Via dei Bardi - 17 la svolta
di
EssEmmE
genere
saffico
L’invito arrivò in un messaggio di gruppo.
Tatiana lo girò a Chiara con un semplice: “Dai, vieni. Fa bene ridere. Al massimo, beviamo.”
Edo aveva organizzato una serata easy in un locale fuori San Niccolò.
Una cosa improvvisata, con qualche vecchio amico tornato a Firenze, qualche volto nuovo, qualche bicchiere senza troppe pretese.
Chiara ci pensò un attimo.
Poi rispose: “Va bene. Ma niente giochi strani stavolta.”
Tatiana: “Promesso. Solo umani con la testa accesa.”
Quando Chiara arrivò, Giulia era già lì.
Seduta sul divano basso all’interno del locale, le gambe accavallate, una maglia larga che le scendeva dalla spalla sinistra.
Rideva con Edo e una ragazza nuova, capelli corti, orecchini vistosi.
Chiara la vide.
Il cuore le fece uno strano passo indietro.
Poi si sistemò.
Giulia alzò gli occhi.
La vide.
Un mezzo sorriso.
Un saluto con il bicchiere.
Nessuna delle due si mosse.
La serata scorreva lenta ma viva.
Troppe risate.
Cicchetti veloci, birre artigianali.
Musica jazz dal vivo in un angolo.
Chiara era seduta vicino a Tatiana e a un tipo che parlava troppo di sé.
Ogni tanto alzava gli occhi verso Giulia.
Ogni volta che la trovava a guardarla, distoglieva lo sguardo un attimo dopo.
Un gioco.
Silenzioso.
Pericoloso.
Poi, all’improvviso, la pioggia.
Iniziò con qualche goccia.
Poi un temporale pieno, denso, caldo.
Qualcuno rise.
Qualcuno bestemmiò.
Qualcuno si affrettò a uscire, cercando taxi che non arrivavano.
Edo chiuse il conto.
Tatiana trovò un passaggio con una coppia.
Giulia e Chiara si ritrovarono sotto lo stesso ombrello, all’uscita.
«Io abito lì,» disse Giulia, indicando il viale.
«Io lì,» rispose Chiara.
Stessa direzione.
Ovviamente.
Camminarono in silenzio.
Le scarpe bagnate.
I capelli che si attaccavano alla fronte.
Le gambe nude che brillavano d’acqua sotto i lampioni.
Non c’erano parole.
Solo il rumore della pioggia e dei loro passi.
Poi Giulia parlò.
Piano.
«Sei uscita con Tatiana, l’altra sera.»
«Sì.»
«Avete parlato?»
«Abbastanza.»
Una pausa.
«Di me?»
Chiara si fermò un attimo.
Poi riprese.
«Di me. Di te. Di tutto.
Era… liberatorio.»
Giulia annuì.
Non chiese altro.
Arrivarono sotto casa.
La porta si chiuse dietro di loro.
Il rumore della pioggia attenuato.
Chiara lasciò cadere la giacca.
Giulia si tolse le scarpe.
Entrambe bagnate, belle in modo doloroso, le maglie appiccicate, i seni visibili sotto il cotone.
Si guardarono.
Troppo a lungo.
Poi Giulia sorrise.
Appena.
«È buffo…
non ti ho mai vista così bella come quando non mi guardi.»
Chiara non rispose.
Si avvicinò.
Appoggiò una mano sulla spalla di Giulia.
Solo un secondo.
Poi si voltò.
«Io vado a dormire.»
E salì le scale.
Giulia restò lì.
Nel corridoio bagnato.
Il cuore che batteva troppo.
***********
Gli ultimi giorni erano scivolati via come acqua calda.
Chiara e Giulia avevano ripreso a vivere la casa con naturalezza, come se niente fosse mai successo, eppure con qualcosa in più:
una specie di silenziosa alleanza, un’intimità appena trattenuta, come se ogni parola non detta fosse stata comunque detta, in altre lingue: un gesto, un respiro, un sorriso da lontano.
Si dividevano il bagno senza litigare, si lasciavano bigliettini ironici sulla moka, studiavano con la porta socchiusa, e la sera cenavano spesso insieme, senza forzature.
Una pace sottile.
Precaria.
Ma reale.
Finché quella sera Giulia rientrò con la giacca slacciata, i capelli spettinati, e il volto acceso da una luce che Chiara non le vedeva da settimane.
«Chiara!»
Entrò a passo svelto, mollò lo zaino vicino al tavolo, e si appoggiò allo stipite della porta della cucina come se stesse trattenendo qualcosa di esplosivo.
«Ho vinto.»
Chiara sollevò lo sguardo dal libro.
«Vinto cosa?»
«La borsa. La Finlandia. L’Erasmus invernale. Tre mesi.
Gennaio, febbraio, marzo.»
Un secondo di silenzio.
Poi il tempo ricominciò a scorrere.
«Cosa?! Giulia, ma…»
Chiara si alzò.
«Oddio, sei seria?»
Giulia annuiva, con un sorriso troppo grande per contenerlo.
«Mi è appena arrivata la mail. Non pensavo. Ho fatto domanda all’ultimo minuto, solo perché… non so nemmeno perché.
Ma adesso... è vero.
E parto.»
Chiara l’abbracciò.
Per un attimo solo.
Ma stretto.
«Congratulazioni, davvero.»
Giulia la tenne stretta un secondo in più.
Poi si staccò.
«È pazzo, lo so. Tre mesi a Helsinki. Ma cazzo, Chiara… tre mesi in Finlandia!»
Chiara sorrise.
«Sì… tre mesi di neve, venti sotto zero, e... mutande termiche.»
«Parliamone.
Parliamone ora.
Apriamo il mio armadio e vediamo se ho qualcosa che non mi congeli il clitoride.»
Chiara rise.
Ma dentro, qualcosa si era appena incrinato.
La stanza di Giulia si riempì di abiti.
Maglioni a collo alto, gonne che non avevano mai visto l’inverno, pantaloncini da discoteca, body con il retro trasparente, giacche troppo leggere, e poi…
un cassetto.
Il cassetto dell’intimo.
«Vuoi dirmi che ti porti questa roba in Finlandia?»
Chiara sollevò un perizoma rosso in pizzo, con due lacci laterali.
Lo fece oscillare tra le dita.
«Serve a scaldare i pensieri, non il corpo.»
Chiara scosse la testa.
«Hai bisogno di lana. Lana e dignità.»
«Io non ho mai avuto dignità sotto i pantaloni.»
Ridevano.
Ridevano forte.
Giulia tirò fuori l’intero contenuto del cassetto e lo buttò sul letto.
Perizomi neri, colorati, brasiliane, culotte di pizzo, reggiseni che non reggevano niente, solo sguardi.
«Devo fare una selezione,» disse Giulia.
«Tipo: questi sono per la sopravvivenza sessuale… e questi per la sopravvivenza termica.»
«Serve una nuova categoria: per il freddo e per le videochiamate.
Tipo: reggiseno a maglia grossa, mutande con i fiocchi di neve.»
Giulia si gettò sul letto, tra la biancheria.
Si stese a pancia in su, le mani dietro la testa.
«Sai cosa mi spaventa?
Non il freddo.
Ma l’idea di partire.
E tornare.
E… che sia tutto diverso.»
Chiara si sedette accanto a lei.
Si accarezzò il ginocchio.
«Lo sarà.
Ma anche se restassi, cambierebbe comunque.»
Giulia la guardò.
Il sorriso un po’ meno largo.
«Tu cambierai?»
Chiara non rispose subito.
Fece scorrere le dita su un perizoma color crema.
«Spero di sì.»
Il letto sembrava una distesa post-apocalittica di lingerie.
Il pavimento, disseminato di maglie, calze, guanti mai usati.
Chiara si sdraiò accanto a Giulia, senza toccarla.
Le braccia sopra la testa.
Guardava il soffitto.
Nel silenzio, il cuore parlava da solo.
«Tre mesi passano in fretta,» disse Giulia, quasi sussurrando.
«Sì,» rispose Chiara.
Ma non era una conferma.
Era una preghiera.
Dormirono separate, quella sera.
Nessun bacio.
Nessun tocco.
Nessuna parola in più.
Ma sotto le coperte,
in due stanze diverse,
ognuna sentiva il corpo dell’altra come un’assenza già presente.
E il tempo, lì fuori,
continuava a non fermarsi.
Tatiana lo girò a Chiara con un semplice: “Dai, vieni. Fa bene ridere. Al massimo, beviamo.”
Edo aveva organizzato una serata easy in un locale fuori San Niccolò.
Una cosa improvvisata, con qualche vecchio amico tornato a Firenze, qualche volto nuovo, qualche bicchiere senza troppe pretese.
Chiara ci pensò un attimo.
Poi rispose: “Va bene. Ma niente giochi strani stavolta.”
Tatiana: “Promesso. Solo umani con la testa accesa.”
Quando Chiara arrivò, Giulia era già lì.
Seduta sul divano basso all’interno del locale, le gambe accavallate, una maglia larga che le scendeva dalla spalla sinistra.
Rideva con Edo e una ragazza nuova, capelli corti, orecchini vistosi.
Chiara la vide.
Il cuore le fece uno strano passo indietro.
Poi si sistemò.
Giulia alzò gli occhi.
La vide.
Un mezzo sorriso.
Un saluto con il bicchiere.
Nessuna delle due si mosse.
La serata scorreva lenta ma viva.
Troppe risate.
Cicchetti veloci, birre artigianali.
Musica jazz dal vivo in un angolo.
Chiara era seduta vicino a Tatiana e a un tipo che parlava troppo di sé.
Ogni tanto alzava gli occhi verso Giulia.
Ogni volta che la trovava a guardarla, distoglieva lo sguardo un attimo dopo.
Un gioco.
Silenzioso.
Pericoloso.
Poi, all’improvviso, la pioggia.
Iniziò con qualche goccia.
Poi un temporale pieno, denso, caldo.
Qualcuno rise.
Qualcuno bestemmiò.
Qualcuno si affrettò a uscire, cercando taxi che non arrivavano.
Edo chiuse il conto.
Tatiana trovò un passaggio con una coppia.
Giulia e Chiara si ritrovarono sotto lo stesso ombrello, all’uscita.
«Io abito lì,» disse Giulia, indicando il viale.
«Io lì,» rispose Chiara.
Stessa direzione.
Ovviamente.
Camminarono in silenzio.
Le scarpe bagnate.
I capelli che si attaccavano alla fronte.
Le gambe nude che brillavano d’acqua sotto i lampioni.
Non c’erano parole.
Solo il rumore della pioggia e dei loro passi.
Poi Giulia parlò.
Piano.
«Sei uscita con Tatiana, l’altra sera.»
«Sì.»
«Avete parlato?»
«Abbastanza.»
Una pausa.
«Di me?»
Chiara si fermò un attimo.
Poi riprese.
«Di me. Di te. Di tutto.
Era… liberatorio.»
Giulia annuì.
Non chiese altro.
Arrivarono sotto casa.
La porta si chiuse dietro di loro.
Il rumore della pioggia attenuato.
Chiara lasciò cadere la giacca.
Giulia si tolse le scarpe.
Entrambe bagnate, belle in modo doloroso, le maglie appiccicate, i seni visibili sotto il cotone.
Si guardarono.
Troppo a lungo.
Poi Giulia sorrise.
Appena.
«È buffo…
non ti ho mai vista così bella come quando non mi guardi.»
Chiara non rispose.
Si avvicinò.
Appoggiò una mano sulla spalla di Giulia.
Solo un secondo.
Poi si voltò.
«Io vado a dormire.»
E salì le scale.
Giulia restò lì.
Nel corridoio bagnato.
Il cuore che batteva troppo.
***********
Gli ultimi giorni erano scivolati via come acqua calda.
Chiara e Giulia avevano ripreso a vivere la casa con naturalezza, come se niente fosse mai successo, eppure con qualcosa in più:
una specie di silenziosa alleanza, un’intimità appena trattenuta, come se ogni parola non detta fosse stata comunque detta, in altre lingue: un gesto, un respiro, un sorriso da lontano.
Si dividevano il bagno senza litigare, si lasciavano bigliettini ironici sulla moka, studiavano con la porta socchiusa, e la sera cenavano spesso insieme, senza forzature.
Una pace sottile.
Precaria.
Ma reale.
Finché quella sera Giulia rientrò con la giacca slacciata, i capelli spettinati, e il volto acceso da una luce che Chiara non le vedeva da settimane.
«Chiara!»
Entrò a passo svelto, mollò lo zaino vicino al tavolo, e si appoggiò allo stipite della porta della cucina come se stesse trattenendo qualcosa di esplosivo.
«Ho vinto.»
Chiara sollevò lo sguardo dal libro.
«Vinto cosa?»
«La borsa. La Finlandia. L’Erasmus invernale. Tre mesi.
Gennaio, febbraio, marzo.»
Un secondo di silenzio.
Poi il tempo ricominciò a scorrere.
«Cosa?! Giulia, ma…»
Chiara si alzò.
«Oddio, sei seria?»
Giulia annuiva, con un sorriso troppo grande per contenerlo.
«Mi è appena arrivata la mail. Non pensavo. Ho fatto domanda all’ultimo minuto, solo perché… non so nemmeno perché.
Ma adesso... è vero.
E parto.»
Chiara l’abbracciò.
Per un attimo solo.
Ma stretto.
«Congratulazioni, davvero.»
Giulia la tenne stretta un secondo in più.
Poi si staccò.
«È pazzo, lo so. Tre mesi a Helsinki. Ma cazzo, Chiara… tre mesi in Finlandia!»
Chiara sorrise.
«Sì… tre mesi di neve, venti sotto zero, e... mutande termiche.»
«Parliamone.
Parliamone ora.
Apriamo il mio armadio e vediamo se ho qualcosa che non mi congeli il clitoride.»
Chiara rise.
Ma dentro, qualcosa si era appena incrinato.
La stanza di Giulia si riempì di abiti.
Maglioni a collo alto, gonne che non avevano mai visto l’inverno, pantaloncini da discoteca, body con il retro trasparente, giacche troppo leggere, e poi…
un cassetto.
Il cassetto dell’intimo.
«Vuoi dirmi che ti porti questa roba in Finlandia?»
Chiara sollevò un perizoma rosso in pizzo, con due lacci laterali.
Lo fece oscillare tra le dita.
«Serve a scaldare i pensieri, non il corpo.»
Chiara scosse la testa.
«Hai bisogno di lana. Lana e dignità.»
«Io non ho mai avuto dignità sotto i pantaloni.»
Ridevano.
Ridevano forte.
Giulia tirò fuori l’intero contenuto del cassetto e lo buttò sul letto.
Perizomi neri, colorati, brasiliane, culotte di pizzo, reggiseni che non reggevano niente, solo sguardi.
«Devo fare una selezione,» disse Giulia.
«Tipo: questi sono per la sopravvivenza sessuale… e questi per la sopravvivenza termica.»
«Serve una nuova categoria: per il freddo e per le videochiamate.
Tipo: reggiseno a maglia grossa, mutande con i fiocchi di neve.»
Giulia si gettò sul letto, tra la biancheria.
Si stese a pancia in su, le mani dietro la testa.
«Sai cosa mi spaventa?
Non il freddo.
Ma l’idea di partire.
E tornare.
E… che sia tutto diverso.»
Chiara si sedette accanto a lei.
Si accarezzò il ginocchio.
«Lo sarà.
Ma anche se restassi, cambierebbe comunque.»
Giulia la guardò.
Il sorriso un po’ meno largo.
«Tu cambierai?»
Chiara non rispose subito.
Fece scorrere le dita su un perizoma color crema.
«Spero di sì.»
Il letto sembrava una distesa post-apocalittica di lingerie.
Il pavimento, disseminato di maglie, calze, guanti mai usati.
Chiara si sdraiò accanto a Giulia, senza toccarla.
Le braccia sopra la testa.
Guardava il soffitto.
Nel silenzio, il cuore parlava da solo.
«Tre mesi passano in fretta,» disse Giulia, quasi sussurrando.
«Sì,» rispose Chiara.
Ma non era una conferma.
Era una preghiera.
Dormirono separate, quella sera.
Nessun bacio.
Nessun tocco.
Nessuna parola in più.
Ma sotto le coperte,
in due stanze diverse,
ognuna sentiva il corpo dell’altra come un’assenza già presente.
E il tempo, lì fuori,
continuava a non fermarsi.
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