mi chiesi se fossi pulito e mi dissi che sì, mi ero fatto un accurato bidet prima di uscire di casa quindi che faccia quello che crede, proviamo anche questa. Dolcemente e lentamente mi entrò qualche centimetro dentro, sempre mentre mi succhiava. Ero completamente stordito dell’eccitazione, il cazzo mi pulsava e stavo per venirle in bocca. Stavo godendo come mai provato prima, sentivo scosse di piacere in tutta la zona perineale. Effettuai un ultimo disperato tentativo di distrarmi. Aprii gli occhi e per distogliere la mente da quello che stavo provando, posai lo sguardo sulla libreria che mi fronteggiava oltre il divano. Nella penombra mi era impossibile leggere i titoli ma vidi, negli scaffali più in alto, una decina di volumi con copertina nera e rossa che mi sembrava di conoscere. Chissà se era proprio “Conoscere”, l’enciclopedia degli anni ‘60 che avevano anche i miei nonni. Non ebbi tempo di indagare oltre, ormai sentivo che stavo per eiaculare.
“Sto per venire”, sussurrai.
Si tolse il mio cazzo di bocca e sorridendo e continuando a tenere un dito dentro di me mi masturbò più velocemente. Le schizzai sul petto e sul seno due fiotti abbondanti e densi di sperma.

“Ah però!”, esclamò sorridendo.
“Scusami..” sussurrai, con la testa completamente vuota e leggera, “volevo farti star bene anch’io..”
“Hai fatto così in fretta che c’è ancora tempo, ti va di leccarmi un po’?”, chiese spalmandosi lo sperma sul petto con le mani, evitando così che colasse più in basso.
Rimasi per qualche secondo a guardarla mentre si spalmava il liquido seminale su di sé, con la stessa naturalezza con cui ci si applica la crema idratante dopo la doccia. Nell’aria si diffuse l’aroma del mio seme, vagamente dolciastro e che richiamava il profumo del germe di grano. Incassai la punzecchiatura senza far trasparire alcuna irritazione.
“Certo”, risposi.
Sotto i pantaloncini, che si sfilò alzandosi dal divano, indossava una culotte brasiliana di pizzo bianco. Rimasi qualche secondo a guardare la trame delle mutandine e la forma delle sue natiche, che per un anno avevo solo immaginato e idealizzato e adesso si trovavano davanti a me. Qualche piccola imperfezione data dell’età non oscurava la sacralità di quel culo ben fatto. Indossando ancora la culotte si mise in ginocchio sul divano dandomi le spalle e appoggiandosi allo schienale. Mi chiesi se non corresse il rischio di sporcare il divano con il mio sperma, del quale avvertivo ancora un leggero odore. Sporse il culo verso di me e mi ritrovai presto con i suoi fianchi tra le mani. Le baciai la schiena, percorrendola tutta dall’alto verso il basso, e mi soffermai sul tatuaggio alla base del collo, una Lunula romana con le punte verso il basso e decorata all’interno con motivi celtici. Leccai il tatuaggio e le baciai le braccia nude, ben modellate e asciutte. Mi misi in ginocchio, le afferrai i glutei con entrambe le mani e baciai ogni porzione di pelle che di quel culo risultava scoperta. Da sopra le mutandine feci scivolare un dito tra le grandi labbra, e mi sembrò che il tessuto si inumidisse al contatto con la sua fica, che doveva essere già completamente bagnata. Sabrina sospirava di piacere. Continuando a baciarle il culo le abbassai le mutande con entrambe le mani.

Potevo finalmente ammirare la sua fica, con le grandi labbra floride e paffute che si aprivano leggermente davanti a me. Una sottilissima e corta peluria bionda circondava le grandi labbra, mentre un ciuffetto più generoso abbelliva il pube. La vista di quei peli, di una fica da donna, mi eccitò ancora di più. Le allargai leggermente i glutei e vidi il suo ano, completamente depilato e perfettamente tondo di un rosa omogeneo. Le baciai la fica bagnata e lubrificata, leccando lentamente le grandi labbra e spingendomi sempre più verso l’interno. I gemiti di piacere di Sabrina e il sapore del suo sesso mi fecero diventare di nuovo il cazzo duro. Mentre le leccavo dolcemente con la punta della lingua il clitoride, sempre più gonfio ed eretto, cominciai a masturbarmi e presto raggiunsi nuovamente un’erezione completa. Con l’altra mano le massaggiavo il seno e pizzicavo i capezzoli. Per raggiungere il clitoride da dove mi trovavo avevo il naso a contatto delle piccole labbra, ben proporzionate e simmetriche. Inebriato dal piacere le leccai l’ano mentre le massaggiavo delicatamente il clitoride, provocandole sussulti di piacere. Poi, con il cazzo che mi pulsava da far male, mi alzai e feci scivolare la cappella tra le grandi e piccole labbra, fino a sfiorare il clitoride. Ripetei il movimento due o tre volte, leccandomi l’indice e scorrendolo sulla sua spina dorsale, dall’altro verso il basso, fino all’osso sacro. Sabrina sospirava e gemeva sempre di più.
“Scopami” sussurrò.
“L’unico preservativo che ho l’ho lasciato in macchina”.
“Prendo la pillola”.
“Ma le malattie..”
“Doniamo il sangue, siamo controllati, scopami e basta”, disse in tono mellifluo, flettendo la schiena verso il basso e sporgendo ancora di più il suo bacino verso di me.
A vent’anni mi arrivava più sangue all’uccello che al cervello.

Il mio dito medio le entrò dentro senza il minimo sforzo e quando lo ritrassi era completamente bagnato. Me lo succhiai gustando il suo sapore ancora una volta.
Mi scappellai con cura e la penetrai con delicatezza così come si trovava, a pecorina, godendomi ogni centimetro del suo sesso. Dopo qualche spinta di adattamento le scivolai dentro completamente. Ad ogni movimento il cazzo si bagnava e lubrificava sempre di più. Eravamo entrambi ricoperti di un sottile velo di sudore e i miei peli pubici erano completamente bagnati, sia di sudore che di secrezioni di Sabrina. Senza smettere di muovermi dentro di lei con la mano sinistra le afferrai i capelli per il chignon mentre con i polpastrelli della destra le massaggiai il clitoride. Si teneva ai cuscini dello schienale, afferrandoli e mordendoli. Aumentai leggermente l’intensità delle spinte e le passai la mano sui peli pubici, accarezzandoli e cercando di catturarne l’odore con le dita, poi tornai a stimolarle il clitoride, con brevi ma continui movimenti circolari dei polpastrelli. Le piccole labbra si adattavano perfettamente alle dimensioni del mio cazzo e mi chiedevo se percepisse con chiarezza la forma e i dettagli del mio cazzo. Allora non ero abituato a scopare senza preservativo, per questo mi interrogavo sulle percezioni sensoriali che potevo suscitare e che stavo provando.
“Continua così, sto per venire”, bisbigliò.
Poggiai il piede destro sul divano e mantenendo lo stesso ritmo aumentai l’intensità e la profondità delle spinte. Continua a stimolarle il clitoride fino quando avvertii tutto il suo corpo scuotersi, vibrare, e il suo respiro arrestarsi e poi riprendere in sussulti. La mia mano, che dal clitoride avevo spostato sul suo sesso con le dita divaricate intorno al mio cazzo, si bagnò. È venuta, ipotizzai. La consapevolezza di essere riuscito a farla godere mi riempì di orgoglio e mi eccitò ancora di più tanto che percepii di raggiungere di nuovo l’orgasmo. Per quanto possibile lo spinsi ancora più in fondo, mi chinai su di lei fino a sfiorarle la schiena con il petto e mi ancorai con le mani alla spalliera del divano. Dopo una decina di secondi di spinte intense e potenti venni di nuovo anch’io, dentro di lei.

Rimanemmo immobili per qualche secondo, ascoltando i nostri respiri e i nostri corpi che tornavano a rilassarsi. Avvertii la leggera brezza del ventilatore sulle gambe e sulle natiche, ritenendo strano non averla percepita prima. Sentendo che stavo perdendo l’erezione mi ritrassi, e anche lei scese dal divano. I nostri sguardi tornarono a incrociarsi, dopo un tempo che era parso interminabile.
“Bene, vado a farmi una doccia. Vatti a dare una lavata anche tu al piano di sopra, si sente se uno ha scopato”. Si voltò portandosi dietro i vestiti ed il telo che copriva il divano.
Guardai per un’ultima volta il suo corpo sinuoso che spariva dietro la porta del bagno di servizio. Avrei voluto sedermi per riflettere su quanto accaduto e concentrarmi ancora sulle emozioni provate, ma un’occhiata all’orologio mi riportò alla realtà.
Recuperai in fretta i miei abiti e corsi nel bagno grande, al piano superiore.
Godetti dell’acqua fresca sui genitali e mi massaggiai i testicoli e il glande lavandoli con cura.
Prima di lavarmi le mani mi portai le dita al naso e percepii ancora Sabrina su di me.
Dall’esterno mi raggiunse il rumore familiare dello scooter di Marta.
Andammo al mare lasciando Sabrina sotto il suono rassicurante della doccia e il pomeriggio trascorse serenamente, scopai anche con Marta quella sera, prendendola da dietro nella doccia dello stabilimento balneare. Quella sera, quando la riaccompagnai a casa, mi soffermai davanti alla libreria, non mi ero sbagliato, la collana era proprio “Conoscere”.
scritto il
2025-02-14
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